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Forse non tutti sanno che in Sardegna...
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E-book335 pagine3 ore

Forse non tutti sanno che in Sardegna...

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Info su questo ebook

Curiosità, storie inedite, misteri, aneddoti e luoghi sconosciuti di un’isola ancestrale

Dalle case delle fate all’Ustica sarda, un viaggio insolito nella terra dei nuraghi.

Della Sardegna non si conosce molto, in compenso tante delle cose che pensiamo di sapere sull’isola sono false. La seadas, per esempio, non esiste, come non esiste la “buona aria”, né alcuna location di Sergio Leone (sono di altri i film western girati qui). E i nuraghi? Oggi sembrano rozze capanne di pietra, ma erano spesso mastio di imponenti strutture murarie, simili a regge preistoriche. Con un taglio a volte leggero ma una ricerca sempre rigorosa, questo libro sfata alcuni luoghi comuni e credenze errate, racconta storie di personaggi dimenticati e di altri che andrebbero scoperti, e ancora battaglie e casi insoluti. Un testo destinato a tutti i lettori: dal turista curioso al sardo che vuole conoscere meglio la sua amata terra.

Forse non tutti sanno che in Sardegna...

…tra i bronzi d’inferno ce n’è uno maleducato
…grazie a Cicerone, Scauro aveva licenza di uccidere 
…nacquero un papa che costruiva biblioteche e un altro che le bruciava
…è dipinto il più grande murale d’Europa sull’inquisizione
…si trova il luogo meno piovoso d’Italia
…si disputava la pionieristica Super-maratona dei Nuraghi 
…nella sua prima battaglia fu sconfitto Napoleone
…la radio di Fred annunciò per prima la resa dei tedeschi
…si fondano le radici dell’Enigmistica
…l’altra Ustica non grida vendetta, ma pretende giustizia
Gianmichele Lisai
Nato a Ozieri, in provincia di Sassari, nel 1981. Editor e autore, ha collaborato con varie case editrici, scritto per antologie e riviste e curato, con Gianluca Morozzi, la raccolta di racconti Suicidi falliti per motivi ridicoli. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita, 101 storie sulla Sardegna che non ti hanno mai raccontato, 101 misteri della Sardegna (che non saranno mai risolti), Sardegna giallo e nera, Sardegna esoterica, I delitti della Sardegna e Misteri e storie insolite della Sardegna.
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2016
ISBN9788854196438
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    Anteprima del libro

    Forse non tutti sanno che in Sardegna... - Gianmichele Lisai

    es

    406

    Alcuni dei fatti narrati nel presente saggio fanno riferimento a episodi di cronaca e a inchieste giudiziarie ancora in corso. Tutte le persone coinvolte o citate a vario titolo, anche se condannate nei primi gradi di giudizio, sono da ritenersi penalmente innocenti fino a sentenza definitiva.

    Prima edizione: giugno 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9643-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Gianmichele Lisai

    Forse non tutti sanno che in Sardegna...

    Curiosità, storie inedite, misteri, aneddoti e luoghi sconosciuti di un'isola ancestrale

    omino

    Newton Compton editori

    Das erster Heft zu meine liebe Giorgia.

    «Nella letteratura italiana hanno scritto che se la Sardegna è un’isola,

    ogni sardo è un’isola nell’isola […] forse un pochino di vero c’è».

    Antonio Gramsci, 5 gennaio 1937

    In caminu s’acconza bàrriu: un’introduzione

    Nel cammino si assesta il carico è una traduzione del proverbio che dà il titolo a questa introduzione. Fuori dal letterale stretto, significa che quanto si trasporta viene aggiustato sulla groppa della bestia da soma durante il viaggio, e che le cose, quindi, applicando il detto al nostro lavoro, possono modificarsi e correggersi anche in corso d’opera.

    Stando nella metafora, Forse non tutti sanno che in Sardegna… è un somarello il cui fardello, in partenza, si era ordinato in modo molto diverso, subendo per via, tra imprevisti e scoperte, tutte le trasformazioni necessarie al suo equilibrio.

    Un libro, prima ancora che di parti fissate sulla pagina al momento della stampa, è fatto di scelte. Anche quello più completo e approfondito, sia esso un saggio o un romanzo, è sempre una rappresentazione parziale della realtà che descrive o della narrazione che si estende oltre il suo contenuto finale: si seleziona un dettaglio piuttosto che un altro, o una scena precisa tra le tante possibili; si predilige un punto di vista particolare, o si operano omissioni consapevoli. Ma in fase di studio, di raccolta del materiale, di consultazione delle fonti, nonostante si sia cercato di progettare più o meno meticolosamente, l’imprevisto di trovarsi sulla strada sbagliata e la probabilità di scoprirne di nuove e più interessanti sono sempre molto alti.

    In questo saggio frugale, per quanto possibile, si è cercato fin dalle prime intenzioni di evitare questioni già trattate nei lavori precedenti, di cui si sommano tuttavia i molteplici spirti.

    In certi casi si ritrovano quindi l’ironia e la leggerezza di 101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita, in altri, aneddoti insoliti nella chiave di 101 storie sulla Sardegna che non ti hanno mai raccontato, e poi vicende segrete che richiamano Misteri e storie insolite della Sardegna, e ancora omicidi, nello stile de I delitti della Sardegna.

    Si tratta, insomma, di un libro miscellanea, che attraversa più campi.

    Laddove punti di contatto con i volumi pubblicati negli anni passati sono stati inevitabili, si è cercato di affrontare l’argomento da una prospettiva differente, spesso con dolorose rinunce, defezioni tematiche causate dalla scarsità dei documenti o dalla scoperta, tra le selve bibliografiche, della natura fallace di alcuni argomenti selezionati in origine.

    Infine, il carico si è assestato nella sua forma attuale, con tre parti divise ognuna in sei capitoli e intervallate da due isole tematiche.

    La prima va dalla Preistoria al Medioevo, ma tocca anche la contemporaneità nei casi, per esempio, dei monumenti archeologici o sacri che ancora oggi si prestano all’uso pubblico.

    Dalle domus de janas, le antichissime necropoli dell’isola, si passa a una rassegna di curiosità legate alla civiltà nuragica e alla sua produzione artistica.

    1

    Somarello sardo, incisione di Stanis Dessy del 1942 tratta da Francesco Floris... ip. cit.

    Un capitolo è dedicato, invece, all’omicidio avvenuto a Nora in epoca romana, quando Cicerone, in veste di avvocato difensore, dovette attingere fino al fondo delle sue note qualità oratorie nel tentativo di scagionare il colpevole da lui assistito.

    Si prosegue parlando dei due soli papi espressi dalla Sardegna, uno poco prima e l’altro poco dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, e si conclude con una buffa attestazione relativa alla basilica della Santissima Trinità di Saccargia, perla nera di basalto e bianca di calcare tra gli edifici medievali dell’isola.

    Sospeso per un momento il criterio cronologico, si approda nella prima isola tematica: L’isola dei primati, dove si ritrovano tradizioni antiche ed esclusive come i riti dei carnevali barbaricini e la lavorazione del bisso, arte che si credeva estinta, o record stabiliti dalla natura nelle condizioni atmosferiche, in grotte e alberi millenari, o ancora prestazioni straordinarie fissate in competizioni estreme ormai perdute e nei muri dipinti di paesini periferici.

    La seconda parte, dalla colonizzazione delle Americhe alla caduta del fascismo, ci porta fino a Buenos Aires, per apprendere che fu un cagliaritano a battezzare quella città, ma il racconto è un po’ diverso da come lo riporta papa Francesco.

    Diverso da quanto ci si aspetterebbe è stato anche il destino della prima battaglia di Napoleone, sconfitto sull’isola di La Maddalena da un manipolo di partigiani. E se il colonnello Samuel Colt inventò la sua celebre pistola a tamburo tre anni dopo un fabbro di Gadoni, a un altro sardo si deve l’idea de «La Settimana Enigmistica».

    Forse non tutti sanno, inoltre, che la leggendaria Brigata Sassari, tanto cara al capitano Emilio Lussu, fu costituita in seguito a una rissa tra soldati isolani e continentali, così come, passando dalla prima alla seconda guerra mondiale, è poco diffusa la conoscenza dell’unico episodio di resistenza nella regione, tra i primi e più importanti verificatisi in Italia.

    I conflitti bellici si interrompono con la seconda isola tematica: L’isola dei sapori, dove dall’antipasto al dolce si fanno scoperte particolari, tra cibi inaspettati, errori marchiani, capricci gastronomici e storicizzazioni alcoliche.

    La terza e ultima parte, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, prende il via dall’annuncio della resa tedesca, legato in qualche misura a un noto musicista duro ma dal cuore tenero, e trasmesso nello stesso anno in cui il medico cagliaritano Giuseppe Brotzu comunicava al mondo, senza essere ascoltato, un successo fondamentale per il progresso scientifico.

    Nell’isola in cui c’era una volta il West e altri ‘strani’ luoghi del cinema, conosciamo poi l’altra Grazia, scrittrice dimenticata oltre le mura medievali di Iglesias ma, senza nulla togliere ai meriti della Deledda, decisamente più progressista, come all’avanguardia ha dimostrato di essere la Sardegna, più in generale, nelle discipline informatiche.

    Il saggio si chiude con un mistero ancora oggi irrisolto, un’immane tragedia umana definita da alcuni osservatori l’Ustica sarda, oscurata da ombre politiche, militari, forse addirittura spionistiche, figlie di interessi superiori che si scrollano di dosso con un’alzata di spalle il dolore di due famiglie in cerca di verità.

    Al di là delle scelte operate consapevolmente, sono certo del fatto che qualcosa di rilevante sarà sfuggito al setaccio della modesta conoscenza personale e delle ricerche effettuate, perciò, quando strada facendo, dallo sconfinato universo del Forse non tutti sanno che in Sardegna… emergeranno (magari, come spesso accade, grazie alla testimonianza di qualche persona del pubblico durante una presentazione) argomenti ignoti a chi scrive ma che avrebbero meritato un posto in questo libro, saranno appuntati a futura memoria, così da poter rimediare in prossime pubblicazioni, perché, come insegna il proverbio, in caminu s’acconza bàrriu.

    2

    Mappa delle subregioni storiche della Sardegna.

    Dalla preistoria al medioevo, tra passato e presente

    34

    Stemmi degli antichi giudicati sardi, nell'ordine di Cagliari, d'Arborea, di Torres e di Gallura.

    1. …le antiche dimore dei morti possono avere destinazioni d’uso insolite

    Come dichiarato nell’introduzione, in questo lavoro si è cercato di evitare il più possibile sovrapposizioni con quanto analizzato dallo stesso autore in libri precedenti, ma anche di porre rimedio ad alcune mancanze del passato, laddove si sia già toccato un particolare argomento senza tuttavia approfondirlo in determinate questioni meritevoli di attenzione.

    E se spesso ci siamo riferiti alle domus de janas, abbiamo descritto certi monumenti solo in modo parziale e altri sono stati esclusi, pur essendo di massimo interesse per le singolari caratteristiche architettoniche e per le storie insolite che li riguardano.

    Prima di addentrarci nelle specificità del capitolo, è necessario ricordare al lettore, in breve, cosa siano le domus de janas, letteralmente case di fate, cosiddette poiché ritenute, dalla tradizione locale, dimora delle piccole creature leggendarie.

    «A vederle dall’esterno, queste case sono facilmente riconoscibili: appaiono come un buco nella roccia, una porta sempre aperta oltre la quale le donnine magiche passerebbero il tempo a filare stoffe preziosissime con telai d’oro, accumulando tesori immensi»¹.

    Oltre le suggestioni popolari, parliamo di sepolcri scavati nella pietra, si stima tra il iv e il iii millennio a.C., in epoca prenuragica, ovvero la preistoria sarda.

    Sull’isola ne sono stati rinvenuti a centinaia, di forme e dimensioni varie, e ancora oggi non riusciamo a spiegarci come un popolo così antico, servendosi di strumenti tanto rudimentali, fosse in grado di ricavare camere singole, o molteplici stanze comunicanti disposte in ampie metrature, dai duri affioramenti granitici o di diversi materiali.

    Non sembrano invece esserci dubbi sul fatto che fossero tombe, nella loro forma più semplice, o vere e proprie necropoli in quelle più complesse, e riproducevano, si pensa, gli alloggi del tempo: «Esse quindi, in quanto luogo deputato alla prosecuzione dell’esistenza dopo la morte, creavano un ideale continuum con le abitazioni dei vivi»².

    Ma ciò che ci interessa in questa sede non attiene al mistero sulle tecniche di fabbricazione delle domus, né ai connessi rituali sacri, né ai simbolismi arcaici o altri dettagli già sviscerati, bensì al frequente riutilizzo di tali edifici in epoche più recenti, compresi i nostri giorni.

    Ne abbiamo già fatto cenno in altre pubblicazioni, concentrandoci però in modo epidermico sul singolo caso più famoso, quello della vasta necropoli di Sant’Andrea Priu³, diffusamente esaminata dai più autorevoli studiosi come, tra gli altri, l’archeologo Roberto Caprara: «In numerose grotticelle funerarie, in Sardegna, è stato osservato un riuso in età punica, o romana, o altomedievale, ma forse ancora il sito emblematico rimane questo di S. Andrea Priu, con uno degli ipogei preistorici più vasti e significativi trasformato in chiesa»⁴; o ancora il professor Pier Giorgio Spanu: «[…] lo splendido esempio del Sant’Andrea Priu, chiesa insediatasi già dall’età paleocristiana in un articolato ipogeo preistorico»⁵.

    Questo monumento, tra i maggiori esempi del genere con l’algherese Anghelu Ruju, fu realizzato in un costone trachitico nei dintorni di Bonorva, ed è dotato di numerosi vani, tra cui i diciotto del più importante, elaborato ed esteso ipogeo del complesso: il sesto. Di esso, oggi definito Tomba del Capo in considerazione della sua magnificenza, le celle principali furono corrotte in tempio cristiano per scacciare le ataviche divinità pagane, come constatò il canonico Giovanni Spano, a cavallo tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, valutandone i dipinti alle pareti: «Onde spurgare dalla superstizione gentilesca questo luogo e convertirlo in sacro vi passarono un nuovo intonaco a stucco, e vi eseguirono quelle pitture come segni vivi di quei misterii che adoravano»⁶.

    Così, sui muri anticamente destinati alle rappresentazioni del dio toro e della dea madre, comparvero iscrizioni religiose e moderne icone di santi.

    56

    Pianta della Tomba del Capo nella necropoli Sant’Andrea Priu. A confronto, quella disegnata dal canonico Giovanni Spano in Bullettino archeologico sardo, anno secondo, Tipografia di A. Timon, Cagliari 1856 e quella più precisa di Francesco Giarrizzo tratta da Antonio Taramelli, Fortezze, recinti, fonti sacre e necropoli preromane nell’agro di Bonorva, Tip. della R. Accademia dei Lincei, Roma 1919.

    Sempre Spano, nel 1856, fornì, corredandola di pianta, una minuziosa descrizione del colombario «più degno di attenzione […] che noi appelliamo catacomba, perché sarà servito di rifugio ai primi cristiani, e di sepoltura a qualche martire nei primi tempi di persecuzione del cristianesimo»⁷.

    Nonostante alcune imprecisioni (si parla di catacomba e non di chiesa rupestre, si tramanda un rilievo lacunoso e si riferisce di «una grande gradinata a ventaglio»⁸ di fatto inesistente) quello del sacerdote fu il primo studio di una certa importanza a mettere in evidenza un uso precedente alla data di consacrazione – o forse, ne consegue, di riconsacrazione – della chiesa, attestata agli inizi del xiv secolo come riportato da Pietro Martini nel 1841: «nel 1775 nell’altare della chiesa di S. Andrea Frius, situata un tempo nella diocesi di Sorra, si trovò […] una pergamena, in cui si poterono leggere le seguenti parole: Anno Domini 1303, die… Jul… rem Dei op. max., et S…. Andr… Apostol…. Guantinus de Farfara ep.pus Sorren consecra…»⁹.

    In quello che qui per praticità chiameremo vestibolo, ovvero il secondo vano della Tomba del Capo, di forma semicircolare, sono state rinvenute due sepolture di epoca bizantina, mentre nell’aula successiva, il terzo ambiente in cui si raccoglievano i fedeli, sono presenti alcuni affreschi paleocristiani, di uccelli, ghirlande e una figura femminile rivolta alla croce raffigurata sul varco che conduce al santuario, cioè l’ultimo locale riservato ai prelati e caratterizzato da icone romaniche di Gesù, della Madonna, di Giovanni Battista e dei santi apostoli.

    La cristianizzazione di questo luogo fu così pregnante che ancora nel secolo scorso si aveva «per tradizione presso i Bonorvesi ed i vicini villaggj che vi esistesse un monastero, e perciò molti tuttora lo chiamano il Convento»¹⁰, ci racconta il solito Spano, testimoniando, infine, un ulteriore successivo utilizzo della chiesa rupestre di Sant’Andrea Priu, le cui pareti apparivano annerite dalla fuliggine, soprattutto a causa del «fumo delle lampade che per molto tempo vi ardevano come in un Santuario»¹¹, ma anche per i fuochi accesi dai pastori che lì si riparavano durante il rigido inverno, i quali «non solo fecero rifugio di loro stessi questi sacri luoghi, ma anche delle bestie, perché v’introducono branchi intieri di pecore, di vacche e di porci»¹².

    7

    La necropoli di Sant'Andrea Priu in un disegno di Alberto La Marmora. Da Voyage en Sardaigne, Turin, parigi 1826.

    I casi di domus de janas convertite alla parola di Dio o in ricovero per animali sono piuttosto frequenti, come dimostrano gli esempi de Su Crastu de Santu Eliseu, curioso ipogeo del territorio di Mores scavato in un grosso masso erratico al cui interno è stato aggiunto l’altare cristiano, o della chiesa rupestre di Santu Perdu, ricavata in epoca altomedievale dalla tomba iv dell’omonima necropoli nel circondario di Alghero; dello stesso periodo è il santuario insediato nella tomba ii del complesso Li Curuneddi, a Sassari, riutilizzato più di recente come palmento per la pigiatura delle uve, e se fino al secolo scorso la domus dell’Orto beneficio parrocchiale di Sennori era svilita al ruolo di cava, bisogna aggiungere che ha condiviso con l’omologa guspinese di Bruncu Maddeus il triste destino di rifugio in tempi di guerra.

    Per quanto riguarda la funzione di stazzo, emblematico è il caso del monumento di S’Adde ’e Asile, a Ossi, dove uno dei sepolcri è stato ribattezzato, opportunamente, Tomba dell’Ovile.

    Chiudiamo questa carrellata con Sa Rocca di Sedini, ultima ma non ultima per valore, anzi, ultima proprio nella speranza che al lettore permanga con più vivido ricordo.

    Unica per morfologia, è stata scavata in una notevole roccia calcarea affiorante nella sua interezza, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei casi¹³. Con il suo profilo aggettante che si allunga in modo bizzarro, sembra quasi una dimora fiabesca o mitologica.

    Il prospetto frontale, anche se in scala nettamente maggiore, ricorda quello della conca fraicata, tipica costruzione gallurese ottenuta con l’aggiunta di piccole pareti o modeste facciate a grotticelle naturali, che venivano così chiuse e dotate d’ingresso per ospitare i pastori nelle transumanze invernali.

    8

    Paesaggio sardo visto dall'interno di una Domus de Janas. Opera del pittore Giovanni Seu. Licenza Creative Commons Attribution Share-Alike 3.0 Unported.

    Se la conca, per aspetto e proporzioni, ricorda le case di puffi e di gnomi, la domus di Sedini sembra più un’abitazione di orchi, ciclopi, o altre imponenti figure fantastiche, solo che non si trova nel bosco o in diverso luogo periferico come tanti edifici della stessa tipologia, bensì, tra le rare eccezioni, in pieno centro paese, ed è quindi facilmente accessibile.

    A rendere ancora più speciale questa struttura, oltre le peculiarità appena descritte, è la molteplicità delle sue destinazioni d’uso nel corso dei secoli.

    La necropoli, profanata nel Medioevo, è stata carcere, alloggio e stalla. Nell’Ottocento fu sfruttata come cava di mattoni e, in tempi recenti, come bottega e sede di partito, per poi tornare residenza popolare, condizione che conservò fino al secondo Novecento.

    Dai primi anni Novanta agli inizi del nuovo millennio, rilevata dall’amministrazione locale, venne restaurata e, infine, resa uno dei musei etnografici più interessanti del nord Sardegna.

    Oggi, considerati i numerosi interventi subiti, i suoi interni appaiono diversi da com’erano in origine: le tombe neolitiche, costituite da sei celle di cui due sono state allargate e unite per formare un singolo spazio più ampio, si trovano nel primo dei tre livelli dello stabile, che può vantare una superficie totale di centotrenta metri quadrati circa.

    Altri ambienti sono stati scavati nelle epoche successive, soprattutto nella fase di insediamento della cava, quando l’attività estrattiva ha esteso le capienze e prodotto nuove stanze, completate con murature, solai e altri elementi architettonici. È presente anche un focolare, attestato al periodo medievale, mentre per quanto riguarda l’esposizione museale, tesa a valorizzare proprio la continuità di utilizzo del

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