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Ricordi letali
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E-book185 pagine2 ore

Ricordi letali

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Info su questo ebook

Michael non ha alcuna intenzione di lasciar andare il passato. Quel maledetto giorno dell’incidente stradale in cui persero la vita Nadia, la sua compagna, e Sophia, la conducente dell’auto che lo causò, vide una figura avvicinarsi alla seconda vittima per poi andarsene senza prestare loro alcun soccorso.
Lui, giornalista stimato del “Corriere”, dopo l’ennesima denuncia del fatto, riceve un giorno una lettera anonima in cui gli viene intimato di fermarsi. Noncurante della minaccia ricevuta, Michael si rivolge alla signora Tucci, un’avvocatessa legata a Sophia, nella speranza di ottenere informazioni utili. A seguire ufficialmente le indagini sarà il tenente Cristian Voda. Non passerà molto tempo, dopo una serie di efferati omicidi, perché i tre si rendano conto di esser finiti in una storia più grande di loro. 

Mihail Rosca, conosciuto da tutti come Michele, è nato nel 1988 a Chisinau, in Moldavia. 
Nel 1998 si è trasferito con la madre a Settebagni, vicino Roma, dove ha iniziato una nuova vita, dopo le disavventure vissute in patria. 
Attualmente vive a Darfo Boario Terme. Ha un’attività in proprio dal 2011 che si occupa delle finiture di interni e lavorazioni in cartongesso. È sposato e ha un figlio di 6 anni.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2023
ISBN9788830691650
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    Anteprima del libro

    Ricordi letali - Michele Rosca

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Alle famiglie Tucci e Angelini,

    e alle mie due maestre delle elementari,

    Maria Pia e Loredana,

    tutte persone straordinarie che hanno fatto molto per me

    senza mai pretendere nulla in cambio.

    1

    Era il suo chiodo fisso.

    A un anno di distanza da quel tragico giorno non riusciva ancora a non pensarci. Era come se tutto si fosse fermato. Non bastò nemmeno l’archiviazione del caso a fargli mettere il cuore in pace e lasciare andare il passato.

    Nessuno mi crede! Non mi hanno mai creduto. Eppure io so cosa ho visto! Qualcuno si era fermato a rassicurarsi che lei fosse morta.

    Quel pensiero era diventato un’ossessione che lo perseguitava giorno e notte. Non trovava nessuno disposto a credergli. Non se lo spiegava. Tutti che remavano contro cercando di convincerlo che la sua fosse stata solo una visione dovuta al trauma.

    La sua mente era bombardata dai pensieri, al punto che si ritrovò al supermercato senza ricordare minimamente come ci fosse arrivato. Questi salti temporali gli capitavano così spesso che ad un certo punto credette di soffrire di una forma iniziale di Alzheimer. Ovviamente si sbagliava e ne ebbe la conferma la sera in cui, su Focus, trasmettevano un documentario che trattava l’argomento.  Si parlava di quanto sia complicata la mente umana e delle funzioni svolte dal cervello, innumerevoli, pur tenendo conto che ancora non si conoscono tutte. Uno degli argomenti trattati in quella puntata era proprio quello che aveva appena vissuto Michael: recarsi in un luogo e, una volta arrivati, non ricordare nulla del tragitto. No, non era affetto da Alzheimer precoce.

    Fece due volte il giro nel parcheggio prima di trovare un buco libero.

    Quella sera avrebbe cucinato spaghetti alla carbonara, il suo piatto preferito, come accadeva ogni venerdì a settimane alterne da un anno a quella parte. Era il suo modo per ricordarla, risentirla al suo fianco. Nulla avrebbe potuto interrompere le serate passate a mangiare spaghetti in solitudine, fissando la foto di Nadia sul tavolo, in corrispondenza della sedia dove solitamente lei sedeva. Era la loro serata anche se lei ormai non c’era più. È già passato un anno eppure mi sembra ieri.

    Dopo cena sarebbe andato a dormire presto. Cominciava a sentire la stanchezza della notte precedente, passata sveglio a scrivere l’articolo che riguardava l’archiviazione per il Corriere della Sera. L’unica cosa che gli dava la forza per andare avanti era il suo lavoro. Scrivere gli permetteva di staccare la spina per evadere dalla realtà e placare il dolore.

    Oltre ad essere andato a letto tardi, alle sei e mezzo si era alzato ed era corso in edicola a comprare una copia del giornale, voleva essere certo che tutto fosse stato pubblicato correttamente. Probabilmente quello era l’articolo più importante di tutta la sua carriera. Entrò nella galleria del centro commerciale dirigendosi subito nella zona del supermercato senza mai alzare lo sguardo dal pavimento. La lista delle cose da comprare non era molto lunga. Conosceva a memoria il tragitto, sapeva dove fosse ciò che doveva acquistare. Fece il giro passando prima attraverso il reparto della verdura, prese le uova e la pancetta a cubetti, poi passò all’acqua e non trascurò il vino, che a casa sua non mancava mai. Rosso, solo ed esclusivamente rosso, fermo, pugliese o siciliano. Questa sua abitudine, nata per il puro piacere di gustarsi un bicchiere di vino, giorno dopo giorno si era trasformata nella sua terapia, era il suo modo di affogare il dolore. Non si considerava un alcolizzato, gli piaceva e serviva a rendere meno amare le serate più difficili. L’ultima fermata fu quella nel reparto della pasta. Scelse gli spaghetti, rigorosamente numero tre.

    Si mise in fila alle casse, pagò e si diresse all’auto senza fare altre soste, caricò la spesa e si avviò verso casa.

    Abitava a circa un chilometro e mezzo dal centro commerciale e, di solito, impiegava meno di cinque minuti a percorrere il tragitto ma, a causa di un tamponamento, quel giorno si ritrovò bloccato in una coda che avanzava lentamente.

    Fuori l’aria fredda dell’autunno soffiava dal lago d’Iseo e le foglie degli aceri campestri che costeggiano la strada, cadevano svolazzando dai rami. I marciapiedi di sampietrini ricordavano la tavolozza di qualche bizzarro pittore. Finalmente giunse all’incrocio che gli avrebbe permesso di uscire dal traffico, svoltare a sinistra e giungere a casa. Parcheggiò al solito posto, prese la spesa e andò verso il cancello. Gli cadde l’occhio sulla cassetta della posta. Una lettera. La prese. Non c’era indicato né il mittente né il destinatario. Ne aveva ricevute altre in passato con all’interno la pubblicità di qualche corso di informatica o altre cose simili. In un primo momento la mise in tasca, ma incuriosito la riprese in mano poggiando la spesa a terra. Strappò un angolino poi ci infilò il dito strappandola in tutta la sua lunghezza. Vide una pagina di giornale. Ma è il mio articolo. Che diavolo significa? Non capendo guardò ancora nella busta e trovò un bigliettino scritto al computer:

    Conosciamo entrambi la verità,  

    Ma ora basta!

    Altrimenti sei un uomo morto!

    Per un momento Michael si sentì paralizzato, ebbe l’impressione che la gola gli si gonfiasse al punto di impedirgli di respirare. Ansimava. Sapeva cos’era, ci conviveva da tempo. Stava avendo un attacco di panico. La prima volta risaliva a parecchi anni prima mentre comunicava ai suoi genitori che stava per andarsene. Cercavano di dissuaderlo, non lo accettavano, ma Michael era troppo stanco, troppo determinato, ormai aveva preso la sua decisione. Andarono su tutte le furie, la discussione assunse toni veementi. Un’improvvisa compressione al petto gli tolse il respiro, un intenso formicolio gli invase l’epidermide, le gambe cedettero e cadde. Il suo corpo si irrigidì e una scarica di acido lattico inondò le sue vene, ci vollero giorni perché il dolore abbandonasse l’ultimo dei suoi muscoli. Lo caricarono in ambulanza e lo portarono via. Sei mesi più tardi andò a vivere da solo. 

    Cercò di restare lucido e diede inizio alle procedure che i medici del pronto soccorso gli avevano insegnato. A fatica svuotò il sacchetto della spesa che aveva appoggiato a terra e cominciò a respirarci dentro come se fosse la sua unica fonte d’aria. Questa operazione serviva a far abbassare il livello di ossigeno nel sangue e a rallentare il battito cardiaco. Si sentiva osservato, percepiva nelle vicinanze la presenza di qualcuno ma non aveva il coraggio di guardarsi attorno. Non appena ebbe ripreso il controllo, ripose disordinatamente la spesa nella busta e si diresse verso la porta d’ingresso.

    Entrò in casa, chiuse la porta blindata con tre mandate, abbassò tutte le tapparelle e azionò l’allarme perimetrale. Abitava in una villetta singola su un piano solo, non grande, ma molto accogliente, i mobili in noce, chiari, creavano un armonioso contrasto col parquet scuro. 

    Oh merda! Spiò dai fori delle tapparelle ma non notò nulla di strano. 

    Guardò di nuovo nella busta che aveva appena appoggiato sul tavolino per vedere se conteneva altro, ma non c’era nulla. Il suo cuore stava cominciando a rallentare.

    La lettera che aveva ricevuto quella sera, aveva fatto evadere parecchi scheletri. Non sarebbe stato facile chiuderli di nuovo nell’armadio.

    2

    Dodici mesi prima

    «Entro stasera voglio un articolo sul 56° anniversario del disastro di Monaco di Baviera del 1958».

    Michael conosceva bene quel caso, aveva letto un libro che trattava i dettagli del volo 609 della British European Airways. Il Lord Burghley, al terzo tentativo di decollo su una pista sommersa di neve, si schiantò, causando la morte di ventitré dei quarantaquattro passeggeri a bordo. In meno di un’ora la notizia fece il giro del mondo, per la gravità dell’incidente, certo, ma anche perché i passeggeri che si trovavano a bordo non erano tutti sconosciuti ai più. In quella catastrofe era coinvolta l’intera squadra del Manchester United noti anche come i Busby Babes.

    Michael conosceva molto bene l’argomento in questione, avrebbe potuto scrivere un articolo da prima pagina, ma dovette rinunciare.

    «Non posso capo. Stasera ho un impegno molto importante e a meno che non voglia farmi divorziare ancor prima di chiedere la mano a Nadia, devo rifiutare…».

    Erano settimane ormai che stava organizzando come chiedere alla sua ragazza di sposarlo, voleva che tutto fosse perfetto.

    «Lo passi a Mattia. Sono sicuro che ha in mente di fare carriera e questo potrebbe essere un ottimo inizio».

    In quell’istante Mattia alzò lo sguardo perplesso dal suo computer con un’espressione sorpresa. Stanno parlando di me? ma Michael fece solo una piccola smorfia e congiunse le mani al petto in segno di supplica.

    «Ma che diavolo… stasera è…», ma il capo non accettava scuse, aveva bisogno di quell’articolo entro le quattro

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