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Cattolici del Sessantotto: Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione tra gli anni Sessanta e Settanta
Cattolici del Sessantotto: Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione tra gli anni Sessanta e Settanta
Cattolici del Sessantotto: Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione tra gli anni Sessanta e Settanta
E-book283 pagine3 ore

Cattolici del Sessantotto: Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione tra gli anni Sessanta e Settanta

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Info su questo ebook

Il Sessantotto fu certamente una festa, un anno multicolore, come i vestiti indossati dai ragazzi e dalle ragazze che nelle scuole superiori abbandonarono cravatte e grembiuli, e come le appartenenze che nelle università si mescolarono e si confusero allo stesso modo di striscioni e bandiere. Fu un anno sfacciato e divertente, ma anche acidamente irriverente, un anno irrispettoso come le scritte sui muri e gli slogan dei cortei. Molti giovani provenienti dalle parrocchie e dalle associazioni cattoliche si immersero come i loro coetanei in quella marea inaspettata, vivendo un’esperienza di liberazione e di autonomia, di impegno totalizzante e di soggettività creativa.

I saggi raccolti in questo libro ricostruiscono in modo originale e documentato il ruolo dei cattolici europei nelle contestazioni studentesche. Il volume si inserisce così nel dibattito pubblico sul Sessantotto, chiarendo le scelte dei cattolici che parteciparono alle manifestazioni e le reazioni degli ambienti politici ed ecclesiastici di fronte all’imprevista ondata di proteste.
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2020
ISBN9788838250200
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    Cattolici del Sessantotto - Marta Margotti

    Marta Margotti (ED.)

    Cattolici del Sessantotto

    Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione tra gli anni Sessanta e Settanta

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    La pubblicazione del presente volume è stata realizzata con il contributo del Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Torino

    Per la foto dell’immagine di copertina, di Uliano Lucas, CC BY-SA 4.0 (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/File:Eskimo.jpg).

    Copyright © 2019 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-5020-0

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838250200

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione, Marta Margotti

    Abbreviazioni e Sigle

    SENZA FINE, SENZA CONFINI

    Il Sessantotto di carta. I giornali del progressismo cattolico in Europa, Gerd-Rainer Horn

    Fra trono e marciapiede. La povertà della chiesa come tema religioso della contestazione, Matteo Mennini

    La politica sotto accusa. Comunisti e democristiani di fronte alla contestazione cattolica, Alessandro Santagata

    CATTOLICI DENTRO LA PROTESTA

    In tutta altra direzione. La Fuci e il Sessantotto, Tiziano Torres

    Le riviste dei cattolici italiani nel Sessantotto: il caso de «Il Gallo», Paolo Zanini

    Cattolici veneti nel lungo Sessantotto, Alba Lazzaretto

    Una generazione alla prova. Cattolici nella contestazione universitaria a Torino, Marta Margotti

    Indice dei nomi

    Cultura Studium

    Introduzione, Marta Margotti

    La partecipazione dei cattolici alle manifestazioni del Sessantotto costituì uno degli elementi che contribuì alla più ampia diffusione della contestazione negli ambienti giovanili e studenteschi e accompagnò la successiva radicalizzazione delle proteste sociali in senso antiautoritario e antiistituzionale, in Italia come in altri paesi occidentali [1] . Facendosi interpreti di una lettura radicale dell’aggiornamento proveniente dal Concilio vaticano II (1962-1965), numerosi giovani credenti furono tra i protagonisti delle discussioni sulle riforme universitarie, dei dibatti nei collettivi studenteschi e poi delle occupazioni di istituti superiori e atenei [2] . Nella temperie del biennio 1968-1969, la cultura di questi militanti cattolici si contaminò rapidamente con culture politiche che erano condannate duramente dal magistero ecclesiastico (dal collettivismo comunista all’individualismo libertario, dal neo-marxismo all’anarchismo rivoluzionario), attraverso la pratica di nuovi linguaggi, ritualità, forme di aggregazione e stili di vita sperimentati sempre più lontano dai luoghi controllati dalle istituzioni cattoliche. Si trattò di una frattura spesso profonda, rispecchiata in molte traiettorie di vita di ragazzi e ragazze provenienti dalle parrocchie e dalle associazioni cattoliche, che può essere compresa nelle sue origini e nei suoi esiti snodando i fili di vicende individuali e collettive che trovarono proprio in quel fatidico biennio un punto di imprevedibile aggrovigliamento.

    Partendo dalla complessità dei percorsi che portarono molti giovani cattolici nel Movimento del Sessantotto e proponendo una lettura policentrica e transnazionale di quella stagione, il presente volume raccoglie una serie di saggi che ricostruiscono alcuni aspetti rilevanti delle tensioni verificatesi nell’immediato post Concilio e indicano la sincronicità e le forti similitudini nella partecipazione dei giovani credenti al ciclo di proteste sociali sviluppatesi nei paesi occidentali alla fine degli anni Sessanta. Si è inteso anche mostrare le potenzialità contenute in ricerche che connettono la dimensione globale della presenza dei giovani cattolici nella contestazione studentesca ad alcuni fenomeni emersi localmente, in precisi contesti regionali e associativi, osservando come preti e laici abbiano risposto alla montante protesta giovanile sulla base sia di tendenze di portata mondiale, sia di processi che contrassegnavano specifici ambienti religiosi e sociali, sia delle personali vicende esistenziali. Le ricerche ora presentate, condotte da studiose e studiosi italiani e stranieri a partire dal convegno svoltosi a Torino il 22 e 23 novembre 2018, permettono di documentare l’intensa circolazione nel cattolicesimo di persone, riflessioni e miti del Sessantotto, ma pure di individuare con maggior precisione l’origine della miscela di profezie sociali e messianismi politici che scossero il decennio successivo, alimentata anche dalla presenza di militanti cristiani nelle agitazioni studentesche e operaie del biennio rosso.

    Questa iniziativa editoriale intende dunque contribuire a colmare il difetto di attenzione riscontrabile talvolta nella storiografia sul Sessantotto che, trascurando l’humus cattolico dove affondano in parte le radici del Movimento, propongono un’immagine almeno incompleta di quei mesi burrascosi. Allo stesso modo, l’interesse degli storici per le trasformazioni della Chiesa dopo il Concilio vaticano II più raramente si è rivolto allo specifico ruolo di preti e laici nella contestazione giovanile e studentesca [3] , focalizzandosi piuttosto sulla ricezione dell’aggiornamento conciliare o sulle successive esperienze di dissenso cattolico più orientate verso le battaglie per la riforma religiosa e l’impegno politico diretto. In effetti, i cattolici del Sessantotto non possono essere identificati totalmente con i cattolici del dissenso [4] : seppure è possibile registrare la confluenza nella successiva magmatica contestazione cattolica di alcuni di coloro che parteciparono alle proteste studentesche, la sovrapposizione delle due militanze non fu automatica e neppure caratterizzata dall’univocità negli orientamenti [5] .

    Evidentemente fenomeni di radicalizzazione e politicizzazione in senso progressista del cattolicesimo si erano presentati già prima del Concilio [6] e, comunque, la partecipazione alle proteste del Sessantotto non riguardò tutte le componenti generazionali e culturali della Chiesa, e nemmeno la maggior parte di queste. Per i più coriacei oppositori delle riforme del Concilio, quelle proteste erano la conferma della degenerazione provocata dalle tendenze di sinistra presenti nel cattolicesimo mondiale che, condannate da Pio XII, si riteneva avessero trovato legittimazione nella Chiesa di Giovanni XXIII e di Paolo VI [7] . Anche nel cattolicesimo, dunque, lo spettacolo del Sessantotto fu vissuto con intensità diverse e giudizi contrastanti, suscitando entusiasmo, preoccupazione o angoscia, quasi mai indifferenza [8] .

    Il Sessantotto fu certamente una festa, un anno multicolore, come i vestiti indossati dai ragazzi e dalle ragazze che nelle scuole superiori abbandonarono cravatte e grembiuli, e come le appartenenze che si mescolarono e si confusero allo stesso modo di striscioni e bandiere. Fu un anno travolgente e coinvolgente come il ritmo della musica ascoltata in quei mesi tumultuosi. Fu un anno sfacciato e divertente, ma anche acidamente irriverente, un anno irrispettoso come le scritte sui muri e gli slogan dei cortei [9] . Molti giovani provenienti dalle parrocchie e dalle associazioni cattoliche si immersero, come i loro coetanei, in quella festa inaspettata, vivendo un’esperienza di liberazione e di autonomia, di soggettività creativa e di impegno totalizzante [10] . E, non soltanto in Italia, furono le università cattoliche a registrare le primissime occupazioni studentesche. In quei mesi, i preti e i laici più vicini alle proteste vissero una rapida riconfigurazione della personale dimensione religiosa (spesso già avviata a seguito dell’aggiornamento conciliare) nella direzione di una messa in discussione della propria identità cattolica, nella sperimentazione di nuove forme di testimonianza cristiana nella città secolare e nell’apertura terzomondista per una teologia liberatoria [11] , ma pure nella direzione di un’ideologizzazione della fede o del suo superamento verso altri orizzonti di senso.

    Proprio per la loro dimensione volutamente spettacolare, le proteste del Sessantotto furono anche una rappresentazione della rivoluzione, un tentativo di mettere in scena la sovversione della società a partire dalla scuola e dall’università, dove gli studenti diventavano insegnanti di sé stessi, le aule erano laboratori della realtà futura e l’immaginazione doveva essere il nuovo nome del potere [12] . In quel teatro rivoluzionario, la Chiesa era considerata tra le istituzioni da abbattere, il baluardo della conservazione, l’unzione sacrale delle strutture borghesi. E, proprio vivendo le agitazioni negli atenei e negli istituti scolastici, qualche giovane cattolico sembrò intenzionato a ingaggiare una lotta simultanea per la riforma religiosa e per la rivoluzione sociale [13] . La rivolta dei sessantottini espresse infatti la contestazione non soltanto alle forze politiche al governo e alla democrazia rappresentativa. Fu qualcosa di più radicale che, pur nella diversità delle tendenze, intendeva demolire ogni forma di mediazione politica e sociale, abbattere l’autorità come sistema regolatore della società e affermare il diritto all’autodeterminazione individuale. Per i cattolici del Sessantotto, le dure critiche alla gerarchia e alle istituzioni cattoliche per la mancata attuazione del Concilio (innanzi tutto sulla questione della Chiesa povera e sulla partecipazione dei credenti alle decisioni della comunità cristiana) erano dunque ritenute parte di una battaglia epocale più ampia, dentro cui il contrasto alle autorità religiose era un tassello essenziale verso la demolizione dell’esistente e per la costruzione di una società finalmente liberata da tutte le forme di repressione, a iniziare da quella clericale [14] .

    Tra ostentazione della rivoluzione e sovversione realizzata (dove tra i copioni messi in scena dagli studenti e dalle studentesse vi erano pure l’anticlericalismo della goliardia e la battaglia per la laicità dello Stato), il Sessantotto confermò quanto i processi di modernizzazione stessero disarticolando gli assetti delle società occidentali, compresi quelli religiosi, ma anche quanto dentro quel salto turbolento gran parte della Chiesa non riuscisse a leggere le origini reali delle diffuse manifestazioni di protesta che, d’altra parte, annunciavano in modo minaccioso l’assalto al cielo, avvertivano fascisti, borghesi, ancora pochi mesi! [15] e non disdegnavano l’esibizione proclamata o agita della violenza [16] . Queste profezie della rivoluzione erano dichiarate anche in giornali e libri di editrici cattoliche, con tesi politiche che spesso non si differenziavano da quelle dell’estrema sinistra [17] . Di fronte a quel rovesciamento gridato ed in parte compiuto, la Chiesa mostrò un diffuso disorientamento, con la crescente preoccupazione per la diffusione delle agitazioni, l’inasprirsi degli scontri e la presenza di giovani credenti e preti nelle manifestazioni [18] .

    Se osservato dal punto di vista delle trasformazioni religiose, il Sessantotto vide l’emergere di linee di tendenza che si sarebbero espresse con maggiore nettezza e ampiezza nel decennio successivo [19] . La diffusione di mentalità secolarizzate e l’allontanamento dalle forme di religione di chiesa delle giovani generazioni (in particolare nelle città e negli ambienti sociali più scolarizzati) erano fenomeni rilevabili a livello di massa da almeno un ventennio nelle società occidentali, anche per la crescente pervasività culturale di stili di vita orientati al consumo. Il Sessantotto comportò un’accelerazione di tali processi e una loro diffusione anche in ambienti fino ad allora toccati marginalmente da questi fenomeni, come in provincia e in parte dei ceti medio bassi dove tradizionalmente era più tenace la presa delle istituzioni religiose. Il desiderio di autodeterminazione dei giovani, il rifiuto dell’omologazione, la moltiplicazione delle soggettività, la circolazione di esperienze di creatività, l’anticonformismo disordinato e ostentato puntavano a un affrancamento libertario che, tra retorica e realtà, reclamava di non volere né Dio, né padrone. Tale mescolanza, confusa e attraente, rappresentò per chi aveva tra i quindici e i venticinque anni una sconosciuta quanto attesa occasione di legittimazione culturale di scelte anticonformiste: queste intendevano rompere le rigidità di strutture sociali che i massicci fenomeni di industrializzazione e urbanesimo avevano reso insostenibili ed erano icasticamente espresse nella condanna dei miti borghesi di Chiesa, patria e famiglia.

    Anche se tra i libri cult del Sessantotto vi fu Lettera a una professoressa – pubblicata nel 1967 e scritta dai ragazzi della scuola di Barbiana con don Lorenzo Milani – nel movimento studentesco quel testo era spesso astratto dal contesto cattolico, seppure decisamente singolare, in cui quelle pagine di denuncia erano state elaborate [20] . Allo stesso tempo, le affermazioni di Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, del marzo 1967, per la promozione della pace internazionale attraverso lo sviluppo in particolare delle popolazioni del Sud del mondo erano distantissime dalle rivendicazioni terzomondiste e dalla fascinazione per la rivoluzione culturale cinese che attraversarono il movimento del Sessantotto che, comunque, poco era interessato alla Chiesa cattolica e al suo magistero autoritativo. Se qualche reazione si manifestò fu di fronte all’ Humanae vitae, del luglio 1968, condannata e rapidamente archiviata come la conferma del conservatorismo retrivo del cattolicesimo e della prevaricazione ecclesiastica sulle scelte sessuali, soprattutto delle donne [21] . I giovani cattolici che parteciparono attivamente al Sessantotto saldarono spesso a simili posizioni (assolutamente condivise nel movimento studentesco) altre rivendicazioni che avevano come obiettivo polemico la Chiesa, accusata di aver tradito le speranze del Concilio e, ancor prima, la radicalità rivoluzionaria del Vangelo. Si creò così una sorta di processo di osmosi tra discorso religioso e discorso politico, dove nel passaggio dall’uno all’altro entrambi tendevano ad assumere la stessa tonalità utopico-messianica. La generazione messa alla prova dal Sessantotto sembrò in alcuni tratti riproporre, cambiata decisamente di segno, la stessa giustapposizione di religione e politica che aveva accompagnato una parte notevole delle opzioni politiche dei cattolici, da decenni massicciamente ingaggiati nella lotta contro il comunismo in nome della fede. Eppure risolvere la contestazione giovanile e studentesca come un commutatore in grado di provocare il trasferimento dell’energia politica di molti cattolici da una sponda all’altra della scena pubblica rischia di appiattire a una sola dimensione – quella politica, appunto – il flusso di passioni e utopie, avvicinamenti e spaesamenti, emozioni e pensieri vissuti da quei credenti che vissero il momento Sessantotto spesso come un’esperienza capace di marcare l’intera esistenza alla maniera di uno spartiacque.

    Le pagine che seguono confermano la fecondità di studi sul cattolicesimo del post Concilio che, confrontandosi con fonti finora inaccessibili o poco considerate, offrono letture del cristianesimo contemporaneo attente agli sviluppi interni ai singoli contesti locali e nazionali del cattolicesimo e li connettono alle sollecitazioni provenienti dalla curia vaticana, alle dinamiche complessive della Chiesa e alle più generali trasformazioni culturali, economiche e politiche che investirono su scala planetaria le società del Novecento.

    Come mostra Gerd-Rainer Horn nel suo saggio, un ruolo determinante all’origine della militanza dei cattolici europei nel movimento studentesco del Sessantotto fu svolto dalle riviste, alcune delle quali esistevano da anni e si erano già segnalate per i loro articoli – spesso non convenzionali – su questioni religiose e politiche. La radicalizzazione generata dall’esperienza del Sessantotto trovò in molti di questi giornali una costante cassa di risonanza e un veicolo di diffusione anche fuori degli ambienti più direttamente coinvolti nelle proteste, contribuendo all’espansione dell’ondata contestativa ben oltre le città universitarie. Ciò che si registrò in molti di quei periodici alla fine degli anni Sessanta fu il rapido superamento dei contenuti e del lessico tipici del progressismo cattolico preconciliare, con una contaminazione crescente con il vocabolario e con le strategie dei gruppi del Sessantotto. In diversi paesi d’Europa (e non soltanto nell’area mediterranea) il contributo del progressismo cattolico fu determinante nella costruzione di molti gruppi della nuova sinistra, servendo da incubatore per esperienze che spesso fuoriuscirono dall’originario alveo religioso per approdare a una più definita militanza politica.

    Percorsi personali e scelte collettive si incrociarono nel lungo Sessantotto, con un’apertura internazionale prima sconosciuta a molti preti e laici, come accaduto agli uomini e alle donne che, come ricostruito nel saggio di Matteo Mennini, partendo dalla questione della povertà della Chiesa, formularono proposte di riforma del cattolicesimo e richieste di cambiamento sociale di cui i credenti avrebbero dovuto farsi propugnatori, in Occidente e nel Terzo mondo. Paul Gauthier (tra i promotori del gruppo della Chiesa dei poveri che aveva raccolto l’adesione di teologi e padri presenti al Concilio vaticano II che si impegnarono a sostenerne i principii attraverso il Patto delle catacombe) alla fine degli anni Sessanta continuò a svolgere un ruolo propulsore nell’ispirare riflessioni ecclesiologiche e metodi di azione che puntavano alla scelta della povertà come espressione di radicale testimonianza evangelica della comunità cristiana. La forte consonanza con le rivendicazioni del Sessantotto si tradusse in una serie di iniziative che, coinvolgendo militanti, teologi e pure alcuni vescovi, intendevano denunciare l’autoritarismo della Chiesa e favorire la trasformazione sociale, da condurre, secondo alcuni, anche in chiave rivoluzionaria. La questione della povertà, caricata di connotati non soltanto spirituali, ma sempre più economici e sociali, divenne così un elemento centrale nella radicalizzazione di quei credenti che, denunciando i legami ecclesiastici con il potere costituito e accentuando la prospettiva terzomondista, rielaborarono in chiave politica i contenuti del Vaticano II.

    Quanto il Sessantotto dei cattolici risulti poco comprensibile se ricondotto soltanto alle dinamiche di politica interna alle singole nazioni, ma sia anche frainteso se letto attraverso le rigide categorie della guerra fredda, è rilevabile dall’analisi dei giudizi circolanti in quei mesi nel Partito comunista italiano e nella Democrazia cristiana. Secondo la ricostruzione proposta da Alessandro Santagata, a molti degli osservatori gravitanti intorno ai due maggiori partiti italiani sfuggivano sia la dimensione internazionale della presenza dei cattolici nelle proteste, sia la sua dilatazione che andava ben oltre le questioni universitarie. Nella Dc, i commenti tendevano a ritenere legittime alcune richieste degli studenti, ma (a parte le poche lucide letture, tra cui quella di Aldo Moro) si imputava sbrigativamente ai comunisti la responsabilità dell’allargamento delle contestazioni. Negli ambienti del Pci, oltre alla denuncia dei rischi presenti nell’estremismo sessantottardo (che però, in modo ambivalente, si intendeva intercettare), si sottolineavano lo sgretolamento del consenso cattolico al partito democristiano e la possibilità di coinvolgere alcuni noti cattolici sostenitori della contestazione nelle liste per le elezioni politiche del maggio 1968. L’atteggiamento in prevalenza difensivo della Dc di fronte alla protesta dei giovani militanti cristiani, con la sottovalutazione dei segnali di cambiamento epocale che da quel dissenso proveniva, e l’interesse del Pci primariamente strategico – quando non strumentale – verso i sommovimenti registrati nella Chiesa resero il rapporto dei due maggiori partiti italiani con la presenza cattolica tra i ribelli del Sessantotto un’occasione mancata per comprendere le trasformazioni profonde che stavano cambiando la nazione.

    A registrare disorientamenti e sconquassi furono comunque gli stessi ambienti protagonisti della contestazione, a iniziare dalla Federazione universitaria cattolica italiana, studiata da Tiziano Torresi attraverso l’analisi di numerose testimonianze e delle annate del quindicinale «Ricerca». La Fuci fu investita dalle proteste e ne fu in parte artefice, proprio in quanto posta all’incrocio delle tre principali dinamiche che alimentarono il Sessantotto. In quanto giovani universitari e cattolici, infatti, gli iscritti alla Fuci vissero più direttamente di altri la crisi provocata dalla sovrapposizione delle fratture generazionali, studentesche e religiose all’origine del movimento di contestazione. Cercarono di non rimanerne esclusi eppure, in genere, non si identificarono totalmente in esso. Né spettatori passivi, né difensori dell’esistente, né teorizzatori della rivoluzione totale, i fucini tentarono solitamente di mantenere un precario equilibrio di fronte alle violenze delle rivolte, cercandone in alcuni casi la giustificazione attraverso sottili distinzioni non prive di ambiguità, oppure ricorsero alla disobbedienza civile rispetto agli interventi delle autorità civili contro gli studenti, entrando comunque in conflitto con i settori moderati e conservatori della Chiesa. Alla fine degli anni Sessanta, gli esiti diversi dei percorsi intrapresi personalmente dagli universitari cattolici si accompagnarono al ridimensionamento della Federazione dal punto di vista organizzativo, ma soprattutto alla consapevolezza ormai radicata in quella giovane leva di intellettuali cattolici della fine della cristianità, entro cui era necessario ripensare sia le forme dell’impegno sociale e politico, sia il senso della fede cristiana.

    La difficoltà di interpretare in modo univoco la contestazione del Sessantotto si riflesse anche sulle pagine della rivista «Il Gallo», che pur si era segnalata nei vent’anni precedenti come una delle voci più acutamente critiche nel panorama cattolico italiano. Come mostra Paolo Zanini, le spinte provenienti dal movimento studentesco e, insieme a queste, le rivendicazioni della contestazione cattolica spiazzarono la redazione del mensile genovese che scelse di misurarsi con i cambiamenti in corso continuando a usare toni pacati ed equilibrati. Di fronte alla radicalizzazione delle proteste nelle piazze e alla fioritura di riviste più in sintonia con linguaggi e temi dei cattolici del dissenso, risultò complicato per il periodico diretto da Nando Fabro mantenere il ruolo di cenacolo di punta del progressismo cristiano in Italia. Proprio la sua collocazione sulla frontiera permise a «Il Gallo»

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