Con la Costituzione nel cuore: Conversazioni su storia, memoria e politica
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Anteprima del libro
Con la Costituzione nel cuore - Carlo Smuraglia
9788865791899
Il libro
Antifascismo, Resistenza, Costituzione: sono il leitmotiv di questo libro intervista in cui si intrecciano eventi e questioni fondamentali della Repubblica. È una lunga storia che si sviluppa dal 1943 a oggi e che Carlo Smuraglia ha vissuto con intensità e con occhi particolari. Gli occhi dell’avvocato, impegnato in grandi processi politici (da quelli contro i partigiani a quelli per i fatti di Reggio Emilia del 1960). Gli occhi del professore universitario, punto di riferimento nel settore dei diritti e della salute dei lavoratori. Gli occhi dell’uomo delle istituzioni, protagonista nelle assemblee locali, nel Consiglio superiore della magistratura e in Parlamento; e infine nell’Anpi. Il risultato è un affresco efficacissimo proiettato sull’Italia di oggi, sull’Europa e sulla sua crisi, sui nazionalismi, sui muri e i fili spinati in una prospettiva in cui, nonostante tutto, prevale l’ottimismo della volontà.
Gli autori
Carlo Smuraglia, avvocato e professore di diritto del lavoro, ha attraversato l’intera storia della Repubblica con ruoli di primo piano nella politica e nelle istituzioni. Dal 2011 al 2017 è stato alla guida dell’Anpi di cui è tuttora presidente emerito.
Francesco Campobello, assegnista di ricerca in Storia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza di Torino, collabora con il Centro Gobetti. Attualmente cura il riordino dell’Archivio di Bianca Guidetti Serra.
Indice
Introduzione
I. Quando tutto è cominciato: l’8 settembre 1943
II. Dal 25 aprile alla escalation fascista e razzista del nuovo millennio
III. Attualità della Costituzione: verso un nuovo «patriottismo costituzionale»
IV. Un lungo viaggio nella politica e nelle istituzioni
V. La giustizia. Esperienze professionali
VI. Costituzione, diritto del lavoro e realtà
VII. L’Anpi: le radici e le prospettive
Introduzione
«Questa non è una biografia». La frase è riemersa più volte nei tanti pomeriggi passati insieme al professor Smuraglia, nel suo studio, a parlare del Novecento e del futuro. Anche se una biografia sarebbe certamente preziosa, per volontà dell’autore si è voluto che il dialogo si incentrasse sui passaggi fondamentali della nostra storia recente, nei momenti più importanti della vita politica e professionale di Smuraglia a partire dall’8 settembre 1943, quando è cominciato il riscatto degli italiani, e dal 25 aprile del 1945, con la celebrazione della libertà e della pace, fino ai nostri giorni. Abbiamo ripercorso tutta la storia repubblicana attraverso la lente degli articoli della Costituzione, dalla loro enunciazione sino alla loro attualità applicativa oggi e nel futuro più prossimo. Abbiamo rivisitato i momenti salienti delle tensioni politiche e sociali, ricordando singoli episodi significativi che hanno visto Smuraglia spesso protagonista: dalle contestazioni del Sessantotto al processo Pinelli, dalla difesa processuale dei partigiani negli anni Cinquanta al più clamoroso scandalo di corruzione della Prima Repubblica, il caso Lockheed, giudicato innanzi alla Corte costituzionale. Sono state descritte le tante battaglie portate avanti per l’attuazione e la difesa della Costituzione, dal diritto del lavoro alla controriforma
costituzionale del 2016. Si è insomma cercato, attraverso un lungo viaggio nella politica e nelle istituzioni, nella giustizia e nel mondo dell’avvocatura, di capire cosa vuol dire amare la Costituzione e cosa significa, nella nostra vita quotidiana, poter essere liberi e vivere in una democrazia. Nella sua lunga, lunghissima vita, Smuraglia è stato anche fino a pochi mesi fa presidente e colonna portante dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, e poi, dopo le sue dimissioni, eletto presidente emerito. Un ritorno alle origini della Resistenza, alle radici della nostra Repubblica e della Costituzione, senza nostalgie o autocelebrazioni, ma con la volontà ben chiara di assicurare una lunga e prospera vita all’antifascismo per il nuovo secolo.
Per un giovane studioso del diritto, in un mondo che va sempre più verso l’iperspecializzazione, è stato un privilegio poter discutere con Smuraglia, spaziando con naturalezza fra le fonti del diritto, i principi costituzionali, gli episodi di vita giudiziaria, nei tanti processi di cui si è occupato con assoluta coerenza, e le proposte di riforma del diritto del lavoro. Smuraglia è un giurista a tutto tondo, che da professore, da avvocato e da uomo politico è riuscito nel non facile risultato di far vivere le sue conoscenze tecniche all’interno della società.
Smuraglia è un testimone attento e prezioso dell’intera storia della Resistenza e della Repubblica. Egli si è spesso trovato, non per caso, al centro di situazioni importanti e simboliche della seconda metà del XX secolo, che vengono ricordate con naturalezza e disinvoltura e fanno capire le tante difficoltà e crisi che la nostra democrazia ha vissuto nei suoi primi settant’anni.
Il libro proclama i valori della Costituzione e dell’antifascismo con una scelta chiara di posizione, di testimonianza, di fermezza e di solidarietà, nel momento in cui riemergono non solo la violenza, ma anche la retorica e la cultura del fascismo, anzi di tutti i fascismi.
Intervistare Smuraglia è stata un’esperienza molto diversa da quel che mi aspettavo. Ho incontrato un uomo gentile ma fermo, quieto ma inflessibile, aperto al dialogo ma solidamente radicato nelle sue convinzioni. Mi ha colpito moltissimo il suo ottimismo, la sua grande capacità di parlare del futuro e il suo scarso interesse a rievocare un passato pur importante. La sua energia, la sua forza mi hanno stupito e ho capito che la stoffa del combattente a oltre novantaquattro anni non l’ha affatto abbandonato.
L’analisi dei principi costituzionali si intreccia per tutto il volume, inevitabilmente e vivacemente, con i vissuti e le esperienze personali, attraverso aneddoti e ricordi che riguardano gran parte della storia d’Italia. Questa lucida sovrapposizione di piani, personale e generale, si ripercuote anche sul titolo: Con la Costituzione nel cuore. Si fa, infatti, riferimento alla centralità politica e giuridica della Carta, ma anche alla sua capacità di coinvolgere, di appassionare, di farsi amare, di diventare regola di vita. Una regola di vita che è il leitmotiv del libro e induce Smuraglia a considerare la Costituzione come una cosa profondamente sua ma, insieme, da condividere con tutti. È questo il messaggio e l’auspicio finale del libro.
febbraio 2018
Francesco Campobello
L’intervista di Francesco Campobello a Carlo Smuraglia è stata realizzata in una pluralità di colloqui, avvenuti a Milano tra il settembre e il dicembre 2017.
Le domande sono riportate in corsivo.
I. Quando tutto è cominciato: l’8 settembre 1943
Parto, per iniziare questa conversazione, da una data altamente simbolica: l’8 settembre 1943. È la data in cui tutto è cominciato: il cammino del Paese verso la democrazia e, per lei personalmente, una lunga e intensa vita politica. Quel giorno è finita una fase della nostra storia nazionale. Tutto nel giro di poche ore: l’annuncio dell’armistizio con le forze alleate da parte del generale Badoglio, la trasformazione dei nazifascisti in nemici, la fuga verso Brindisi del re, dei suoi generali, della sua corte, l’esercito allo sbando. C’è chi ha sottolineato di quel giorno il senso della disfatta ma altri hanno sostenuto che quello fu il momento della scelta, il momento in cui alcuni non si rassegnarono e cominciarono una nuova storia. Lei allora aveva vent’anni e, come i protagonisti della canzone Oltre il ponte scritta da Italo Calvino sulla musica di Sergio Liberovici, fece la sua scelta.
È proprio così. L’8 settembre è stato, nel mio vissuto, il giorno della disfatta, del venir meno della struttura istituzionale, dello Stato che fugge, dell’esercito che si dissolve, dei soldati che cercano di tornare a casa; ma non è stato il giorno della fine. Già l’indomani ci fu la battaglia di Piombino, dove cittadini e militari della marina buttarono letteralmente in mare i tedeschi. E gli atti simili furono moltissimi. Come se – per usare le parole di Piero Calamandrei – una voce che veniva dal profondo della terra invitasse tutti a cogliere l’occasione del riscatto. È un’affermazione un po’ retorica ma sostanzialmente corretta. Furono, infatti, molti, in varie parti d’Italia, i gesti di rivolta contro i tedeschi che si erano incattiviti contro gli italiani, considerati traditori, e si comportavano con particolare violenza. Molti militari non aderirono alla Repubblica di Salò quando fu costituita (il 23 settembre) e si ribellarono: alcuni perché ritenevano ancora valido il giuramento prestato al re; altri più semplicemente perché non volevano l’occupazione tedesca. E altrettanto fecero diversi cittadini. In quel mese, particolarmente nel Centro-Sud, ci furono violenze efferate di tedeschi e fascisti. Ma ci furono anche episodi (dalle quattro giornate di Napoli agli atti di resistenza all’Università di Padova) di forte opposizione: non a opera di tutto il popolo, ma certo di una sua parte consistente. Queste vicende sono il segno che qualcosa, nel settembre del 1943, stava cambiando in direzione della libertà. L’8 settembre colse tutti di sorpresa perché l’armistizio fu concluso nella forma peggiore, fu annunciato in maniera confusa e sommaria, non fu seguito da ordini precisi. Ciononostante si susseguirono atti di vero eroismo. Ricordo il caso della divisione Acqui a Cefalonia: i soldati rimasero privi di ordini e disorientati mentre il generale Gandini cercava inutilmente un contatto con i vertici militari per chiedere istruzioni e i tedeschi pressavano per la resa. Ci fu una specie di consultazione di ufficiali e soldati; la gran parte decise di non arrendersi e molti furono fucilati dai tedeschi. Fu un atto di vera e propria resistenza.
Questi atti – per quello che potevamo sapere – furono una scuola di formazione per un giovane come me, vissuto fino ad allora con idee politiche molto generiche. In quel periodo si era colpiti dal dissolversi dello Stato, ma anche da reazioni come il discorso pronunciato da Concetto Marchesi all’Università di Padova. Quel discorso fu percepito da molti, e anche da me, allora studente alla Scuola Normale superiore di Pisa, come un invito alla ribellione. Il che fare e il come agire furono oggetto di grandi discussioni con gli altri studenti dell’Università. C’erano riunioni serali e notturne in cui si discuteva su tutto, con idee ancora molto vaghe, molto grezze, ma sempre idee di libertà. In molti andavano a seguire le lezioni di professori non omologati al fascismo come Guido Calogero, che teneva un corso in cui, nonostante le inevitabili cautele, si sentiva un’ansia di libertà. Questo era il clima in cui si viveva alla Normale. E presto arrivò il momento della scelta: si poteva restare nella Scuola (con il rischio di essere aggregati alla Repubblica sociale o di essere presi e portati in Germania) oppure scegliere di darsi alla latitanza e di iniziare un percorso di resistenza. Restare all’Università mi sarebbe piaciuto: avevo vinto un concorso. Eppure…
Diciamo che le sarebbe piaciuto fare una vita normale.
Fare una scelta di rottura significava abbandonare la vita normale, ma decisi quasi d’istinto, senza pensarci a lungo. Si trattava di accettare la situazione come si presentava e finire con la Repubblica di Salò, oppure scegliere la libertà, ma a un prezzo non conosciuto, che cominciava con una sorta di clandestinità e sarebbe poi proseguito con un impegno nelle file partigiane. Più tardi si ebbero notizie, più precise, del discorso di Concetto Marchesi e anche questo fu un contributo importante per le ulteriori scelte.
La scelta antifascista fu una scelta individuale o collettiva?
Ognuno fece la sua scelta. Eravamo di regioni diverse, con differenti provenienze. Alcuni restarono, altri decisero