Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Gioventù Studentesca: Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione
Gioventù Studentesca: Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione
Gioventù Studentesca: Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione
E-book873 pagine12 ore

Gioventù Studentesca: Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

A partire da un ampio ventaglio di fonti documentarie, in gran parte inedite, il volume ricostruisce la genesi e lo sviluppo del movimento di Gioventù Studentesca. Tale realtà, nata come esperimento di apostolato di ambiente dell’Azione Cattolica milanese (sulla scorta dell’esperienza della Jeunesse Étudiante Chrétienne francese), arrivò a rappresentare per le sue peculiarità metodologiche e la sua capacità di attrarre studenti spesso lontani dalla Chiesa uno dei più significativi e discussi fermenti dell’AC negli anni Cinquanta e Sessanta. La vicenda di Gioventù Studentesca, fondata da Giancarlo Brasca nel 1945 e rifondata da don Luigi Giussani tra il 1953 e il 1954, si inserisce in un mondo cattolico in cui iniziavano ad affiorare i primi segni di una crisi che avrebbe raggiunto il suo culmine alcuni anni più tardi. Da questo punto di vista, il volume apre nuove prospettive per comprendere i cambiamenti che hanno investito la gioventù cattolica tra il Concilio e la contestazione.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2016
ISBN9788838244490
Gioventù Studentesca: Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione

Leggi altro di Marta Busani

Correlato a Gioventù Studentesca

Ebook correlati

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Gioventù Studentesca

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Gioventù Studentesca - Marta Busani

    Marta Busani

    GIOVENTÙ STUDENTESCA

    La pubblicazione di questo volume ha ricevuto

    il contributo finanziario dell’Università Cattolica sulla base

    di una valutazione dei risultati della ricerca in essa espressa

    Prima edizione: aprile 2016.

    Ristampa: luglio 2016.

    Copyright © 2016 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4449-0

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838244490

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    Tavola delle abbreviazioni

    Introduzione

    I. Cristiani nella scuola

    1. Giancarlo Brasca e Gioventù Studentesca: la ricerca di una risposta alle attese dei giovani

    2. GS e «l’umanesimo integrale»

    3. Don Giussani e gli studenti dell’Azione Cattolica: «Gusci di cristianesimo»?

    II. Gioventù Studentesca, un laboratorio di vita cristiana

    1. Realizzare Gioventù Studentesca

    2. Il 1957, un anno di svolta. GS, Montini e la Missione di Milano

    3. Il «dialogo» di GS nelle scuole

    III. 1958-1961. Lo sviluppo di un «metodo»

    1. «La legge della vita è la carità»

    2. Una «propria fisionomia»: Gioventù Studentesca tra il 1958 e il 1961.

    3. Gioventù Studentesca nella diocesi ambrosiana

    4. «Amare con le dimensioni del mondo»

    5. Da Milano a Belo Horizonte

    IV. Un movimento nazionale? GS tra Chiesa ambrosiana e GIAC italiana

    1. Tra attese e timori. GS e la Chiesa ambrosiana

    2. 1962: Il ‘riconoscimento’ di Giovanni Battista Montini

    3. Un nuovo apostolato nelle università. «I gruppi di facoltà» (1960-1963)

    4. La difficile «Intesa» tra GS e FUCI

    5. Una collaborazione possibile? GS e la GIAC centrale

    6. La vera democrazia è pluralismo. Gioventù Studentesca e le associazioni di istituto

    V. Tra Roma e Milano. Gioventù studentesca è Azione Cattolica?

    1. 1964 Roma. Il ‘rifiuto’ di Gioventù Studentesca

    2. Milano, la ricerca di un’Azione Cattolica ‘uniforme’

    3. 1965, la normalizzazione di Gioventù Studentesca

    4. Dal «caso Zanzara» alle accuse di «integrismo religioso»

    5. Il dibattito cattolico sull’associazionismo scolastico alle soglie del Sessantotto

    VI. Verso la nascita di Comunione e Liberazione

    1. «A chi diciamo grazie»? «Milano Studenti» e lo sviluppo culturale di GS negli anni Sessanta

    2. Una nuova autocoscienza. La nascita del Centro culturale Charles Péguy

    3. Dal Sessantotto alla nascita di Comunione e Liberazione

    Conclusione

    Fonti

    Bibliografia

    Sitografia

    Indice dei nomi

    Prefazione

    di Edoardo Bressan

    Sulla base di una vasta ricerca archivistica estesa a fonti in larga misura inedite, questo lavoro prende in esame le vicende di Gioventù Studentesca dalle origini alla crisi del Sessantotto e alla nascita di Comunione e Liberazione, in particolare nei suoi rapporti con la Chiesa e il mondo cattolico milanese e italiano: un aspetto che non era stato finora possibile approfondire con il necessario riscontro offerto dalla documentazione. Al di là di una visione celebrativa o polemica – due dimensioni che non sono mancate in diversi dibattiti – Marta Busani ripercorre la storia di GS con una verifica ineludibile sul piano della ricerca storica, dagli inizi nell’immediato dopoguerra, già come «movimento d’ambiente» dell’Azione Cattolica, alla rifondazione legata alla figura di don Luigi Giussani nel 1953-1954, per giungere alla crescita del decennio successivo e al periodo tanto intenso quanto drammatico delle proteste studentesche. Le ricostruzioni della storia di Comunione e Liberazione e della biografia di don Giussani, apparse negli ultimi anni, forniscono un ulteriore apporto, di fatti e di testimonianze, a questo importante volume.

    La prima GS – sorta nel contesto milanese intorno alla figura di Giancarlo Brasca – rappresenta un tentativo di tradurre anche in Italia quell’idea che era stata all’origine della Jeunesse Étudiante Chrétienne francese e belga, motivata dalla necessità di una presenza dell’Azione Cattolica all’interno della scuola, con un carattere più specifico rispetto all’apostolato parrocchiale. Si inserisce qui l’apporto di don Giussani, sollecitato da don Aldo Mauri e Germano Quadrelli, nella prospettiva, non sempre compresa, di superare gli schemi di un associazionismo sicuramente benemerito ma forse non più in grado di offrire risposte al processo di secolarizzazione e alla crisi culturale del cattolicesimo italiano che il sacerdote lombardo già intravede. Ed è il fermento – teologico oltre che educativo e pastorale – che aveva contrassegnato il biennio di presidenza di Mario Rossi della Gioventù italiana di Azione Cattolica, fino alle sue dimissioni rassegnate proprio nel 1954.

    La proposta di don Giussani appare subito incentrata sulla libertà dell’adesione dei giovani e sulla sintonia con il loro vissuto, senza la quale l’annuncio cristiano, in una società secolare, non può essere più inteso. Il volume ripercorre il successo dell’esperimento di GS, per molti versi inatteso e destinato a sollevare approvazioni e dissensi, anche per via del problema della «coeducazione», allora molto avvertito. GS rappresenta un fatto nuovo, che coinvolge generazioni di giovani in un’avventura umana e spirituale capace di trasformare la vita delle persone. Emerge poi in tutta la sua importanza il rapporto con Montini, durante la «Missione di Milano» del 1957, caratterizzata dalla sottolineatura del «senso religioso» che don Giussani riprende in modo originale, e in molteplici altre occasioni. L’attenzione dell’arcivescovo nei confronti della realtà di GS è costante e permette a quest’ultima di precisare il significato del richiamo all’«esperienza» del singolo in relazione alla verità cristiana e al magistero della Chiesa.

    GS diviene protagonista del confronto culturale nelle scuole, con le sue battaglie per la libertà di educazione e di associazione, e al tempo stesso si diffonde in altre città e regioni italiane, avviando – nel quadro di una viva sensibilità ai problemi economici e politici dello sviluppo internazionale – un’originale presenza missionaria in Brasile, maturata anche grazie al rapporto con monsignor Sergio Pignedoli e Marcello Candia. Nel corso degli anni Sessanta le posizioni di GS, con un profilo organizzativo ormai definito che pone inevitabilmente la questione di una continuità nell’àmbito universitario e in quello lavorativo, sono all’origine di talune riserve da parte dell’Azione Cattolica nazionale. A Milano l’arcivescovo Colombo mira a un inserimento più organico di GS nella struttura diocesana, che si sarebbe rivelato assai difficile, mentre don Giovanni Padovani diviene assistente del movimento e don Giussani si reca negli Stati Uniti per approfondire gli studi sul protestantesimo americano, di grande rilievo storico e teologico.

    La crisi degli anni successivi non ha tuttavia soltanto ragioni interne ma, analogamente a quanto accade all’intero associazionismo giovanile cattolico, si lega all’incipiente contestazione, aprendo una fase di travaglio da cui sarebbe emersa per GS una più chiara identità di «movimento ecclesiale», alle origini di Comunione e Liberazione. Per don Giussani, ancora una volta, essenziale è il richiamo al valore religioso e alla centralità della fede, irriducibile a un progetto, per quanto nobile, di trasformazione della società. La rilettura della storia di GS permette così a Marta Busani di cogliere alcuni decisivi passaggi della storia del cattolicesimo italiano nel secondo dopoguerra, fra Milano, l’Italia e l’apertura al mondo, all’interno dei quali si collocano l’intuizione profetica e la fedeltà alla Chiesa di don Giussani.

    Edoardo Bressan

    Tavola delle abbreviazioni

    FCL: Fraternità di Comunione e Liberazione

    ALG: Archivio storico don Luigi Giussani

    AMCL: Archivio del Movimento di Comunione e Liberazione

    AUC: Archivio generale per la Storia dell’Università Cattolica, Milano

    AGBMe: Archivio Giancarlo Brasca, Mezzago

    AACMi: Archivio dell’Azione Cattolica di Milano

    GIAC: Fondo Gioventù italiana di Azione Cattolica

    GF: Fondo Gioventù femminile di Azione Cattolica

    ISACEM: Archivio dell’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia «Paolo VI»

    GIAC: Fondo Gioventù italiana di Azione cattolica

    GF: Fondo Gioventù Femminile di Azione cattolica

    ADM: Archivio diocesano milanese

    ASAM: Archivio della Segreteria dell’Arcivescovo Montini

    ASCAC: Archivio della Segreteria dell’Arcivescovo Colombo

    Introduzione

    È più facile forse indicare quali sono gli orientamenti religiosi, politici, sociali, culturali dei giovani, quali sono i movimenti giovanili più attivi, e più vivi, quale è la stampa giovanile. Ma anche riuscendo a dare un quadro esatto del comportamento dei giovani, difficilmente si riuscirebbe a cavarne le loro aspirazioni profonde, le attese nascoste, che potrebbero rivelarsi a colui che sapesse veramente rendersene interprete e risvegliarle[1].

    All’indomani della fine del secondo conflitto mondiale il mondo cattolico giovanile in Italia è attraversato da un rinnovato interesse per la partecipazione dei laici alla vita della società e dello Stato democratico[2]. In tale contesto, i quadri dirigenti dei rami giovanili dell’Azione Cattolica cominciano a riflettere su nuove forme di organizzazione che possano penetrare negli ambienti da cui l’associazionismo cattolico, durante il ventennio fascista, è stato allontanato, e in particolare il mondo del lavoro e quello della scuola. Sulla scorta dei «movimenti di ambiente» francesi e belgi, nel 1945, all’interno della GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), nasce l’idea di dar vita a due movimenti denominati Gioventù Studentesca (GS) e Gioventù Operaia Cattolica (GIOC), definiti in seguito «opere» dell’AC. Soprattutto per quando riguarda GS, il progetto, alquanto innovativo, è tuttavia destinato a rimanere sulla carta nella maggior parte delle diocesi italiane. A livello nazionale, Gioventù Studentesca e Gioventù Operaia Cattolica sono soppresse già alla fine degli anni Quaranta; all’origine di questa drastica decisione è probabile che vi sia il timore, condiviso tra gli altri dal presidente dell’Azione Cattolica italiana Luigi Gedda, che questa nuova realtà possa trasformarsi in un veicolo per le idee della Jeunesse Étudiante Chrétienne (movimento di ambiente degli studenti dell’Azione Cattolica francese) e della Jeunesse Ouvrière Chrétienne (movimento di ambiente dei giovani operai francesi), costruite sul modello belga di Joseph Leo Cardijn e considerate poco ortodosse e perciò pericolose dagli ambienti romani[3]. Diversa è però la vicenda della Gioventù Studentesca ambrosiana, che fin da subito acquista una vivacità e una fisionomia del tutto peculiari grazie all’iniziativa del suo animatore, Giancarlo Brasca, laico consacrato appartenente all’Istituto secolare dei Missionari della regalità di Cristo di padre Agostino Gemelli e futuro presidente dell’AC ambrosiana.

    Questa ricerca prende avvio dalla fondazione della Gioventù Studentesca ambrosiana con l’obbiettivo di analizzarne gli sviluppi, indagando le forme e i modi della presenza dell’Azione Cattolica nelle scuole superiori di Milano. L’osservatorio milanese è particolarmente interessante, sia perché il capoluogo lombardo, in anticipo sui tempi, deve fare i conti con un rapido processo di modernizzazione di cui molti cattolici faticano a cogliere le implicazioni in ambito religioso, sia per la singolare vicenda del movimento di Gioventù Studentesca, che per diversi motivi rappresenta un unicum nel contesto italiano. Dopo la fine della GS di Giancarlo Brasca è don Luigi Giussani il fautore della nascita di una nuova e differente edizione del movimento di ambiente milanese. Giussani - dopo alcuni anni di insegnamento di teologia nel seminario di Venegono - nella primavera del 1953 è nominato assistente delle studentesse della Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Nell’intento di dar vita a una presenza cristiana nelle scuole milanesi e per volontà di don Aldo Mauri e di Germano Quadrelli, l’uno assistente e l’altro presidente della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, don Giussani assume anche l’assistenza degli studenti del ramo maschile dell’associazione. A partire dall’autunno del 1953, dà vita a un movimento di ambiente negli istituti milanesi denominato anch’esso Gioventù Studentesca, che intende richiamarsi al tentativo di Brasca senza avere tuttavia un legame diretto con la precedente organizzazione.

    Le vicende della Gioventù Studentesca di Giancarlo Brasca sono ricostruite principalmente grazie alle carte conservate presso l’Archivio Giancarlo Brasca a Mezzago (Monza) e al periodico della GIAC ambrosiana, «L’Azione giovanile». Per quanto riguarda, invece, l’esperimento di don Giussani, la documentazione raccolta mette in luce gli aspetti portanti della vita di GS nel suo sviluppo culturale e organizzativo e le innovazioni del pensiero pedagogico di Giussani, fornendo importanti indicazioni per comprendere le ragioni del notevole seguito che il movimento ottenne nelle scuole milanesi[4]. Decisivo è, in tal senso, il contributo offerto dall’ampia documentazione conservata presso l’Archivio del Movimento di Comunione e Liberazione, cui è stato possibile accedere prima che fosse chiuso alla consultazione a seguito dell’avvio della causa di beatificazione del fondatore di CL. Altrettanto preziosi, ai fini del lavoro, si sono rivelati il periodico mensile di GS «Milano Studenti» e gli scritti di don Giussani. Le fonti utilizzate si concentrano principalmente sul contesto milanese, ricostruendo però anche le relazioni di GS con la GIAC nazionale, tanto più significative quanto più GS, a partire dai primi anni Sessanta, si diffuse in molte altre diocesi italiane, sempre come movimento di ambiente espressione della GIAC locale. Alle fonti archivistiche già menzionate si aggiungono, in misura considerevole, gli Archivi delle Segreterie dei due arcivescovi che si succedettero a Milano nel periodo trattato, Giovanni Battista Montini e Giovanni Colombo[5], i fondi documentari dei rami giovanili dell’Azione Cattolica ambrosiana[6] e gli Archivi nazionali della GIAC e della GF[7]. Non è stato possibile, invece, accedere alle carte (nazionali e locali) della Federazione degli Universitari Cattolici Italiani (FUCI), chiuse alla consultazione perché in fase di riordino sia a Roma (sempre presso l’ISACEM), sia a Milano, presso l’Archivio dell’Azione Cattolica ambrosiana.

    Le due edizioni della Gioventù Studentesca ambrosiana sono legate dalla denuncia di una concezione borghese del cristianesimo che secondo Brasca prima, e don Giussani poi, pervadeva molta parte del mondo cattolico. I cristiani che riempivano le chiese mancavano di spirito missionario e la formazione oratoriana ricevuta dai giovani si basava ancora su un modello educativo di stampo moralistico che li portava a recepire passivamente i contenuti della fede. La critica di Giancarlo Brasca si rivolse in particolare ai dirigenti dell’Azione Cattolica, che all’epoca davano l’impressione di accontentarsi dell’esito confortante delle elezioni del 1948, non comprendendo la necessità - a suo parere - di una presenza cristiana comunitaria nella scuola. Per questo i dirigenti della prima GS, e successivamente lo stesso don Giussani, erano spinti a guardare con simpatia al modello dell’AC belga e francese le quali, a differenza di quella italiana (organizzata su base parrocchiale e suddivisa secondo fasce d’età), erano strutturate in movimenti di ambiente. Per Brasca non si trattava di contrapporsi all’istituzione parrocchiale, ma di immaginare una forma missionaria di apostolato per i laici adeguata al mondo studentesco. Francesco Piva sostiene che la vittoria elettorale del 18 aprile ‘48 contribuì a peggiorare una certa miopia dei dirigenti dell’Azione Cattolica, i quali non si accorsero della tendenza degli adolescenti ad abbandonare la GIAC e della difficoltà dell’associazione ad attecchire nei contesti cittadini, dove la tradizione cristiana era messa in discussione più che nelle zone agricole. Se è vero, infatti, che dal dopoguerra fino a tutti gli anni Cinquanta gli iscritti alla GIAC erano aumentati, essi per più della metà erano aspiranti (ragazzi dai 10 ai 15 anni). Nel passaggio all’adolescenza, con l’iscrizione agli juniores (16-20 anni), la GIAC perdeva più della metà dei suoi soci e i seniores (21-30 anni) erano poi un numero esiguo. Il problema è ancor più evidente se si guardano i dati delle grandi città. Al nord, infatti, nelle diocesi più piccole, soprattutto del Veneto, il numero degli iscritti all’associazione variava dal 15% al 22% della popolazione giovanile, mentre a Milano la percentuale era del 4,7%[8].

    Nel complesso i cattolici ambrosiani sembravano impreparati a cogliere le ragioni profonde dell’allontanamento sempre più manifesto dei giovani dalla Chiesa e, più in generale, di quella crisi giovanile che, a partire dal 1958, era diventata tema di dibattito sulle principali testate giornalistiche italiane. Comune ad ampi settori della cultura cattolica era l’attribuzione della responsabilità della crisi al materialismo edonistico importato dagli Stati Uniti[9]. Ne sono una testimonianza emblematica gli articoli pubblicati sulla rivista «Vita e Pensiero» da monsignor Francesco Olgiati, uno dei fondatori dell’Università Cattolica[10]. Lontana da questo orizzonte era l’ipotesi che il fascino esercitato sui giovani dall’American way of life riempisse almeno parzialmente il vuoto lasciato da un’educazione cattolica di stampo moralistico, che si attardava sulla riproposizione di schemi e formule incapaci di affascinare i giovani. Diversa, invece, era la prospettiva dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini il quale, fin dal suo arrivo in diocesi nel 1955, riconobbe i segni della rapida secolarizzazione che si imponeva ormai in ogni ambito della società. Egli diede avvio a un rinnovamento della pastorale nella diocesi ambrosiana e a un ripensamento delle forme e dei modi della presenza cattolica nella società milanese. Per questo Montini organizzò, nel 1957, la cosiddetta «Missione di Milano», momento di predicazione straordinaria per la città che coinvolse parrocchie, fabbriche e luoghi della cultura milanese. L’originalità della visione montiniana emerge sia nell’individuazione del «senso religioso» come attitudine «innata» dell’uomo a «percepire qualche […] relazione con la divinità» o, con altra definizione, come «l’esigenza dello spirito verso un Infinito personale, come dell’occhio verso la luce, del fiore verso il sole»[11], sia nel tema prescelto per la Missione di Milano che, a differenza delle missioni tradizionali, era incentrata su «Dio Padre» e non sulla riproposizione dei doveri sacramentali e dei precetti della morale cristiana[12]. Il senso religioso costituiva per Montini «la base soggettiva» della fede senza la quale essa «rimane esteriore, formalista, inoperosa e fragile»[13]. Dunque la riscoperta del sentimento religioso gli appariva l’antidoto più efficace al formalismo di molti cattolici ‘per tradizione’. Oltre alla riflessione sul «senso religioso», che peraltro trovò in don Giussani fortissime consonanze[14], Montini invitava i cattolici a sperimentare nuove forme di apostolato che favorissero la scoperta di «un cristianesimo moderno, vivo, nuovo, da dare alle generazioni che verranno»[15]. Come sostiene Giorgio Rumi, vi era nell’arcivescovo la consapevolezza della necessità di un «aggiornamento» e l’«ansia di affinamento nella riproposta della Chiesa» nei tempi nuovi che si aprivano nella società italiana[16]. E proprio Montini, prima del suo arrivo a Milano, era stato protagonista della crisi che aveva attraversato il ramo maschile dei giovani dell’Azione Cattolica. Nella Pasqua del 1954, infatti, il presidente nazionale della GIAC, Mario Rossi, aveva rassegnato le dimissioni dopo che la dirigenza romana dei giovani dell’AC era stata accusata sull’«Osservatore Romano» di «deviazioni dottrinali» e di comportamenti lontani dallo spirito dell’associazione. Era il culmine di una crisi che si trascinava già da più di un anno. Mario Rossi era stato nominato presidente nel 1952 e fin da subito aveva cercato di intraprendere una riforma della GIAC nazionale. Egli si era formato sugli autori della Nouvelle Théologie e si rifaceva in particolare al personalismo mouneriano e al pensiero del teologo Henri De Lubac. La sua volontà di rinnovamento si volgeva in diverse direzioni e in particolare verso il ripensamento delle «formule catechistiche», in nome di un cristianesimo «personalizzato» centrato sugli aspetti essenziali del cristianesimo e liberato dalla concezione borghese della vita[17]. L’impostazione educativa di molti sacerdoti, secondo Rossi, era ancora appiattita sull’adesione dei giovani a precetti e comportamenti dettati dalla morale cristiana. Proporre con forza la centralità della persona nella vita cristiana era, per il presidente della GIAC, il modo più efficace di contrastare l’attivismo dell’Azione Cattolica di stampo geddiano. Inoltre, egli era convinto che solo una ripresa profonda della coscienza religiosa poteva portare a un rinnovamento della dimensione politico-sociale dell’associazionismo cattolico. Rossi rifiutava l’«accentuazione politica» impressa alla GIAC da Carlo Carretto, suo predecessore, nei suoi primi anni di Presidenza. Egli credeva, al contrario, che la Chiesa dovesse svelare «ad una società ormai laica il senso emancipante della tensione religiosa»[18]; e ciò, Rossi ne era convinto, poteva avvenire attraverso la costruzione di movimenti specializzati nel mondo contadino, operaio e studentesco che affiancassero la tradizionale suddivisione parrocchiale dell’associazione. La volontà di Rossi e dei dirigenti romani di dar vita a movimenti di ambiente sulla scorta del modello francese e belga fu una delle ragioni che acuì lo scontro con Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica, e con l’autorità ecclesiastica che, come hanno notano alcuni testimoni, accusarono il presidente della GIAC di «francesismo»[19]. Montini, allora pro-segretario di Stato agli Affari straordinari, mantenne con Mario Rossi un rapporto personale di amicizia e cercò di farsi mediatore tra Pio XII e il presidente della GIAC. Il futuro arcivescovo di Milano, infatti, se non condivideva pienamente le idee di Rossi, comprendeva però la necessità di un rinnovamento dell’Azione Cattolica giovanile.

    Le dimissioni di Rossi aprirono all’interno della GIAC una profonda crisi, manifestatasi fin da subito attraverso le dimissioni di molti dirigenti centrali e delle sedi diocesane[20]. La brusca interruzione di tutte le possibili strade di rinnovamento e il vuoto lasciato in molte città dalle dimissioni dei dirigenti spesso più illuminati crearono una carenza di energie e di creatività che si fece sentire negli anni successivi. Le vicende della Chiesa ambrosiana, anche se per molti versi peculiari, risentirono ampiamente di ciò che avveniva a Roma. Non si può comprendere lo sviluppo di GS e l’importante ruolo che essa giocò nell’Azione Cattolica pre-conciliare se non si tiene conto del fatto che essa nacque e si sviluppò in un momento di crisi della GIAC forse senza precedenti e proprio quando a Giovanni Battista Montini, tra i pochi ad aver compreso l’ansia di rinnovamento pastorale della gioventù cattolica, veniva affidata la guida della diocesi ambrosiana. Il movimento nato da don Giussani rispose in modo originale, anche se spesso discusso, all’invito di Montini a rinnovare «i modi e le forme» della presenza cattolica giovanile nella società[21] e alla sua pastorale sull’incontro dei «lontani». Tanto che è lecito chiedersi se la GS milanese avrebbe avuto la stessa fortuna senza l’impulso e l’incoraggiamento di Montini. Allo stesso tempo, Gioventù Studentesca sembrava rispondere a quel vuoto di idee per la pastorale giovanile che si era creato dopo l’abbandono di Rossi e la nomina a presidente della GIAC di Enrico Vinci, uomo di fiducia di Luigi Gedda; e ciò può in parte spiegare la rapida diffusione del metodo educativo di don Giussani oltre i confini della diocesi ambrosiana.

    Se dalla fine degli anni Cinquanta a Roma ci si accorse della vivacità del movimento milanese, con l’inizio degli anni Sessanta GS rappresentò un costante motivo di dibattito e di tensione all’interno dei rami giovanili dell’AC, fino alla pubblicazione dei nuovi statuti dell’organizzazione nel 1969. Manca, nel panorama storiografico, una ricerca espressamente dedicata alla ricostruzione delle vicende della GIAC nazionale dalla fine della Presidenza di Mario Rossi all’arrivo di monsignor Franco Costa e di Vittorio Bachelet ai vertici dell’Azione Cattolica Italiana. Un tale lavoro potrebbe certo contribuire a far luce sui rapporti intercorsi tra l’esperimento milanese e l’associazionismo giovanile cattolico in Italia e dunque a inserire il movimento di GS nella più ampia riflessione sulla presenza della Chiesa e dell’Azione Cattolica nel mondo studentesco. Nondimeno, le fonti consultate evidenziano da un lato il contributo dell’esperienza milanese all’attività dell’AC in ambito giovanile (di particolare importanza a tale riguardo è l’influenza esercitata da GS sull’Ufficio studenti della GIAC, nei primi anni Sessanta), dall’altro le critiche mosse a GS dalla FUCI e dalla GF, sia a livello diocesano sia a livello nazionale. Tra i motivi di contestazione vi erano alcune innovazioni di GS che destavano perplessità anche tra il clero ambrosiano e in alcuni settori della GIAC: la compresenza nel movimento di ragazzi e ragazze e una particolare accentuazione dell’«esperienza personale» rispetto all’insegnamento della dottrina cattolica. Certamente poi, come nota Abbruzzese, «il profondo collegamento [di GS] alla personalità del suo fondatore» metteva in discussione la struttura associativa dell’AC che, «dovendo sostenersi sui principi della trasmissibilità dei ruoli e delle funzioni», vedeva «nelle personalizzazioni un fattore di potenziale debolezza più che di rinforzo»[22]. Da questo punto di vista, il biennio 1964-’65 rappresenta uno spartiacque fondamentale nella storia di GS. I rilievi critici e il successivo rifiuto dell’esperienza milanese operato dalla nuova Presidenza della GIAC, insieme alle critiche della Presidenza ambrosiana di AC e al conseguente allontanamento di Giussani dalla guida di GS, aprirono una fase nuova nel movimento di ambiente animato da don Giussani e furono tra gli elementi che portano Gioventù Studentesca, negli anni Settanta, ad uscire dall’Azione Cattolica.

    La Gioventù Studentesca di Giancarlo Brasca, forse anche per l’esigua documentazione rimasta, non è stata ad oggi oggetto di monografie o saggi. Fa eccezione un articolo di Mariarosaria Servidati, pubblicato nel 1987, che mette a confronto la GS di Brasca e quella di Giussani, facendo emergere alcuni aspetti di contatto e altri distintivi[23]. Ampi cenni alla nascita della GS di Brasca si trovano poi nel volume di Giorgio Vecchio e Guido Formigoni che riscostruisce la storia dell’Azione Cattolica ambrosiana[24]. Il presente lavoro di ricerca, che si è avvalso di documenti finora inediti, vuole contribuire a far emergere l’innovatività della GS fondata da Brasca, la quale dà ragione anche della particolare sensibilità che contraddistingue la sua Presidenza dell’AC milanese dal 1958 al 1964.

    La storia della seconda GS sino ad ora è stata trattata in modo non sistematico dalla storiografia che si è occupata della Chiesa nel secondo dopoguerra. Nella loro storia dell’Azione Cattolica ambrosiana, Vecchio e Formigoni si soffermano sull’esperienza della Gioventù Studentesca di don Giussani, inserendola, per primi, nelle vicende dell’AC ambrosiana, nel cui contesto essa non solo è nata, ma si è sviluppata. Resta aperto, nella loro analisi, il problema della continuità e della discontinuità tra le due GS e, più in generale, tra la GS di don Giussani e le precedenti esperienze dell’AC nella scuola. I due storici parlano infatti, allo stesso tempo, di continuità del modello organizzativo e di progressiva discontinuità causata dallo sviluppo delle idee di don Giussani[25]. Nel complesso esprimono una valutazione personale negativa dell’esperienza di Gioventù Studentesca, considerata un movimento che, nonostante la «notevole vitalità», conteneva innuce alcuni elementi di debolezza, poi emersi in modo dirompente negli anni Sessanta. Si trattava principalmente di una «visione pessimistica del contesto ambientale» che trasformava il presunto «laicismo» diffuso nella scuola italiana «nel peggior nemico della presenza cristiana» e di un’eccessiva importanza attribuita alla «dimensione storica» della comunità cristiana, considerata in GS «una espressione esaustiva dell’appello cristiano e il tramite unico della vocazione personale»[26]. Il lavoro di Formigoni e Vecchio restituisce una prima immagine sia delle sempre maggiori implicazioni di GS con la GIAC ambrosiana - che sembrò assumere tematiche e modelli associativi del movimento di don Giussani -, sia dello scontro che si aprì, a metà degli anni Sessanta, tra i rami giovanili e la Presidenza dell’Azione Cattolica[27]. Se Formigoni e Vecchio sono stati i primi ad affrontare le vicende di Gioventù Studentesca, lo spazio dedicato a tale movimento nel loro lavoro resta, comunque, limitato al paragrafo sugli esperimenti di apostolato di ambiente in terra ambrosiana.

    Buona parte della storiografia ha dedicato particolare attenzione al movimento animato da don Luigi Giussani concentrandosi, però, sulle vicende di Comunione e Liberazione negli anni Settanta. Fa eccezione un articolo di Eugenio Capozzi che ha il merito di considerare unitamente l’esperienza di Gioventù Studentesca e di Comunione e Liberazione, sottolineandone le linee di continuità ma anche l’evoluzione, nel passaggio cruciale del 1968[28]. In tale direzione si muove lo studio di Salvatore Abbruzzese, che pure vuole essere una lettura sociologica del movimento e non tanto una ricostruzione storica[29].

    In una certa misura, tale lacuna può essere dipesa dal fatto che Gioventù Studentesca sembra rivestire un’importanza notevolmente minore rispetto al successivo sviluppo di Comunione e Liberazione. È tuttavia difficile comprendere il movimento di CL negli anni Settanta prescindendo da una reale conoscenza delle radici e dello sviluppo del pensiero e della metodologia educativa di don Giussani, che anzitutto si è confrontato con i problemi della Chiesa e della società degli anni Cinquanta e Sessanta, aprendo nuove strade le quali, se appaiono scontate per la realtà associativa cattolica degli anni Settanta, non altrettanto risultano esserlo negli anni precedenti.

    La maggior parte della storiografia ha comunque riproposto stilemi storiografici che vedono Comunione e Liberazione, e già GS, come un movimento che, a prescindere dal Concilio, si è attardato su posizioni tradizionaliste, fino a operare una sorta di rifiuto del dettato conciliare e delle sue più significative innovazioni[30]. Ne è un esempio la lettura di Massimo Faggioli che afferma che all’interno di GS, e poi di CL, la «ripugnanza per la modernità e il rigetto della teologia conciliare (due opzioni che non si equivalgono ma hanno molto in comune) [sono] evidenti nella percezione negativa della Aufklarung, dell’ecumenismo e dell’alterità all’ebraismo come potenziali minacce all’identità cristiana e cattolica»[31]. Alcune di queste considerazioni, a onor del vero, mancano di basi documentarie solide, dando così l’impressione di riproporre senza adeguata verifica pregiudizi e linee interpretative sviluppatesi già negli anni Settanta. Daniele Menozzi parla di GS e di CL come un movimento neo-intransigente accomunandolo, secondo un filo diretto, all’intransigentismo di fine Ottocento. Secondo lo studioso, tale legame è dimostrato dal rifiuto della modernità che accomunerebbe i due movimenti[32]. Al contrario, in un recente volume sul pensiero di don Giussani, Massimo Borghesi afferma che il richiamo alla dimensione del senso religioso e all’«esperienza personale» quale mezzo di critica costruttiva alla tradizione, costanti negli scritti e nell’opera educativa del sacerdote, dimostrano che Giussani assunse prospettive collocate a pieno titolo all’interno della modernità. Borghesi sostiene che l’insistenza di don Giussani sulla dimensione esistenziale del cristianesimo, unita alla formazione tomistica ricevuta in seminario, ha dato avvio a una riflessione originale che ha superato lo stesso neotomismo. Secondo l’autore, il pensiero di Giussani, formatosi alla scuola teologica di Venegono e sui testi della Nouvelle Théologie, è caratterizzato da una lettura critica della modernità che non rinuncia, però, a confrontarsi con essa e ad assumere, a titolo d’esempio, l’anelito di felicità dell’uomo come strumento per combattere il formalismo di una religiosità borghese[33].

    Anche un saggio di Maria Bocci sulla recezione del Concilio in Gioventù Studentesca e in Comunione e Liberazione - a partire dall’uso di fonti archivistiche, ma soprattutto di fonti a stampa e di testi di don Giussani - fa emergere profonde consonanze tra gli insegnamenti del sacerdote e le innovazioni conciliari, peraltro in alcuni aspetti anticipate nella vita di GS[34]. Alle vicende del movimento di Gioventù Studentesca è dedicato un paragrafo del libro di Giudo Panvini, che ricostruisce tappe ed evoluzioni del rapporto tra cattolici e violenza politica dal dopoguerra agli anni Ottanta, e che ha il merito di inserire GS nel contesto di istanze e riflessioni che hanno toccato gran parte della Chiesa italiana nel post-Concilio e, in particolare, negli anni della contestazione. Panvini mette in luce come, già dagli Sessanta, vi sia stata una generale difficoltà nel comprendere e nell’interpretare «l’enigmaticità» del movimento milanese. Infatti, l’originalità del pensiero di don Giussani, che ha attinto a filoni teologici differenti («dal modernismo al personalismo, dall’esistenzialismo ad alcuni elementi della tradizione ortodossa e protestante»), unisce in sé - sottolinea Panvini - la volontà di misurarsi con la modernità «in un continuo confronto volto ad assimilarne le tematiche principali» e la proposta di un modello di «comunità fortemente coesa e gerarchica, in nome della difesa della tradizione e dell’autorità della Chiesa». In tal senso, scrive Panvini, se Gioventù Studentesca fa proprie molte delle istanze di cambiamento della Chiesa di quegli anni, «pre[nde] gradualmente le distanze però dalle tendenze democratizzanti ed egualitarie provenienti dal dissenso cattolico»[35].

    In un volume di recente pubblicazione, Gerd-Rainer Horn propone una lettura della storia di GS che si discosta dall’immagine tradizionale del movimento giovanile come di una realtà organizzativa che rifiutava la modernità e le novità del Concilio Vaticano II. L’autore, oltre a mettere in evidenza il posto di rilievo assunto da GS nel dibattito della Chiesa italiana post-conciliare, afferma che la biografia intellettuale di don Giussani mostra le radici che la sua formazione teologica e il suo pensiero avevano nelle elaborazioni del pensiero cattolico riformatore, sia italiano, sia europeo. Quest’ultimo aspetto si traduceva nella vita di GS - sostiene Horn - nell’insistenza con cui don Giussani incoraggiava i suoi studenti a impegnarsi in una dimensione sociale e culturale dell’attivismo missionario, lanciando i ragazzi in attività caritative nel territorio depresso della Bassa milanese o nelle zone povere della Calabria. In tal senso, Horn mette in luce alcune differenze che intercorrevano tra GS e la FUCI, mostrando che le due organizzazioni non si discostavano tra loro per diversi orientamenti politici o per una contrapposizione tra conservazione dell’esistente e rinnovamento conciliare, bensì per il fatto che la FUCI, a differenza di Gioventù Studentesca, era più concentrata su una dimensione elitaria e politica dell’iniziativa cristiana[36].

    Per comprendere la storia di Gioventù Studentesca occorre tener conto anche di ricostruzioni che sono state pensate a partire da un’ottica interna all’esperienza di Comunione e Liberazione, a cominciare dall’opera di Massimo Camisasca dedicata alla storia di CL, il cui primo tomo si occupa di Gioventù Studentesca[37]. Il volume permette di scoprire aspetti prima ignorati dalla storiografia, utilizzando anche fonti inedite, affiancate però soprattutto da testimonianze rese oralmente. Naturalmente si è fatto riferimento anche alla recente e imponente biografia del sacerdote di Desio scritta da Alberto Savorana, che fa luce e arricchisce di dati preziosi diversi momenti della vita di don Giussani che restavano per lo più sconosciuti[38].

    Questa ricerca dedica ampio spazio alla ricostruzione della storia delle diverse edizioni della GS ambrosiana, grazie all’analisi di un’ampia e, per molti versi, inesplorata base documentaria, che mette in sinergia dati e notizie conservati da molti fondi archivistici di diverse istituzioni. Nella consapevolezza degli inevitabili limiti di qualsiasi ricerca storica, si vuole infatti contribuire a colmare una lacuna storiografica, che sino ad ora non ha permesso di cogliere in tutte le sue sfaccettature il significato dell’esperimento giessino, nei suoi caratteri e nelle sue peculiarità, come pure nella sua evoluzione e nelle innovazioni che ha proposto al mondo cattolico degli anni Cinquanta e Sessanta. Il rischio da evitare, non sempre considerato da chi se ne è occupato, è quello di far dipendere la lettura di Gioventù Studentesca dalle dinamiche interne al cattolicesimo italiano del periodo successivo, che tra l’altro ha visto il mondo giovanile completamente trasformato dalla contestazione e dagli esiti del Sessantotto. Sotto questo profilo, l’inserimento di GS nel suo contesto sorgivo, ovvero la Chiesa ambrosiana e l’Azione Cattolica, permette di chiarire molti aspetti della storia del movimento e di correggere linee interpretative che, alla luce della documentazione qui esaminata, si rivelano incomplete o eccessivamente influenzate dalla partecipazione agli eventi da parte di chi li ha ricostruiti.

    Questo libro è frutto della mia tesi di dottorato, lavoro seguito con pazienza e passione dalla professoressa Maria Bocci. A lei, e al professor Edoardo Bressan, va il mio più grande debito di gratitudine. Molte persone hanno reso possibile la ricerca di questi anni e questa pubblicazione e in particolare Danilo Zardin, Daniele Bardelli, Paolo Valvo, Federica Maveri, Pietro Bongiolatti e Francesco Tanzilli. Ringrazio per le occasioni di confronto Matteo Truffelli e Guido Panvini. Il lavoro di questi anni non sarebbe stato possibile senza la disponibilità e la professionalità dei responsabili e degli addetti agli archivi che ho avuto l’opportunità di consultare. Mi corre l’obbligo di ringraziare monsignor Bruno Bosatra e Cesare Pagani dell’Archivio diocesano milanese, il professor Paolo Trionfini che mi ha consentito di accedere all’Archivio dell’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia «Paolo VI», Giovanni De Gradi che ha seguito le mie ricerche presso l’Archivio dell’Azione cattolica di Milano e il dott. Angelo Radaelli, che mi ha permesso di consultare le carte di Giancarlo Brasca relative agli anni di Gioventù Studentesca. La mia riconoscenza va ai responsabili dell’Archivio del Movimento di Comunione e Liberazione e in particolare a Giancarlo Martinelli, Luca Marcora, Alessandra Rizza, Angelita Vezzoli, Alessandra Dordoni e Silvia Giampaolo, per la competenza e la disponibilità con cui hanno reso possibile il mio lavoro. Voglio ringraziare la mia famiglia e gli innumerevoli amici che mi hanno supportata in questi anni e che è impossibile elencare. Una menzione particolare ad Anna, Stefano, Margherita, Michele, Laura, Francesco, Luca, Giusi e Maria. Il più sentito ringraziamento va a Chiara, Angelica, Anna, Elisa, Marta, Patrizia e Veronica per la pazienza, la generosità e le innumerevoli domande, critiche e provocazioni che hanno reso questo lavoro ancor più appassionante. Questo libro è dedicato ad Antonella e a chi più mi è stato amico per avermi fatto scoprire la bellezza della libertà.


    [1] FCL, AMCL, Gioventù Studentesca, b. GS/6, f. 16, appunti della Presidenza diocesana della GIAC ambrosiana sulla situazione della diocesi, 1959.

    [2] D. Saresella - G. Vecchio, Mazzolari e il cattolicesimo prima del Concilio Vaticano II, Brescia, Morcelliana, 2012.

    [3] F. Piva, La Gioventù Cattolica in cammino. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954), Milano, Angeli, 2003.

    [4] Significative in tal senso sono le parole che nel 1964 don Ubaldo Valentini, responsabile dell’Ufficio catechistico della diocesi ambrosiana, scrisse a Giovanni Colombo parlando di Gioventù Studentesca. Il sacerdote, che in passato non aveva mancato di avanzare critiche al movimento, affermava che GS aveva «fatto sentire nel mondo degli studenti medi […] il Cattolicesimo come una realtà viva e che interessa tutti», impresa che non era riuscita ai precedenti tentativi dell’AC e di altri movimenti, i quali avevano limitato «la loro opera d’influenza ad un’élite, anche se, in molti casi, veramente eletta (S. Stanislao, Congregazioni Mariane, Azione Cattolica Maschile e Femminile, Salesiani)» (ADM, ASAC, b. 106, lettera di don Ubaldo Valentini a Giovanni Colombo, Milano, 6 aprile 1964).

    [5] I due archivi sono conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Milano.

    [6] Questi fondi fanno parte dell’Archivio dell’Azione Cattolica di Milano.

    [7] I due fondi si trovano a Roma presso l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia «Paolo VI» - ISACEM.

    [8] F. Piva, La Gioventù Cattolica in cammino, cit., pp. 62-63. Anche Scoppola ha evidenziato che molti cattolici in Italia avevano letto la mobilitazione e la vittoria del 18 aprile come la promessa dell’avvento di una «nuova cristianità», non accorgendosi che l’affermazione dei partiti cristiani in Italia e in Europa nascondeva l’inizio di un processo di secolarizzazione e di scristianizzazione della società (P. Scoppola, La «nuova cristianità» perduta, Roma, Studium, 2008, p. 32).

    [9] Per un quadro sintetico della percezione della crisi giovanile nel mondo cattolico si veda G. Vecchio, I cattolici italiani e la questione giovanile negli anni Cinquanta: spunti per una ricerca, in A. Carera - M. Taccolini - R. Canetta (a cura di), Temi e questioni di storia economica e sociale in età moderna e contemporanea. Studi in onore di Sergio Zaninelli, Milano, Vita e Pensiero, 1999, pp. 535-560. Come evidenzia Giorgio Vecchio, lo stesso don Primo Mazzolari, dalle pagine del suo giornale, si interrogò a più riprese sul problema della cosiddetta «gioventù bruciata» (ibid., pp. 552-553). Il sacerdote di Bozzolo arrivò ad attribuire la colpa della crisi giovanile alla società materialista, dedita a divertimenti vuoti e alla fallace moltiplicazione dei bisogni: SENEX [P. Mazzolari], I giochi proibiti, in «Adesso», 1° febbraio 1957. Importanti indicazioni sono anche nello studio di Antonio Acerbi che si concentra sui diversi atteggiamenti dei vescovi italiani di fronte alla crisi giovanile: A. Acerbi, Il problema dei giovani nella pastorale dei vescovi durante il secondo dopoguerra (1945-1958). Orientamenti e contributi dell’episcopato dell’Italia settentrionale, in Chiesa e progetto educativo nell’Italia del secondo dopoguerra 1945-1958, Brescia, La Scuola, 1988, pp. 37-74.

    [10] F. Olgiati, Delinquenza giovanile: il fenomeno dei teddy-boys, in «La rivista del clero italiano», XLI (1960), 2, pp. 65-76; Id., Il problema della gioventù traviata. Cause e rimedi, in «La rivista del clero italiano», XLI (1960), 3, pp. 125-135. Negli articoli citati da Olgiati a dimostrazione delle sue tesi, e tratti dalle più diverse testate giornalistiche italiane, si trovavano critiche spietate al cinema, alla televisione e alle mode americane, accusate di essere le maggiori cause della delinquenza giovanile.

    [11] G.B. Montini, Sul senso religioso, in G. B. Montini - L. Giussani, Sul senso religioso, a cura di M. Borghesi, Milano, Rizzoli, 2009, pp. 49-51.

    [12] G. Adornato, La Chiesa e i lontani: un bilancio a trent’anni dal grande esperimento della Missione di Milano del 1957, in «Studi e Fonti di Storia Lombarda. Quaderni milanesi», VII (1987), 14, pp. 88-97; Id., Parte Terza 1954-1963, L’episcopato milanese, in X. Toscani (a cura di), Paolo VI. Una biografia, Brescia - Roma, Istituto Paolo VI - Studium, 2014, pp. 243-356.

    [13] G. B. Montini, Sul senso religioso, cit., p. 55.

    [14] Si veda in proposito l’introduzione di Massimo Borghesi al volume G. B. Montini - L. Giussani, Sul senso religioso, cit.

    [15] G. B. Montini, Strumento principale di apostolato, 30 gennaio 1955, in Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. I, Roma - Brescia, Studium - Istituto Paolo VI, 1997, pp. 116-120.

    [16] G. Rumi, Montini e San Carlo, in Id., Giorgio Rumi. Perché la storia. Itinerari di ricerca (1963-2006), a cura di E. Bressan - D. Saresella, vol. II, Milano, Led, 2009, p. 878.

    [17] Le vicende della Presidenza di Mario Rossi alla GIAC sono ampiamente ricostruite in F. Piva, La Gioventù Cattolica in cammino,cit.,pp. 308-427.

    [18] Ibidem.

    [19] Ibidem.

    [20] M. C. Giuntella, Cristiani nella storia. Il caso Rossi e i suoi riflessi sulle organizzazioni cattoliche di massa, in A. Riccardi (a cura di), Pio XII, Bari, Laterza, 1984, pp. 347-377.

    [21] In proposito si faccia riferimento al saggio di M. Bocci, Il nostro «tempo non ammette una ordinaria amministrazione». L’arcivescovo Montini e i fermenti della Chiesa milanese, in «History of Education & Children’s Literature», XI (2016), 1, pp. 265-323.

    [22] S. Abbruzzese, Comunione e Liberazione, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 50-51.

    [23] M. Servidati, Fondazione e rifondazione di Gioventù Studentesca (1945-1968), in «Civiltà ambrosiana», IV (1987), 6, pp. 420-425.

    [24] G. Formigoni - G. Vecchio, L’Azione Cattolica nella Milano del Novecento, Milano, Rusconi, 1989, pp. 116-118. Altri cenni si trovano in M. Catella, Gioventù cattolica ambrosiana nell’età di Papa Pacelli, Milano, NED, 1983, pp. 89-102, e in F. Piva, La Gioventù Cattolica in cammino, cit., pp. 71-72.

    [25] «L’impostazione fondamentale di GS dopo il 1954 – partendo dai raggi scolastici fino alle attività culturali, per arrivare alle cosiddette iniziative, di cui la più ricordata è la presenza domenicale nelle parrocchie della Bassa milanese con finalità di promozione religiosa e animazione sociale – non era che la ripresa di un modulo da tempo sperimentato, nella stessa GS [di Brasca] o più in generale ad opera della GIAC. […] Sembra però anche avvertibile, oltre alla continuità organizzativa, un progressivo mutamento di accenti nei presupposti espliciti dell’esperienza, ridisegnati tra il 1954 e il 1957 in una serie di interventi di don Giussani» (G. Formigoni - G. Vecchio, L’Azione Cattolica nella Milano del Novecento, cit., pp. 120-121).

    [26] Ibid., pp. 121-124.

    [27] Ibid., pp. 155-164. Non mancano altre ricostruzioni del dibattito che si aprì tra Giuseppe Lazzati, alla guida dell’AC ambrosiana dal 1964, e la Presidenza della GIAC ambrosiana nella seconda metà degli anni Sessanta: M. Malpensa - A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986), Bologna, il Mulino, 2005; G. Formigoni, Le vicende dell’Azione Cattolica ambrosiana, in G. Routhier - L. Bressan - L. Vaccaro, Da Montini a Martini: il Vaticano II a Milano. Le figure, Brescia, Morcelliana, 2012, pp. 429-453.

    [28] E. Capozzi, Luigi Giussani e lo spartiacque del Sessantotto: da Gioventù Studentesca a Comunione e Liberazione, in «Ventunesimo Secolo», IX (2010), pp. 65-84.

    [29] S. Abbruzzese, Comunione e Liberazione, cit.

    [30] F. Ottaviano, Gli estremisti bianchi. Comunione e Liberazione: un partito nel partito, una chiesa nella chiesa, Roma, Datanews, 1986; E. Pace - R. Guolo, I fondamentalismi, Roma-Bari, Laterza, 1998; A. Giolo - B. Salvarani, I cattolici sono tutti uguali? Una mappa dei movimenti della Chiesa, Milano, Marietti, 1992; D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 113-115. In un più recente volume, Daniela Saresella parla di Comunione e Liberazione come di una terza via, forma «aggiornata di integralismo cattolico», che si differenzia sia dalla «scelta religiosa» operata da quei cattolici che criticano le «collusioni del mondo cattolico con il potere politico», sia da chi, con il Sessantotto, abbandona la prospettiva religiosa in nome di un’azione politica (ead., Cattolici a sinistra. Dal modernismo ai giorni nostri, Bari, Laterza, 2011, p. 139).

    [31] M. Faggioli, Breve storia dei movimenti cattolici, Roma, Carocci, 2008, p. 75.

    [32] D. Menozzi, Il sinodo sui laici e i «nuovi movimenti»: il «caso Lazzati», in «Cristianesimo nella storia», X (1989), pp. 107-127. Anche Faggioli, facendo propria l’interpretazione di Menozzi, parla di CL nel post-Concilio come di un’espressione del laicato organizzato che, al di là di un linguaggio teologico di colore esistenzialista, è la riproposizione del movimento cattolico di fine Ottocento e non di quello prodotto dal Concilio Vaticano II (M. Faggioli, Breve storia dei movimenti cattolici, cit., pp. 70-75).

    [33] M. Borghesi, Luigi Giussani. Conoscenza amorosa ed esperienza del vero. Un itinerario moderno, Bari, Edizioni di pagina, 2015.

    [34] M. Bocci, «La Chiesa in quanto tale». Il Concilio indiviso, da Gioventù Studentesca a Comunione e Liberazione, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XLV (2010), 2-3, pp. 187-281.

    [35] G. Panvini, Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano, Venezia, Marsilio, 2014, pp. 247-255.

    [36] «Unlike traditional Italian Catholic Action, which focused above all on the religious dimension, sometimes - as was also the case with the FUCI - likewise on the elite and electoral dimension of Italian Catholic politics, Giussani encouraged GS to concentrate on the social and cultural dimension of missionary» (G.-R. Horn, The Spirit of Vatican II. Western European Progressive Catholicism in the Long Sixties, Oxford, Oxford University press, 2015, pp. 200-203).

    [37] M. Camisasca, Comunione e Liberazione. Le origini, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, vol. I, 2001.

    [38] A. Savorana, Vita di don Giussani, Milano, Rizzoli, 2013.

    I. Cristiani nella scuola

    1. Giancarlo Brasca e Gioventù Studentesca: la ricerca di una risposta alle attese dei giovani

    Le profonde ferite e i cambiamenti che il secondo conflitto mondiale aveva portato nella vita degli italiani avevano fatto sorgere nuove attese tra i giovani cattolici. Esse richiedevano un aggiornamento dei metodi di apostolato dell’Azione Cattolica. Sembrò inizialmente comprenderlo Luigi Gedda, presidente della GIAC centrale che, nel 1944, di fronte all’imminente crollo delle forze nazifasciste, si accorse dei nuovi spazi che si aprivano alla presenza della Chiesa nella società e nel mondo delle fabbriche. Egli guardò tuttavia con preoccupazione il formarsi, in Italia, di gruppi di studenti e operai che si rifacevano al modello dell’Azione Cattolica belga e francese e che avevano la tendenza a dichiararsi indipendenti dalla GIAC[1]. Negli anni Trenta infatti, sia in Belgio sia in Francia, l’ACJF (Association Catholique de la Jeunesse Française) e la l’ACJB (Association Catholique de la Jeunesse Belge) erano state trasformate in federazioni di movimenti d’ambiente, con un certo sbilanciamento a favore dell’attività sociale, a scapito della formazione religiosa[2]. Sia per ricondurre i nascenti gruppi di studenti e operai sotto la direzione della GIAC, sia per tentare di dare risposta alle attese di rinnovamento dei giovani cattolici, Luigi Gedda si fece promotore, nel novembre del 1944, della nascita di due movimenti nazionali che avrebbero organizzato e promosso la presenza dei giovani cattolici nelle scuole e nelle fabbriche italiane: Gioventù Studentesca e Gioventù Operaia (poi GIOC)[3].

    Le due nuove organizzazioni furono definite «opere» della Gioventù Cattolica. Dotate di autonomia organizzativa dalla GIAC, esse avrebbero avuto dirigenti nazionali e locali eletti dagli iscritti, proprie sedi cittadine e sezioni negli ambienti di lavoro e nelle scuole. Allo scopo di scongiurare la dispersione delle forze dei giovani di Azione Cattolica in differenti iniziative, si pose fine all’esperienze, maturate durante il fascismo, dei ‘raggi’ e dei gruppi parrocchiali specializzati per studenti e operai. I raggi erano stati creati dallo stesso Gedda nel 1934 quando, approdato alla Presidenza della Gioventù di Azione Cattolica, aveva tentato di operare una ristrutturazione dell’associazione. Essi erano dei ritrovi quindicinali degli studenti dell’Azione Cattolica di una determinata scuola ed erano momenti di aiuto organizzativo all’opera di apostolato che gli studenti svolgevano poi a titolo personale nei propri istituti. I raggi avevano perciò il solo scopo di coordinare l’azione apostolica individuale, mentre la formazione religiosa continuava a svolgersi negli oratori. Quest’ultima sembrava essere, almeno nel progetto iniziale, la differenza con i due movimenti nazionali creati nel 1944, GS e GIOC, all’interno dei quali si doveva svolgere sia l’azione formativa, sia quella di apostolato[4].

    Dopo la fine della guerra, nel luglio del 1945, la GIAC nazionale organizzò una tre giorni ad Arona, per presentare il progetto della GS e della GIOC nei territori liberati del Nord[5]. A Milano, Gioventù Studentesca nacque grazie all’iniziativa di Giancarlo Brasca, giovane laureato dell’Università Cattolica, cresciuto sotto la guida di don Francesco Olgiati[6]. Dal 1940 al 1942, Brasca aveva iniziato il suo apostolato tra i giovani come delegato diocesano aspiranti. Nel 1942, al termine dei suoi studi universitari, era stato assunto da padre Agostino Gemelli come dipendente della biblioteca dell’Ateneo del Sacro Cuore[7]. Nel 1945 Brasca scelse la strada della consacrazione laicale, ed entrò a far parte del sodalizio dei Missionari della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, fondato da padre Gemelli[8]. Questa decisione segnò la sua attività all’interno dell’Azione Cattolica. In Gemelli, Brasca vedeva una propensione all’‘azione’, unita a un lavoro di ascesi e di perfezionamento personale, che diventeranno i due tratti salienti della sua personalità e della sua opera educativa. Egli sostenne sempre la necessità di rimanere laici, partecipando alla vita e alle fatiche degli uomini, per poter portare la testimonianza cristiana in ogni ambito della società e a tutti gli uomini[9].

    Brasca scelse il mondo giovanile, ed in particolare quello delle scuole milanesi, come luogo della sua missione[10]. A muoverlo furono alcune considerazioni sulla condizione degli studenti a Milano, che egli illustrò nell’introduzione del primo statuto di GS, nel luglio del 1945: dei 23.000 studenti medi e dei 10.000-15.000 universitari milanesi, solo 1.323 erano iscritti all’AC e circa 300 alla FUCI[11]. A questi si aggiungevano i pochissimi iscritti alla DC e i giovani che frequentavano gli oratori, il cui numero, però, precipitava «rovinosamente» dopo il compimento dei 15 anni. Tra gli studenti regnavano la massima indifferenza per il problema religioso e «la più grossa ignoranza» riguardo ai principi del cristianesimo. Se era vero, infatti, che il rinato clima di libertà aveva risvegliato energie sopite fino a poco tempo prima «nell’indifferenza e nello scetticismo», le nuove attività promosse dai giovani si muovevano, tuttavia, «entro una concezione materialista della vita»[12]. Per Brasca, la situazione era aggravata dal comportamento di molti insegnanti dei licei milanesi che, sempre più frequentemente, utilizzavano le ore di insegnamento per diffondere e giustificare «idee anticristiane e materialiste». Numerose erano poi le associazioni studentesche che stavano nascendo nei licei milanesi, ispirate a un pensiero anticristiano. A esse era necessario, per Brasca, opporre il lavoro di organizzazioni cristiane, per non farsi sottrarre la «massa studentesca», che sarebbe stata «la futura classe dirigente del paese»[13]. La situazione richiedeva, a suo parere, la fondazione di una «associazione di studenti, che vogliono in comune lavorare alla formazione integrale della propria personalità, armonicamente sviluppando corpo, mente e cuore in una concezione basata sui valori spirituali e cattolici […], e prepararsi seriamente alla loro specifica missione, intendendo la vita come servizio sociale»[14].

    Come scrisse lo stesso Brasca, egli aveva deciso di aderire al progetto nazionale di Gioventù Studentesca perché la nuova opera della GIAC sarebbe stata «controllata e promossa dall’Azione Cattolica», ma avrebbe goduto, nei centri cittadini e diocesani, di «una larga autonomia che le consentisse di trovare la fisionomia più adatta a raggiungere i suoi scopi»[15]. Gioventù Studentesca, per Brasca, non doveva essere un «doppione» dell’Azione Cattolica[16]. Quest’ultima, infatti, aveva il compito di formare giovani che già avevano aderito convintamente ai valori cristiani, per farne apostoli nei loro luoghi di vita. GS, invece, non si rivolgeva a una élite, ma a tutta la «massa studentesca» come insieme di giovani «cattolicizzabili», per metterli nelle condizioni di diventare «elementi vivi e operosi essi stessi», e non più «solo oggetto d’azione apostolica di un gruppo ben formato»[17]. La nascente organizzazione avrebbe lavorato per restituire una seppur minima conoscenza dei valori cristiani e umani a quei giovani che guardavano con diffidenza ai sacerdoti, alla Chiesa e a ogni azione che potesse «sapere anche solo da lontano di paternalismo»[18]. Per questo GS si riservava «quelle iniziative che giovino a dar movimento e vita spontanea ai giovani, portandoli alla riconquista personale dei valori culturali cristiani […] che troppe volte restano alla superficie e all’esterno della loro anima»[19]. Gli studenti, secondo Brasca, guardavano con disinteresse l’istruzione religiosa, sia quella impartita a scuola nell’ora di religione, sia quella catechistica degli oratori, perché presentata loro in modo teorico e disgiunto dalle esigenze della vita. Per ovviare a questo problema, all’interno di GS, gli studenti «scettici e lontani» sarebbero stati attratti prima «con lo sport e il divertimento»; a quel punto si sarebbe «dissodata» la loro anima «con la cultura e l’attività sociale», e solo alla fine di questo percorso si sarebbe proposta una formazione religiosa ai giovani che lo desideravano[20]. Essi, infatti, prima di aver ricevuto una «formazione umana» adeguata, «non sarebbero nemmeno [stati] in grado di capire e di trarre profitto» dalla conoscenza del cristianesimo[21].

    La prima tre giorni della Gioventù Studentesca milanese fu organizzata al Collegio arcivescovile di Tradate, dall’1° al 3 agosto del 1945. A Brasca si affiancarono da subito una decina di giovani, per lo più appartenenti all’Azione Cattolica, che avevano partecipato, durante gli anni della guerra, al ‘ritrovo studenti’ formatosi presso l’oratorio di Santa Maria della Passione, sotto la guida di padre David Maria Turoldo e con l’approvazione del parroco, don Giuseppe Sironi[22].

    La GIAC ambrosiana decise di rinunciare alla propria organizzazione studentesca per far confluire i suoi giovani in GS[23]. Quest’ultima era pensata dai suoi animatori ambrosiani come un’associazione presente nelle scuole e non più - come i passati esperimenti dei ritrovi studenti- a base parrocchiale. Gioventù Studentesca avrebbe avuto una propria sede, un’autonoma struttura organizzativa e si sarebbe mostrata senza espliciti legami con le organizzazioni di AC[24]. In ogni scuola sarebbe inoltre sorta una ‘sezione’ o ‘gruppo’ di GS che avrebbe avuto, secondo Brasca, un duplice scopo: quello di portare l’esperienza del centro cittadino di GS nella scuola e quello di riportare nell’organizzazione i fermenti e le esigenze della vita degli istituti.

    Uno tra i più stretti collaboratori di Brasca fu Filippo Hazon[25], che portò in GS il suo specifico contributo di idee. Hazon era stato, durante la Resistenza, membro del comitato provinciale del Fronte della Gioventù (FdG) e in tale esperienza aveva maturato il convincimento che la prima urgenza nel dopoguerra fosse quella di affinare i giovani allo spirito democratico[26]. Educare cristianamente, per Hazon come per alcuni dei primi giessini, significava anzitutto trasformare i giovani in cittadini esemplari, educarli all’impegno civile e politico, al rispetto della democrazia e della pluralità istituzionale[27]. Il Fronte della Gioventù era stato, durante la Resistenza, un’organizzazione clandestina per la lotta antifascista degli studenti, con interessi politico-sindacali[28]. Nel maggio del 1945, scriveva Hazon, il FdG era ovunque controllato da esponenti del Partito Comunista e tuttavia la sua attività nelle scuole si riduceva spesso all’organizzazione di balli e varie forme di divertimento. La Democrazia Cristiana ne aveva preso le distanze, l’Azione Cattolica e i sacerdoti erano contrari a essa e la maggior parte degli studenti era indifferente e non partecipava alle sue attività[29].

    A causa di tale situazione, nel dopoguerra Hazon aveva abbandonato il suo impegno nel Fronte della Gioventù e aveva collaborato alla fondazione dell’Associazione Studenti Medi (ASM), nata ufficialmente nel giugno del 1945. L’ASM era un organismo apartitico che si prefiggeva, attraverso la collaborazione dei movimenti e delle organizzazioni giovanili, di contribuire, nell’ambito scolastico, all’educazione politica e civile degli studenti delle scuole superiori. Suo compito era quello di formare, tra gli studenti, una mentalità «democratica e progressista», e «di dar loro senso di responsabilità, di abituarli ed esercitarli consapevolmente all’autogoverno, alla libertà di pensiero e di critica»[30]. L’ASM era un’organizzazione politica, ma «superpartitica»: prima di immettere i giovani nei partiti si riteneva necessario educarli a ragionare in modo autonomo. Ciò avrebbe salvaguardato la scuola da dannose divisioni tra gli studenti. L’Associazione Studenti Medi si era fatta promotrice dei cosidetti consigli di scuola, organi di rappresentanza degli studenti, eletti a maggioranza da tutti gli iscritti dell’istituto, che avrebbero dovuto «collaborare con le autorità scolastiche, per il miglior andamento della vita scolastica, e per una più attiva partecipazione ad essa degli studenti»[31].

    La GS milanese aderì da subito all’ASM e ne sostenne le iniziative nelle scuole in cui essa esisteva. Già nel primo statuto del 1945, tra le prerogative di Gioventù Studentesca si trovava quella di favorire le «rivendicazioni studentesche» e di promuovere iniziative di «democrazia scolastica» come referendum, consultazioni, commissioni di studio sui problemi della scuola e attività di collaborazione con le altre associazioni scolastiche[32]. GS contribuì inizialmente alla vita dei consigli di scuola, tanto che Brasca, nel 1946, scriveva: «I Consigli di Scuola […] si trovarono praticamente nelle nostre mani e dovunque furono controllati e diretti da noi»[33].

    Dopo poco più di un anno dalla fondazione di GS, però, la situazione reale della vita nelle scuole rese necessarie alcune riflessioni. Nel primo convegno regionale lombardo di GS, svoltosi tra il 30 agosto e il 2 settembre 1946, fu votata a maggioranza la decisione di non promuovere più la nascita dei consigli di scuola. Il cambio di rotta era dettato sia da ragioni di carattere contingente, sia da considerazioni sulla natura stessa dei consigli d’istituto. Nelle scuole, le «azioni di rappresentanza» erano attuate in un numero talmente esiguo, che non era necessario un organismo permanente per promuoverle. I consigli di scuola, inoltre, tendevano «inevitabilmente, per darsi un contenuto, ad esulare dalla pura attività di rappresentanza, e a svolgere iniziative culturali, sportive e assistenziali»[34]. Con il passare del tempo e il consolidarsi della loro forma giuridica, i consigli di scuola avrebbero preso «il monopolio di tutte queste attività nella scuola» e, «dato il loro carattere ufficiale, e il desiderio delle autorità scolastiche di evitare per quanto possibile attività di parte», si sarebbe giunti alla «pratica impossibilità di vita delle libere associazioni studentesche»[35]. Era il preludio di un dibattito che avrebbe attraversato il mondo cattolico milanese per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta. Si mescolavano, infatti, due distinte preoccupazioni. Da una parte chi, nel mondo cattolico, sottolineava il valore dei consigli di scuola (poi trasformatisi in associazioni d’istituto), per la possibilità che essi offrivano agli studenti cattolici di collaborare e dialogare con studenti che abbracciavano differenti ideali, educandosi così al valore imprescindibile della democrazia. Dall’altra, però, coloro che ravvisavano, nell’affermazione dei consigli unici di scuola, il rischio di un venir meno della libertà di espressione delle diverse associazioni e dei movimenti all’interno degli istituti scolastici.

    I gruppi di GS, durante il loro primo anno di vita, organizzarono cicli culturali, gare sportive e concerti[36]. Molto efficaci nell’attrarre nuovi studenti furono, secondo Brasca, i momenti di vita comune come gite, escursioni, vacanze estive e, più di tutto, i «gruppi di studio», ovvero piccoli nuclei di studenti, guidati da giovani universitari o professori, che si ritrovavano per approfondire e sviluppare ricerche su determinati problemi culturali e di attualità[37]. Il seguito generato da queste ultime iniziative confermava l’intuizione di Brasca secondo cui i giovani preferivano attività che li interpellassero come soggetti attivi, più che come fruitori passivi. A tale scopo nacquero in GS anche le cosiddette «attività sociali», che spaziavano dal servizio di pasti per i poveri presso l’Opera cardinal Ferrari, alla raccolta di fondi per borse di studio a sostegno di studenti meritevoli e indigenti. Alla nascita di GS si era pensato alla promozione di attività caritatevoli ma, scriveva Brasca, constatato che tra i giovani era particolarmente sentito il problema della giustizia sociale, si era deciso di sostituire con «attività sociali» alcune iniziative che per i giessini avevano il difetto di «porsi troppo su un piano di carità». Lo studente, «vivendo in un’atmosfera arroventata da discussioni sui problemi sociali, sent[iva] fortemente che i cristiani» dovevano «interessarsi anche di ciò che spetta[va] la giustizia»[38].

    Durante tutto il 1945 fu lasciata sostanziale libertà nella strutturazione di GS a livello milanese. Da Roma arrivarono scarse indicazioni, e comunque non vincolanti. Nello stesso anno era nata, inoltre, la Gioventù Studentesca lombarda, di cui Brasca era segretario. A motivo di questo incarico, egli era stato nominato consultore centrale della GIAC per la Lombardia e aveva mantenuto buoni rapporti con il nuovo presidente nazionale dei giovani di AC, Carlo Carretto. A livello nazionale, però, GS e GIOC stentavano a prendere una forma ben definita. Le ragioni erano molteplici: molti si rifiutavano di rinunciare ai gruppi specializzati di studenti che erano nati nelle parrocchie, alcuni vescovi guardavano con diffidenza ai gruppi operai e, soprattutto, si registrava la mancanza di militanti e sacerdoti che fossero in grado di guidare i gruppi nelle scuole e nelle fabbriche[39]. Nell’ottobre del 1946, con i nuovi statuti dell’Azione Cattolica approvati da Pio XII dopo due anni di lavori, si operò un ridimensionamento del progetto iniziale sia di GS, sia della GIOC. In base al nuovo statuto, sette erano le organizzazioni nazionali dell’AC: Unione uomini, Unione donne, GIAC, GF, FUCI, Movimento Maestri e Movimento Laureati. Esse avevano strutture nazionali, diocesane e, a esclusione delle ultime tre, parrocchiali. GS e GIOC furono riassorbite dalla GIAC e dichiarate da essa direttamente dipendenti. Le «opere» si sarebbero trasformate in gruppi di formazione specializzata per gli studenti e gli operai all’interno dei nuclei parrocchiali della GIAC[40]. Si trattava di una chiara inversione di marcia rispetto alle decisioni prese nel 1944.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1