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Dal Gargano a New York: La difesa delle minoranze in un’intervista a Martin Luther King e altri articoli
Dal Gargano a New York: La difesa delle minoranze in un’intervista a Martin Luther King e altri articoli
Dal Gargano a New York: La difesa delle minoranze in un’intervista a Martin Luther King e altri articoli
E-book123 pagine1 ora

Dal Gargano a New York: La difesa delle minoranze in un’intervista a Martin Luther King e altri articoli

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Info su questo ebook

Il presente volume riproduce per la prima volta i cinque articoli che Tusiani scrisse per la rivista dei Comboniani "Nigrizia" tra il 1958 e il 1963, con una interessante e rara intervista a Martin Luther King del 1960. Vi si rivela un Tusiani impegnato in una causa altamente morale e civile, scrupoloso lettore della storia, testimone, per un problema di così scottante attualità, di un suo più temprato umore battagliero, consolidatosi nella lettura dei suoi amati Alfieri, Foscolo e Carducci, per citare gli autori più vicini ad una tale mentalità “interventista”. Si potrebbe dire che qui spirito religioso e sensibilità per i deboli si alleino in una più matura difesa della giustizia. Il volume è corredato da alcuni utili e snelli apparati (Alfabeto Tusiani - Persone Luoghi Affetti, Bibliografia essenziale, Bibliografia ragionata della critica, Antologia critica) che intendono illuminare le coordinate essenziali di un itinerario intellettuale esemplare.

LinguaItaliano
Data di uscita24 ago 2021
ISBN9788864792569
Dal Gargano a New York: La difesa delle minoranze in un’intervista a Martin Luther King e altri articoli

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    Anteprima del libro

    Dal Gargano a New York - Joseph Tusiani

    ARTICOLI PUBBLICATI SU «NIGRIZIA» (1958-1963)

    «HAN CROCIFISSO IL MIO SIGNORE ED EGLI NEPPURE FIATÒ». CANTI ‘SPIRITUALI’ NEGRI

    Dal 1871 al 1875 i Cantori Giubilari della Fisk University, con entusiasmo di pionieri, svelarono agli Stati Uniti d’America e all’Europa l’arte di molti cantici allora ignorati, i canti ‘Spirituali’ negri. In Inghilterra volle sentirli la regina Vittoria, in Germania l’imperatore Guglielmo I. Il mondo veniva, così, a conoscere un tesoro impareggiabile e unico, e fu allora che sorsero le domande critiche sulla musica e sul genio degli schiavi negri d’America. Quei canti, detti ‘Spirituali’ giungevano come soffio di freschezza da un mondo di bellezza vergine e primitiva, in quanto destavano il senso di una musica non più intesa come melodia e armonia, ma come ritmo e ritmi. Era mai possibile che i selvaggi africani avessero un’anima sì canora e profonda?

    Oggi è da tutti riconosciuto che, prima della scoperta dei princìpi plastici dell’arte negra, non esistevano fra gli europei rappresentazioni astratte, sì che, col De Zayas, possiamo affermare che fu proprio l’arte negra ad esercitare un influsso positivo sull’arte della nostra epoca dandole il senso della forma astratta. Altrettanto si può dire della musica che, scontratasi con forme stantie e languide e inerti, è divenuta l’anima ritmica delle nuove generazioni. A questo nuovo tipo di musica non poco contribuì la rapida popolarità degli ‘Spirituali’ negri di origine americana. Ma che cosa sono questi canti? E perché sono detti ‘Spirituali’? Prima di rispondere, bisognerà ricordare un evento doloroso della storia umana.

    Nel 1619 un vascello olandese approdava a Jamestown nella Virginia americana. Da quel vascello venivan fatti scendere, percossi e incatenati, venti indigeni africani; altri eran morti durante la lunga traversata, e senza compianto poiché si trattava di ‘schiavi’, erano stati gettati in mare. Quei venti superstiti, di varie tribù e di lingue diverse, atterriti e sanguinanti costituivano il primo nucleo di quei milioni di schiavi che poi, per oltre due secoli, furono assorbiti, anzi inghiottiti dalle Colonie Americane.

    Grossi volumi sono stati scritti sulle truci figure dei negrieri d’America. Erano anni, quelli, di fretta rabbiosa. Bisognava far presto a scavare e ad esplorare, a seminare e a raccogliere. Le piantagioni erano immense e le braccia bianche non bastavano. Lieti di avere scoperto un comodo aiuto di ‘cose’ che rendevano molto e meglio degli uomini lor simili, gli immiti padroni si servivano appunto di quelle ‘cose’, e quelle ‘cose’ erano esseri umani dalla pelle negra. Molto si è scritto sulla storia di quegli anni non lontani; ma non molto sull’anima sofferente delle vittime. Cinicamente si finì anzi col chiedersi se fossero capaci di pensiero quelle migliaia di schiavi che ogni giorno si abbattevano al suolo, uccisi dal lavoro o dalla frusta.

    Non più manciata di granturco per me,

    non più frustata di cocchiere per me,

    non più pizzico di sale per me,

    non più cento frustate per me,

    non più comando di padrona per me.

    Questo grido anonimo, che ha appunto il titolo Molte migliaia se ne vanno, esprime il solo tenue filo di speranza di quegli schiavi: la morte liberatrice. ‘Gridi’ si chiamano molte di quelle cantilene di negri al lavoro, cioè urli di anime ferite più che di corpi cadenti.

    Ed ecco che fra quegli schiavi che ormai cominciavano a comprendere qualcosa della nuova lingua, irruppe un raggio di luce, inatteso e bello: la religione di Cristo. Non dovevano indugiarsi in sottili disquisizioni teologiche per convertirsi, essi che avevan soltanto bisogno di un Padre, fosse pure nei cieli, di un premio, fosse anche dopo la morte. Né forse ebbero tempo di domandarsi perché mai i bianchi, che già sapevano quelle dolci parole di amore e di fratellanza, continuassero a maltrattarli e ad ucciderli. Ormai il raggio s’era fatto mattino nel loro cuore e i ‘gridi’ di ieri si mutavano in commossa, ingenua preghiera:

    Non sono stanco ancora:

    ho una promessa nel cuore.

    Sto qui nel campo a penare

    ma ho un cielo da meritare.

    La fede incatena il mio cuore.

    Il vecchio Satana mi scaglia sassi,

    crede di colpire l’anima mia:

    ma il sasso all’inferno rotola,

    ed io me ne salgo nel cielo.

    Siamo così alle origini dei canti ‘Spirituali’ negri: origini intrise d’altro sangue, quando pensiamo che dei versetti innocenti, in cui trapelava fede novella, furon presto misinterpretati e repressi.

    Liberi presto saremo:

    Ci chiamerà a casa il Signore.

    Per la libertà lotteremo

    Quando ci chiamerà a casa il Signore.

    E subito il padrone che udì questo canto pensò a sommossa e condannò ai ceppi. Origini lontane, quelle degli ‘Spirituali’, risalenti al secolo decimottavo; ma fu solo nella seconda metà del secolo scorso che essi raggiunsero una forma d’arte e divennero la parola più intelligente ed alta trasmessa dal negro all’America e al mondo.

    Osserviamo ora il contenuto di questi ‘Spirituali’.

    Era logico che, venuti a contatto col mondo biblico, gli schiavi finissero col prendere, dagli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, soprattutto quelli che più s’addicevano alle loro condizioni e più li confortavano a sperare. Una rapida scorsa dei cantici farà subito balzare alla nostra attenzione temi preferiti e significativi: San Paolo in prigione; la lotta di Giacobbe con l’angelo; la scala di Giacobbe; l’arpa di Davide; il fiume Giordano; Mosè alla presenza del Faraone; la battaglia di Gerico; la visione d’Ezechiele; la liberazione di Daniele; e poi il granaio dei cieli; Gesù che cammina sulle onde; la risurrezione di Lazzaro; l’invito angelico ai pastori; l’angelo della Risurrezione che rimuove il sasso del sepolcro di Cristo; Gesù sul Calvario; le trombe del Giudizio; il giorno del Giudizio; il pianto di Marta e Maria; l’agnello ‘sanguinante’ di Dio. Tutto un mondo cioè, che sembrò nuovo, anzi fatto proprio per loro: finanche Cristo era stato tradito, venduto, battuto e ucciso: ma Egli era poi risorto come avevano predetto i profeti.

    Orizzonti di luminosa letizia si apersero agli occhi ancor velati di lagrime, mentre alla memoria tornavano echi di lontane melodie, ritmi di foreste perdute, nenie e cantilene di tribù africane. Fu come se da remote scaturigini scendesse, improvvisa e pura, una polla di canto: era il ringraziamento caldo e trepido dell’anima che si sentiva cristiana e si scopriva immortale.

    Ma come venivano rielaborati tutti questi temi biblici dalla fantasia dei negri? L’istesso termine ‘rielaborare’ è forse inesatto, ché non si tratta di rielaborazione, di processo mentale, cioè assimilativo ed esplicativo ad un tempo, bensì di semplice impressione che subito si trasforma in sentimento. Più che la mente, è il cuore che interpreta e, appunto per questo il canto è sempre immediato e logico nel suo ingenuo manifestarsi e diffondersi in eco. La caduta dell’uomo, per esempio, non ispira concetti profondi sul peccato originale quali troviamo in Milton e in Klopstock, ma è resa con un brevissimo dialogo in cui proprio il tono popolaresco coglie l’indispensabile e il drammatico fin a raggiungere, nel versetto conclusivo al di là del dialogo, una finalità tragica e raccapricciante.

    Adamo dove stai?

    (O momento terribile!)

    Signor, sto nel giardino.

    Adamo, hai mangiato la mela.

    Signor, me l’ha data Eva.

    Adamo, era proibito. –

    Parlò il Signore ed uscì dal Giardino.

    Col moltiplicarsi dei neofiti si moltiplicarono i canti ‘Spirituali’, sì che oggi possiamo contarli a centinaia, ed altri andarono irrimediabilmente perduti, quando dopo la emancipazione dei tre milioni di schiavi sancita dal Presidente Lincoln nel 1863, molti fra gli stessi negri, per un atteggiamento dello spirito che anche chi non sia psicologo può facilmente comprendere, cercarono di seppellire ogni ricordo di funesto passato col non cantar più quegli inni nati nel dolore del servaggio.

    Gli ‘Spirituali’ furono pazientemente e diligentemente raccolti da appassionati studiosi, fra cui ricorderemo Higginson e Johnson. Si trattava di recarsi da questa a quella città, da comunità a comunità negra, da congregazione a congregazione, e di ascoltare con orecchio attentissimo dei canti le cui rapide modulazioni e ondulazioni ritmiche moltissime volte sfuggivano ad ogni tentativo di notazione musicale. E non era tutto qui l’ostacolo: bisognava poi fissare sulla carta un testo non affatto facile, un dialetto negro costituito, nella sua ingenua bellezza, da molte illogicità grammaticali e da una pronuncia, tutta

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