Dio visto da Sud: La Sicilia crocevia di religioni e agnosticismi
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In questo volume Cavadi riprende e ripropone con maggiore organicità alcune delle principali questioni sulle quali negli anni ha scritto.
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Anteprima del libro
Dio visto da Sud - Augusto Cavadi
PER UNA CHIAVE DI LETTURA
Per ragioni professionali e, più ancora, esistenziali sono molto attento a ciò che mi accade intorno, dunque anche ai fenomeni religiosi. Grazie ad alcune testate giornalistiche – la pagina siciliana del quotidiano La Repubblica
in primis – ho il privilegio di confrontare le mie riflessioni con lettori di ogni appartenenza ideologica, lettori che, spesso, soprattutto da quando usiamo la rete telematica, si trasformano in veri e propri interlocutori.
Si sono così accumulati sul mio tavolo diversi articoli pubblicati negli ultimi decenni destinati, come tutti gli articoli – ma, direi, prima o poi come tutto – a sprofondare nell’oblio.
In una delle tante volte in cui sono stato afferrato dal raptus ordinandi mi sono chiesto se alcuni di questi articoli non potessero servire, per un po’ di tempo ancora, a persone interessate ad apprendere o anche solo
a ricordare alcuni momenti della storia religiosa siciliana dagli anni Ottanta del secolo scorso a oggi. La risposta affermativa si è concretizzata nel libro che avete in mano e per la cui fruizione devo premettere qualche precisazione.
La prima: non si tratta di un saggio teologico che voglia affrontare sistematicamente questioni più o meno spinose, ma del racconto, alquanto rapsodico, di un processo in corso, ossia della testimonianza di una varietà di problemi, intuizioni, esperimenti, polemiche che ho selezionato tra molti altri materiali non meno interessanti. Dunque una testimonianza parziale, incompleta, tuttavia funzionale a eventuali storici delle idee e dei costumi che, in futuro, vorranno impegnarsi in ricostruzioni organiche. Per tale ragione in ogni paragrafo riporto i riferimenti dei pezzi giornalistici che ho riprodotto nella sostanziale formula originaria e in ordine cronologico di pubblicazione. Ho, altresì, optato per conservare il registro originario dei testi affinché non venissero privati del valore di documentazione di un percorso diacronico sia personale che, soprattutto, collettivo.
La seconda precisazione è relativa al campo di osservazione che è la storia della mia Isola. Un’angolazione troppo limitata, angusta? Lo sarebbe certamente se la Sicilia non fosse una sineddoche, ovvero una parte che sta per il tutto, un microcosmo che condensa un macrocosmo e a esso rimanda, una terra che evoca la logica dell’ologramma, un frammento che riproduce l’intero; per ridirlo con Leonardo Sciascia (1979), una metafora.
A questo punto arrivo a una terza e ultima precisazione: l’attenzione alla dimensione religiosa potrebbe apparire, a prima vista, riduttiva. Ci si potrebbe chiedere se la storia di quest’isola mediterranea non offra aspetti di più ampio interesse. Chi formulasse simili riserve avrebbe le sue ragioni, ma proprio le pagine di questo libro attestano la fondatezza di altre non solo perché confermano quanto i sociologi oramai riconoscono a livello planetario – che, cioè, il mondo di oggi è «furiosamente religioso tanto quanto lo è sempre stato; in alcuni posti lo è addirittura di più»¹ (Berger P.L., 2005) – ma anche perché documentano una specificità della Sicilia: chi osserva, con occhio laicamente disincantato, i fenomeni religiosi riconosce, infatti, in essa una sorta di mondo in miniatura. In questa zona del Meridione italiano, infatti, le dinamiche religiose presentano contrasti drammatici e perversioni spaventose così come tensioni verso un futuro inedito².
Questo libro, insomma, è stato dettato dalla convinzione, che per il lettore è un’ipotesi tutta da verificare, che nel pensiero meridiano, sul quale ha meritoriamente attirato l’attenzione Franco Cassano (1996)³, rientra, fra molte altre, la valenza teologica. La questione su Dio, vista da Sud, conserva rispetto ad altre prospettive elementi di arcaicità e d’interesse più storico-antropologico, se non addirittura folkloristico, ma anche fermenti profetici, anticipazioni prolettiche su quanto potrà avvenire nel mondo di domani.
Preciso, altresì, che la prospettiva di ricostruzione, riflessione e analisi che ho adottato segue un movimento induttivo-centrifugo: induttivo perché parte da eventi, personaggi, storie particolari della cronaca quotidiana; centrifugo perché, come i cerchi disegnati da un sasso nelle acque di un lago, si espande a partire da un centro non certo assoluto – in questo caso, dalla mia posizione geografica e storica – verso confini sempre più dilatati. Dunque partirò da tematiche interne al mondo cattolico per allargare gradualmente lo sguardo alle altre Chiese cristiane – ortodosse, riformate, anglicane, ecc.; alle altre due grandi tradizioni monoteistiche, l’ebraismo e l’islamismo, sino ad arrivare alle più recenti presenze induiste e buddhiste.
Infine, nella misura in cui senza il confronto dialettico con posizioni agnostiche e atee nessuna organizzazione confessionale può sperare di rinnovarsi profondamente, cercherò di rendere il quadro meno incompleto toccando alcune questioni di confine che, a mio sommesso avviso, esigono, da parte di credenti e non, un atteggiamento di sincera, convinta, laicità solidale⁴.
Mi auguro che gli interventi selezionati e ordinati, come a formare i tasselli di un composito mosaico, possano evidenziare quanto il nostro tempo, come le epoche che l’hanno preceduto, non si lasci decifrare compiutamente laddove si trascuri il travaglio delle intelligenze pensanti sugli interrogativi filosofico-teologici e l’autentica laicità venga banalmente intesa come ignoranza o, peggio ancora, censura di ciò che sfugge ai nostri calcoli matematici.
Ugualmente mi auguro che la franchezza con cui esprimo perplessità e critiche sulle istituzioni religiose e sui loro patrimoni, tradizionalmente spacciati per indiscutibili, non riesca offensiva per alcuno: se non altro a livello conscio, in questi decenni sono stato animato dall’amore per la verità – quel poco di verità attingibile da noi mortali – e per l’evoluzione spirituale del genere umano senza risentimenti né astio. Insomma, non vorrei risultare del tutto indigesto né ai laici positivisti
né ai credenti super-corazzati, tuttavia so che non è facile: in Italia sembrerebbero avere diritto di parola sulle questioni religiose solo i monsignori televisivi, da un lato, e gli scienziati che interloquiscono con loro con disincantato scetticismo, dall’altro; invece se uno coltiva la teologia, ma non si considera parte di un gregge fedele, provoca un certo disorientamento nell’opinione pubblica. Perché? Perché non c’è spazio fra il bigottismo dogmatico e l’agnosticismo censorio? Soprattutto perché, a differenza di altre aree geografiche anche europee, dall’ormai lontano 1861, anno dell’Unità d’Italia, vige una spartizione di competenze fra Stato e Chiesa cattolica, ad esempio per quanto riguarda l’insegnamento della teologia per il quale, a eccezione, piuttosto recente, di una Facoltà di Teologia delle Chiese valdesi-metodiste a Roma, il primo delega alla seconda ancora oggi il monopolio dello stesso. Apparentemente sono tutti felici: lo Stato risparmia soldi, la Chiesa cattolica controlla l’ortodossia dei teologi; tuttavia gli effetti, nel lungo periodo, sono disastrosi sia per la cultura laica
che affronta settori disciplinari, come la storia della letteratura o dell’arte, con conoscenze teologiche più o meno ferme agli anni della preparazione per la prima comunione, sia per la cultura cattolica che, priva dello sprone dialettico del pensiero filosofico, scientifico e artistico, rischia di avvolgersi autoreferenzialmente su se stessa.
Le sfide della natura e della storia sono troppo gravi perché, tra noi umani, non si abbattano le barriere di ogni genere e non ci si coalizzi in un progetto comune di liberazione e di progresso integrale. E in tal senso la Sicilia, il Meridione italiano, hanno qualcosa da conferire nel cestello comune: esperienze, punti di vista, ipotesi di percorsi di ricerca. Contributi parziali che, certo, sanno di essere tali, ma non per questo risultano irrilevanti o trascurabili.
Il mondo cattolico
e le sue inquietudini
MONDO CATTOLICO
TRA VANGELO E TRADIZIONE
Se analizziamo la fenomenologia del mondo cattolico meridionale, ci imbattiamo in almeno tre macro-problematiche che, come è facile intuire, ne coinvolgono molte altre, più o meno connesse tra di loro: la bioetica, il rapporto con il potere politico, le relazioni pericolose con il sistema mafioso.
La prima grande questione è – e lo è stata ancor più sino all’elezione di papa Francesco – il divario fra l’essenzialità del messaggio evangelico e la superfetazione, nei venti secoli successivi, di una serie di dogmi, precetti e divieti che hanno finito con l’oscurarne l’originaria luminosità. L’appartenenza cattolica è così diventata, paradossalmente, meno impegnativa sotto certi punti di vista⁵ e più gravosa sotto altri dal momento che in molti ambiti, a cominciare dall’etica sessuale, sono stati imposti dei pesi che quasi nessuna delle altre Chiese cristiane contemporanee conosce in misura equivalente.
Tra i nodi più significativi che questa tensione, fra fedeltà alla proposta evangelica dell’amore per il prossimo e obbedienza ai mille precetti ecclesiastici, in questi decenni ha messo in luce sono individuabili un’educazione sessuofobica penalizzante che comporta non solo infelicità individuale, ma conseguentemente anche atteggiamenti aggressivi nei confronti degli altri e delle altre, soprattutto se ritenuti/e, a torto o a ragione, diversi/e; una nuova normativa in tema di matrimonio e divorzio⁶; il riconoscimento legale delle coppie di fatto, riconoscimento che, lungi dallo svalutare il vincolo matrimoniale, ne individua il valore proprio nella misura in cui chiede una normativa ad hoc che avvicini a esso le relazioni non-coniugali classiche; il superamento di ogni forma di omofobia soprattutto alla luce delle ormai salde acquisizioni delle scienze mediche e psicologiche sull’origine genetica, dunque non soggetta a opzioni personali, delle tendenze omoaffettive; il riconoscimento del diritto a chiedere una buona morte
, richiesta che non ha nulla in comune con la pratica nazista, ipocritamente denominata eutanasia, di decretare la morte altrui.
Un arcivescovo di Milano, il cardinal Carlo Maria Martini, uno dei vescovi italiani di intelligenza e di rettitudine al di sopra di ogni sospetto, lo aveva detto chiaro e tondo prima della sua morte avvenuta nel 2012: «La Chiesa è rimasta indietro di almeno duecento anni»⁷. E papa Francesco, gesuita come il presule ambrosiano, ha ripreso e ribadito più di una volta il medesimo giudizio.
Vediamo dunque alcuni eventi che, in