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Sherlock Holmes, tempo in scacco
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Sherlock Holmes, tempo in scacco
E-book422 pagine6 ore

Sherlock Holmes, tempo in scacco

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Info su questo ebook

Nel 2027 fu realizzato un prototipo del motore a Ponte, basato sulle teorie di Einstein-Rosen

Nel 2030 venne effettuato con successo il primo volo a ultraluce sino a Plutone.

Nel 2038 ebbe inizio la colonizzazione dei mondi del Primo Quadrante.

Nel 2103, a causa dell'attacco spietato degli Askaliani a discapito della colonia Dante, venne istituita l'Alleanza.

Nel 2209 tutto viene messo in discussione

Un romanzo in bianco e nero, dove sono riproposte le atmosfere di un’Inghilterra post Vittoriana velata di mistero. Le sue descrizioni riconducono, visivamente, ai suggestivi film con Basil Rathbone ma, soprattutto, ai testi canonici dell’inarrivabile Sir Arthur Conan Doyle.

Azione, storia e fantascienza quali elementi di una trama che ha l’ambizione di costituire le fondamenta per nuovo universo. Una flotta fatta di navi potenti e veloci e di uomini in grado di fronteggiare situazioni estreme, anche ad anni luce dal comando, è stata istituita a salvaguardia della porzione di galassia sotto il nostro controllo. Questa coalizione di uomini e pianeti, prende il nome di ALLEANZA. In essa agiscono protagonisti capaci di fare la differenza, uomini dotati di personalità eterogenee ma accomunati da una consolidata amicizia, fedeltà alla flotta e appartenenza alla stessa nave, la Victory AS-07.

Il capitano West, il suo secondo Ishinaka, l’ufficiale scientifico Sohan e il medico di bordo D’Agostino, saranno chiamati a mettere alla prova le loro collaudate capacità e la spontanea sinergia che li farà divenire, nel futuro dell’Alleanza, una leggenda. Dovranno compiere un viaggio dal cui esito dipenderà il perpetrarsi stesso della storia come la conosciamo. Sullo sfondo di una guerra mondiale oramai alle porte, un romanzo di fiducia nell’uomo e di speranza nella sua redenzione nonostante tutto. Nonostante il futuro. Nonostante le ideologie che cercheranno di sottrarne l’eccezionalità soprannaturale per sminuirlo a pedina sacrificabile, in una partita a scacchi col destino.
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2016
ISBN9788893320726
Sherlock Holmes, tempo in scacco

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    Anteprima del libro

    Sherlock Holmes, tempo in scacco - Ezio Testa

    633/1941.

    Capitolo uno

    Risalire quei diciassette scalini che, dal 1882, avevo solcato per così tanti anni, mi suscitava ancora un'intensa emozione.

    Mai più, da quell'ultima volta, sei anni addietro, avevo rimesso piede in quelle stanze. Anzi, avevo accuratamente cercato di evitare di transitare nei pressi del 221B di Baker Street e da tutti i ricordi che quello studio serbava della mia, ahimè oramai estesa, esistenza. Erano trascorsi anni da allora, ma solo pochi giorni da quando avevo ricevuto uno scarno telegramma dal mio amico, composto di poche parole: Watson, se nulla è cambiato, l'aspetto per la colazione. Seguiva la data e l'ora per l'appuntamento.

    Dopo tutto quel tempo, se avessi accolto un invito come quello, succinto a dir poco, da qualsiasi altra persona, forse l'avrei respinto. Invece il mio cuore ebbe un sussulto: Sherlock Holmes era tornato!

    Informai della novità mia moglie che, conoscendo ed apprezzando il mio amico e, probabilmente, ancora riconoscente del fatto che fu proprio lui a farci incontrare, comprese e condivise la mia gioia. Mi esortò a portargli i suoi saluti, raccomandandomi di invitarlo a casa nostra, per una cena, alla prima occasione.

    Dovetti ben presto ammettere, di sentirmi stranamente eccitato all'idea di quella rimpatriata. Ma non solo. Mi sorpresi realmente emozionato all'idea di confrontarmi nuovamente con un amico col quale avevo condiviso molta della mia vita e, in tante occasioni, ero arrivato a metterla addirittura in gioco. E non avevo scordato come, in più di un caso, proprio grazie a lui, al suo acume ma anche alla sua destrezza, riuscii ad averla salva.

    Così, scesi dalla carrozza imponendomi l'andatura dimessa che il decoro richiedeva ma, se avessi potuto, avrei percorso quei pochi metri di marciapiede, in metà del tempo.

    Cercai di considerare quell’incontro alla stregua di una visita ad un paziente di vecchia data, ma non mi riuscì di far soggiacere le emozioni sprigionate dalla consapevolezza d'andare incontro all'amico a me più caro.

    Il profumo dei biscotti si miscelava egregiamente con quello del te. Sapeva d’Inghilterra, sapeva di casa. Sapeva di ieri. Era, quello, un aroma che avevo scordato e che solo adesso, spalancando il portone, mi riassaliva nostalgico, portando con se un mare di ricordi e sensazioni che ristagnavano latenti e che colsero quell’ausilio per riaffiorare più definiti. Fu per questo che rimasi piacevolmente sorpreso dalla signora Hudson, quando mi venne incontro a sovrapporre il suo viso col ritratto che serbavo di lei, senza che, gli effetti del tempo, andassero apparentemente a modificarlo.

    - Dottor Watson, che piacere ho di rivederla! - La sentii esclamare con quell'entusiasmo che le era tipico - ma quanti anni sono oramai, nove, dieci? - Mi domandò allargando la braccia robuste.

    - Sono solo sei, cara signora Hudson – precisai, stringendo calorosamente le sue mani tra le mie.– E’ un vero piacere anche per me rivederla. E per il suo aspetto, aggiungo, è come fosse trascorso solo un giorno! - Mi volli complimentare.

    La cara padrona di casa dimostrò d’essere ancora capace di arrossire e, portando una mano alle labbra, per mimetizzare un sorriso di soddisfazione, mi fece un cenno di scherno con l'altra.

    - Vada, dottore, salga dal suo amico che, nonostante la lunga vacanza, non ha migliorato di una virgola le sue bizzarrie! - Ma lo disse scherzando, soddisfatta, invece, di quella rinnovata presenza che doveva costituire, per lei, una sorta di famiglia riacquisita.

    Non me lo feci ripetere e salii le scale celermente, con la signora che mi informava intanto, che avrebbe rimesso sul fuoco l'acqua per il tè. Bussai energicamente alla porta del mio amico col guanto sinistro ancora indossato. Sapevo, per esperienza, che nei periodi di scarso lavoro, il suo stato mentale rischiava di franare nell'indolenza più invalidante. Il fatto, però, che fosse tornato e che mi avesse scritto, avrebbe dovuto fugare certe mie paure, invece, continuai ad insiste. Percossi con le nocche la porta bianca sino a che, l'amico, non la spalancò con scarsa energia, andandosi repentinamente a rifugiare nell'accogliente abbraccio della sua poltrona preferita, posta alla periferia della stanza, tra il caminetto e la finestra che porgeva su Baker Street.

    Dalla sua indifferenza, quel suo sott’intendere, dare per scontata la mia presenza lì, fu come se ci fossimo visti solamente la sera prima. Restai, per un attimo interdetto. Non che mi aspettassi le braccia al collo ed il racconto degli ultimi anni enfatizzato davanti al caminetto, magari sorseggiando un brandy. Questo no. Trattandosi di Holmes, piuttosto, mi sarei atteso un sorriso e un'energica stretta di mano, conditi da un come sta e da un e la signora Watson?. Ma, quell’indifferenza, mi lasciò veramente indispettito.

    Il locale, invece, mi accolse mantenendo le promesse. Nulla era cambiato. Ogni suppellettile, ogni arredo era rimasto quello di allora. Anzi no. Le tende, quelle erano differenti. La padrona di casa doveva essersi arresa di fronte al loro colorito spento dal troppo fumo che appestava spesso la stanza, e le aveva sostituite. Adesso due leggiadre tendine, arricchite ai lati da ricami floreali,ornavano le finestre, rappresentando, ai miei occhi, una vistosa stonatura. Tutto aveva una patina di vissuto, di piacevole trasandatezza, denunciando che chi occupava l’appartamento osservava delle differenti priorità. Ma, adesso, c’erano quelle stoffe candide ancora estranee, timidamente non ambientate, che parevano divertirsi ad attrarre, proprio loro, l’attenzione del visitatore. Distolsi gli occhi volentieri e mi ritrovai immediatamente più a mio agio.

    - Buongiorno Holmes, mi sono permesso di chiedere alla signora Hudson di preparare una colazione leggera per entrambi - esordii un poco rigidamente, sfilandomi il soprabito. Nel contempo, guardai di sottecchi Sherlock Holmes sperando, forse, in un gesto di ravvedimento e in uno slancio seppure tardivo, dettato dal complice ritrovarsi. Il suo viso, però, rimase estraneo a tutto ciò, fissando, invece assorto, la punta delle sue dita congiunte.

    Prossimo alla capitolazione, cercai di adeguarmi al suo stato d'animo e portai la conversazione su un piano neutro e professionale. - La cara padrona di casa, ha avuto la premura di segnalarmi che è da ieri che non tocca cibo. Non sono affatto rassicurato per sua salute, e glielo sto dicendo come medico, non solo come amico - poi aggiunsi - non oso pensare come sia stata sregolata la sua vita in questi anni. - E lo dissi col desiderio di creare un appiglio del quale avrebbe potuto approfittare per iniziare una conversazione. Ma non ottenni ancora nulla.

    Di fronte al suo caparbio mutismo, mi accomodai a mia volta, sulla poltrona che fronteggiava quella dell'investigatore, e mi posi in attesa. Mi feci forte del fatto che ero stato richiesto lì, quella mattina; e che era stato Holmes a desiderare la mia presenza. A dire la verità, provai più disagio al pensiero di una possibile alterazione nello stato dell’amico, che dall’essere ignorato. Mi sorpresi a ipotizzare che, tanto tempo trascorso privato delle opportunità di relazione che avrebbe avuto in una città come Londra, l'avesse reso ancora più misogino e particolare di quanto non fosse già stato quando ci frequentavamo anni addietro.

    Ero appena tornato dalla guerra nelle colonie britanniche quando, Stamford, il mio assistente, mi presentò un giovane un poco allampanato, dai gesti oltremodo decisi che denunciavano una sicurezza di se scarsamente comune specialmente a quell'età poco matura¹. Entrambi alla ricerca di un alloggio, ma ancora con una situazione economica che ci osteggiava nel trovarne uno che fosse comodo da raggiungere e decoroso, vedemmo positivamente la possibilità di dividerne le spese. Così iniziò la mia convivenza con Holmes, Sherlock Holmes. Inizialmente, avrebbe dovuto essere soltanto una soluzione temporanea, ed invece, ci trovammo ad occupare quelle stanze per tanti anni ancora. Con la signora Hudson che, a modo suo, arrivò essenzialmente ad adottarci e che ben tollerava le nostre esigenze, talvolta un poco strambe, di medico condotto e d‘investigatore.

    Ma il tempo era trascorso anche per noi. Il nostro rapporto, pur non mutando nella sostanza, anzi maturando dalle esperienze e nella stima, era anch’esso evoluto. Io avevo sempre considerato quella vita come un compendio, una distrazione, una piacevole ed unica possibilità di forgiare esperienze ed appagare quell’entusiasmo romantico che mi pervadeva. La vita però, quella vera, l’avevo sempre ritenuta, diversamente da Holmes, composta anche da ingredienti differenti. Così iniziai a praticare con dedizione la mia professione di medico. Col tempo, arrivai a sposarmi e, di conseguenza, ad abbandonare l'appartamento di Baker Street e con esso, a ridurre la frequentazione del mio amico. Purtroppo, la vita, non aveva previsto per me un matrimonio duraturo e, tornato solo, tornai anche a dividere quelle stanze con l'ingombrante amico di sempre. Contrariamente ad Holmes, però, al quale il gentil sesso pareva interessare in maniera secondaria e discontinua, il mio apprezzamento verso le donne era rimasto una costante voluttuosamente coltivata negli anni. Così divenne forse inevitabile che un altro volto mi incantasse più d’altri, pretendendo nuovamente l’esclusiva sul mio cuore. Stipulai allora, un altro patto con la seconda donna della mia vita, e ruppi quello mai scritto con Holmes, andando a vivere un'altra volta altrove.

    I nostri contatti, però, si mantennero ugualmente vitali. Continuai, seppure logicamente, con maggior rarefazione, a seguire il mio amico in taluni suoi casi, conservando quel compito al quale mi ero votato dall'inizio della nostra frequentazione, di biografo romanziere. Narrando quelle storie in cui aveva avuto modo di sfoggiare, più che in altre, le sue indiscutibili doti deduttive. O, perlomeno, quelle per le quali non mi imponeva censura o silenzio.

    Sino al 1904. Fu allora che Holmes ebbe bisogno di un cambiamento. In quegli ultimi anni, infatti, la sua notorietà si era estesa oltre i confini nazionali. Le proposte di affrontare nuovi casi divennero sempre più numerose e spesso vessatorie. Da un lato la pressione di richieste talvolta accompagnate da raccomandazioni di personalità alle quali era compromettente rifiutare l’aiuto. Dall’altra parte una sorta di bramosia intellettuale nella quale stava precipitando Holmes, sempre più attratto dal mistero e dalla sfida che esso rappresentava. Io lo assistevo consumarsi, spinto da quella sua foga investigativa e, mio malgrado, soggiogato dal fascino delle sue qualità espresse con perseverante maestria. Ma fu proprio nel 1904, dopo l’ennesimo caso che l’aveva visto in procinto di perdere la vita, che si concesse il tempo di riflettere. Parlammo a lungo in quei giorni di primavera. Nessuno dei due ambiva a gettare la spugna, e a chiudere un periodo così intenso delle nostre vite, ma alla fine terminammo le scuse, gli alibi, il pudore.

    Fu così che lasciò tutto: il suo lavoro, la sua abitazione e la stessa Londra, per rifugiarsi nella splendida campagna del Sussex, sulle rive dell'oceano, dove cambiò completamente registro di vita, abitudini ed interessi, dedicandosi con successo all’apicoltura.

    E lasciò anche me, costretto a recitare il ruolo dell’amico comprensivo e del medico soddisfatto. Risoluto nel concordare la necessità di un suo cambiamento di vita, repentino e radicale ma, ahimè, anche sofferente per quella sottrazione.

    Monco di quella componente che godeva nell’affrontare l’azione ed il mistero, dovetti farmi forza per ritrovarla solamente nella consapevolezza del bene dell’altro.

    Un movimento di Holmes mi distrasse dai ricordi. Lo vidi protendersi per afferrare una vecchia pipa di spugna, ingiallita all'estremità del fornello, salvandola dal secchio del carbone dove, evidentemente, l’aveva gettata l’ultima volta. L’accese distrattamente, riempiendo immediatamente l'aria stantia della stanza dell'aroma dolciastro del tabacco.

    - Mistura pesante da fumare al mattino - dissi, tentando nuovamente di instaurare una sorta di conversazione.

    - E' da anni che ho sospeso la dolce pratica di quelle iniezioni che lei si ostinava tanto a denigrare. D‘allora è il tabacco l'unico compagno alla mia veglia e ai miei pensieri - sussurrò appena.

    - Buon giorno anche a lei Holmes! - Provai a ironizzare. - Mi scusi Watson, ma non vorrei dirottare il filo dei miei pensieri su evasive banalità - rispose invece conciso.

    - Mi scusi lei se non sono sempre all'altezza delle sue vette di pensiero - feci sarcastico, scoprendomi meno avvezzo di un tempo a tollerare quegli stati di presenza marginale in cui versava l'amico quando un quesito lo tormentava.

    - Non poteva conoscere l'origine del mio interesse. Devo proprio ammettere che, nonostante la solida stima e la duratura amicizia che ci lega oramai da anni, provo una certa reticenza, questa volta, a renderla partecipe delle mie congetture - precisò con fare sbrigativo Holmes, tornando a volgere lo sguardo verso quello spicchio di mondo che gli era concesso di scorgere dalla finestra, filtrato e rarefatto dalle tende nuove.

    Mi irrigidii un poco sulla poltrona.

    - Una reticenza, però, che aveva già deciso d'infrangere nel momento in cui mi ha spedito quell'invito - lo stimolai - ha bisogno di essere esortato? - Continuai severo.

    Proprio in quel momento, però, un discreto bussare alla porta mi fece sussultare. Mi ricordai della signora Hudson e mi affrettai a farla entrare, sbarazzando come meglio riuscii, un esiguo spazio sul tavolino colmo di giornali.

    - Piano Watson! Non scompigli il mio disordine! - Si raccomandò ad alta voce Holmes, ritrovando solo allora un poco di energia.

    - Non riuscirò mai a capire come possa accettare di vivere circondato da tanta confusione - risposi, facendo però attenzione a riporre i giornali sul pavimento mantenendo la disposizione in cui li avevo tolti. La cara padrona di casa assentì enfaticamente con il capo, ma non disse nulla in proposito. Posato delicatamente il vassoio con la colazione, uscì nuovamente dalla stanza con discrezione come quando vi era entrata.

    Rimasti soli, riempii due tazze del tè forte e scuro, che avrebbe dovuto schiarirci le idee, accompagnandolo con dei dolci secchi al burro. Holmes bevve con piacere il liquido caldo ma assaggiò appena i pasticcini. Provvidi io, amante dei piccoli eccessi che la vita mi offriva, ad assaporare con gusto anche la sua parte, per poi adagiarmi, più rilassato, sullo schienale della poltrona, indeciso se approfittare ancora dei dolci rimasti.

    Restammo in silenzio.

    Ancora una volta.

    Ero rimasto perplesso dalla prefazione dell'amico. Mi era parso strano che mi celasse qualcosa. Era avvenuto decine di volte che pretendesse il riserbo, da parte mia, chiedendomi di non pubblicare nulla di certi accadimenti delicati o scabrosi o secretati nei quali ci eravamo imbattuti. Il compito di biografo, che mi ero attribuito tanti anni addietro, imponendomi di tramandare ai posteri le imprese del più grande investigatore di tutti i tempi, mi aveva portato, ben presto, a possedere una considerevole mole di materiale del quale, l'edito, era ben poca cosa. Il resto era riposto al sicuro, in una vecchia cassaforte nel solaio di casa. Sapevo altrettanto bene che, tra quel materiale mai reso di dominio pubblico, giacevano forse i momenti di maggior splendore nelle indagini dell'amico. Casi talmente complessi ed oscuri che parevano destinati a restare insoluti per sempre se non fosse intervenuto l'acume di Holmes che, affrontandoli con la sua logica ed il suo approccio scientifico, era riuscito a portarli alla luce. Solo che, nel farlo, aveva talvolta scoperto realtà scomode, che interessavano personaggi insospettabili e che, lui, con la radicata signorilità che lo distingueva, aveva preteso di proteggere, rinunciando alla gloria che ne avrebbe ricevuto, e optando per l'oblio. Altre volte, più di rado comunque, era stato suo fratello Mycroft a pretendere il nostro aiuto per segretissimi quanto inesplicabili problemi di stato. Richiedeva entrambi ma io so essere obiettivo, conosco le mie peculiarità ma anche i miei limiti. Sono un medico coscienzioso e oramai d’esperienza, ma l’investigatore è Sherlock Holmes. Io sono solo un supporto, uno stimolo a farlo ragionare, una spalla sulla quale fondare il suo pensiero. Posso obiettare, talvolta suggerire, ma non mi si addice il ruolo di detective. Amo molto di più viverle, quelle avventure, che divenirne il regista. Era stupefacente vedere Mycroft e Sherlock insieme: l’intesa immediata, la loro ridotta comunicazione verbale e la comune intelligenza che li supportava, permettendo loro di relazionarsi con la complice affinità frutto di anni d’esperienza. Ma, per contro, quando entrava in gioco Mycroft, le storie andavano quasi sempre a finire nella mia cassaforte ad ammuffire.

    Verrà il giorno che ti consentirò di pubblicarle, era solito rincuorarmi Holmes, magari quando cadrà in prescrizione il segreto di Stato, aggiungeva.

    Questa volta, però, quello che iniziavo a percepire dall’atteggiamento del mio amico, era una sorta di sottile imbarazzo, di reticenza, e non ricordavo di avere mai scorto questi stati d’animo in lui, specialmente nei miei confronti. Pensai, senza riuscire a nascondere un certa delusione, che il tempo avesse inaridito la nostra confidenza, l’intesa che c’era sempre stata. Cercai, allora, di utilizzare gli insegnamenti che avevo ricevuto in anni di frequentazione. Mi applicai a leggere gli indizi che potevo trovare nella stanza e dalle poche parole pronunciate dalla sua bocca. Due giorni fa probabilmente, leggendo qualche notizia da un giornale (avevo notato le date di quelli presenti sul tavolo), il suo fiuto doveva essere stato solleticato. Non doveva essere una notizia molto palese, altrimenti l'avrebbe lasciata a Scotland Yard. Ma ne era stato incuriosito al punto da farsi recapitare anche tutti gli altri quotidiani di quel giorno e del giorno seguente, per approfondire l’informazione e trarne il maggior numero di ragguagli possibili. Evidentemente, però, c'era qualche particolare che non riusciva a quadrare e che lo stava ancora inquietando.

    - Qualsiasi idiota può superare una crisi; è la vita quotidiana che ti logora - sussurrai tra me² sperando, però, che Holmes mi sentisse.

    - Caro amico, che idea si è fatto del mio silenzio? - Disse, infatti, Sherlock Holmes, derogando dal suo ostinato mutismo e capitolando di fronte al mio evidente disappunto.

    Volli prendermi ancora qualche attimo per riflettere. Così estrassi dalla tasca interna della giacca la mia fedele pipa del giovedì, in radica con la fiamma irrimediabilmente rigata dalle cadute, e la caricai con calma. L'aroma del tabacco dolce e leggero, si sommava a quello esotico dell'ananas col quale era aromatizzato. Un vezzo che avevo ereditato dalla prolungata permanenza in India. Holmes scosse la testa con disapprovazione annusando l'aria dopo le mie prime boccate. Ma non disse nulla. In fatto di tabacco e di donne raramente s’intrometteva nelle mie scelte.

    - Ritengo che debba smettere con le congetture e rivolgersi direttamente alla fonte. Direi che fare due passi sino a Scotland Yard, in questo caso, rappresenti l’alternativa migliore. Dopo gli ultimi due giorni ho il sospetto che possa aver teorizzato su ogni eventualità offerta dalle informazioni dedotte dai giornali. E' tempo di verificarle e suffragarle - suggerii col tono che si assume in una conversazione appena interrotta.

    Holmes di concesse un sorriso prolungato. Estrasse la pipa dai denti, si alzò di scatto dalla vecchia poltrona e, parandosi davanti a me, mi afferrò una mano e, scuotendola vigorosamente, finalmente mi concesse il suo saluto - bentornato, caro amico. Avevo scordato quanto poteva essere stimolante, per me, la sua presenza! -Poi tornò a sedersi rivolgendomi, però, la sua totale attenzione.

    - In questi anni, ho voluto disintossicarmi tanto dalla mia dipendenza dal pensiero deduttivo, quanto da altre dipendenze meno nobili - iniziò a dire, dandomi la sensazione di assistere ad una sorta di necessaria confessione.

    - Solo che il desiderio è rimasto latente, di uno e delle altre,sino ad alcuni giorni fa, quando lessi una notizia su un quotidiano che riaccese, tutta d’un colpo, la mia vibrante necessità di entrare in azione. Ed eccomi qui. Con lei al mio fianco e con la signora Hudson che mi ripropone, inaspettatamente, un appartamento come l'avevo lasciato, solo molto più in ordine -

    Poi ammiccando aggiunse - ha notato le tende, vero? – A un mio cenno di complice biasimo riprese - ed io non vorrei interrompere quest'incanto senza tempo. Avevo persino timore di scorgere in lei dei segnali di cambiamento, ma sbagliavo, è sempre il mio buon Watson di sempre. Capace del broncio perché non gli getto le braccia al collo appena lo rivedo, ma anche così forte da passarci sopra e adeguarsi al mio, di tempo, che talvolta scorre asincrono al presente - e approfittò di una pausa per sbocconcellare un paio di biscotti.

    In quel momento scoprii perché mi fosse così facile volere bene a quell’amico. Nell’accorgermi come gli anni d’assenza non avessero intaccato la nostra intesa ed anzi, in beffa proprio agli anni, tutto ci apparisse, di già, come prima. Era come se solo ieri fossi uscito da quella porta per fare ritorno a casa ed oggi fossi ritornato a conversare con l’unico uomo capace di meravigliarmi.

    Scelsi quel momento per renderlo partecipe delle ipotesi che avevo elaborato durante il suo prolungato silenzio.

    - Complimenti caro amico! Non che dubitassi delle sue qualità, ma troppo spesso è stato reticente ad utilizzare il metodo deduttivo - era già diretto verso la sua camera da letto quando continuò - ha ragione quando suggerisce di cambiare ritmo. Ma avevo aspettato, assaporando nuovamente il piacere dell’analisi, della ricerca, del sospetto e della congettura, da tanti anni represso. Attendevo lei, di averla nuovamente al mio fianco, per passare alla verifica, all’azione! - Volle spiegarmi allontanandosi.

    Non nego di aver provato un motto d'orgoglio alle parole lusinghiere dell'amico. Non era frequente che intercedesse nei miei confronti con quell’enfasi, sottolineando l’importanza che riservava al mio ruolo nelle sue indagini. Per ingannare l'attesa, afferrai un giornale ripiegato malamente, gettato sul tappeto. Lo sfogliai ma, non sapendo che cosa cercare, mi pareva ardua l'impresa di ricavarne tracce di una qualche utilità. Pensai allora che, probabilmente, essendo aperto sulla terza pagina, la notizia doveva essere proprio al suo interno.

    Nessun titolo, però, m’incuriosì particolarmente. Fatti di cronaca londinese, simili a quelli visti tante altre volte. Furti, scippi, rapine, un omicidio a discapito di una vecchia signora, i vincitori di una gara podistica e poco d'altro. Lessi allora, più attentamente, i dettagli riportati sull'omicidio della donna. L'avevano spinta contro una carrozza per rubarle la borsa ed era morta sul colpo per un infarto fulminante dovuto, aggiunsi io, al grande spavento. Non poteva essere questa la notizia di rilievo, pensai. Risalii così la pagina e lessi il solo articolo di un certo interesse: era stata compiuta una rapina all’interno dal cavò della banca d'Inghilterra. Leggendo meglio, scoprii che, con precisione, non si chiariva mai che cosa fosse stato trafugato; inoltre, la polizia aveva ammesso che, ad oggi, era ancora sconosciuto il modus operandi dei criminali. Questo particolare m’incuriosì un poco. Cercai un altro quotidiano per vedere se riportava la stessa notizia. E ne ebbi la conferma. Qui c'era qualche dato in più. Il giornalista spiegava che, intervistando una guardia della banca, quest’ultima si era lasciata sfuggire che, quando era avvenuto il furto, la cassaforte era chiusa e non erano stati riscontrati segni di effrazione.

    Capitolo due

    - Svelto Watson, contavo di trovarla già intabarrato e pronto per uscire! - Fu un Holmes differente quello che spalancò la porta della sua camera col cappello in mano e che, senza curarsi della mia premura di stargli alle calcagna, aveva già aperto la porta di casa oltrepassandola ad ampie falcate.

    Una nebbia incerta, che pareva indecisa se svilupparsi o indietreggiare, diffondeva un sole pallido, schiarendo le ombre. Holmes fece cenno a una carrozza, ordinando al vetturino di condurci a Parkinson Street.

    - Parkinson Street? - Chiesi sorpreso.

    - La sua idea era più che valida nei presupposti, vecchio mio! - Mi confortò. - Ma perché limitarci alle notizie di seconda mano, filtrate dalle menti frettolose della polizia, quando abbiamo la possibilità di investigare in prima persona? - Mi spiegò in tono allegro.

    - Alla banca d’Inghilterra, allora! - Esclamai a mia volta, suggestionato dal suo entusiasmo.

    In vettura il mio amico si mise a osservare distrattamente fuori dal finestrino. Aveva assunto un’espressione serena e rilassata. Avrei detto guardasse il mondo che gli scorreva lentamente intorno, con l’ottimismo dettato da un equilibrio interiore che, mi augurai allora, avesse in parte ritrovato durante gli anni di bucolica alienazione. Non credo che, in quei momenti, stesse pensando al caso che stavamo iniziando ad affrontare. Piuttosto che rinverdisse i ricordi londinesi e li trovasse, seppure immutati, maggiormente comprensibili di prima. Volli sperare che, persino in quel grigiore, riuscisse nuovamente a scorgere il sorriso di qualche bambino, lo sguardo rassicurante di una madre, la determinazione sul volto di tanta gente onesta. E non solo il rovescio della medaglia. Che non fosse capace solamente di rilevare il mentecatto, il malvivente, il lato corrotto di una società che si era votato ad arginare.

    Fui io, comunque, a interrompere quel nostro silenzio. - E' per via di quello strano furto avvenuto alla banca centrale, vero? - Chiesi incerto.

    - Proprio quello, mio caro amico - un impercettibile sorriso gli incurvò le labbra, non era di superiorità o scherno, piuttosto di complicità tra i due ruoli che ci piaceva interpretare. Intanto aveva continuato a parlare, - di per se potrebbe apparire come una banalità. Un ennesimo caso di furto, seppure avvenuto in un edificio così importante. Eppure, secondo il mio giudizio, questa sottrazione potrebbe nascondere più cose di quelle esplicitate da quegli scarni articoli. Non sono avvezzo a lanciarmi in congetture non supportate dai fatti e, neppure questa volta mi smentirò in tal senso, ma ritengo che la nostra presenza a supporto delle indagini ufficiali, possa essere molto utile a New Scotland Yard -

    Poi si richiuse nel suo silenzio assorto.

    Trascorsero i minuti e poi riprese, come se non avesse mai interrotto il discorso - d'altro canto, non mi scandalizzerei se, venendo a conoscenza di maggiori particolari in merito, tutto il mistero si dissolvesse come una bolla di sapone. Anzi, lo ritengo ancora un evento assai probabile - e lo disse sollevando le sopracciglia, come se si rimettesse al fato. Senza apprensione o disappunto.

    Era come se fosse attratto da una sua idea, da una supposizione che pareva eccitarlo. D’altro canto, mi pareva disposto ad accantonare sul nascere quella ricerca, semmai i presupposti non avessero coinciso con le sue supposizioni. Stava giocando. Ecco, in quei momenti mi parve proprio che Holmes stesse affrontando quelle indagini col solo scopo di soddisfare un vezzo intellettuale, senza accanimento o altre pressioni. Una sorta di partita a scacchi che avrebbe deciso di giocare solo dopo aver visto le prime mosse dell’avversario.

    Era tornato a voltarsi verso il finestrino. Il quartiere di Mayfair che veniva proiettato sui vetri della carrozza, sembrava capace di affascinarlo. Nuovamente. Scorgendolo di profilo, il suo sguardo era acuto e penetrante; il naso sottile e aquilino, conferiva alla sua espressione un'aria vigile e decisa. Ancora una volta, provai un moto di stizza ricordandolo solo poche ore prima abbandonato passivamente sulla sua poltrona di casa. E scacciai dalla mente altre immagini, ben più penose, di anni addietro. Dove un ago nel suo braccio sembrava essere l’unico rimedio per consentirgli di sopportare quella vita quotidiana dalla quale non era più capace di ricavare alcun conforto, nemmeno la forza di vivere. Adesso è un altro uomo, pensai. E cercai nella sua espressione distesa una conferma.

    Nettai diligentemente il bocchino della mia vecchia pipa, pregustando l'attimo prossimo in cui l'avrei accesa. E mantenni il silenzio, nonostante avessi voluto chiedere al mio amico dove fosse, e dove sperava lo conducesse, non la carrozza ma l'enigma che stavamo per affrontare. In compenso, la nebbia mattutina aveva deciso di risolversi in una leggera pioggia sottile così, quando la carrozza terminò i suoi sussulti, mi calai maggiormente il cappello in testa ed alzai il bavero del cappotto, precedendo Holmes, verso l'ingresso della banca.

    Ai lati del portone, avevano trovato rifugio dalla pioggia due mendicanti. Grigi, nei loro abiti logori, parevano un'estensione delle cariatidi che li sormontavano. Il mio amico gli porse, distrattamente, qualche spicciolo. Io lo imitai, così da permettere loro di trovare un poco di ristoro in qualche taverna di quart'ordine, scaldandosi con dell'alcool probabilmente altrettanto scadente. E lo feci cercando di soffocare quella parte di medico che era in me e che mi suggeriva i nefasti effetti collaterali che avrebbe potuto avere sul loro fisico debilitato.

    Una volta all'interno dell'edificio fu come aver varcato la soglia del paradiso dopo essere transitati tra le nefandezze del purgatorio. Marmi bianchi rivestivano ogni cosa e soffitti talmente alti da mettermi in soggezione si ergevano in dolci volte. Holmes non parve farci caso, si diresse, invece, con fare deciso, verso un custode chiedendo di parlare col responsabile. L'uomo, abituato ad avere a che fare col pubblico più disparato, tentennò, osservando il mio amico come se pretendesse di valutare il suo stato sociale dall'abbigliamento e decidere se era il caso di accontentarlo o meno.

    - Gli dica che Sherlock Holmes ed il dottor Watson, desiderano parlare con lui - aggiunse con tono annoiato e con la noncuranza di chi non ha bisogno di sprecare tante parole per ottenere ciò che vuole da un subalterno.

    Holmes era un maestro nei travestimenti, ma anche senza il trucco, sapeva interpretare bene qualsiasi ruolo utile ai suoi scopi.

    Non compresi se furono i nostri nomi, uniti alla ormai diffusa notorietà che si portavano dietro, oppure il tono di noncurante sufficienza, proprio di chi è abituato a farsi obbedire e a non perdere tempo, ma il brav'uomo si affrettò ad eseguire la richiesta.

    Ritornò poco dopo, preceduto da un uomo minuto, con l'espressione da furetto che mi diede immediatamente fastidio, ancora prima che avessi la possibilità di conoscerlo. Attirarono la mia attenzione gli occhi piccoli e ravvicinati che si agitavano in continuazione, senza mai soffermarsi su nulla e pareva guardassero ogni cosa contemporaneamente senza fissarla mai apertamente. Stese la mano che era ancora distante. Il suo sguardo scivolò su di me e sul mio illustre amico solo per pochi attimi, poi si posò su ogni particolare del nostro abbigliamento, scarpe bagnate comprese.

    - Signor Holmes, quale onore! - Gridò, più che parlare. Poi rivolto a me - e lei deve essere l'illustre dottor Watson. Devo proprio ringraziarla. E' per merito suo e delle sue ricercate trascrizioni se riesco a trascorrere delle ore indimenticabili avvinto dalla lettura –Esclamò, ormai prossimo a noi.

    La sua mano mi sorprese. La stretta, che mi aspettavo sfuggente come lo sguardo, si dimostrò decisa e forte. Sherlock Holmes, al mio fianco, stava già mostrando segni d‘inquietudine per l'eccessiva esuberanza del nostro nuovo conoscente. D'altro canto, era proprio grazie alla notorietà se, adesso, potevamo pretendere di parlare con personalità come il direttore che, altrimenti, avrebbero richiesto ben altra trafila. - Helmet Dixon, - si ricordò di presentarsi, poi senza smettere di sorridere si affrettò ad aggiungere, - a che cosa debbo questo onore? -

    - Signor Dixon, abbiamo ritenuto di doverla disturbare a causa dell'increscioso furto subito dalla vostra banca tre giorni fa - andò subito al punto Holmes.

    - Oh, ha saputo… Un fatto veramente sgradevole - e, sembrò appassire tutto d’un tratto. Il sorriso era scomparso e lo sguardo si era rifugiato a fissare le scarpe, d’altro canto lucidissime. Poi parve riaversi.

    - Un evento che reca discredito alla banca e alla sua reputazione di possedere una sicurezza inespugnabile, attestata da anni di inviolabilità alle rapine! Quel che è più assurdo, è che è stata

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