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A tre passi dal sicomoro
A tre passi dal sicomoro
A tre passi dal sicomoro
E-book202 pagine2 ore

A tre passi dal sicomoro

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Info su questo ebook

Un urlo, una mano nel vuoto, un corpo che cade e che diventa sempre più piccolo. Giovanni è solo un bambino quando si trova ad assistere impotente al suicidio della propria maestra durante una gita scolastica. Quindici anni dopo Giovanni è diventato un uomo affascinante e solitario che ha deciso di occuparsi di omicidi per mestiere, è un agente di polizia specializzato in criminologia. Ma il fantasma di quel passato ritorna all'improvviso nella vita di Giovanni quando si trova a collaborare al caso di un serial killer che uccide maestre. Inizia così a giocare una difficile partita con con le sue paure, in un’incalzante sfida con la morte in cui l'assassino sembra avere sempre l'ultima parola. Un romanzo che lascia con il fiato sospeso fino all'ultima pagina.

L'autore, Andrea Ricci, è un giovane scrittore esordiente. "Le storie" dice "sono intorno a noi, aspettano solo qualcuno che le faccia vivere milioni e milioni di volte tra le pagine di un libro”. Con Librosì ha pubblicato anche @A Social Network.
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2014
ISBN9788898190324
A tre passi dal sicomoro

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    Anteprima del libro

    A tre passi dal sicomoro - Andrea Ricci

    Andrea Ricci

    A tre passi dal sicomoro

    Copyright

    Titolo: A tre passi dal sicomoro

    Autore: Andrea Ricci

    Disegno della copertina: Andrea Ricci

    Copyright © 2014 LibroSì EDIZIONI

    ISBN versione ebook: 978-88-98190-32-4

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

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    Sommario

    Frontespizio

    Copyright

    Sommario

    Prologo

    15 ANNI DOPO

    L'Autore

    Sinossi

    Prologo

    "Il sole è la più bella delle stelle,

    splende nel cielo tra le nuvole belle,

    fa nascere radici, piante e fiori

    il mondo è pieno di colori.

    nel prato non serve la televisione

    i bambini prendono a calci un pallone"

    Non sufficiente.

    Non dovrebbe concludersi così una gita per un bambino di 9 anni: solo, mentre aspetta i genitori, con negli occhi l’immagine di un corpo che diventa sempre più piccolo, man mano che cade giù.Un unico ricordo: un precipizio, troppo grande e troppo crudele, la mano stretta in quella di una giovane amica e la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima.Una gita, una semplice passeggiata tra le scogliere tra Cirella e Diamante, si era trasformata in tragedia.

    Quell’incantevole panorama fu l’ultimo che vide Antonella Moresi, per tutti la maestra Antonella: le correnti che portano al largo rubarono il suo corpo, come ultima beffa di una vita sospesa.

    15 ANNI DOPO

    Marco saltò giù dal letto, come ogni mattina, alle sette in punto dopo aver fatto l’amore con la sua ragazza; si chiuse nella doccia per cinque minuti, per poi vestirsi con gli abiti scelti la sera prima e, dopo un’abbondante colazione, si sentì pronto per andare in ufficio.

    Era così che al commissario Relli piaceva iniziare le sue giornate: pulito, con le palle vuote e la pancia piena.

    Non amava il suo lavoro Marco, ma cercava di farlo al meglio.

    Figlio d’arte, suo padre era stato il questore Aurelio Relli, la carriera in polizia sembrava l’unica strada percorribile, almeno così la pensava suo padre.

    Alla fine si era adagiato su quella poltrona, su quella vita, fino a diventare commissario.

    Quella mattina il commissariato era in subbuglio, i telefoni squillavano all’impazzata, i giornalisti fremevano fuori dai cancelli. Teresa Battisti, maestra delle elementari, era stata trovata morta in casa sua, adagiata in una posizione tanto inquietante quanto perfetta: nuda, sdraiata in terra, con le braccia lungo il corpo, coricata su un foglio di carta con delle stelle, abbastanza grande da comprenderla tutta. Un sole le era stato disegnato sulla pancia ed in mano aveva una lettera.

    «Certo che ce n’è in giro di gente malata. Quelli della scientifica dicono che sia opera di un artista del crimine, ma io credo che chiunque sia stato sia un pazzo schifoso e gli auguro di morire». Carlo Massi, vice commissario, accolse così l’arrivo sulla scena del su capo.

    «Cazzo!».

    Solo questo riuscì a dire il commissario, guardandosi attorno. «Cos’è quel foglio che ha in mano?».

    «Dobbiamo aspettare che la scientifica finisca di fare le foto per poterlo estrarre e fare gli esami di routine».

    «Sarà una cosa lunga?».

    «No, commissario».

    «Chiamami appena avrete finito, vado al bar a prendermi un caffè».

    A Marco non andava quel caffè, ma meno ancora di restare lì.

    "Si spengono il sole e le stelle,

    mai piu’ segni sulla loro pelle

    vestita di nulla soltanto,

    come la sua anima di fronte al pianto ".

    «Una rima del cazzo? Mi state prendendo per il culo?».

    «No commissario, questo è quello che abbiamo trovato sul foglio».

    Una calligrafia incerta, scritta a mano, quattro rime forse messe a caso, o forse no.

    «Voglio un rapporto su questa donna per oggi pomeriggio, dove insegnava, amici, nemici e tutto ciò che troverete».

    Potrebbe essere opera di un professionista che lascia biglietti e non lascia tracce di sé, come nei film. Roba forte, roba seria: se solo papà fosse ancora vivo sarebbe eccitato quanto me per questo caso.

    Con questi pensieri in testa Relli sfrecciava con la macchina verso il commissariato, fregandosene dei limiti di velocità.

    Il suo cellulare personale stava squillando: erano in pochi ad avere quel numero, quindi immaginò subito chi potesse essere.

    ***

    Nella sua stanza Margherita si stava preparando, era in ritardo di almeno mezz’ora. Ma lei se lo poteva permettere, aveva delle ottime fonti.

    Per Margherita Relli, sorella di Marco, la cronaca era semplice da gestire: le bastava comporre un numero per avere notizie fresche e dettagliate sui fatti che doveva scrivere.

    Era molto diversa da Marco: aveva fatto sempre di testa sua, non aveva una relazione fissa dall’età di quattordici anni. Amava tutto quello che faceva; lavoro, lettura, le uscite con le amiche, la sua piccola ed accogliente casa ed era sempre a suo agio in qualsiasi situazione.

    Aveva scelto di fare la giornalista per andare contro ai suoi che volevano facesse il medico, ma, con il tempo, si era accorta che scrivere era l’unico vero lavoro che avrebbe potuto fare. C’era anche chi le aveva consigliato di tentare la carriera di modella, bella com’era, ma lei rideva ogni volta che glielo dicevano.

    Era il suo ultimo mese di cronaca, poi sarebbe passata allo spettacolo.

    In quel momento pensò che un omicidio era il modo migliore per concludere la sua permanenza in nera.

    «Fratellino buongiorno!».

    «Non c’è bisogno che fai la carina, so già cosa vuoi».

    «Che ne sai perché ti ho chiamato? Potrei aver bisogno di soldi, o potrei chiederti di portarmi a cena, visto che cucini da schifo».

    «Sia chiaro, non ti do un soldo e tanto meno ti offro la cena. Tu dovresti offrirla a me, con tutti i favori che ti faccio. E ora lasciami lavorare altrimenti dico a mamma che ti vuoi sposare e non le hai detto nulla».

    «Stamattina sei in vena di colpi bassi, è?».

    Entrambi scoppiarono a ridere, dimenticando, per un momento, il vero motivo di quella telefonata.

    Adoravano queste scaramucce: si amavano e si sarebbero buttati nel fuoco l’uno per l’altro, ma non lo avrebbero mai ammesso.

    «Ok ti lascio lavorare, ma prima dammi qualche notizia sull'omicidio».

    «So ancora veramente poco: posso dirti non è il solito delitto».

    «Cioè?».

    «Abbiamo trovato un foglio con una breve filastrocca, nella mano destra della vittima. La donna, perché di una donna si tratta, era nuda e le avevano disegnato un piccolo sole sulla pancia. Inoltre era stata poggiata su una carta stellata, tipo quella dei presepi».

    «Accidenti, questo sì che vale la prima pagina!».

    «Giornalisti, tutti avvoltoi. Per la tua gioia ti dico che sicuramente uscirà fuori altro, visto che la scientifica sta ancora lavorando. A quanto pare non ha lasciato tracce. Secondo me è qualcuno che agisce con lucidità, che non affida niente al caso».

    «Grazie fratellino, per il momento mi farò bastare questo, ma mi raccomando, appena sai qualcosa chiamami. Ciao!». Margherita agganciò il telefono e si scoprì preoccupata: era la prima volta che si trovava di fronte ad un caso simile ed era sempre più convinta che poteva essere la sua chiusura con il botto. Non restava che andare in ufficio, anche perché il ritardo si stava facendo consistente.

    Le informazioni che Marco le aveva dato erano sufficienti per calmare l’arrabbiatura del caporedattore per il ritardo.

    «Scusa l’orario capo, ma ero in cerca di informazioni sull’omicidio: sono sicura che appena saprai tutto quello che sono riuscita a scoprire ti dimenticherai del resto».

    Margherita aveva sempre la scusa pronta e al caporedattore faceva comodo far finta di crederle: in fondo riusciva ad avere, sempre, le informazioni migliori.

    «Se non fossi così brava ti avrei già licenziata. Mettiti subito al lavoro e stupiscimi».

    Con un gran sorriso, tanto finto quanto largo, la giornalista uscì dalla stanza del capo, diretta alla sua scrivania, certa che quello sarebbe stato il suo addio alla cronaca, un addio con i fiocchi.

    Marco era in ufficio e rifletteva sul caso: lo sguardo fisso nel vuoto, mentre dal lettore CD le note dei Clash facevano da sottofondo.

    Nessuno capiva come riuscisse a concentrarsi con la musica così alta, ma per lui funzionava.

    La musica lo faceva tornare indietro a quand’era ancora un adolescente e passava buona parte delle sue giornate con gli amici a suonare, sperando di diventare una rockstar: un sogno ovviamente, niente di più, perché la sua vita era già stata programmata ed il programma non includeva il rock.

    Pensava e ripensava a quel foglietto: che significava la filastrocca? A chi era rivolta? Perché non uccidere la donna e basta, senza fare tutto quel teatrino?

    «Speriamo che il grafologo a cui è stato consegnato il biglietto riesca a dirci qualcosa sulla personalità di questo individuo», pensò Marco.

    Non credeva nella correlazione tra scrittura e mente, però si era reso conto che spesso quel tipo di analisi era stata determinante nella risoluzione dei casi.

    Il loro grafologo, poi, era uno dei migliori, nonostante la giovane età.

    Il telefono interno squillò e riportò Marco con i piedi per terra.

    «Sì?».

    «Signore abbiamo un problema con il grafologo».

    «Che significa? Che tipo di problema?».

    «Ecco, non so se ha avuto modo di leggere la sua scheda, comunque Massi ha detto che prima ne voleva parlare con lei».

    «Non capisco, comunque lo faccia venire nel mio ufficio subito, non abbiamo tempo da perdere».

    Abbassò il volume della radio, curioso di sapere quale fosse il presunto problema.

    «Ancora con quella musica?», scherzò Massi.

    «Sai che mi fa bene, mi concentro meglio, poi che ne vuoi capire di musica tu che ti sei fatto una cultura con i talent della TV?».

    Scoppiarono entrambi a ridere, tornando subito seri, vista la gravità della situazione.

    «Quale sarebbe questo problema?».

    «Il nostro grafologo, Giovanni Artoni, circa quindici anni fa venne coinvolto in una brutta storia. Una maestra delle elementari gli si suicidò davanti, lui a quel tempo aveva nove anni. Non so se può essere una buona idea affidargli il caso, tuttavia è l’unico grafologo che abbiamo in squadra e sa il fatto suo. È giovane, ma ha già un bel curriculum».

    «Cazzo, non sapevo di questa vicenda. Dici che potrebbe avere problemi a portare avanti le indagini?».

    «Questo non lo so, è una supposizione, non vorrei mettere il ragazzo di fronte a qualcosa che potrebbe destabilizzarlo, lo dico per lui e per le indagini».

    «In effetti è una situazione delicata, però come hai detto abbiamo solo lui. Proviamo ad affidargli comunque il lavoro, vediamo come reagisce».

    «Come crede capo! Ora vado ho delle questioni da sbrigare, intanto mando a chiamare Artoni».

    «Ottimo, a dopo allora e vediamo di prendere questo figlio di puttana».

    «Un bambino di nove anni che vede morire la sua insegnante, non è un buon modo iniziare la vita», pensò il commissario, sperando che l’agente fosse riuscito, col tempo, a dimenticare e che ora questa storia non lo facesse ripiombare in quel terribile passato.

    ***

    Era metà mattina e Giovanni aveva da poco preso servizio e, come tutti i suoi colleghi, apprese la notizia di quello strano omicidio. Non era stato facile per lui dover convivere con quanto gli era accaduto: era un ragazzo sensibile e piuttosto timido, aveva la passione per le poesie, scriveva e leggeva ogni notte, ma nessuno lo sapeva. Era solitario, pur avendo un sacco d’amici. Cercava di nascondere il più possibile quel suo lato. Riusciva a farsi voler bene da tutti, ma nessuno lo conosceva veramente, lui non lo voleva.

    Non aveva mai sopportato di essere considerato il povero bambino che aveva assistito all’omicidio della sua maestra, era snervante. Si era rifugiato nell’esercito, appena diplomato, per fuggire da Cosenza e da se stesso. Era un’ottima mente e, nel

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