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Un sogno da favola
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E-book378 pagine4 ore

Un sogno da favola

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Info su questo ebook

Dall'autrice del bestseller Un giorno da favola

Carlotta Russo è un giudice del tribunale di Genova, e odia gli uomini, ma ha deciso di prendere in mano la sua vita e fare il grande passo: si sposa. Già, Carlotta ha deciso di convolare a nozze con se stessa e per l’occasione ha organizzato una cerimonia elegante e sfarzosa. La notizia coglie di sorpresa gli amici che, però, non le negano il loro aiuto. Tra questi si fa avanti Luca Tommasini, un modello molto affermato, con il quale Carlotta non ha un rapporto idilliaco, perché pensa che sia un buono a nulla, capace solo di mostrarsi nudo nelle riviste più famose. La vicinanza però farà sbocciare una forte attrazione tra i due e il destino ci metterà del suo stravolgendo la vita di Carlotta con un arrivo inaspettato che le ammorbidirà il cuore e le permetterà di capire che oltre la bellezza fisica Luca sa essere un grande uomo...
Fabiola D'Amico
è cresciuta ad Aspra, in provincia di Palermo, e vive a Bagheria. Il lavoro occupa gran parte del suo tempo ma appena può s’immerge nella lettura o nella scrittura. Con la Newton Compton ha pubblicato Un giorno da favola, Un matrimonio da favola, Amore per tre, Io lo chiamo amore e Scommettiamo che è amore?
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2018
ISBN9788822724427
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    Anteprima del libro

    Un sogno da favola - Fabiola D'Amico

    Capitolo 1

    «Non servono cose straordinarie all’amore.

    Servono cose piccole, servono cose semplici.

    Quelle di cui nemmeno ti accorgi, ma che riempiono i tuoi giorni

    della rassicurante certezza che non sei solo, mai».

    Angela Contini, Tutte le stelle del cielo

    Carlotta Russo rivolse un cenno di saluto alla guardia di turno all’ingresso del tribunale, senza neanche vedere chi fosse. Era stanca, affamata e nervosa. Quel giorno, un giorno di ordinaria follia giuridica, non era successo nulla di eclatante, ma tra quelle mura tutto era snervante. Tutte le ovvie ragioni che l’avevano portata a scegliere quella professione si scontravano quotidianamente con un sistema nefasto e farraginoso. Chi glielo aveva fatto fare?

    La tua voglia di importi in un ambito prettamente maschile?, le disse una vocina nella sua testa. Maledetto orgoglio. Sempre cattivo consigliere.

    Si diresse con passo sicuro al bar dietro l’angolo. Di tornare in una casa vuota non ne aveva proprio voglia. In quelle giornate grigie, ogni lato positivo dell’essere single andava a farsi benedire. La solitudine a volte era molto soffocante.

    «Salve giudice, il solito?», domandò il barista non appena lei entrò. Rispose con un altro cenno della testa. Di parole ne aveva sprecate fin troppe quel giorno.

    Notò con disappunto che il suo tavolo preferito era già occupato. Il gestore del locale si avvicinò premuroso. «Sono spiacente, oggi c’è un nuovo aiutante e non conosce le abitudini dei clienti. Le faccio provare un tavolo diverso. Con una vista ancora più bella».

    Vista? Quale vista? Sceglieva sempre il solito tavolo perché era il più nascosto. Non le interessava la vista, non le interessava la gente, non voleva avere contatti con nessuno.

    «Come no!».

    Trovava insopportabili le persone che pretendevano di giudicarla senza neppure conoscerla. Si sedette davanti all’entrata del bar, promettendosi di non mettere più piede in quel locale. Esagerata? Forse. Presuntuosa e arrogante? Sicuramente, ma non pretendeva di piacere a nessuno, quindi agiva come più le andava. Prese il cellulare e spulciò l’email. Anche se era uscita dall’ufficio, l’orario di lavoro era ben lungi dall’essere terminato.

    Tra riviste di aggiornamento e burocrazia infinita, trovò un’email del blog Seduzioni Regency. Fece un mezzo sorriso. Ci era andata giù pesante la sera prima, ma ogni singola parola era nata da un bisogno di esprimersi che ultimamente si faceva più impellente. Rifugiarsi dietro un nom de plume era balsamico per la sua coscienza. Il giudice che ogni giorno scriveva sentenze era al sicuro e poteva gridare ciò che il suo cuore sentiva senza sensi di colpa. Era stanca di essere ciò che gli altri si aspettavano da lei. Aveva investito molto sulla sua carriera, non era stato facile farsi strada in un ambiente lavorativo duro, ma sgomitare era una prerogativa della sua vita. Quando era nata, suo padre aveva pensato che avere una figlia femmina fosse una tragedia e, quando era nata sua sorella, si era sentito letteralmente un fallito. Per un colonnello dell’esercito italiano non avere un erede maschio era quasi disonorevole. Ma poi aveva pensato di approfittarne, trattando le due figlie come schiave. Troppo esagerato? Be’, se non si vivono certe esperienze è meglio non giudicare. Alberto Russo era un uomo all’antica, uno di quelli che pensavano che le donne nascessero per crescere, sposarsi e poi fare figli. Lei aveva disatteso tutte le sue aspettative. Si era impegnata negli studi non per fare bella figura, ma per intraprendere un lavoro di grande responsabilità e non aveva intenzione di mettere su famiglia. Quel che aveva scritto sull’articolo lo pensava seriamente. Solo una coppia su dieci era sinceramente innamorata. E lei lo sapeva bene. Cinismo? No, realismo. I suoi genitori non si amavano, lo sapeva, era evidente in ogni loro gesto, nei loro silenzi. Suo padre pensava solamente al poligono di tiro e a tiranneggiare moglie e figlie ora che non aveva più sottoposti. Sua madre era terrorizzata e faceva tutto ciò che lui le chiedeva senza protestare. Loro non erano il solo esempio in circolazione. Ovunque si girasse, c’erano coppie in crisi. Era un giudice divorzista. Ne sapeva qualcosa. E poi c’era la sua personale esperienza di vita. Ah, ma a quella non voleva pensare.

    Addentò la focaccia che aveva ordinato e masticò con troppa forza. Non intendeva finire tra le schiere di donne oppresse e tradite dai mariti.

    Quei cattivi pensieri non l’avrebbero portata da nessuna parte. O almeno in nessun luogo felice. Era stanca di essere la donna irritabile e scontrosa che ormai tutti conoscevano. Sembrava davvero una vecchia zitella acida e scorbutica. Cavolo, neanche i libri d’amore riuscivano a stemperare il lato pungente del suo carattere. Somigliava ogni giorno di più a suo padre. E lei non sopportava suo padre. Avrebbe fatto di tutto per non essere come lui. Persino leggere romanzi sdolcinati. Fino a un certo punto. Aveva iniziato a leggere romance per sfida, sollecitata da quella romanticona di Francesca Gallizzo, psicoterapeuta di coppia e lettrice compulsiva di libri rosa, nonché fondatrice, insieme alla sua migliore amica Maria, del blog letterario Seduzioni Regency, la quale invece di consigliarle romanzetti rosa pieni di stupide romanticherie, che lei avrebbe trovato odiosi, le aveva messo in mano un libro di Anna Premoli, conosciuta e apprezzata per la sua verve ironica che l’aveva subito conquistata. E da allora si era data alla lettura di un genere che aveva sempre disprezzato, condannandolo per le sue forme semplici e alla portata di tutti. Be’, non aveva mai detto di essere infallibile, troppe volte la vita le aveva presentato il conto dei suoi errori di valutazione. E non erano poche le situazioni in cui si era messa nei guai. Se da giovane, però, aveva snobbato ogni errore, negli ultimi tempi ogni passo falso le sembrava un macigno. Aveva trentacinque anni e cominciava a sentirne il peso. Non era amareggiata dalla solitudine, quella di single era una condizione che le stava bene, tuttavia sentiva la mancanza di qualcosa. Erano mesi che quel senso di vuoto la torturava. Le amicizie non le mancavano, soprattutto ora che nella sua vita c’erano Francesca e Maria; quelle due riuscivano a coinvolgerla in situazioni che mai avrebbe immaginato.

    Sospirò. La verità è che le mancava un uomo. Non l’uomo, ma un qualunque uomo capace di farla sentire eccitata, viva. Aveva bisogno di sesso. La masturbazione e i vibratori le piacevano, ma un uomo era molto meglio. La sensazione di avere un corpo addosso al suo. L’odore del sesso. Il sudore dei corpi. I morsi. Il dolore misto a piacere.

    Da quando il suo amante era morto in un incidente automobilistico, aveva chiuso con le relazioni complicate. Il rapporto tra lei e Paolo era nato già malato ed era finito in modo tragico. Ma quella morte per lei era stata una liberazione poiché l’aveva sottratta al ruolo di sua sottomessa. In un certo senso, Paolo era dottor Jekyll e Mr.Hyde: affettuoso, presente e pieno d’attenzioni con sua moglie e i suoi figli, crudele e spregevole con lei, la sua amante, che aveva ricattato e trattato come il più scarso degli zerbini.

    Infastidita dalla piega che avevano preso i suoi pensieri, tornò a guardare il display del telefono. Aprì la cartella spam e vide un articolo di «Vanity Fair». Il titolo la incuriosì: Mi amo e mi sposo da solo.

    Cominciò a leggere. Parola dopo parola, le sembrò di leggere di se stessa e, alla fine dell’articolo, rimase immobile a pensare.

    E pensò tanto, fino a quando non prese la decisione più importante della sua vita.

    Senza chiedere il conto, lasciò degli spiccioli sul tavolo e andò via. Sulla strada verso il parcheggio, afferrò il telefono e chiamò Francesca, che oltre a esserle amica era anche la sua psicoterapeuta.

    Uno squillo, due squilli, tre squilli. Ma quanto ci metteva a rispondere? Sempre la solita.

    La linea cadde, dovette richiamarla. Cominciava a spazientirsi. Ma certe categorie professionali non dovrebbero essere reperibili ventiquattro ore al giorno?

    «Ciao, Carlotta!», le rispose la voce allegra di Francesca.

    Quanto la esasperava quella sua allegria. Poteva essere in gamba come psicoterapeuta ma come donna era un vero tormento. Sapeva quanto odiasse sentirsi chiamare con il suo nome di battesimo, eppure continuava a fare finta di nulla.

    «Perché ti è così difficile dire Russo

    «Hai un nome bellissimo e un cognome molto comune», rispose l’altra.

    «Carlotta va bene per una bambina, non per un giudice che deve tirare fuori le palle ogni giorno».

    «Difficile che ti siano spuntate, a meno che tu non ti sia trasformata in un uomo in una notte».

    Russo chiuse gli occhi cercando di non perdere la calma. «Non conosci i modi di dire?»

    «E tu quando capirai che per farsi valere non serve fingersi un uomo? Sei una donna, hai più armi a disposizione di qualunque essere di sesso maschile. Sfruttale, non nasconderti dietro un atteggiamento da super macho».

    Sempre la solita manfrina. Erano mesi che Francesca cercava di inculcarle che poteva farsi valere anche con indosso una gonna. A volte pensava di averlo capito, diceva davvero. Si era persino tagliata i suoi lunghi capelli che aveva sempre raccolto in un severo chignon e scelto un taglio sbarazzino e molto femminile. Peccato che se ne fosse pentita nell’istante stesso del suo rientro in tribunale. Le occhiate che le avevano rivolto colleghi e avvocati non le avrebbe mai dimenticate.

    «Non ti ho chiamato per un consulto. Dove sei?».

    Sentì chiaramente lo sbuffo di Francesca.

    «Aperitivo al Caffè degli Specchi. Con Christian e Luca».

    Che palle. Luca Tommasini era come il prezzemolo ultimamente. Stava ovunque. E per ovunque intendeva proprio ovunque. Era un modello e un attore, oltre che un bel pezzo di manzo, a detta delle ragazze su Facebook che lo osannavano da mattina a sera; inoltre, era il migliore amico di Christian, e abitava nell’appartamento di fronte al suo.

    Lo aveva conosciuto ai tempi della sua storia con Christian. Le era sembrato vanitoso e pieno di sé, due difetti che non sopportava, pertanto non aveva mai fatto nulla per mostrarsi amichevole. Vivevano due vite troppo diverse per essere amici. I loro rapporti erano peggiorati da quando il destino aveva voluto che comprassero casa nello stesso stabile. Amara coincidenza. Luca era un tipo nottambulo e spesso usava casa sua per feste molto chiassose che le impedivano il meritato riposo. E, dulcis in fundo, aveva un cane, uno di quei cosi minuscoli e apparentemente inoffensivi, che non appena la vedeva si trasformava in una belva feroce.

    «Non capisco perché continuiate a frequentare un tizio che è come la sterpaglia ai bordi delle strade».

    Nonostante l’irritazione, al suono della risata di Francesca abbozzò un sorriso. Carina la battuta.

    In sottofondo le arrivò la voce di Christian che chiedeva chi fosse. Francesca rispose.

    «C’è la possibilità che quando arriverò, lui sarà già andato via?»

    «Assolutamente no».

    Ti pareva!

    «La solita storia: mai una gioia. Cinque minuti e arrivo, devo parlarti».

    Anziché girare per piazza Piccapietra, dove teneva la macchina in un parcheggio custodito, si diresse con passo sicuro verso i carruggi. Dimenticando, almeno per il momento, l’antipatia verso il bel modello, ricominciò a pensare al suo magnifico piano. In fondo, Francesca aveva ragione. Siamo noi gli artefici della nostra felicità.

    Caffè degli specchi.

    Luca scarabocchiò la sua firma su un tovagliolo e poi sorrise per l’ennesimo selfie della giornata. Era uscito per un caffè con gli amici e come sempre si ritrovava attorniato da fan impazzite. Un tempo quelle attenzioni gli piacevano, ora le trovava invadenti. Lanciò un’occhiata al suo caffè freddo con panna. Un’altra foto e sarebbe diventato un cappuccino. I suoi amici, Chistian e Francesca, invece, stavano gradendo la pausa. Continuavano a bere i loro aperitivi nonostante il trambusto.

    Nel frattempo, approfittando di un suo attimo di distrazione, una ragazzina gli saltò al collo. E lo strattonò. «Non appena lo dirò alle mie amiche, moriranno d’invidia. Che figata. Non è che mi daresti anche un bacio in bocca?».

    Luca continuò a indossare la maschera di serenità che lo contraddistingueva e sorrise. Dentro, però era tutt’altro che lieto. E basta con lo stereotipo dello sciupafemmine. Non era un gigolò!

    «Quando cresci».

    La ragazza si sollevò in punta di piedi e gli sussurrò all’orecchio: «Sono brava a succhiarlo».

    La sua vita era piena di quelle situazioni imbarazzanti, e sinceramente ne era stanco. Si scostò e si allontanò senza neanche la forza di risponderle. La fan gli trotterellò al fianco. Luca lanciò uno sguardo al gestore del locale e quello capì. Due secondi dopo lo aveva liberato dalle attenzioni indesiderate, anche se non per sempre, purtroppo.

    Al Caffè degli Specchi non c’era un tavolo riparato, persino quello all’angolo era esposto allo sguardo di tutti. Gli specchi che circondavano l’ambiente raffinato e storico del locale impedivano a chiunque di nascondersi. Se non avesse conosciuto il proprietario, non lo avrebbe mai frequentato.

    «Non vedo l’ora di andarmene. A Manarola avrò la mia pace».

    «Fino a quando non si saprà che il modello più famoso d’Italia è in vacanza lì», disse Christian con il solito cinismo.

    «Potrei optare per la chirurgia plastica».

    «No, sarebbe un peccato! Prenditi una guardia del corpo, uno come Jack spaventerebbe tutti. O forse no. Tu e Jack nello stesso posto. Sarebbe il paradiso!», replicò Francesca.

    Non si diede neanche la pena di chiederle chi fosse Jack. Sicuramente il protagonista di un romanzo. Notò lo sguardo corrucciato di Christian. Un nuovo amante romanzesco di cui essere geloso?

    «Hai pianto per The protector, come può piacerti un libro che ti fa piangere?».

    Francesca scrollò le spalle. «Mi ha fatto così tanta tenerezza all’ultimo. Sono sensibile, che vuoi farci? E poi ho te che mi asciughi le lacrime».

    Da parte sua, Luca credeva che Francesca fosse un po’ matta, ma non pazza come Maria. Quella batteva tutti.

    I coniugi Balardini ripresero a punzecchiarsi e a parlare di romanzi rosa e dei loro improbabili protagonisti. Era uno spasso ascoltarli. Luca era invidioso della loro affinità. Avrebbe voluto avere una relazione solida come la loro, invece era solo. Solo in mezzo a fan scatenate. Si era sentito solo anche quando viveva con Nicolle, la sua fidanzata che aveva mollato qualche settimana prima perché stanco di una vita fatta di menzogne, apparenza e chiacchiere inutili. La notizia non era ancora trapelata, perché Nicolle gli aveva chiesto di non dire nulla. Era convinta che la scritturassero solo perché era la sua fidanzata, e in parte era vero: come modella non era male, ma come attrice lasciava molto a desiderare. Da parte sua, non gli creava alcun problema fingere che stessero ancora insieme. Non era alla ricerca di nuovi impegni sentimentali. Aveva in ballo molti progetti, fin troppi cambiamenti per poter pensare all’amore. E per amore intendeva quello vero, quello che ancora legava da una vita i suoi genitori. Quello delle risate, dei battibecchi, delle riconciliazioni, del rispetto, della lealtà. Quello che durava per sempre. Nel suo ambiente, era fin troppo facile dirsi innamorati, ma poi i tabloid erano pieni di coppie scoppiate. Aveva chiuso con le relazioni di apparenza. Nicolle era una brava ragazza, ma non era la donna della sua vita.

    «Cos’è quest’aria preoccupata?», domandò Christian. Lui sì che lo conosceva bene. Erano amici fin dal primo giorno di liceo, inseparabili, anche quando la vita li aveva portati lontano. Certo, non si vedevano tutti i giorni ma c’erano l’uno per l’altro quando serviva.

    Francesca invece si era aggiunta al duo da poco, esattamente da sei mesi, quando, dietro invito di Christian, aveva partecipato a un addio al nubilato dai risvolti imprevedibili. Nessuna donna si era mai addormentata davanti a lui. Il suo sorriso si allargò pensando a quel giorno. Sembrava passata un’eternità e invece...

    Li guardò e decise che a loro poteva dire la verità.

    «Ho mollato Nicolle. Due settimane fa, prima che partisse per un provino a Los Angeles».

    Francesca, da inguaribile romantica, gli prese la mano e con occhi carichi di compassione, disse: «Ecco perché quell’aria persa. Ma non c’è proprio nulla da fare?».

    Christian, invece, gli batté la mano sulla spalla. «Finalmente ti sei tolto di mezzo quella gatta morta».

    Fu subito rimproverato dalla sua dolce metà.

    «Ha ragione Christian, Francesca. Il rapporto tra me e Nicolle si era deteriorato già da molto tempo. In realtà stavamo insieme più per abitudine che per amore. Io le servivo per spiccare il volo, la stampa ci vedeva bene come coppia. Dormivamo in camere separate da mesi, non c’era più nulla tra di noi. Vorrei che la notizia non trapelasse».

    Gli amici assicurarono il massimo riserbo.

    «C’è dell’altro».

    Attese di avere la loro totale attenzione prima di procedere.

    «Il mio agente mi ha proposto il provino per partecipare al cast della serie tv This man».

    Francesca saltò sulla sedia.

    «Quella basata sulla trilogia della Malpas?».

    Lo sapeva che la notizia avrebbe creato scalpore tra le fan di Jesse Ward, il famoso Lord del maniero.

    «Prima che tu ti faccia diecimila film mentali, ti dirò subito che ho rifiutato».

    Francesca si accasciò sulla sedia. Il viso assunse una pura espressione di delusione e confusione.

    «Ma perché?».

    Luca abbassò gli occhi e fissò lo sguardo sul tavolo. «Sono stanco, Francesca. Stanco di essere un oggetto di piacere e nient’altro. Voglio vivere, non sopravvivere. Sto seriamente pensando di lasciare il mondo dello spettacolo. Voglio dedicarmi alla scrittura e a qualunque altra cosa che non sia posare nudo davanti a un obiettivo».

    «Parli di un anno sabbatico o di qualcosa di più definitivo?», chiese Christian.

    «Non lo so, sono molto confuso al riguardo. Al momento non mi sento di prendere decisioni a lungo termine. Sono diventato modello per caso. Non era il mio sogno, tu più di tutti lo sai».

    Aveva appena compiuto diciotto anni e frequentava l’ultimo anno del liceo, quando una notte, in una discoteca milanese, durante un week-end da leoni, Christian e suo fratello gemello Gianluca lo avevano convinto a salire sul palco per le selezioni provinciali del concorso maschile L’uomo ideale. Non aveva certo sperato di vincere e in fondo nemmeno voleva partecipare. E invece aveva vinto. Da allora, la sua vita aveva preso una piega totalmente diversa. Un concorso dopo l’altro, era approdato sulle passerelle milanesi e da lì a quelle internazionali. Aveva anche frequentato dei corsi di recitazione, di lingue ed era diventato noto al pubblico femminile e della moda. Un traguardo che molti gli avevano invidiato. Travolto dal successo, aveva lavorato sodo per meritarsi una carriera che il destino gli aveva offerto su un piatto d’argento ma che in fondo non gli era mai appartenuta.

    Si rigirò la tazza tra le mani.

    «Ho quasi trentasei anni, la bellezza sfiorisce con il passare del tempo e la recitazione non fa per me. Ci ho provato ma non mi ispira. Troppe pressioni, gelosie, invidie. E sinceramente sono stanco di essere un oggetto di desiderio. Con il mio aspetto fisico sono destinato a ruoli da macho, ma io sono un uomo normale, non un gigolò. Voglio una famiglia, una moglie, dei figli, se Dio vorrà. Se non ci penso ora a costruirmi un futuro, quando devo farlo?».

    Si passò una mano sul viso. Cavolo. Non era da lui mettere l’anima così a nudo. Doveva esserci qualcosa in quel caffè.

    «Luca, sono davvero impressionata. Non avrei mai immaginato che dietro il bel fusto che posa nudo si nascondesse un animo così sensibile. Sono commossa», disse Francesca.

    Il commento dell’amica non lo stupì, ma lo ferì ugualmente. La gente era sempre pronta a classificarlo in un certo modo. E la colpa era soprattutto sua. Era lui che aveva dato quell’immagine di se stesso.

    «Non è troppo presto per un aperitivo? Io ho appena finito di pranzare».

    La voce decisa di Carlotta Russo si insinuò nei pensieri di Luca e ogni parte di lui si destò. La valchiria del tribunale ligure gli faceva sempre quell’effetto. In sua presenza, negli ultimi tempi, ricominciava a respirare. Era una sensazione strana. Come sempre, lei finse di non notarlo, salutò gli altri e si accomodò al suo fianco senza rivolgergli neanche uno sguardo. Ma lui sapeva che lo notava. Lo percepiva nella tensione che le vibrava in corpo.

    Era stato fisicamente attratto da Carlotta fin dalla prima volta che l’aveva vista. Allora stava con Christian e mai avrebbe amoreggiato con la ragazza del suo migliore amico, ma era indubbio che lei gli piacesse, anche se lo faceva quasi sempre infuriare. C’erano state delle volte in cui avrebbe davvero voluto strozzarla. Aveva un atteggiamento di assoluta superiorità nei suoi confronti. Pensava che fosse uno sciroccato analfabeta, tutto preso dalla bellezza fisica. Dubitava delle sue capacità di scrittore e lo aveva denigrato apertamente. Ogni volta che si ritrovavano nella stessa stanza, l’aria si faceva infuocata. Non riuscivano a non litigare, ma lo facevano con ironia e la cosa era davvero divertente. Si poteva desiderare e odiare la stessa persona? Ammetteva che la parola odio fosse esagerata. Tutt’al più Carlotta lo esasperava e voleva sempre averla vinta, ma ciò non toglieva che fosse la perfetta incarnazione delle sue fantasie di ragazzo e un tipo di donna che il suo lavoro non gli permetteva di incontrare spesso. Russo era agli antipodi del fisico snello, quasi anoressico, di Nicolle e delle ragazze che frequentava di solito. Era giunonica. Alta, con delle forme molto sensuali. Quando lei si accomodò meglio sulla sedia, la osservò apertamente. Dio se era bella. Il nuovo taglio pixie le donava molto. Era da quando aveva abbandonato l’aria da signorina Rottenmeier che aveva deciso di esserle più di un amico-nemico e così cercava di incontrarla spesso sul pianerottolo. Carlotta lo intrigava ed era abbastanza maturo da confessare a se stesso che era stata una delle cause che lo avevano spinto a lasciare Nicolle. Non si poteva essere fidanzati con una donna e sognarne un’altra. Una con un carattere acido come il più verde limone della costiera amalfitana e con le curve più sensuali di quelle di Sofia Loren. I capelli biondo cenere, in contrasto con il nero della base, si sposavano perfettamente con gli occhi di un azzurro scuro che gli ricordava il mare ligure. Il taglio più lungo da un lato le addolciva gli zigomi e metteva in evidenza la bocca carnosa appena colorata da un rosa tenue e molto naturale. Le sue gambe lunghe lo attiravano come un bicchiere di whisky attraeva un alcolista. Come sarebbe stato averle intorno alla vita? Il suo sguardo fu catturato dalla curva dei seni che la camicia di seta lasciava intravedere. Scorse sotto il candore della seta un reggiseno di pizzo. Che cazzo di misura portava? I suoi seni gli sembravano enormi. Troppo grandi.

    O forse, abituato alla seconda di Nicolle, tutto gli sembrava più maestoso. No, erano proprio belli. Sensuali. E gli stavano parlando, gridavano: mordimi, succhiami.

    Allungò una mano verso la camicia. Sfiorò la pelle esposta, scendendo verso il bottone, deciso ad aprire il santuario celato. Pochi attimi e avrebbe visto. Toccato. Il desiderio lo trafisse come un dardo infiammato. Il suo compagno di giochi preferito, nascosto sotto i pantaloni, prese vita, bramoso di fare un giro tra quelle sfere megagalattiche.

    Era pronto a strisciare tra di loro e morire per la patria, immolandosi sull’altare del piacere, ma pronto a risorgere per un giro sui campi elisi.

    «Luca! Luca ti senti bene?».

    Luca si risvegliò dal sogno a occhi aperti e guardò Francesca. La donna gli parve seriamente preoccupata.

    «Tutto ok, stavo solo pensando. Ciao, Russo».

    «Sei la solita guastafeste, Galizzo. Era così simpatico nel suo stato catatonico», rispose lei, guardando tutto tranne che lui. Peccato che gli specchi non le lasciassero via di scampo. Le sorrise.

    «Anche io sto bene e sono felice di vederti», disse per punzecchiarla.

    «Sono così felice che sarei pronta a morire pur di liberarmi di te».

    «Io invece sono pronto a morire per te».

    «Magari puoi andare a giocare a mosca cieca in autostrada», disse lei.

    «E mettere in pericolo la vita di persone innocenti? Prova a farmi venire un infarto mentre scopiamo come matti».

    Bella mossa! Lei lo guardò per un nanosecondo di troppo. E la vide muoversi sulla sedia. Stavano immaginando la stessa cosa? Improvvisamente fu colto da un pensiero: erano entrambi single e pieni di energie. Forse era il caso di prendersi una pausa dagli impegni e gustarsi una breve avventura con una donna capace di risvegliare un morto.

    «Io e te? Ma che ti sei fumato? Fammi parlare con il tuo pusher, hai bisogno di roba più leggera».

    «Per dovere di cronaca, non mi faccio da molti anni. Fa male alla pelle».

    «Oh, come ho fatto a non pensarci? Dorian Gray mica può invecchiare. Caro il mio adone, ricordati che la bellezza sfiorisce. Qualche anno e sarai sterpaglia da recidere».

    Si toccò l’uccello tra le gambe. Non che fosse superstizioso, ma perché sfidare la sorte?

    «Tu e Chiarchiario potreste darvi la mano. Per caso hai chiesto anche tu la patente di menagramo?».

    Carlotta sollevò un sopracciglio. Ecco che l’aveva stupita. Con Russo era sempre così: una battaglia a chi sparava l’ultima battuta pungente. Gli piaceva da morire quel botta e risposta, quel volersi punzecchiare senza cadere nel volgare.

    «Povero galletto, ti hanno costretto a leggere Pirandello per qualche rappresentazione teatrale?».

    La risata cristallina di Francesca gli impedì di rispondere. Sembrava sul punto di soffocare per quanto rideva. Christian continuò a bere il suo drink, forse già abituato alle sue follie.

    «Si può sapere che hai da ridere?», domandò Carlotta con il suo tono brusco.

    «Scusate ma non sono riuscita a trattenermi. Siete così simili a Cécile e Harring. A letto fareste fuoco e fiamme».

    E chi erano quei due?

    Carlotta batté la mano sul tavolo, quasi fosse ancora dentro l’aula di un tribunale. «Non dire assurdità, Galizzo. Io non somiglio affatto a quella squinternata di Cécile. Non mi vesto come un becchino e non sono attratta da questo pavone impettito. Sarebbe un’offesa alla mia intelligenza. La vita non è un libro».

    «No, non lo è, ma i libri prendono spunto dalla realtà, seppur condita dalla fantasia dell’autrice. Felicia Kingsley, nel suo romanzo Matrimonio di convenienza, ha descritto un mondo reale, forse lontano dal nostro ma pur sempre vero. E tu e Luca sembrate usciti proprio da quel mondo. E comunque Luca non è uno sciocco vanesio. È sensibile, generoso ed è un uomo di grande cultura. Guarda oltre l’apparenza».

    Che bei complimenti. Luca gonfiò il petto, forse era più pavone di quanto Francesca pensasse.

    «Segui i consigli del medico, Russo», le disse.

    «Un medico corrotto. Lei e Maria non fanno altro che tessere le tue lodi da mattina a sera. Ho la nausea».

    «Devo smentirti, giudice. Più che altro lodiamo il suo aspetto fisico, io adesso parlavo di lui come uomo», replicò Francesca.

    Da quel momento sarebbe diventata il suo idolo.

    «Balardini, sembra quasi che tua moglie sia innamorata di lui. Mi preoccuperei».

    Christian si sistemò sulla sedia e rivolse un sorriso pigro all’amica.

    «Francesca è drogata di me. Non potrebbe più fare a meno della mia indole romantica, non dopo che le ho organizzato un matrimonio da favola».

    La moglie lo baciò sulla bocca. «So con certezza matematica che rimarrà l’unica romanticheria della nostra lunga storia d’amore. Carlotta, illuminaci sulla tua visita piuttosto che cercare di mettere zizzania per difendere il tuo amor proprio».

    Luca non riuscì a trattenersi. Allungò la mano e in segno di complicità la batté su quella di Francesca. Pochi secondi dopo era chinato sotto il tavolo. La strega gli aveva infilzato il piede con il suo tacco.

    «A cuccia. Non puoi sempre stare al centro dell’attenzione. Ho una notizia fantastica».

    Il tono di Carlotta

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