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L amnesia del visconte
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L amnesia del visconte
E-book255 pagine5 ore

L amnesia del visconte

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Info su questo ebook

Londra, 1818.
Colpito da amnesia in seguito a un'aggressione, Nicholas Bartlett, Visconte Bromley, non ha idea di cosa lo abbia spinto sei anni prima a scappare in America e a vivere come un fuggitivo, ma ora che i ricordi sono in parte riaffiorati è più che mai deciso a tornare in Inghilterra per indagare. Ad aiutarlo, gli amici di sempre, gli stessi con cui ha fondato il rinomato club Vitium et Virtus, uomini che per lui sono come fratelli e che lo aiutano a reinserirsi nella vita sociale londinese. Qui, durante un ricevimento, incontra Lady Eleanor. Nicholas sente che c'è qualcosa di speciale che lo lega a quella donna, ma non sa che lei lo sta aspettando segretamente da sei lunghi anni e che sta crescendo la loro figlia. A questo punto Eleanor è disposta a tutto perché lui ricordi, persino a rischiare la propria vita.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2018
ISBN9788858989319
L amnesia del visconte
Autore

Sophia James

Neozelandese, laureata in Letteratura inglese e Storia all'Università di Auckland, ha scoperto la passione per la scrittura leggendo insieme alla sorella gemella i romanzi di Georgette Heyer.

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    Anteprima del libro

    L amnesia del visconte - Sophia James

    successivo.

    Prologo

    Fiume James, Virginia, 1818

    Era stanco, aveva freddo. Da molto tempo, ormai.

    Lo avvertiva nelle mani e nel cuore, nella furia che lo avvolgeva a ogni alito di fiato, nella paura che strideva contro lo sciabordio del fiume.

    Un tempo era stato un uomo diverso, lo sapeva. Il pensiero lo attraversò come una lama dolente, procurandogli un dolore inimmaginabile, la certezza elusiva che aleggiava sull'orlo della comprensione.

    Imprecò mentre immergeva il proprio corpo nell'acqua e chiudeva gli occhi per resistere alla morsa del gelo. Con la mano ancora sensibile afferrò i giunchi per stabilizzare i propri movimenti. L'uomo che lo aveva squarciato con una spada doveva essere ancora nei paraggi. Avvertiva la prossimità della sua presenza, un'ombra appena visibile che occupava lo spazio nelle tenebre. Non aveva altre armi, oltre al proprio intelletto, nessun modo per proteggersi, a eccezione degli anni di disperazione affinati con la distanza. Non rammentava nemmeno più se nella sua vita si fosse mai sentito al sicuro.

    La voce risuonò inaspettata alle sue spalle. «Nicholas Bartlett! Sei qui?»

    Quel suono gli fece girare la testa, anche se non avrebbe saputo spiegare il perché. Il nome gli era familiare, le sillabe si ricomponevano in qualcosa che gli rivelava un significato unico e terribile.

    Avrebbe voluto mettere un freno all'ondata di ricordi che lo investì, a quei singoli filamenti che si intrecciavano in un più complesso ordito di immagini, a quelle parole che strattonavano il vuoto vorticoso della sua vita e lo tenevano ancorato alla verità. Una verità che giaceva al di là della comprensione e dell'incredulità.

    La voce alle sue spalle pronunciò altre parole mentre lui sollevava l'acciaio contro la luna offuscata che brillava nel cielo.

    «Vitium et Virtus.»

    Preghiera, o profezia? Previsione di ciò che sarebbe accaduto o ricordo di quanto era già avvenuto?

    «No!» La sua voce echeggiò all'improvviso decisa mentre schizzava fuori dall'acqua, sospinto dalla furia più cieca, per andare incontro al proprio destino. A stento sentì la lama del coltello contro il viso. Era indomito, nella sua brama di vita, e quando si trovò tra le mani il collo del suo assalitore, percepì un palpito di potere primitivo che spazzò via ogni dubbio e gli restituì rinnovata speranza. Avvertì le ossa che si spezzavano, scorse la sorpresa negli occhi strabuzzati. Il respiro che gli sfiorava la pelle del braccio rallentò e si raffreddò, la vita scivolò nella morte con un suono appena percettibile, fatto salvo il tonfo del cadavere che cadde nell'acqua, per essere subito trasportato nell'oscurità dalla corrente del fiume James: un breve attimo di agitazione e poi la calma, con le piccole increspature dell'acqua che tornavano a distendersi nella precedente quiete della superficie. Si sedette sulla riva tra l'erba bagnata e piegò la testa tra le ginocchia, un piccolo movimento che gli fece pulsare le tempie.

    Vitium et Virtus.

    Nicholas Bartlett.

    Riconosceva quelle parole, conosceva quella vita, ricordava il nome così profondamente radicato in lui.

    Nicholas Henry Stewart Bartlett.

    Visconte Bromley.

    Uno stemma con un drago sulla destra e un cavallo sulla sinistra, entrambi in argento.

    Una tenuta nell'Essex.

    Oliver. Frederick. Jacob.

    Il circolo dei segreti.

    Vitium et Virtus.

    «Dannazione!» Tutto gli tornò alla mente, senza barriere. Lampi di onore, vergogna, disordini ed eccessi, dopo così tanti anni di niente.

    Le lacrime si mescolarono al sangue, mentre la perdita dell'uomo che era si fondeva con il dolore di tutto ciò che aveva dimenticato.

    Il giovane e dissoluto aristocratico londinese, il gaudente rampollo di una nobile famiglia, che aveva avuto il mondo ai propri piedi e la prospettiva futura di un'esistenza di agi e divertimenti, era stato sostituito da quell'individuo forgiato da anni di resistenza e di durezza.

    «Nicholas Bartlett.»

    Pronunciò sottovoce quel nome, lasciandoselo rotolare sulla lingua per poterlo udire come si doveva. L'accento delle Americhe allungò le vocali in una cadenza insolita, per le sue origini inglesi, ma quando lo ripeté di nuovo, non udì altro che il dolore.

    Frugò tra i ricordi di quel tempo, e ne trovò soltanto alcuni di Bromworth Manor, della campagna dell'Essex, dei litigi con lo zio, poi nient'altro. Non ricordava il ritorno a Londra, né l'imbarco su un vascello per le Americhe. Rammentava soltanto un dolore, la vaga sensazione di acqua. Forse aveva fatto naufragio ed era stato raccolto da una nave, uno sconosciuto privo di memoria.

    Sapeva che non si sarebbe mai dileguato di sua spontanea volontà, nonostante gli ingenti debiti di gioco e le minacce di ritorsione se non avesse pagato. Si era lasciato attirare nei circoli più malfamati di Londra, ma era sempre riuscito a cavarsela. Gli amici lo avevano aiutato a superare i momenti peggiori, e gli era rimasto il circolo di Mayfair, una casa, una famiglia, un posto tutto suo. Aveva amato Jacob Huntington, Frederick Challenger e Oliver Gregory come i fratelli che non aveva mai avuto.

    Si portò una mano tremante alla guancia dolorante, vicino all'occhio destro, e la ritrasse piena di sangue.

    Avvertiva una strana sensazione di annebbiamento all'occhio. La notte era talmente scura che per un attimo si domandò se il suo inseguitore non gli avesse lasciato la parziale cecità, come ultimo regalo. Chiuse l'altro occhio e cercò di concentrarsi su un'immagine. Sollevò un dito, stagliandolo contro la fioca luce che si rifletteva sull'acqua, e fu sollevato quando ne scorse il contorno sfocato.

    Non se la sentiva di ritornare verso il canneto e il sentiero che costeggiava il fiume all'ombra dei campi di cotone. Non voleva essere visto in quelle condizioni, e doveva assicurarsi che non ci fossero altri intenzionati a fargli del male. Un'immensa stanchezza si impadronì di lui, il lutto per la perdita di una vita umana per mano sua. Non aveva mai ucciso, prima, e il guizzo di paura che lo attraversò fu presto rimpiazzato dall'amarezza del senso di colpa.

    Come sarebbe potuto tornare ad adattarsi alla vita di un tempo, dopo tutto ciò che aveva passato? Chissà se anche il suo assalitore aveva una famiglia cui teneva? Chissà se era stato soltanto inviato a portare a termine un lavoro? Le ombre oscure in cui aveva vissuto negli ultimi sei anni purtroppo gli erano molto familiari. Ne scorgeva ancora i contorni, così in contrasto con la moralità che albergava in altri uomini, ma che per lui era un concetto ormai privo di significato. Già due volte, da quando era in America, avevano tentato di ucciderlo: uomini differenti sul libro paga di un nemico indistinto, di un burattinaio nascosto che continuava a tirare i fili di tutti i sicari che gli sguinzagliava contro.

    Aveva assunto così tanti nomi, da quando aveva cominciato a trasferirsi da un nascondiglio all'altro, da una relazione all'altra. Alla fine non aveva fatto altro che arrecare dolore e pericolo ad altra gente. Se qualcuno arrivava a conoscerlo, metteva a repentaglio la propria incolumità. Ecco perché non aveva mai concesso a nessuno la possibilità di avvicinarsi troppo. Per ben due volte, in passato, aveva avvertito la prossimità dei suoi assalitori.

    Emily. La figlia del reverendo che con la moglie lo aveva accolto in casa era stata buttata giù da una rupe. La bambina era sopravvissuta aggrappandosi alla vegetazione, ma da allora Nicholas aveva compreso che per lui non ci sarebbe potuta più essere intimità con nessuno.

    Da allora era stato un susseguirsi di nuove città, svariati lavori e una serie di donne che mettevano in vendita i propri favori. Aveva smesso di cercare la compagnia di persone perbene e si era esiliato nel mondo sotterraneo di segreti, squallore e vuoti rapporti. Comprendeva coloro che, al pari di lui, erano stati brutalizzati e danneggiati, e sapeva che avrebbe potuto trovare sicurezza soltanto nella precaria comunità degli emarginati.

    Peter Kingston. Era quello il suo nome, adesso, nella città fluviale di Richmond, capitale della colonia e dominio della Virginia. Sarebbe potuto scomparire quel giorno stesso e nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. In fondo non era che il garzone della taverna di Shockoe Bottom, un tizio che raramente parlava e che ancor più di rado sorrideva. Uno straniero. Uno sconosciuto. Un emarginato. E ora anche un assassino. Un altro epiteto da aggiungere a tutti quelli che lo avevano definito. Un altro spostamento. Una figura che si muoveva attraverso le Americhe senza lasciare neppure un'orma sulla strada. Fino a quel momento, almeno. Fino a quella notte. Fino al momento in cui aveva serrato le mani attorno al collo del suo inseguitore e gli aveva strappato la vita.

    Si piegò su se stesso e vomitò su una chiazza di edera velenosa.

    Foglie a tre, non fanno per te.

    All'improvviso gli tornò alla mente il verso di quella canzoncina. Si pulì la bocca con il bordo logoro della giacca. Se si fosse sinceramente pentito, avrebbe appoggiato la mano sulla pianta velenosa per procurarsi un giusto castigo, invece l'idea lo fece accigliare. Si alzò.

    Avrebbe radunato il poco che aveva e avrebbe cercato una nave per tornare in Inghilterra. Fred, Oliver e Jake lo avrebbero aiutato a dare un senso alle cose, e a quel punto avrebbe potuto lasciare Londra e ritirarsi a vivere nella campagna dell'Essex. Da solo. Era l'unico futuro che riusciva a intravedere per se stesso.

    Mentre si guardava indietro, un banco di nebbia scivolò ad aleggiare sulla superficie piatta del James.

    1

    Londra, 26 dicembre 1818

    Natale era passato da un giorno.

    Nicholas sorrise al pensiero. Aveva dimenticato tanto a lungo quella festività, nelle Americhe, che avvertirne lo spirito a Londra gli procurava un immenso conforto. Era forse una tradizione familiare ripetuta, una fede che trascendeva tutte le difficoltà e prometteva speranza a quelli come lui? Oppure rappresentava soltanto le premesse della disperazione? Di certo non esisteva Chiesa al mondo che avrebbe potuto perdonare i suoi peccati, sempre che fosse stato talmente stupido da confessarli.

    L'intramontabile musica dei canti natalizi risuonava in lontananza nell'aria, quando uscì dal vicolo alle spalle del Vitium et Virtus, a Mayfair, per avvicinarsi alla porta di ingresso. Lì, gli unici suoni che si udivano erano quelli di frivole risate, di una partita a carte in corso nel salone al pianterreno e delle puntate sempre più alte che si accumulavano sul tavolo da gioco. I pochi spiccioli che gli restavano in tasca gli parvero una miseria e, per la centesima volta, si domandò se avesse fatto bene a recarsi lì.

    L'ora tarda del pomeriggio allungava già le ombre. Si sarebbe potuto allontanare senza che nessuno si accorgesse di lui per dirigersi a nord. In genere la gente restava a casa a godersi la compagnia della famiglia, il giorno di Santo Stefano. Non sarebbero stati in molti, a far caso ai suoi spostamenti.

    Deglutì, sollevò lo sguardo, vide che il cielo si tingeva di rosso. Rosso sangue. Rosso come la sua vergogna. Un celeste accenno alla sua colpa, o un perdono scritto a colori?

    Affondando la mano in tasca, ne estrasse uno scellino d'argento.

    «Testa resto, croce vado via.» In quel momento non riuscì a pensare ad altro che a una scelta affidata al caso. La moneta roteò in aria e gli ricadde sul palmo della mano con il viso di Giorgio III rivolto verso l'alto.

    Non ci pensò due volte prima di bussare alla porta laccata di nero, testimonianza di ricchezza lasciva e di infinita attenzione ai dettagli.

    Quando la porta si aprì, fu un omone in livrea che lui non aveva mai visto a comparire sulla soglia. Aveva l'espressione di chi conosceva bene tutte le mille sfaccettature del proprio lavoro.

    «Posso aiutarvi, sir?»

    A Nicholas non sfuggì la nota di condiscendenza nella voce. I vestiti che indossava erano sporchi e sgualciti dal lungo viaggio, aveva la barba incolta e i capelli scomposti. Era un bene che all'ingresso del circolo non ci fosse uno specchio in cui potesse vedere riflessa la propria immagine. «Desidero sapere se stasera è presente almeno uno dei proprietari del circolo» rispose.

    Il domestico lo squadrò con aria poco convinta. «Sì, sir. Sono tutti presenti.»

    «Potete accompagnarmi da loro?»

    «Senza dubbio, sir. Prima, però, posso prendervi il cappello e il cappotto, e chiedere il vostro nome?»

    «Bromley. Mi riconosceranno.»

    «Vi prego di attendere qui, sir.» Il lacchè appese gli abiti di Nick a un attaccapanni di legno i cui ganci erano foggiati a guisa delle parti intime maschili. La sfrontatezza dell'arredamento lo turbò, mentre un tempo non ci aveva neppure fatto caso.

    Un ulteriore motivo di confusione, un altro segno del cambiamento. Deglutì, e l'improvvisa secchezza delle labbra gli fece desiderare di aver portato con sé la fiaschetta del brandy.

    Poi udì il rumore di alcune sedie che scricchiolavano sul pavimento, passi veloci che si rincorrevano, una porta che si spalancava con forza, e un attimo più tardi tre volti conosciuti gli si pararono dinanzi, sbigottiti. Increduli.

    «Nicholas?» Fu Jake il primo ad andargli incontro, come c'era da aspettarsi. Bello e dissoluto, aveva sempre tenuto nascoste un'inconfondibile gentilezza, una empatia per i più sfortunati, la certezza della fede.

    Oliver e Fred lo seguirono a ruota, uno più sorpreso dell'altro.

    «È da più di sei anni che te ne sei andato...» Era stato Oliver a parlare. L'emozione gli traspariva evidente sul viso.

    «E ora ti presenti qui senza neppure avvisarci! Perché non ci hai scritto per farci sapere come stavi, dove ti trovavi?» La voce di Fred si incrinò mentre osservava il viso smunto di Nicholas e la fasciatura che gli proteggeva la ferita alla mano sinistra.

    Venticinque giorni in mare non avevano certo contribuito a farla rimarginare. Gli faceva talmente male che spesso se la portava al petto nel tentativo di lenire il dolore. In quel momento, però, la lasciò ricadere lungo il fianco. La speranza che traeva dall'emozione degli amici rendeva tollerabile perfino il dolore pulsante alle dita.

    «Grazie al cielo sei tornato!» Oliver gli si avvicinò per avvolgerlo in un abbraccio. Era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che un essere umano lo aveva toccato con un tale trasporto, che per un attimo Nicholas si irrigidì. Poi fu il turno di Fred e di Jake, che lo strinsero tra le braccia con tanta forza da fargli perdere la consapevolezza di dove finisse il corpo di uno e dove iniziare quello dell'altro.

    Sicurezza. Per la prima volta dopo tanti anni, Nicholas si concesse un sospiro di sollievo. Eppure, nonostante tutto, non riuscì a ricambiare l'abbraccio di nessuno di loro. Non ancora. Non finché quella storia maledetta non fosse finita. Proteggerli dal male era l'unico dono che aveva ancora da offrire ai vecchi amici.

    Non sarebbe dovuto venire. Non avrebbe dovuto comportarsi con tanto egoismo. Avrebbe dovuto dar ascolto alla voce della coscienza e restare alla larga, finché non fosse riuscito a capire qual era la fonte del pericolo. L'amicizia, però, aveva le sue regole, ed era stata la speranza a condurlo fin lì, attraversando l'oceano, per tornare dagli amici.

    «Questa riunione inattesa merita una celebrazione» sentenziò Fred mentre trascinava Nicholas verso il soggiorno privato in fondo al corridoio, seguito dagli altri due. Un tavolo da poker era stato mandato all'aria nella foga del momento. Le carte erano cadute per terra, le fiches si erano sparpagliate ovunque. Bastò quel pensiero a riscaldargli il cuore, e quando Oliver scelse una bottiglia da una credenza all'angolo e la stappò per versarne un bicchiere per tutti, Nicholas accettò il suo con gratitudine.

    Attese che anche gli altri avessero un bicchiere, quindi sollevò il proprio. «All'amicizia!» brindò con semplicità.

    «Al futuro» aggiunse Jake.

    «E che la verità di ciò che ti è accaduto, Nicholas, possa tenerci sempre uniti.» Le parole di Fred risuonarono serie mentre Oliver gli rivolgeva un sorriso pieno di calore, anche se mille domande scintillavano nei suoi occhi verdi.

    Il cognac era forte, denso e vellutato, ben diverso dai distillati casalinghi cui Nicholas aveva dovuto far l'abitudine nelle taverne disseminate lungo la costa orientale delle Americhe. Il grado alcolico gli tolse il fiato. Era il sapore della gioventù, pensò, che a quell'epoca non era stato in grado di apprezzare e che adesso assaporava lentamente, un sorso dopo l'altro.

    A un cenno di Jake, presero tutti posto. Nicholas sedette a capotavola, dove le sue iniziali erano intagliate nel mogano scuro della sedia. Con le dita sfiorò l'intaglio, tracciando ricordi del passato.

    «Non abbiamo mai cancellato niente di te, Nicholas. Abbiamo sempre creduto che saresti tornato. Ma perché ci hai messo tanto? Perché hai aspettato tanti anni prima di fare ritorno?» Jake diede voce ai dubbi che affollavano anche la mente degli altri.

    «Ho perso la memoria. Non ricordavo chi fossi né da dove venissi. Ho cominciato a ricordare qualcosa soltanto cinque settimane fa, nelle Americhe, dopo aver incontrato l'uomo che mi voleva morto.»

    «A giudicare dal tuo aspetto, ci è mancato poco che riuscisse nel suo intento.»

    «Già, ci è mancato poco, ma a lui è andata peggio.»

    «Lo hai ammazzato?» domandò Fred, dando voce allo spirito soldatesco che albergava in lui.

    «Sì.»

    «Trovammo del sangue nel vicolo alle spalle del Vitium et Virtus, il giorno dopo la tua scomparsa» lo informò Jake alzandosi per avvicinarsi al camino. Dalla mensola prese una teca dorata e l'aprì. «Trovammo anche questo.»

    La vista del suo anello con il sigillo lo sorprese. In gioventù Nicholas lo aveva sempre indossato, ma poi lo aveva completamente dimenticato. Lo stemma in oro brunito rifletteva la luce dei candelabri. Servire populo. Servire il popolo. L'ironia di quel motto gli era parsa quasi umoristica, quando in gioventù non aveva pensato ad altro che a servire se stesso. Tese la mano, prese l'anello tra le dita, poi rabbrividì alla vista della sporcizia che aveva sotto le unghie e delle cicatrici sopra le nocche. Deglutì nel misero tentativo di ricacciare indietro il groppo che gli serrava la gola.

    Con quanta grazia gli veniva restituita la sua vecchia vita!

    «Non ho la più pallida idea di cosa sia accaduto in quel vicolo» mormorò.

    «Qual è l'ultima cosa che ricordi, allora? Prima di scomparire?» lo incalzò Jake.

    «Ricordo di aver litigato con mio zio, a Bromworth Manor. Era il mio compleanno, il quindici agosto.»

    «La tua scomparsa risale alla sera del sabato seguente, una settimana più tardi» lo informò Fred.

    «Sapevi che tuo zio ha ripreso a usare il titolo dei Bromley?» Oliver si appoggiò alla spalliera della sedia e sistemò i piedi su un'ottomana, contraddicendo con

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