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Noi e Loro
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E-book161 pagine2 ore

Noi e Loro

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Info su questo ebook

Ogni mestiere, se fatto con passione e dedizione, può diventare un modo per arricchire la propria vita. E per Lina Palmieri è stato così. Nel settembre del 1979 inizia l’anno scolastico come insegnante nella classe prima della scuola elementare “Gianni Rodari” di Torino, un lavoro che ha sempre amato creando con i suoi alunni rapporti speciali che hanno arricchito la sua vita e quella dei suoi studenti. Sui banchi di scuola sono passati decine di bambini che sono diventati poi uomini e donne, padri e madri di famiglia che spesso è difficile saper riconoscere per strada perché i loro volti sono cambiati.
Siamo alla fine degli anni ’70, il terrorismo e la mafia imperversano, la crisi economica mette tutti in ginocchio e proprio in quegli anni avvengono i delitti dell’onorevole Aldo Moro e del generale Dalla Chiesa. Nel testo si fa così riferimento agli avvenimenti politici, economici e sociali degli anni 1979-1984 e, in contrapposizione, si scopre la freschezza e l’ingenuità di ciò che i suoi alunni scrivevano. Di anno in anno essi diventavano più riflessivi e maturi, mentre il mondo esterno continua la sua vita travagliata.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2016
ISBN9788868549220
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    Anteprima del libro

    Noi e Loro - Palmieri Lina

    alunni

    Prologo

    Si viveva in tempi difficili, densi di avvenimenti tragici ed in­quietanti.

    Venivano messe in discussione la sicurezza del lavoro, la tran­quillità politica e sociale e persino la libertà di espres­sione delle proprie opinioni.

    Negli ultimi anni del ’70 ed i primi dell’80, infatti, circolava­no ed agivano in Italia gruppi terroristici con ideologie e scopi diversi, che effettuavano attentati contro le forze dell’ordine, contro i dipendenti di alcune aziende e contro giornalisti di varie testate.

    A Torino le Brigate Rosse, uno dei più temibili gruppi terro­ristici che operava nel nostro paese, a marzo del ’78 uccisero il maresciallo di Pubblica Sicurezza Berardi; ad aprile fecero altrettanto con il secondino Cotugno.

    A Roma il 16 marzo compirono un’azione che fece scalpore: rapirono l’onorevole Aldo Moro e spararono sulla sua scorta, provocando la morte di cinque uomini. Circa due mesi dopo il rapimento si trasformò in omicidio, infatti il corpo senza vita dell’onorevole Moro fu trovato nel bagagliaio di una macchina.

    Tra novembre e dicembre del 1978 avvennero attentati terroristici in Campania, Lazio, Toscana, Piemonte, Lombardia e Veneto. A Torino il 15 dicembre, sempre le BR, spararono contro un pulmino parcheggiato davanti alle carceri nuove e rimasero uccisi due agenti di polizia.

    La sera di Natale, a Roma, venne fatta esplodere una 500 davanti al palazzo che ospitava la redazione del quotidiano Il tempo.

    Il giorno di S. Stefano due terroristi entrarono in casa del giornalista Aniello Coppola, direttore di Paese Sera. Non trovandolo in casa, dopo aver rinchiuso in un armadio la moglie e la figlia, rovistarono nel suo studio.

    Il 9 gennaio 1979 venne assaltata Radio città futura e, durante l’azione, rimasero ferite alcune donne.

    Dopo questo episodio fu organizzato un corteo, che sarà occasione di scontri e disordini di vario genere e provocherà morti e feriti.

    Il 19 gennaio fu assassinato, a Torino, l’agente di custodia Giuseppe Lorusso, e il giorno dopo spararono contro due agenti.

    A Genova, il 24, fu ucciso l’operaio Guido Rossa, che qualche mese prima aveva scoperto e denunziato un operaio che distribuiva volantini delle BR. Il 27 vennero scoperti a Torino due covi e furono catturati dieci brigatisti.

    Il 29 a Milano, mentre si recava in ufficio, venne ucciso il giudice Alessandrini. Egli si era occupato della strage di piazza Fontana e seguiva le inchieste sulle Brigate Rosse.

    Si arrivò al febbraio del ’79 ed il 5, a Torino, un commando di due sole donne sparò contro Raffaella Napolitano, vigilatrice delle carceri nuove.

    Il 13 fu aggredito un giornalista del TG 1.

    Il 28 avvenne un conflitto a fuoco tra brigatisti e polizia in un bar di Torino e due terroristi rimasero uccisi (uno di essi era una donna).

    Il 9 marzo, sempre a Torino, un gruppo di terroristi sequestrò i proprietari di un bar. Dopo aver telefonato al 113, chiedendo l’in­tervento della polizia per arrestare un ladro, attesero gli agenti. Quando essi arrivarono avvenne uno scontro a fuoco durante il quale fu colpito a morte Emanuele Iurilli, uno studente che stava rientrando a casa, sotto gli occhi della madre che era affacciata alla finestra.

    A Bologna, il 13 marzo, tre terroristi entrarono nella sede dell’Asso­ciazione della stampa Emilia ‒ Romagna e diedero fuoco ai locali.

    Il 14 venne ferito alle gambe un dirigente fiat, Giuliano Farina.

    Il 20 fu ucciso il direttore ed editore del settimanale OP, Mino Pecorelli.

    Il 24 a Torino spararono alle gambe di Franco Piccinelli, giornalista della rai.

    Intanto le occasioni che provocavano scontri tra dimostranti e polizia erano frequenti.

    A giugno un altro dipendente della fiat rimase vittima di un atten­tato: era il sorvegliante Giorgio Farina.

    Il tenente colonnello dei carabinieri Antonio Varisco venne assassinato a Roma il 13 luglio, mentre a Torino il 18 rimase ucciso il proprietario del ristorante nel quale, alcuni mesi prima, si era verificato un conflitto a fuoco tra polizia e terroristi, che aveva provocato la morte di due brigatisti.

    A settembre morì, sempre per mano di terroristi, Vincenzo Rovito, agente di custodia delle Nuove, il carcere cittadino.

    Come si può facilmente capire, gli abitanti delle grandi città vivevano in un clima di tensione e di paura. Accanto agli episodi più gravi ne accadevano anche altri che non richiamavano l’attenzione della stampa e, quindi, erano poco conosciuti, però non erano meno preoccupanti. Erano i soprusi e le angherie che accadevano nelle diverse zone della città tra giovani di opinioni e fede politica opposte, che sfociavano spesso in scontri violenti.

    Io abitavo nella periferia di Torino, nella zona in cui si trovava la fabbrica principale della fiat, cioè a Mirafiori, ed insegnavo in una scuola elementare del quartiere. Mio marito lavorava nelle fonderie della fabbrica, nella quale il clima non era dei più tranquilli. Vari dirigenti avevano la scorta armata per andare al lavoro. I miei tre figli, Mauro, Paola e Davide, frequentavano rispettivamente il Liceo classico, l’Istituto Magistrale e la scuola media inferiore. Negli istituti delle medie superiori si verificavano agitazioni di vario genere, e quello che accadeva mi faceva stare in ansia per loro.

    Capitolo 1

    Del primo giorno di scuola rammento una cosa in particolare: eravamo entrati tutti in classe e si stava facendo l’appello; tutti sembravano allegri e felici e, a sentire il proprio nome, scattavano in piedi pronunciando un vivo Presente. Io invece mi alzai lentamente, quasi tremando, e il mio Presente lo dissi molto piano. Avevo un po’ di paura, ma non ne capivo il motivo. Ciò lo ricordo con piacere.

    Questo scriveva, nella primavera dell’84, una mia alunna ormai prossima agli esami di quinta elementare. Seppure in modo diverso, anche per me, sua insegnante, il primo incontro con i piccoli alunni di prima era stato un momento emozio­nante, come tutte le volte in cui avevo incontrato i bambini che avrei accompagnato fino al compimento degli studi di scuola elementare: era, infatti, l’inizio di una collaborazione che sarebbe stata lunga e importante.

    Avevamo cominciato insieme, cinque anni prima, l’anno scolastico 1979-80, in un prefabbricato di Torino, usato dalla nostra scuola per mancanza di spazio. La classe era composta di ventuno alunni e c’erano, tra essi bambini allegri e vivaci, altri chiusi e silenziosi, ma poco per volta si creava tra loro e, tra loro e me, un rapporto che sarebbe diventato sempre più ricco e profondo.

    Intanto, nell’autunno del 1979, la vita sociale e politica italiana non era certo serena, dati gli avvenimenti drammatici che, come si è visto, continuavano a succedersi ad un ritmo impressionante.

    La violenza dilagava in ogni parte del Paese, scippi e rapine non si contavano più e la gente aveva paura.

    La droga si diffondeva sempre più tra i giovani ed i ricchi profitti che essa procurava attiravano ogni tipo di delinquenza.

    In Sicilia riprendeva il fenomeno mafioso ed in dieci mesi si contarono cinquantotto morti, tra i quali il giudice Cesare Terranova con la sua guardia del corpo, Lenin Mancuso.

    Per combattere il terrorismo venne rinnovato, al generale Dalla Chiesa, l’incarico di dirigere il nucleo speciale antiterrorismo, da lui costituito un anno prima.

    L’inverno si avvicinava e la crisi energetica cominciava a preoccupare.

    A Torino il sindaco non riusciva a trovare gasolio per tutti e, in molte case, a ottobre, non si erano potuti accendere i termosifoni.

    Si faceva ricorso a mezzi di riscaldamento alternativi: stufe a gas, a carbone, a legna...

    Intanto da più parti arrivavano attacchi contro la fiat.

    Il 21 settembre venne ucciso il dirigente Carlo Ghiglieno. Il delitto fu rivendicato dall’organizzazione terroristica Prima Linea.

    Dopo questo delitto, i dirigenti dell’azienda convocarono una rappresentanza di sindacalisti e comunicarono loro che erano in possesso di ricchi dossier riguardanti i dipendenti più rissosi, autori di minacce a capi e dirigenti.

    Si intuì che presto sarebbero arrivati dei provvedimenti: infat­ti il 9 ottobre vennero inviate 61 lettere di licenziamento ad altrettanti dipendenti. Tra di essi vi erano nomi ben noti alla polizia ed uno di loro risultò appartenente alle Brigate Rosse.

    Le confederazioni sindacali proclamarono solo tre ore di sciopero e la bassa adesione che esso ottenne era un’ulteriore conferma della crisi in cui il sindacato versava.

    Dopo il licenziamento degli operai, le Brigate Rosse lanciarono uno slogan:

    Chi licenzia gli operai sarà licenziato per sempre dal movimento rivoluzionario.

    Un altro gruppo terroristico, Prima Linea, cercò di inserirsi nelle lotte operaie per inasprirle e reclutare nuovi simpatizzanti.

    A Torino esso era più forte che altrove ed i suoi aderenti compirono azioni di intimidazione nei riguardi di vari dipendenti e dirigenti fiat. Inoltre cercavano di ottenere notizie che potessero aiutare la guerriglia, anche attraverso loro affiliati che lavoravano all’interno delle diverse fabbriche dell’azienda.

    L’undici dicembre alcuni terroristi appartenenti a questo gruppo, fecero una vera e propria azione di guerra: nel primo pomeriggio un commando formato da circa venti persone cinse d’assedio la Scuola di Amministrazione Industriale di Torino in cui si trovavano centocinquanta persone tra docenti, allievi e altri dipendenti della scuola.

    Dopo un breve e terrificante processo, scelsero cinque insegnanti e cinque allievi, li legarono con le mani dietro la schiena, li portarono in un corridoio e, dopo averli fatti stendere per terra, spararono loro alle gambe con raffiche di mitra.

    Il 14 dicembre fu una giornata piena di attentati: alle sei, allo stabilimento di Mirafiori, spararono contro un caporeparto; alle sette, in quello del Lingotto avvenne una rapina; poco dopo le sette altra rapina allo stabilimento di Rivalta; in quello di Barriera di Milano tentarono di entrare, ma, non riuscendoci, spararono al sorvegliante.

    Erano episodi che creavano, sia all’interno che all’esterno della fiat, un clima di tensione e di preoccupazione, che coinvolgeva non solo i dipendenti, ma i loro familiari e la città stessa.

    Questa situazione politica e sociale determinò scelte e prese di posizione anche da parte degli studenti che frequentavano le scuole superiori e l’università. Le assemblee e gli scioperi che venivano indetti nelle scuole, non sempre si svolgevano in modo pacifico, e le preoccupazioni dei genitori non erano di poco conto.

    Quando i miei figli, Mauro e Paola, al mattino uscivano di casa per andare a scuola, non potevo certo dire di essere tranquilla, mentre ero meno preoccupata per Davide, che frequentava la scuola media vicino alla nostra

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