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Lupi contro agnelli e altri racconti
Lupi contro agnelli e altri racconti
Lupi contro agnelli e altri racconti
E-book351 pagine5 ore

Lupi contro agnelli e altri racconti

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Info su questo ebook

Quattro racconti che non potrebbero essere più diversi uno dall'altro. Eppure un fil rouge ce l'hanno. Tutti parlano di vendetta. Verso se stessi. Verso gli altri.

Vendetta per le ingiustizie subite soprattutto da altri (Giglio). Vendetta perseguita caparbiamente per ritrovare la serenità perduta ma ritrovata solo apparentemente (Lupi contro agnelli). Vendetta al di là di ogni logica e di ogni ragionevolezza (Un tragico errore).

Vendetta, o meglio, guerra senza quartiere a tutti gli aguzzini che vivono e godono delle sofferenze altrui, fino a distruggerne l'esistenza.

Ma la vendetta è sempre un fatto negativo?

James B. Lambertini È nato ad Atlanta nel 1971 da padre fiorentino e madre creola. Sposato e padre di una bambina di undici anni si divide fra Toronto e Praia, capitale di Capo Verde. Per le sue opere attinge a piene mani nell'atmosfera e nella filosofia di vita creola. Pubblica per la prima volta in Italia.

Questa edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2016
ISBN9788892610248
Lupi contro agnelli e altri racconti

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    Anteprima del libro

    Lupi contro agnelli e altri racconti - James Bernard Lambertini

    Lupi contro agnelli

    e altri racconti

    Descrizione

    Biografia

    Indice

    Lupi contro agnelli e altri racconti

    Giglio

    1. Geena

    2. Renzo Sanniti

    3. Il preventivo

    4. Dalle stelle…

    Lupi contro agnelli

    1.

    2.

    Un tragico errore

    1.

    2.

    3.

    4.

    Vacanza… che passione

    Auto da fé

    … Licenziando queste cronache

    ho l’impressione di buttarle nel fuoco

    e di liberarmene per sempre (E. Montale)

    Quattro racconti che non potrebbero essere più diversi uno dall’altro. Eppure un fil rouge ce l’hanno. Tutti parlano di vendetta. Verso se stessi. Verso gli altri. Vendetta per le ingiustizie subite soprattutto da altri (Giglio). Vendetta perseguita caparbiamente per ritrovare la serenità perduta ma ritrovata solo apparentemente (Lupi contro agnelli). Vendetta al di là di ogni logica e di ogni ragionevolezza (Un tragico errore). Vendetta, o meglio, guerra senza quartiere a tutti gli aguzzini che vivono e godono delle sofferenze altrui, fino a distruggerne l’esistenza. Ma la vendetta è sempre un fatto negativo?

    Questa edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull'autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.

    James B. Lambertini è nato ad Atlanta nel 1971 da padre fiorentino e madre creola. Sposato e padre di una bambina di undici anni si divide fra Toronto e Praia, capitale di Capo Verde. Per le sue opere attinge a piene mani nell’atmosfera e nella filosofia di vita creola. Pubblica per la prima volta in Italia.

    © James Bernard Lambertini, 2015

    © FdBooks, 2015. Edizione 1.0

    L’edizione digitale di questo libro è disponibile online

    in formato .mobi su Amazon.

    ISBN: 9788892610248

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni riproduzione, anche parziale, non autorizzata.

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    Lupi contro agnelli

    e altri racconti

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    James Bernard Lambertini

    Lupi contro agnelli

    e altri racconti

    A Rosy e Valentina, il sale della mia vita.

    James Bernard Lambertini

    Lupi contro agnelli

    e altri racconti

    Giglio

    1. Geena

    Atlanta, primi giorni di ottobre.

    Con addosso un tubino nero che lasciava scoperta una generosa porzione di gambe, si stava avvicinando al locale notturno dove lavorava come barista. Data l’imminente stagione autunnale, sopra portava una giacca di pelle rosso scuro. Geena Rowley, una splendida ventottenne di Atlanta, pelle dorata lasciata in eredità dalla mamma cubana, camminava immersa in un plumbeo pomeriggio informe e senza prospettive, proprio come il suo umore. Al centro della nuvola nera del suo furore, inconsapevole del mondo intorno a sé non si rendeva conto dell’effetto che produceva al suo passaggio.

    Sguardi carichi di malcelata invidia nelle donne, giovani e belle o brutte e vecchie che fossero. Occhiate che erano veri e propri stupri da parte di ogni rappresentante del sesso maschile che avesse compiuto l’età della ragione. Un viso dall’ovale perfetto con due laghi blu al posto degli occhi, ereditati dal padre olandese, di una bellezza sconvolgente e sensuale, poggiato su un collo flessuoso ed elegante che completava il quadro di una figura da togliere il fiato, un paio di gambe da non riuscire a distogliere lo sguardo. Ogni curva del suo corpo faceva nitrire di desiderio ogni maschio degno di questo nome. Sta di fatto che questo miracolo vivente in quel preciso momento sentiva dentro di sé una fortissima furia distruttiva, dovuta al fatto che aveva conosciuto l’unico uomo che da tempo immemore la interessasse, e da cui non aveva ricevuto altro che indifferenza e, forse, un pallido interesse per il fatto che lei ballava piuttosto bene, cosa che provocava, a vederla muoversi a tempo di musica, negli altri uomini sconvolgimenti ormonali Dio, devo farmela, subito! degni di uno tsunami e in quel deficiente di Max Simmons praticamente zero sciacquetta! Eppure aveva le prove che lui, quanto a preferenze sessuali stava dalla parte giusta, ma, a suo parere, per lei nutriva un interesse pari a quello di un banchiere svizzero per un istituto di credito del Bangladesh. Coglione!

    Quando lei gli aveva fatto chiaramente capire che le piaceva, lui, reduce da un periodo di astinenza piuttosto lungo aveva fatto le sue avances. Ok, facciamoci questa fighetta, che lei aveva sapientemente provocato, portandoli in tempi brevissimi ad una notte di emergenza incendi, con una serie interminabile di performances degne di un acrobata da parte di lui; un incredibile mix di fantasia, pazienza e rudezza che digradava in dolcezza da sentirsi in paradiso, poi scrolloni improvvisi in cui lei si sentiva un fuscello in balia di una meravigliosa tempesta. Una calma improvvisa subito seguita da furia senza fine, fino al totale sfinimento subito dopo l’estasi più meravigliosa_ mente appagante che avesse mai provato sono o non sono Max, cioè il massimo?

    Ebbene, pensava Geena, sommersa da un mare di frustrazione, l’idiota avrà quello che si merita, e mentre lo pensava grossi lacrimoni le rigavano il viso. stronzobastardo! Bastardobastardobastardo, sibilava Geena mentre piangeva tutte le lacrime che aveva. Poi, lentamente, si calmò. Una gelida furia si impadronì di lei mentre concertava la sua vendetta. Mentre la bella Geena era alle prese con le sue fumate nere, il bel Max era concentrato sulla sua attività. Il suo lavoro, cioè il commerciante internazionale di armi, era ciò di cui prevalentemente si occupava. Non disdegnava comunque altre forme di integrazione dei suoi guadagni, dal momento che si considerava uno di larghe vedute. Max era specializzato in ogni tipo di fornitura di materiale bellico. I suoi committenti abituali gli ordinavano di tutto e lui non aveva alcun problema a fornire loro qualunque cosa gli venisse richiesta. I suoi clienti erano solitamente gruppi di guerriglieri che combattevano i vari governi dittatoriali dell’Africa Centrale. Ma riforniva di armi anche gli stessi governi che avevano come nemici gli stessi che Max aveva armato. Ovviamente, lui adorava il tutti contro tutti. Riforniva indifferentemente gli uni e gli altri, si faceva in quattro per accontentare ogni richiesta, e godeva nel vedere che la stupidità umana non aveva limiti. Anche il suo conto ne traeva enormi vantaggi. Il suo motto era: Viva la guerra, abbasso la pace. All’occorrenza, come attività collaterale non disdegnava di onorare un contratto che gli veniva affidato. Specie se chi doveva eliminare si dava da fare come attivista per una qualche causa dove si chiedeva a gran forza la pace. Il vantaggio per lui era doppio. Riceveva così il compenso pattuito per il lavoro eseguito, ed il suddetto attivista non creava più fastidi. Non dovendo più fare i conti con uno dei suoi detrattori, la guerra in questione poteva continuare indisturbata o quasi; con essa le forniture di armi, e di conseguenza gli introiti del bel Max.

    Lui era fiero ed orgoglioso del proprio lavoro. Era consapevole di tutte le implicazioni politiche che il suo lavoro comportava. Ed anche di quelle morali.

    Di queste, come di tutte le altre, non si preoccupava minimamente.

    Era graniticamente convinto di essere solo un mezzo atto a soddisfare alcune necessità di determinati gruppi di pensiero e soprattutto d’azione. L’esigenza di reperire dieci razzi Katiusha, cinquanta lanciarazzi rpg oppure duecento AK 74, veniva prontamente presa in carico dal nostro buon samaritano, valutata non tanto per la gravità degli sconvolgimenti politici o ambientali che avrebbe potuto provocare, quanto attentamente soppesata in base al profitto che avrebbe portato a colui che avrebbe soddisfatto pienamente e velocemente queste particolari necessità. Poteva anche capitare, ed era già successo, che una grande cooperativa edilizia in odore di mafia avesse bisogno di un centinaio di tonnellate di diserbante per avvelenare qualche appezzamento di terreno che, essendo dopo questo trattamento non più coltivabile, sarebbe stato reso velocemente edificabile, e pazienza se nel giro di qualche anno qualche centinaio di bambini sarebbe nato deforme o deficiente e qualche migliaio di adulti sarebbe morto di cancro o di leucemia.

    Così andava il mondo. mica posso sperare di cambiarlo io, no?

    Ed una volta percepita la sua ricca, anzi, a parer suo, solo adeguata commissione, il cerchio si chiudeva e lui era in pace con se stesso e con il mondo. Ultimamente il suo perfetto equilibrio era in parte disturbato da quell’incontro in discoteca con quella stronzetta che si dava arie da Jennifer Lopez e non si rendeva conto di essere una qualunque troietta con un bel corpo e poco cervello, che lui aveva gratificato della sua attenzione, e che già considerava acqua passata. Ma siccome non era uno sprovveduto, intuiva la sanguigna pericolosità del carattere passionale di lei. bah, la solitarompicoglioni Con un’alzata di spalle decise che non valeva la pena pensarci più del necessario, almeno per il momento. Il mondo è grande, andava ripetendosi, e se io non voglio, sarà molto difficile che la troietta mi trovi e mi rompa ulteriormente le palle. Ma, come si suol dire, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e quindi quando meno se l’aspettava se la ritrovò davanti. Un viso prima sorpreso e poi felice oltremisura fu quello che egli vide davanti a sé, anche se per un fugacissimo attimo gli sembrò di captare l’espressione del cobra che sta per infilarti i denti avvelenati nella vena giugulare. Mah, me lo sarò sognato…

    Fu giusto un attimo di incertezza, perché istantaneamente, non vide altro che felicità allo stato puro da parte di lei. Il che gli provocò un moto di noia mortale.

    «Che bella sorpresa! – fece lei – Ma dove ti eri cacciato? Non ti ho più né visto né sentito…»

    «Sono stato molto occupato», uh che palle questa qui… fu la poco convincente risposta.

    «Sei sempre allo Sheraton?», tubò lei.

    «Sì, ma mi fermo ancora per poco; sono in partenza per l’Arabia Saudita»

    «Potremmo vederci questa sera, o magari nel tardo pomeriggio per un aperitivo – azzardò Geena – lo sai dove lavoro…».

    «Chiamami più tardi, e facciamoci ‘sta sveltina – fece lui, con aria distratta – d’accordo?»

    «D’accordo».

    Trascorsero la serata insieme. Una bella serata. Cena e night. Fu piacevole per entrambi e finì nel solito modo. Alle sette in punto della mattina successiva la sveglia iniziò il suo repertorio di musica classica con un brano di Mahler, peraltro subito interrotto da una precisa zampata di Max Simmons. Con i soli boxer addosso ed i pettorali scolpiti bene in vista, lui si alzò dal letto con uno scatto felino. Lei lo guardava con una voglia bestiale di mettere le mani su quelle natiche dure come il granito, su quei genitali tosti che qualche ora prima l’avevano portata più volte in paradiso. Con uno scatto delle braccia riuscì ad arpionargli una coscia e per un attimo a trattenerlo. Lui si bloccò, si girò lentamente verso di lei che nel frattempo si era sollevata sulle ginocchia. Fulmineamente gli circondò le cosce in un abbraccio che esprimeva tutta la bramosia di lei di possederlo ancora una volta. Poi si avventò famelicamente su di lui e affondò le labbra sul suo pene, che all’istante divenne di ferro. Il movimento ritmico di lei fu letale per lui. In un momento venne e lei bevve avidamente il suo succo caldo e salato. Immediatamente lui la staccò a forza da sé.

    «Devi proprio andare?», cinguettò lei con espressione imbronciata.

    «Certo che devo andare», con molto dispiacere, ma non lo ammetterò nemmeno sotto tortura! puntualizzò lui con tono asciutto, che non ammetteva repliche. Doveva effettivamente andare: gli ordini dei sauditi non si discutevano.

    Ma non sarebbe partito subito per l’Arabia Saudita.

    Prima aveva un lavoretto da sbrigare. Pochi giorni prima aveva incontrato un conoscente, un affiliato di secondo piano del clan dei Casalesi. La mezza figura gli aveva affidato un contratto su di un certo Giuseppe Greco, un impresario edile fuggito dall’Italia per essere entrato in rotta di collisione con una piccola organizzazione criminale indipendente. Il Greco aveva cercato di consegnarla alle forze dell’ordine. Era stato minacciato di morte per via di certi ammanchi non giustificati, e lui non aveva escogitato di meglio che denunciare i due soci alla Polizia. Aveva trafugato circa quattro milioni di euro, e questo non era proprio andato giù a nessuno dei due soci. I due soci dell’organizzazione, Ugo Danzi ed Hector Alvarado, che avevano commissionato il contratto a Max, avevano i loro canali per reperire informazioni ed avevano saputo dai loro amici di Casal di Principe che il loro ricercato si era rifugiato negli Stati Uniti. Avevano chiesto ai Casalesi di incaricare un killer di loro fiducia, e così Max Simmons era stato scelto per portare a termine l’operazione. Il compenso faceva gola a Max, duecentomila euro, cui poteva aggiungere il dieci per cento se avesse recuperato l’intera cifra. Se quindi se avesse recuperato tutto, altri quattrocento mila euro. Niente male per un’operazione che gli avrebbe portato via una settimana di tempo nella peggiore delle ipotesi. Anche lui sapeva a chi rivolgersi per trovare informazioni utili. Venire a conoscenza di dove un tale di nome Giuseppe Greco fosse atterrato fu uno scherzo. Greco aveva ovviamente molta disponibilità di denaro. Max scartò gli alberghi economici e si concentrò sui più lussuosi. Alla quarta telefonata alla reception dei vari alberghi lo trovò. Alloggiava all’Hilton e per il momento non aveva intenzione di muoversi da lì. Lo diceva la prenotazione per le successive due settimane nella stessa suite. Che spreco pagare in anticipo – pensò Mark sogghignando – e se poi ti succede qualcosa? Hai buttato via i soldi…, con quel che costa quell’albergo…. Allertò immediatamente una delle cellule americane dei casalesi, messa a sua disposizione per l’occasione, facendo presente di prelevare l’interessato senza clamore ma anche senza perdere troppo tempo. Aveva fretta di confermare l’appuntamento con il re saudita. Due giorni dopo, a metà mattinata, lo avvertirono che la merce era appena stata recapitata alla ditta di spedizioni John Surtiss Ltd, al 2025 di Victoria Queen. Era una zona di capannoni industriali progressivamente caduta in abbandono causa la crisi che aveva profondamente colpito alcuni stati degli usa. Giuseppe Greco era legato come un salame ad una sedia da ufficio, ed aveva la bocca sigillata con del nastro da imballo color argento. Era vestito elegantemente, segno che era uscito per un incontro, o semplicemente per fare acquisti. Max gli allentò la cravatta, e l’altro gli fece un cenno di ringraziamento.

    «E così tu saresti il furbacchione che ha cercato di fottere l’organizzazione di Danzi…», osservò Max pensieroso.

    «Beh, se voglio una qualche risposta comprensibile sarà meglio che ti tolga il bavaglio». E gli strappò senza tanti complimenti il nastro adesivo dalla bocca.

    «Mm – fece l’altro – grazie, così va un po’ meglio».

    «Senti, giusto perché tu lo sappia, in questo momento per me sei una gran rottura di coglioni; più in fretta mi libero di te e prima riprendo a fare quello che mi preme di fare».

    «Amico – lo apostrofò Giuseppe Greco – io non ti conosco, non ti ho mai visto prima e con ogni probabilità sei l’ultima persona che vedrò nella mia vita. Ho trentacinque anni e quindi capisci bene che mi rompe non poco dover morire adesso; pensavo di aver trovato il modo di mettere un dito in culo a tutto il mondo, ma evidentemente c’è gente molto più in gamba di me. Per cui, non farmi la manfrina: fai in fretta quello che devi fare, e in culo a tutti!».

    Max lo guardò come se lo vedesse in quel momento; lo squadrò in silenzio per un paio di minuti; era sorpreso dal sangue freddo dimostrato dalla sua vittima. L’altro non fece una piega.

    «Sei in gamba, non c’è che dire, però, che ci vuoi fare, ti devo per forza uccidere. Anche perché se non lo facessi io lo farebbe qualcun altro, e poi cercherebbero me».

    L’altro lo guardò di traverso: «Se mi uccidi subito non saprai mai dov’è il denaro che cerchi».

    «E chi ha parlato di ucciderti subito; se voglio sapere qualcosa in fretta so come fare, puoi crederci».

    Giuseppe Greco si preparò mentalmente alla fine imminente, e rimase sorpreso quando Max gli disse: «Quello che penso è che se ti sei appropriato di tutti quei soldi non sei uno stupido e hai sicuramente dei buoni contatti in città, quindi tu adesso mi farai recuperare i soldi, tutti i soldi! Poi, ti dirò, mi sei simpatico; a me non piace uccidere la gente a sangue freddo: ergo, tu utilizza le tue conoscenze per sparire dal mondo, pensa tu a come fare; adesso ho bisogno che tu faccia una telefonata per avvertire che vuoi fare una transazione dal tuo conto ad un altro, e poi puoi andartene tranquillo».

    «Certo – sogghignò sarcastico Giuseppe Greco – ho trovato l’unico killer dal cuore tenero sulla faccia della terra».

    «Come vuoi, signor coraggioso: io adesso ti sparo in un ginocchio, poi nell’altro, e via così fino a che non fai quella telefonata…».

    «Come faccio a fidarmi?»

    «Direi che non hai scelta: hai due secondi per pensare a cosa fare, dopo di che non sentirai lo sparo ma le conseguenze, quelle si le sentirai, eccome!».

    «Va bene, non ho scelta, hai ragione – rispose, totalmente incredulo Giuseppe Greco – anche se sono ancora convinto che tanto non mi risparmierai. Ed in ogni caso, senza un soldo sono comunque morto!»

    «Ok, signor piagnucolone, adesso sbrigati, non farmi rimpiangere di essere stato così generoso con te».

    Greco telefonò. Max si fece dire il necessario per poter recuperare il denaro e, guardando il prigioniero ancora legato come un salame, gli disse dolcemente: «Bravo, hai fatto il tuo dovere fino in fondo, ora tocca a me». Lentamente, girò dietro le spalle di Greco. La Glock emise un plop attutito dal silenziatore. La pallottola entrò alla radice del collo ed uscì all’altezza del naso portandosi via metà della faccia di Greco. Quando il proiettile gli devastò il volto stava ancora sorridendo. Anche Max Simmons sorrideva. Per dimostrare che il contratto era stato onorato, Mark fece ritrovare il cadavere in quel che rimaneva del capannone di Victoria Queen, entrambi ridotti ad un mucchietto di rovine fumanti. Per un po’ di tempo Max ripensò a quell’episodio, ed ogni volta si congratulava con se stesso. Aveva guadagnato circa seicentomila euro, quasi ottocentomila dollari senza fatica. Giuseppe Greco gli era piaciuto, ma non al punto da risparmiargli la vita. Nel frattempo era volato in Arabia Saudita, dove aveva incontrato le più alte cariche dello stato, che gli avevano commissionato armamenti per circa due miliardi di dollari, in sostituzione di quelli divenuti obsoleti, ma, siccome non amava gli sprechi, per conto dei sauditi aveva a sua volta rivenduto quei quattro ferrivecchi a diversi paesi africani, alla solita commissione del dieci per cento. Era felice come un bambino la mattina di Natale. Però incominciava a mancargli qualcosa. Ogni tanto ripensava a quella sciacquetta, come si chiamava? Ah, si, Geena. Ma non gli pareva più una sciacquetta. Sarà che il ricordo era un po’ sbiadito, ma stranamente il ricordo era di una splendida femmina. Come aveva fatto a non accorgersene prima?

    «Cazzo, vecchio mio, mi sa che ti sei un po’ rincoglionito… eh sì, gran brutto segno, questo». Ma essendo uno che non amava i conflitti esistenziali, non si fece problemi di sorta ed andò a cercarla al bar dove lei lavorava.

    «Ciao Geena – la salutò mentre lei era di spalle – come butta?».

    «Oh, ecco il granduomo! Chi non muore si rivede» grandissimo cazzone, disse lei in tono gelido.

    «E nonostante al mondo esistano stronzi come te, butta bene! Butta talmente bene che fra un mese mi sposo!»

    «Ma non mi dire» oh, cazzo!», fece lui, con un tono che voleva sembrare contento ma che risultò falso come una moneta da tre dollari. Nel frattempo lei era uscita da dietro il bancone del bar per andargli incontro. Gli si avvicinò con le braccia a penzoloni lungo i fianchi. Giunta di fronte a lui alzò una mano come per fargli una carezza. Lo schiaffo lo colpì come una frustata. Lui sbattè gli occhi ma rimase immobile.

    «Questo per aver fatto tutto quello che cazzo hai voluto senza farmi sapere niente. È vero, ho intenzione di sposarmi, coglione… ma con te!… Ma solo quando lo deciderò io».

    Senza preavviso, con la mano destra gli strizzò i genitali, facendolo impallidire e lasciandolo senza fiato, poi, a sorpresa, lo baciò insinuandogli la lingua in bocca, provocandogli un effetto esplosivo. Lui rispose al bacio, ed affannosamente le chiese quando avrebbe staccato dal lavoro. «Adesso, stronzo!». Poi lo prese per mano e si avviarono verso l’uscita del locale.

    2. Renzo Sanniti

    Torino, inizio ottobre.

    La sveglia suonò, come tutte le mattine, alle sette. Renzo Sanniti aveva il sonno leggero. Al primo squillo aveva già dato la solita zampata ed il trillo si era interrotto all’istante. Si girò verso di lei, ma, come sempre, la sua giovane e bellissima moglie non aveva fatto una piega. Aveva continuato a dormire russando in maniera sommessa, quasi impercettibile. Renzo, un bell’uomo di quarantatre anni, spalle larghe e fisico asciutto, aveva una moglie di tredici anni più giovane. La guardò a lungo con il solito sentimento di amore e di frustrazione, per non essere, dopo tre anni di matrimonio, ancora riuscito a darle la vita agiata che agognava per entrambi.

    Si alzò di malavoglia. Senza entusiasmo si preparò una tazza di latte e mangiucchiò qualche biscotto. Preparò anche una caffettiera per quando la moglie si fosse alzata. Lei lavorava come commessa in un lussuoso negozio di pelletterie in via Lagrange, in pieno centro città, e li la giornata lavorativa iniziava alle nove e trenta. Si fece una doccia, si vestì e si avviò verso la sua zona di lavoro. Faceva il rappresentante di materiali per l’edilizia, ma l’edilizia era in forte crisi, ed il suo lavoro ne risentiva parecchio. Quasi tutta la mattinata trascorse in sterili chiacchiere con i suoi clienti, che non portarono il benché minimo risultato. Il pomeriggio non dava segni di essere molto migliore della inutile mattinata appena trascorsa. Cercava di vendere i suoi prodotti a clienti riottosi e per nulla invogliati ad acquistare. Anche il suo atteggiamento rassegnato e un po’ distaccato non migliorava certo la situazione. Pareva quasi che a lui vendere o non vendere non interessasse più di tanto, ma il vero problema era che lui non riusciva più a trovare le motivazioni giuste per farlo. Il cielo plumbeo e la leggera nebbiolina che il sole stentato di inizio ottobre non cercava nemmeno di sciogliere, di certo non aiutava né il suo umore né i suoi affari. Pensieri piuttosto foschi si affollavano nella sua mente. Sentiva una sorta di rabbia impotente ed un sentimento di rancore verso tutto e tutti montava sempre di più dentro di lui.

    Ad un certo punto, come sempre succede in presenza di indecisioni altalenanti covate a lungo, troppo a lungo, egli esplose in un silenzioso ma non meno potente accesso d’ira. Si disse: Basta, non né posso più di continuare questa vita da coglione eh, che cazzo!

    Cercò nella tasca del soprabito che aveva visto giorni migliori e che avrebbe dovuto indossare anche più in là perché prevedeva di non poter affrontare la spesa di un cappotto nuovo. Scavando alla cieca nella tasca, trovò il suo cellulare, un modello molto superato, sia perché non era molto interessato alle novità tecnologiche sia per le solite ragioni economiche. Sperò che non gli avessero già staccato la linea, visto che era in ritardo con il pagamento dell’abbonamento. Questo avrebbe alzato la sua pressione arteriosa a livelli preoccupanti e l’avrebbe gettato nel più profondo sconforto. Digitò il numero internazionale, mentre pensava a quanto gli sarebbe costata quella chiamata. Ma un’altra parte del suo cervello diceva: «Stacchino pure tutte le linee che vogliono, ma dopo questa chiamata non sarà più un problema!». Per alcuni interminabili secondi l’apparecchio resto desolatamente muto. Poi, improvvisamente, il cellulare ritornò in vita, emise una serie di scariche ed emerse limpido il segnale di linea libera. Dall’altra parte del mondo, in un mondo a lui sconosciuto, ma che sarebbe diventato a breve il suo mondo, fatto di agi e di successo, si sentì rispondere. «Que pasa?» (Che succede?)

    «Sono Renzo Sanniti, ho finalmente preso la mia decisione…». Fu bruscamente interrotto.

    «Bueno, ci faremo sentire noi, adios!».

    Click.

    Silenzio.

    Stronzi – pensò – vaffanculo, stronzi.

    La linea ritornò immediatamente muta, con la differenza che l’amo era stato gettato, il contatto stabilito. La speranza sfociata in quella telefonata fatta di getto, era stata sostituita dalla soddisfazione per la decisione finalmente presa, dal consenso ottenuto, seppure in tono brusco e irritante, e soprattutto da tutti gli enormi benefici, tutti di carattere economico, che ne sarebbero derivati. Con la propria coscienza avrebbe fatto i conti più avanti, soprattutto quando avesse un po’ calmato l’endemica fame di denaro che da tanto tempo lo divorava. Sorridendo malignamente si ricordò di un proverbio indiano che diceva approssimativamente: la coscienza è un triangolo con le punte aguzze che ruota dentro di noi, a contatto con la nostra anima, graffiandola quando si commettono cattive azioni; ma un indigeno un po’ più furbo degli altri aveva completato con: ma le punte del triangolo, a forza di ruotare si smussano fino a non fare più tanto male…! Gli venne in mente che quella giornata iniziata con un senso di sconfitta, stava finendo insperatamente in un meraviglioso stato di grazia che annullava totalmente la precedente angoscia, che oramai la faceva da padrona da troppo tempo. Un po’ di tempo prima si era imbattuto in un tizio benvestito, che aveva conosciuto in un bar dove si era fermato per un panino. Non aveva voglia di cenare da solo nel suo angusto appartamentino in affitto, visto che quella sera la moglie era uscita per festeggiare il compleanno di un’amica. Il tizio aveva attaccato bottone con lui. Con zero voglia di starlo a sentire, ma che vuole , questo… di primo acchito lo aveva trovato un po’ invadente. Stava cominciando ad architettare una strategia finalizzata a toglierselo di torno quando, suo malgrado, si era ritrovato ad ascoltarlo con un certo interesse. Quel tizio, gli fu chiaro solo successivamente, era un reclutatore, un incaricato di una qualche organizzazione malavitosa. Un cane da tartufi alla ricerca di disperati disposti a qualunque cosa o quasi per sbarcare il lunario. Quel tizio asseriva che i perdenti hanno le stesse possibilità degli altri di avere successo, basta che si rendano conto dei propri limiti e delle proprie attitudini. Ma soprattutto devono rendersi conto che potranno avere successo solo se capiranno qual è il loro naturale campo d’azione. Un camionista, diceva, con tutto il rispetto per i camionisti, non potrebbe mai fare il violinista o il professore di lettere alla Normale di Pisa. Lo sconosciuto andava dicendo al Sanniti che a lui era capitato proprio così. Un giorno era stato abbordato da un elegante personaggio che gli aveva fatto capire cosa poteva fare per dare una svolta alla propria vita. «Ed eccomi qui, disse con un certo orgoglio. In un baleno sono passato da una squallida e stentata esistenza alla possibilità di avere bei vestiti ed un conto in banca che sta crescendo a vista d’occhio. Sto acquistando una casa tutta per me e comincio finalmente a godermela! Certo, qualche compromesso con la tua coscienza lo devi accettare… però…».

    Renzo Sanniti avrebbe voluto approfondire subito l’argomento, ma l’altro lo fermò: «Senti, ti do un consiglio che farai bene a seguire: dormici su e cerca di capire se sei veramente disposto a cambiare radicalmente direzione. Quello che sto cercando di farti capire è che, se decidi di seguire questa linea, lo farai sapendo che non ti sarà più possibile tornare indietro. Mai più!». E non disse altro.

    Si salutarono dandosi appuntamento alla settimana successiva. Si rividero e, Sanniti, per l’ansia di sapere, quasi dimenticò di salutare il suo interlocutore. Iniziò a tempestarlo di domande, ma l’altro, con un gesto eloquente della mano, lo fermò.

    «Sediamoci in un bar, ecco uno che può fare al caso nostro mettiamoci comodi in un angolino tranquillo e chiacchieriamo»

    «Non ti svelerò ancora il mio nome, per evidenti ragioni di sicurezza, gli disse l’uomo, ma ti

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