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Il diavolo allo specchio
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E-book348 pagine4 ore

Il diavolo allo specchio

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Info su questo ebook

Protagonista del romanzo è Francesco Burlamacchi, un potente uomo di affari, che odia, contrasta e combatte il Vaticano.

Il romanzo inizia con fenomeni avvenuti a Lucca e Viareggio, dove qualcuno ha condizionato il comportamento delle donne, nascondendosi dietro il calendario del diavolo e i simboli delle sette sataniche per depistare le indagini degli inquirenti; fenomeni che il magistrato, dopo mesi di indagini a vuoto, archivia come ‘atti osceni e offesa al pudore’

Altri, però, non si fermano. Sospetta di Burlamacchi il commissario Mancini della Questura di Lucca; indaga l’agente Russo della NSA, perché sa che gli Immanenti di Burlamacchi finanziano ricerche sul condizionamento; ha paura monsignor Cristoforo della Congregazione della fede del Vaticano, perché la satira finanziata da Burlamacchi corrode la fede nelle sue manifestazioni quotidiane.

Tutti si pongono la stessa domanda: chi c’é dietro il condizionamento delle donne? Mancano le prove per aprire un’inchiesta ufficiale, ma le intuizioni del commissario Mancini e le paure di monsignor Cristoforo spingono a scavare nei segreti di Burlamacchi.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2018
ISBN9788827827604
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    Anteprima del libro

    Il diavolo allo specchio - Lorenzo Tocchini

    633/1941.

    Il calendario del diavolo

    1

    «A chi hai pestato i piedi, Martino?» domandò l’ispettore Mauro Rinolfi «Potevano promuoverti in una Questura più vicina a Torino…»

    Il commissario capo Martino Mancini bevve un sorso di birra, si asciugò i baffi e sorrise al giovane ispettore Rinolfi. Finalmente una domanda diretta dopo cinque mesi dal suo trasferimento il 2 gennaio 1999 dalla Questura di Torino a quella di Lucca.

    «Forse hanno voluto riportarmi a casa...» ironizzò il commissario capo Mancini «Sono nato a Lucca... ho fatto qui le scuole elementari...»

    Il commissario capo Martino Mancini all'inizio degli anni Sessanta aveva lasciato il quartiere ‘fuori mura’ di Sant'Anna di Lucca per un quartiere non meno periferico a Torino, dove i suoi genitori avevano cercato fortuna vendendo castagnaccio e farinata di ceci d'inverno e d'estate cocomero e bibite agli operai che uscivano dalle fabbriche. E teglia dopo teglia erano riusciti a mandare il figlio all'università: orgogliosi del futuro avvocato, un po’ meno del poliziotto che poi era diventato.

    «Ho incontrato un tuo collega di Torino...» continuò l'ispettore Rinolfi «Mi ha chiesto come ti trovi a Lucca…»

    «Ha cazzeggiato…?»

    «Un po'... sul tuo accanimento verso le sette sataniche...»

    «Ti ha detto che a Torino mi chiamavano ‘papé Satàn, papé Satàn aleppe’...»

    «Sì...» sorrise Rinolfi.

    «Ha un nome questo collega torinese?» chiese Mancini.

    «Ferrari... non capiva perché ti avessero trasferito da Torino a Lucca. Avevi una bella squadra, sapevi tutto sulle sette nel torinese...» lasciò in sospeso Rinolfi.

    Il commissario capo Mancini bevve un altro sorso di birra e incrociò le posate sopra il piatto. L’afa della prima giornata calda di maggio si era dissolta e avvertì meno il disagio della giacca che non si toglieva mai, se non a casa.

    «Eccesso di zelo...» rispose Mancini dopo aver guardato a lungo il Serchio scorrere lentamente verso Lucca. «Ho attraversato il fiume, sono passato dalla riva sinistra del Po alla riva destra, dai quartieri popolari alle ville sulla collina...» disse il commissario Mancini.

    «E premiano il tuo ‘eccesso di zelo’ con un trasferimento travestito da promozione?»

    «Seguivo una pista esclusa dal Rapporto Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia. Ero vicino a qualcosa che scottava… qualcuno si è chiesto perché continuavo a inseguire Satana...».

    «Ne vuoi parlare?» gli chiese Rinolfi.

    Mancini esitò: rivide i tanti flash del suo improvviso trasferimento da Torino a Lucca e le tante ipotesi che aveva fatto. Non aveva dubbio su chi fossero i mandanti, spaventati dalle sue indagini; non riusciva, però, a capire come fossero riusciti ad arrivare fino al Viminale a Roma.

    Mancini guardò negli occhi il giovane ispettore Rinolfi..

    In quei primi cinque mesi a Lucca il commissario capo Mancini aveva simpatizzato con questo giovane trentenne dai capelli un po’ troppo lunghi e da un abbigliamento al limite del casual per un ispettore di polizia. Alto, magro, viso affilato, mani nervose e sempre in movimento Rinolfi ricordava a Mancini il Serpico di Al Pacino per l'abbigliamento casual che ormai in Questura si erano rassegnati a vedergli indossare. Gli era perdonato questo ed anche il carattere un po’ anarchico solo perché era bravo nel lavoro e metteva faccia e culo in ogni indagine: con successo.

    «Ad aprile dell’anno scorso» si decise a parlare il commissario Mancini «quando i giornali danno risalto al Rapporto sulle Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia presentato dal Viminale al Parlamento, incominciano ad arrivare in Questura lettere anonime. Scrivono che sono stato risucchiato in una setta satanica, che la mia ossessione è frutto di condizionamento o plagio e vanno avanti così per un paio di mesi...»

    «Altri segnali?» chiese il giovane ispettore.

    «No… in Questura mi chiesero di indagare sulle moschee e sugli islamici. Qualcuno voleva allontanarmi dalle sette sataniche, più legate all’Anticristo che a Maometto.»

    «E il terzo segnale...?» incalzò Mauro Rinolfi.

    «Non c’è stato... stavo per inchiodare alcune persone al di sopra di ogni sospetto, quando è arrivata la promozione e l’ordine di trasferimento immediato alla Questura di Lucca.»

    «Qualcuno doveva pur conoscere queste tue indagini...»

    «In Questura nessuno... qualcosa l’ispettore Sanna che lavorava con me... è stato promosso a Cagliari...» rispose Mancini «Le persone minacciate dalle mie indagini, quelle cui ‘ho pestato i piedi’, si sono mosse direttamente da Roma…»

    La pizzeria si era svuotata. La tavolata di adolescenti che li aveva assordati per tutta la cena, era scomparsa in uno scoppiettio di scooter e i camerieri fumavano una sigaretta appena fuori della sala. Il forno era acceso in attesa della terza ondata dei clienti, quelli in uscita dall’ultimo spettacolo dei cinema.

    L’ispettore Mauro Rinolfi ordinò altre due birre e lasciò che il commissario Mancini in completo grigio scuro con cravatta continuasse a guardare in silenzio il Serchio.

    «Puoi esaminare questi floppy disk, Martino?» gli chiese Rinolfi posando una busta sul tavolo.

    «Omicidi?» chiese Mancini .

    «Cose avvenute a Lucca e a Viareggio l’anno scorso, tra giugno e ottobre del 1998…» disse. «Fatti che riguardano il tuo campo… è un favore personale.»

    «Quale favore personale?» chiese Mancini con in mano la busta di Rinolfi.

    «Guardali... poi ne parliamo...» chiuse il discorso Rinolfi.

    2

    «Nottataccia, commissario?» chiese l’agente alla guida dell’auto.

    Il commissario Mancini stava andando a Viareggio, dove la sola ipotesi di costruire una moschea creava fermento da mesi e il mugugno era diventano una protesta non più strisciante. Meglio capire e prevenire, gli aveva detto il Questore, prima che a Viareggio scoppiassero disordini.

    «Mal di testa, Salvo, solo un gran mal di testa» rispose Mancini all’agente. «Fermiamoci per un caffè, prima di ascoltare perché i viareggini non vogliono la moschea...»

    Il commissario Mancini non aveva dormito di ritorno dalla cena in pizzeria con Rinolfi. Aveva guardato a computer i 5 floppy disk ricevuti dal giovane ispettore e non era riuscito a trovare un filo logico nel loro contenuto. All’alba si era buttato sul letto e non aveva preso sonno: gli tornarono in mente le notti insonni di Torino, quando indagava sulle sette sataniche.

    I ‘fenomeni’ o ‘accadimenti’, come li definivano i rapporti e le note informative contenuti nei 5 floppy disk non erano pericolosi; nemmeno c’era da gridare allo scandalo o appellarsi alla privacy se Polizia, Carabinieri e Vigili Urbani avevano messo insieme tanti documenti. Qualcosa era filtrato anche all’esterno sia pure limitato alle pagine locali de La Nazione e de Il Tirreno. Ma tutto era stato divorato da altre notizie nei giorni seguenti. In questi primi cinque mesi a Lucca nessuno ne aveva parlato con il commissario capo Mancini.

    Nei ‘fenomeni’ erano coinvolte solo donne.

    Sulle spiagge di Viareggio, il 31 luglio del 1998 sembrava che qualcuno avesse proclamato il festival del ‘topless’. Un rituale comune in molti stabilimenti balneari: a mezzogiorno donne di ogni età, residenti e villeggianti, giovani o mature si erano alzate dalla sdraia o dal materassino dove prendevano il sole, con innocente tranquillità si erano tolte il reggiseno e nella loro nudità avevano attraversato la spiaggia per unirsi ai bagnanti. Intorno bambini che strillavano, mariti che correvano a coprirle e persone poco discrete che filmavano la scena o scattavano foto.

    Il 31 ottobre sempre del 1998, c’era stato a Lucca un atteggiamento di sfida verso la Polizia municipale: molte donne alla guida dell'auto all’avvicinarsi di un vigile urbano si slacciavano volutamente la cintura di sicurezza; e molte ragazze in motorino si toglievano provocatoriamente il casco, sempre in presenza di vigili urbani, carabinieri o polizia stradale.

    Due ‘accadimenti’, invece, avevano lasciato strascichi per ‘offesa al pudore ed atti osceni in luogo pubblico’: tutti e due avvenuti sulle mura di Lucca in giugno e in settembre ancora nel 1998.

    Il 24 giugno una pattuglia della polizia verso mezzanotte aveva sorpreso sulle mura di Lucca 7 donne nude sedute in circolo in silenzio. La scena si era ripetuta il 29 settembre sempre sulle mura di Lucca, dove la polizia sorprese 16 donne completamente nude, che si tenevano per mano in un silenzioso girotondo alla luce della luna.

    Rivestite e portate in Questura, tutte affermavano di non ricordare niente. Interrogate anche da psicologhe, erano risultate del tutto normali, salvo quel buco nella memoria che le aveva viste protagoniste nude del girotondo sulle mura di Lucca.

    La denuncia era scattata d’ufficio, ma le indagini non avevano portato a niente: queste ‘nudiste’ erano tutte donne normali, alcune sposate altre no, impiegate e professioniste, tranquille madri di famiglia, reddito sopra la media, per lo più giovani. Le conseguenze maggiori per queste donne c’erano state in famiglia con genitori, mariti, fratelli o fidanzati che non avevano accettato questo comportamento. La polizia non sapeva in che direzione indagare e il magistrato lasciava sonnecchiare la pratica.

    *****

    «Chi segue in Questura questi fascicoli?» chiese Mancini a Rinolfi.

    «Nessuno... è tutto fermo da mesi, Martino...»

    «E tu perché hai raccolto tutto questo materiale, Mauro?» domandò Mancini.

    «Enrica, mia moglie, era una delle 16 donne che in ottobre facevano il girotondo nude sulle mura di Lucca» rispose Rinolfi guardandolo con occhi eccitati.

    «Chi sa in Questura dei floppy disk che mi hai dato ieri sera in pizzeria?» insistette Mancini.

    «Nessuno, ho raccolto tutta la documentazione da solo in segreto…»

    Erano seduti a un tavolino di un bar in Piazza San Michele, dove il commissario Mancini, al ritorno da Viareggio, aveva dato appuntamento all'ispettore Rinolfi. Dopo quanto era accaduto a Torino non voleva affrontare l'argomento in ufficio: una cosa era la simpatia verso il giovane ispettore, altra cosa era fidarsi di lui e dei muri della Questura.

    «Ti prego, Martino, non pensare che sia una trappola... non voglio incastrarti come hanno fatto a Torino» disse Rinolfi che aveva intuito le paure di Mancini a farsi coinvolgere «Non voglio darti un'altra fregatura... in questa faccenda ci siamo solo io e mia moglie Enrica... voglio solo capire come e perché è finita nuda sulle mura di Lucca insieme ad altre 15 donne...»

    Mancini rimase a lungo in silenzio a valutare la plausibilità di quanto gli aveva appena detto il giovane ispettore.

    «Sono coinvolte solo donne» si decise a parlare Mancini «Non ti sembra strano, Mauro?»

    «Perché, tutto il resto ti sembra normale?» domandò l’ispettore Rinolfi agitato più del solito.

    «Mi sorprende la totale amnesia delle donne nude sulle mura di Lucca...» disse Mancini.

    «Le hanno rivoltate come guanti» gli rispose Rinolfi «Hanno continuato a dichiarare che non ricordavano cosa avevano fatto e perché l’avevano fatto. Sulle nudiste fermate in ottobre sulle mura di Lucca, hanno anche fatto test psicologici senza alcun esito…e niente è emerso sulla loro vita privata: qualcuna andava a farsi l’oroscopo, qualche altra frequentava sedicenti maghi... solo cose innocenti...»

    «Hai qualche ipotesi?» chiese Mancini.

    «I girotondi sulle mura mi ricordano i sabba…» rispose cupo Rinolfi. «E tu che ne pensi?»

    «Non ho trovato nessun nesso tra i fenomeni e nemmeno una chiave di lettura...» dovette ammettere Mancini «Tu non hai nessun altro elemento da darmi...?»

    «Io ho pensato ai sabba per le donne nude sulle mura...» ripeté Rinolfi «E non ho idea di che cosa possa esserci dietro allo spogliarello sulle spiagge o alle provocazioni alla polizia...»

    «Stasera riguardo tutto con calma...» disse Mancini fissandolo bene negli occhi «Ma tu promettimi di non parlarne con nessuno... né in Questura, né fuori… nemmeno con tua moglie. Voglio che resti un segreto tra noi due... intesi?»

    3

    «Prenota un week end a Viareggio, solo un week end in luglio, intesi Martino? In agosto ti aspetto con Federica a Albisola.»

    La telefonata con la moglie era finita con un asciutto ‘buonanotte, Martino’‘buonanotte, Laura’.

    Un week end a Viareggio: il commissario Mancini non aveva ottenuto di più dalla moglie Laura, decisa a non fare le vacanze di agosto in Versilia e tanto meno a trasferirsi a Lucca. Aveva buoni motivi la moglie per non lasciare Torino, ammise il commissario: una cattedra di matematica in un liceo ‘bene’ della città, una vita vissuta sulle rive del Po, i genitori ancora vivi, le amiche la cui frequentazione era aumentata da quando il marito si era fatto risucchiare dal lavoro. E, poi, c’era Federica: la figlia diciassettenne mai avrebbe lasciato Torino per Lucca.

    Ma non lo capisci, Martino? se anch’io mi trasferisco a Lucca mettiamo il bollo a secco a questa falsa promozione per allontanarti da Torino’: era questo il ragionamento forte, cui la moglie si aggrappava per non muoversi da Torino.

    Il commissario Mancini capiva la moglie. Dopo venti anni di matrimonio -si erano sposati nel marzo del 1979- questi cinque mesi lontano da casa lo avevano fatto riflettere sulla moglie. Una rompicoglioni, pignola come la matematica che insegnava, attenta ai riti borghesi della classe media cui i veri torinesi si aggrappavano davanti all’invasione dei meridionali. «...Cavour l’aveva capito e Vittorio Emanuele avrebbe fatto meglio ad andare a puttane piuttosto che seguire Garibaldi...» era il ritornello che risuonava in casa quando il commissario spariva per settimane risucchiato dal lavoro. Perché, secondo la moglie, la vita a Torino era peggiorata da quando la Fiat aveva incominciato ad attirare 50.000 meridionali all’anno, tanti quanti gli abitanti di Lucca.

    Ma era un’ottima madre: Federica, la figlia di 17 anni, era cresciuta bene soprattutto grazie alla madre, professoressa di matematica e torinese doc.

    Mancini tornò al computer. Pensò alle reazioni della moglie se avesse sospettato che lui stava infilandosi di nuovo in ricerche che a Torino erano state la causa del trasferimento a Lucca.

    Era la seconda notte che rileggeva i rapporti  contenuti nei floppy disk di Rinolfi: talvolta credeva di aver trovato un filo che univa i ‘fenomeni’, poi smarriva la strada.

    Alzò gli occhi dal computer e guardò nel vuoto cercando altre ipotesi. Prese un foglio e scrisse in ordine temporale le date degli ‘accadimenti’:

    24 giugno: nudiste sulle mura di Lucca

    31 luglio: nudismo sulle spiagge di Viareggio

    29 settembre: nudiste sulle mura di Lucca

    31 ottobre: provocazioni delle donne verso la polizia

    Sentiva di averle già incontrate queste 4 date. Poi ricordò. Aprì un file e apparve una schermata che lo riportò alle indagini torinesi. Anche Satana ha un calendario:

    24 giugno: terza notte di Tregenda, con riti di protezione per gli aderenti alla setta e lancio di anatemi e malefici contro i nemici.

    31 luglio: si svolge uno dei Sabba più importanti, con il quale si respingono gli influssi malefici esterni.

    29 settembre: quarta e ultima notte di Tregenda, in occasione dell'equinozio di autunno. È l'appuntamento più colto, nel quale si inneggia alla conoscenza demoniaca

    31 ottobre: è il Capodanno di Satana, notte di Sabba e di inizio del nuovo anno. In questa occasione si svolgono molte cerimonie di propiziazione, poiché si ritiene che questa sia la notte in cui ogni richiesta verrà esaudita.

    Martino sorrise come quando a Torino aveva intuito alcuni segreti ‘eccellenti’ delle sette sataniche. Ora tutto sembrava più plausibile, tutto poteva avere un senso. Almeno per lui. Si chiese come il giovane ispettore Rinolfi avrebbe reagito.

    4

    Erano seduti in una trattoria di Borgo a Mozzano a una ventina di chilometri da Lucca risalendo il corso del Serchio.

    Era preoccupato il commissario Mancini: per quello che stava per raccontare e per come Rinolfi avrebbe potuto reagire. Temeva pure che qualcuno volesse ‘tentarlo’ a riprendere il ‘vizietto’ torinese verso le sette sataniche per incastrarlo anche a Lucca. E poi l’aveva insospettito l’insistenza dell’ispettore di andare a cena a Borgo a Mozzano, dove uno dei più famosi ponti del diavolo della Toscana univa le due rive del Serchio con il suo acuto arco asimmetrico.

    A metà della cena Mancini tirò fuori di tasca due fogli e li mise sul tavolo davanti a Rinolfi: da una parte gli ‘accadimenti’, dall’altra il ‘calendario del diavolo’. Lasciò che l’amico li leggesse con calma.

    «Hai trovato il diavolo anche in riva al Serchio...» commentò Rinolfi.

    «Perché hai aspettato 5 mesi a darmi quei floppy?» gli chiese Mancini.

    «Volevo parlartene a gennaio, appena sei arrivato a Lucca. Sapevo che eri un esperto di sette sataniche... ma temevo che tu mi mandassi a quel paese…»

    «C’è altro dietro queste tue ricerche?» chiese Mancini.

    «Ti ho già detto che c’è solo mia moglie» gli rispose Rinolfi. Affondò il coltello nella bistecca.

    Non avevano più parlato dopo la lettura dei due fogli che Mancini aveva appoggiato sul tavolo. Avevano finito la cena in silenzio: Rinolfi angosciato, perché quanto gli aveva mostrato Mancini confermava le sue paure che la moglie fosse coinvolta in riti satanici; Mancini perché non si fidava del tutto di Rinolfi e temeva che qualcuno volesse ancora intrappolarlo. Per superare un altro trasferimento non sarebbe bastato aumentare le dosi di Malox e di antidepressivi: questa volta sarebbe stato necessario uno strizzacervelli.

    «Al diavolo tu ci credi, Martino?» gli chiese a bruciapelo l’ispettore Rinolfi. Erano ai piedi del Ponte del Diavolo di Borgo a Mozzano e ne guadavano l’arco asimmetrico.

    «Siamo investigatori non inquisitori» tagliò corto Mancini.

    «Il calendario del diavolo l’hai tirato fuori tu, Martino» disse Rinolfi.

    «La cena qui a Borgo a Mozzano sotto il Ponte del Diavolo è un’idea tua Mauro… pensi di dormire con una strega?» gli chiese ridendo Mancini.

    Mancini si allontanò dal Ponte del Diavolo seguito in silenzio da Rinolfi.

    «La coincidenza dei fenomeni con il calendario del diavolo non mi convince...» riprese a parlare Mancini «Troppo precisa, troppo puntuale... quasi costruita apposta per farci prendere una pista sbagliata... perché far coincidere questi fatti con il calendario del diavolo?»...

    «Perché c’è di mezzo una setta satanica…» rispose Rinolfi.

    «Prima di correre dietro alle corna del diavolo cerchiamo una risposta a una domanda: ‘perché indurre tante donne a comportamenti poco più che goliardici’? la stessa tecnica poteva essere utilizzata per indurre quelle donne a commettere atti criminosi...» continuò Mancini «Pensa alle donne, che lavorano in posti ‘sensibili’: che ci voleva a creare un black out o a mandare in tilt i servizi pubblici? pensa alle donne nelle banche: non potevano favorire rapine? Invece il ‘diavolo’ si è limitato solo a vedere se questa tecnica funzionava… più fumo che arrosto.»

    «Quindi, secondo te, tutti i fenomeni erano solo una verifica per non creare allarme sui veri obiettivi...»

    «Appunto, solo una verifica, che non avrebbe creato un vero allarme e, quindi, un’indagine approfondita.»

    «Per te è tutto un depistaggio?» disse Rinolfi, che incominciava a seguire il collega.

    «C'è di più, Mauro» continuò Mancini «Perché questi fenomeni accadono nell’arco di cinque mesi, poi tutto torna alla normalità? Non vogliono più ‘divertirsi’? oppure hanno verificato che la loro tecnica di plagio o di condizionamento funziona e ora, buoni buoni, lo stanno utilizzando per cose più serie…»

    «Ma perché nascondersi dietro le corna del diavolo?»

    «Se le indagini fossero andate avanti, speravano che qualcuno avrebbe associato questi fenomeni a qualche setta satanica. Per secoli molti crimini hanno trovato nel diavolo un'ottima copertura e un buon capro espiatorio.»

    «Nessuna altra ipotesi?» chiese Rinolfi.

    «Che il Diavolo abiti in riva al Serchio, oltre che in riva al Po…» gli rispose ridendo Mancini per scaricare la tensione del collega «Ma è tutto da dimostrare Mauro… A Torino mi chiamavano ‘papé satàn, papé satàn aleppe’ ma, credimi, ho più paura degli uomini che del diavolo.»

    «Perché non vuoi interrogare mia moglie Enrica?» insistette Rinolfi «Potresti capire qualcosa in più di quegli strizza cervelli che l’hanno interrogata….»

    «No, per ora vorrei seguire il metodo tradizionale: analizziamo tutti i suicidi dell’anno scorso e gli omicidi non risolti, se ce ne sono; anche le morti in situazioni anomale: incidenti stradali poco chiari, morti violente archiviate come fatalità ecc. E un’ultima cosa: chi svuota oggi le antiche ville della lucchesia, raccoglie libri e mobili vecchi, rifornisce gli antiquari?»

    Sulla via del ritorno l'ispettore Rinolfi tormentò Mancini con domande sulle sette sataniche. Doveva aver letto molto in questi mesi perché le domande erano pertinenti e non nascevano dall’emotività come quella che gli era sfuggita un paio d'ore prima: ‘Martino, ma tu ci credi al Diavolo?’ C’era piuttosto una vera paura che la giovane moglie fosse coinvolta in riti satanici.

    5

    ‘Roba da asilo infantile’, pensò il commissario Mancini chiudendo l’ultimo faldone delle indagini fatte a Lucca per il Rapporto Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia del 1998. Al satanismo e alle sette erano dedicate alcune informative, ma tutte con troppi ‘si dice, ma…’ e ‘forse, ma…’. Lucca e la sua provincia non presentavano indici di pericolosità o inquietudini tali da far scattare indagini e misure preventive.

    Più interessanti erano i dati raccolti da Rinolfi su suicidi e morti violente: tre fatti in particolare avvenuti l'anno prima in provincia di Lucca, fatti che Mancini volle analizzare e approfondire con Rinolfi.

    «Che mi dici del suicidio di Lorenzo Del Cerro? quello che si è suicidato in cantina con una sedia elettrica fai-da-te...»

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