Il carteggio ritrovato (1957-1978): Aldo Moro - Pietro Nenni
Di Aldo Moro, Pietro Nenni, Marco Damilano e
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Info su questo ebook
Due uomini diversi, per estrazione politica e ideologica, per carattere e temperamento, ma uniti dall'esigenza di dare una forte spinta alla modernizzazione del Paese. La collaborazione tra Moro e Nenni, tra democristiani e socialisti nei cosiddetti governi di centro-sinistra, pur tra difficoltà e ostracismi, consente all’Italia di raggiungere importanti risultati nell’ambito dei diritti dei lavoratori, dei diritti civili, del welfare e del contenimento degli squilibri economici dei territori dopo il frenetico boom economico.
Nel carteggio, tra i due statisti emergono diversi elementi di interesse per gli storici e per coloro che intendono approfondire una stagione importante della vita politica italiana. In primo luogo, con un’angolatura nuova, le vicende e le dinamiche che hanno contraddistinto l’azione dei governi di centro-sinistra e le spinte politiche provenienti dai due principali partiti della coalizione, il PSI e la DC, spesso in aperta contrapposizione. Poi, gli aspetti connessi al rapporto di stima e di fiducia che si viene a creare tra Nenni e Moro sin dalla fine degli anni Cinquanta. Un rapporto umano, che si conserva ben oltre la fase della collaborazione governativa e si spinge fino agli ultimi giorni di vita del leader democristiano, ucciso nel 1978 dalle BR.
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Il carteggio ritrovato (1957-1978) - Aldo Moro
Aldo Moro – Pietro Nenni
Il carteggio ritrovato
(1957-1978)
Storica
In collaborazione con Fondazione Pietro Nenni
Collana di studi storici e politici della Fondazione Pietro Nenni
Lavoro realizzato in collaborazione con l’Archivio Flamigni
Si ringraziano la famiglia Moro e la famiglia Nenni
Trascrizioni lettere: Beatrice Ruggeri, Maria Anna Lerario, Valentina Stazzi
© Arcadia edizioni
I edizione aprile 2024
Isbn 9791256060313
È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,
del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta
dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Foto copertina: Pietro Nenni e Aldo Moro durante la cerimonia
per lo scambio di consegne alla Farnesina, Roma 6 agosto 1969.
Archivio fotografico Fondazione Pietro Nenni, Serie Nenni, Busta 6,
Attività istituzionali anni ’40-70
.
Tutti i diritti riservati.
Nota al testo
Il presente carteggio tra Moro e Nenni è in gran parte inedito. Si compone di oltre 300 tra lettere, biglietti e telegrammi ed è conservato nell’Archivio storico della Fondazione Pietro Nenni e all’Archivio Centrale dello Stato. Due lettere, quelle del 10 settembre 1967 e del 15 novembre 1967, sono, invece, conservate nell’Archivio Flamigni. Il lavoro di raccolta e di valorizzazione del carteggio tra i due statisti è cominciato alla fine degli anni ’90 dallo storico Giuseppe Tamburrano, Presidente della Fondazione Pietro Nenni dal 1985 al 2015, che curò un’importante pubblicazione con La Nuova Italia, arricchita da due suoi saggi introduttivi.
Il lavoro di trascrizione delle lettere è stato eseguito rispettando fedelmente il testo originale. Tuttavia, si è scelto di intervenire sulle maiuscole, sulla punteggiatura e sui refusi, al fine di uniformare il testo.
Riferimenti archivistici
Archivio storico Fondazione Pietro Nenni
~ Fondo Nenni, Serie Carteggi 1944-1979, b. 34, fasc. 39. Lettere di Moro Aldo 1957-1978;
~ Fondo Nenni, Serie Carteggi 1944-979, Lettere a Nenni di cittadini e compagni, b. 67, fasc. 2087;
Archivio Centrale dello Stato
~ Archivi di famiglia e Persone, Fondo Aldo Moro, (1958-1978), serie 3 Presidente del Consiglio dei Ministri, b. 40, fasc. 1 Corrispondenza con alte cariche dello Stato, sottofasc. On. Nenni
(23 ago. 1963-29 feb. 1968);
~ Archivi di famiglia e Persone, Fondo Aldo Moro, (1958-1978), serie 9 Atti personali (1964-1977), b. 191, fasc. 12, Pietro Nenni
, 7 giu. 1964-12 mar. 1976;
Archivio Flamigni
~ Fondo Aldo Moro, sezione Politica, serie Presidenza del Consiglio dei Ministri, sottoserie 1963-1968, fasc. 7, Pres. Cons. Ministri carteggio, lettere ricevute e minute destinatari «N».
Introduzione
Renato Moro
Nel 1967 il Canzoniere Internazionale, un gruppo musicale impegnato nella solidarietà con le lotte dell’America Latina e nel pacifismo, lanciava una canzone polemicamente intitolata Ninna Nenni. Ne aveva scritto le parole, seguendo l’aria Ninna nanna della guerra (con testo di Trilussa e musica popolare piemontese), Marco Ligini, membro del Canzoniere e allora militante del Partito Socialista di Unità Proletaria, quello che nel 1964 aveva abbandonato i socialisti proprio in polemica con la collaborazione di centro-sinistra. Questo l’inizio della canzone:
Dormi, dormi, proletario,
che cessato è quel divario
che esisteva fra le classi,
perché adesso c’è Tanassi,
c’è Tanassi e Brodolini,
c’è Colombo e Pieraccini:
quindi dormi e stai tranquillo
e se vuoi qualcosa dillo.
La tua mamma è l’industriale,
che allontana il temporale,
il tuo babbo è il costruttore,
che ti stringe forte al cuore,
che ti fa veder le stelle
da una stanza a Centocelle.
Dormi, dormi, mio angioletto,
ché la balia col baschetto,
col baschetto e con gli occhiali,
tien lontani tutti i mali.
La balia col baschetto e con gli occhiali era naturalmente Pietro Nenni. E, del resto, la canzone proseguiva denunciando in modo feroce l’illusione del benessere e il mito dell’ascesa del mondo operaio e contadino, concludendo con un nuovo attacco diretto al leader storico del socialismo italiano:
Con la lavabiancheria
ogni macchia mandi via,
quella rossa specialmente,
ch’è una macchia resistente.
Con la Fiat Cinquecento
vai ad Ostia in un momento
e con il televisore
ti diverti a tutte l’ore.
Dormi, dormi, carpentiere,
manovale e ferroviere.
Guarda, guarda il contadino
mentre dorme, che carino;
c’è Bonomi che lo culla
e nel sonno lo trastulla.
Non commetter più peccato,
né pensare al sindacato,
al suo tono rumoroso
che disturba il tuo riposo.
Ma se poi rompi i coglioni,
chiamerò un altro Tambroni,
chiamerò la polizia
che ti ammazza e porta via.
Quindi, dormi quieto e muto
e nel nero più assoluto;
senza grida e senza pianto
ti trascini questo canto.
Ninna nanna, Ninna Nenni,
fa la ninna, fa la Nenni.
La Ninna Nenni anticipava le atmosfere del Sessantotto. Tuttavia, mai giudizio fu probabilmente più ingiusto di questo. In una delle lettere qui pubblicate, il 15 febbraio 1967, Nenni avrebbe scritto ad Aldo Moro: «Sono convinto che il tempo mi darà e ti darà ragione». Così è stato.
1. Per una riconsiderazione del centro-sinistra
Il primo, grande motivo di interesse della pubblicazione di questo carteggio ritrovato (e che aggiunge tantissimi nuovi documenti a quanto finora si conosceva) è proprio questo. Grazie a una ormai ricca produzione storica, oggi siamo in grado di apprezzare in modo nuovo e diverso il valore dell’esperienza di centro-sinistra per la salvezza delle istituzioni democratiche e per lo sviluppo politico, economico e sociale del Paese.
Fino alla fine degli anni Ottanta, il principale e quasi esclusivo punto di riferimento in materia era il profilo complessivo della vicenda elaborato da Giuseppe Tamburrano nel 1971, e dunque a ridosso degli eventi(1). Consigliere politico di Nenni, Tamburrano non poteva non farsi portavoce delle delusioni, delle polemiche, dei conflitti, degli strascichi lasciati aperti dall’esperienza che aveva vissuto. Sintetizzò quindi, le ragioni socialiste e, parallelamente, le accuse alla DC per quello che ormai i socialisti consideravano un fallimento. A lungo, questa è rimasta l’immagine prevalente. Si è dipinto infatti un centro-sinistra fallimentare e, parallelamente, si è considerato Moro, come abile frenatore di tutte le vere potenzialità riformatrici, il responsabile dell’insuccesso.
A partire dagli anni Novanta e con sempre maggiore forza dagli anni Duemila, però, si è aperta una nuova stagione di studi che ci ha offerto un quadro molto più complesso.
Il primo aspetto emerso è quello del contributo fondamentale che il centro-sinistra diede alla modernizzazione del Paese(2). Condivisa è ormai l’idea che esso ebbe un profondo ruolo di cesura epocale
, non solo nella storia del dopoguerra italiano ma nell’intera vicenda nazionale. Naturalmente il centro-sinistra non avrebbe potuto porre fine a «quel divario che esisteva tra le classi» del quale cantava la Ninna Nenni, ma sappiamo oggi che mai i redditi degli italiani furono migliori e più equamente distribuiti che allora. Solo alcuni dati: la percentuale di italiani poveri passò dal 20 al 3,6%; il reddito medio si moltiplicò 4 volte; il Sud riuscì ad accorciare le distanze dal resto del Paese, la speranza di vita alla nascita salì (da 65 a 72 anni), il tasso di analfabetismo crollò dal 14 al 6%. Certo, il centro-sinistra non fu solo conquiste. Gli studi sottolineano che il sistema partitico (e al suo interno, in primo luogo, la DC) non fu, alla fine, in grado, non tanto di comprendere (perché una notevole riflessione teorica vi fu), ma di gestire politicamente le profonde trasformazioni sociali e culturali del Paese(3). Gli storici hanno collocato, inoltre, l’inizio del progressivo distacco dei partiti dalla società civile proprio in quella stagione(4). Tuttavia, come anche diversi accenni di Moro e di Nenni nelle loro lettere qui pubblicate confermano, il centro-sinistra, se letto in un contesto comparativo internazionale – se messo cioè in rapporto con l’esperienza delle Amministrazioni Kennedy negli Stati Uniti, del governo laburista di Harold Wilson in Gran Bretagna, della prima Grande Coalizione
nella Repubblica Federale Tedesca e il riemergere del concetto di centro-sinistra tra Quarta e Quinta Repubblica in Francia –, può essere considerato anche come la variante italiana di una cultura del riformismo e di una stagione di fiducia nelle scienze sociali quali strumento di intervento e di trasformazione della società che attraversò Europa e Stati Uniti negli anni Sessanta(5).
Naturalmente, continuiamo a identificare due diverse fasi del centro-sinistra: una, iniziale di cui fu protagonista Amintore Fanfani, più dinamica (il centro-sinistra «dei programmisti»(6)), e una, seguita al 1964, della quale fu protagonista Moro, nella quale la formula avrebbe perso parte del suo contenuto(7). Tuttavia, appare fuori discussione oggi che il centro-sinistra rappresentò davvero un ambizioso progetto politico e non una mera mossa opportunistica. Paolo Pombeni, lo storico che di recente ha fornito la ricostruzione più accurata e convincente dell’«apertura a sinistra», ne traccia l’emergere e i conseguenti sforzi sin dal 1953-1954(8) e ne individua come protagonisti proprio, oltre ad Amintore Fanfani, Nenni e Moro(9). Disponiamo oggi, inoltre, di un quadro molto più preciso del contesto nel quale il centro-sinistra si trovò a operare e questo rivela anche la forza e la consistenza delle opposizioni che continuarono ad appuntarsi contro di esso in modo palese e occulto anche nella seconda fase, permettendoci così di capire fino in fondo le enormi difficoltà che Moro e Nenni dovettero fronteggiare: si pensi solo alla profonda spaccatura interna alla DC(10); alla cultura politica del PSI, chiamato a riformulare il suo rapporto con la tradizione comunista e a ridefinirsi in termini di socialismo laburista(11); all’opposizione del PCI(12) e quella dei liberali(13); al ruolo giocato da alcuni poteri forti; agli stessi fattori esterni (e in primo luogo la Chiesa(14) e l’alleato americano(15)); al minaccioso anti-comunismo trasversale che legava destra centrista, destra estrema e servizi segreti(16); al permanente ridimensionamento del ruolo dell’ENI dopo la morte di Enrico Mattei(17); allo sviluppo di una nuova cultura della protesta(18) (con anche componenti cattoliche al suo interno(19)). La vittoria rappresentata dalla nascita del centro-sinistra «organico», e cioè quello con la presenza dei socialisti al governo e di Nenni alla Vicepresidenza, quindi, non volle affatto dire la fine delle opposizioni. Certo, le contrarietà di principio degli americani e della Chiesa si smussarono, ma le forze conservatrici, costrette ad accettare il nuovo equilibrio politico, non cessarono di operare per bloccare ogni reale cambiamento. La stessa elezione alla Presidenza della Repubblica, nel maggio 1962, del democristiano Antonio Segni, del quale era ben nota l’ostilità al centro-sinistra e sul quale si materializzò una maggioranza aperta a destra fino ai neofascisti del MSI, analoga a quella che aveva sostenuto la fase gollista
del governo di Fernando Tambroni del 1960, rappresentò un evidente tentativo di condizionare e congelare
l’apertura a sinistra. È stato giustamente osservato che, se gli studi recenti escludono ogni possibilità di rappresentare «il risultato del dicembre 1963 come una classica vittoria di Pirro», essi evidenziano anche che «già con gli eventi che avevano caratterizzato il varo del primo governo Moro lo slancio riformatore si era dapprima raffreddato e poi si sarebbe decisamente ridotto e ridimensionato»(20).
Tutto ciò ha permesso anche di ricostruire con molta maggiore precisione quello che Tamburrano aveva già giustamente intuito come «il collo di bottiglia» del 1964. È vero che gli studi hanno ridimensionato la portata di quello che Nenni stesso avrebbe definito come «rumor di sciabole» del luglio 1964, e cioè il Piano Solo del Generale Giovanni De Lorenzo, escludendo che esso rappresentasse un effettivo tentativo di colpo di Stato. Tuttavia, ne hanno confermato il valore di reale sfida politica posta da destra. Gli eventi di quell’estate vanno infatti inquadrati in una lunga crisi avviatasi già in primavera con l’emergere della difficile congiuntura economica e i problemi della sua gestione da parte della coppia Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia, ed Emilio Colombo, Ministro del Tesoro(21) e con il conseguente sostanziale commissariamento
della politica economica italiana adottato dalla Comunità Economica Europea sulla linea di «Austerità» richiesta dal Presidente della Commissione, il tedesco Walter Hallstein(22). Al di là del Piano Solo, infatti, ciò che caratterizza le vicende dell’estate 1964 fu la drammatica tensione con il Presidente della Repubblica Antonio Segni(23) e con tutto quel mondo che ruotava attorno a lui e che sognava la sterilizzazione del centro-sinistra o il ritorno al centrismo o, talvolta, soluzioni di tipo tecnico (come nel caso del Presidente del Senato Cesare Merzagora) o addirittura un esito gollista. Segni non riuscì a impedire la prosecuzione della formula di centro-sinistra ma ebbe successo nel depotenziarne il programma. Chiese e ottenne il veto su Antonio Giolitti come Ministro del Bilancio e impose il rinvio sine die delle regioni, l’esclusione della menzione di una struttura autonoma per la programmazione economica, il ridimensionamento della riforma urbanistica(24). Considerato tutto questo, la cosa veramente rilevante appare allora che Moro riuscisse «a tenere unito il partito» contro i tentativi «di Segni, della destra clericale e di una quota dei poteri economici»(25). In conclusione, dunque, la svolta del 1964 può essere vista oggi come un depotenziamento, certo, del centro-sinistra ma non come un suo completo svuotamento nel senso di mera gestione del potere; piuttosto, essa può essere considerata come un ripiegamento sulla linea di difesa, innanzitutto, della formula politica, nel senso di una «garanzia democratica». Inoltre, gli studi recenti hanno radicalmente modificato l’immagine dell’immobilismo: nella nuova fase, infatti, il riformismo non cessò ma si frammentò in una molteplicità disorganica di interventi(26). Si è osservato, poi, che molte delle riforme impostate ma non realizzate tra il 1964 e il 1968 (dallo Statuto dei lavoratori al Sistema Sanitario Nazionale), lo sarebbero state, grazie a questa preparazione, negli anni Settanta.
Insomma, mentre è «ancora materia di discussione» se e quanto le forze che si batterono per l’apertura a sinistra «risultassero alla fine vincitrici», è invece certo che intorno al centro-sinistra si svolse un drammatico scontro tra una parte della «classe politica che volle farsi carico della profonda trasformazione che stava interessando l’Italia» e «una corrente conservatrice che operò nell’ottica di tenere tutto fermo». La ricerca storica ha chiarito – come è stato scritto – «quanto sia stata aspra la battaglia e quanto coraggiosi furono coloro che fecero l’impresa»(27).
2. Il carteggio Moro-Nenni e il centro-sinistra
Le lettere contenute in questo carteggio confermano pienamente le nuove acquisizioni sul centro-sinistra.
In primo luogo, dimostrano l’esistenza di una lunga progettualità alla quale entrambi i protagonisti diedero un contributo fondamentale. Il cammino da loro percorso, in effetti, era stato davvero lungo e accidentato. E per comprendere tono e significato delle lettere, esso va tenuto ben presente. Per la verità, inizialmente, alla metà degli anni Cinquanta, Nenni, alla ricerca di sponde democristiane, aveva escluso i giovani e lo stesso Fanfani, dei quali non si fidava, puntando invece su uomini della sua generazione, come Giovanni Gronchi(28). Tuttavia, dopo il 1958, avrebbe subito compreso le potenzialità rappresentate dal nuovo Segretario quarantatreenne della DC, che – come annotò nel diario il 29 ottobre 1959 – considerava «il centro-sinistra come dato comune di tutta la Democrazia Cristiana»(29). A dicembre Nenni era così già «in contatto con Moro», dal quale aveva «avuto assicurazioni per un prossimo domani», e dunque un chiaro impegno per l’apertura a sinistra(30). Naturalmente, ci sarebbero stati alti e bassi. Nel marzo 1960, ad esempio, Nenni avrebbe definito Moro «amletico»(31). Ma poi la crisi Tambroni, che Nenni vide come un «vero e proprio prologo di guerra civile»(32), e la posizione chiara presa in quell’occasione da Moro in favore di una scelta democratica, li avvicinò sensibilmente. Nenni giudicò il discorso di Moro del 5 agosto 1960 «forte»(33), il giorno seguente si felicitò con lui con una lettera e fu ben consapevole di quanto la posizione del Segretario della DC lo aiutasse a vincere le stesse resistenze interne della sinistra socialista, la quale, «addirittura», aveva preceduto «i comunisti nella decisione dell’opposizione pregiudiziale»(34). Restarono tra i due problemi difficili: innanzitutto quello delle giunte locali, nel quale la DC si trovava di fronte a una Chiesa nettamente ostile ad abbandonare le maggioranze centriste, e che talvolta al Sud difendeva l’alleanza con la destra, e i socialisti che continuavano di frequente a governare con i comunisti. Le impressioni di Nenni rimasero così, per un po’, «piuttosto negative», ma non tanto sull’uomo che aveva di fronte quanto sulla situazione, bloccata tra resistenze DC e massimalismo socialista(35). Nenni, del resto, comprese e apprezzò quanto Moro stava facendo per vincere le opposizioni moderate interne: «Il fatto politico – annotava nel diario nell’estate 1961 – è la risposta di Moro. Il Segretario della DC ha salvato le prospettive di domani parlando della collaborazione coi socialisti come di un passaggio obbligato ma relegando tutto sul piano storico»(36). Il dialogo particolare che si venne realizzando tra Moro e Nenni in questa fase venne anche registrato dalle altre forze politiche, suscitando il sabotaggio dei gruppi conservatori(37). A settembre 1961 Nenni incontrava ancora una volta Moro, trovandolo «più che mai incerto». «Nell’immediato», Moro sembrava vedere solo difficoltà e aveva – commentava Nenni – «paura di tutto»(38). Solo il 6 novembre, in un ennesimo incontro, Moro avrebbe confidato a Nenni di pensare ormai che la maggioranza del suo partito fosse avviata «all’apertura verso i socialisti», perché «un vasto gruppo doroteo» era ormai «favorevole alla svolta»(39). Così, l’11 gennaio 1962, dopo un nuovo lungo incontro con Moro, Nenni si diceva finalmente convinto che questi avrebbe tenuto «il suo impegno». «Con pari lealtà», Nenni disse a Moro che avrebbe «potuto «contare sul PSI» solo per una svolta che fosse «effettivamente a sinistra»(40). Il dialogo proseguì intenso. Nenni attribuì a Moro (piuttosto che a Fanfani) la vittoria al congresso democristiano di Napoli di quel gennaio 1962(41) e apprezzò molto l’impostazione data da Moro al suo discorso: «Ha motivato – commentò – la svolta non come uno stato di necessità dato da contingenze parlamentari, ma come stato di condizionamento della evoluzione della società»(42). Alla vigilia della svolta che avrebbe portato al centro-sinistra «organico», in un ennesimo colloquio del 16 ottobre 1963, Nenni avrebbe trovato Moro «più risoluto che nel passato, più deciso ad affrontare i rischi della sola soluzione possibile»(43).
Nel lavoro di preparazione del centro-sinistra, insomma, il ruolo di entrambi fu decisivo; ed entrambi lo rivendicarono più volte, anche in queste lettere. Il 5 novembre 1963, al momento dell’apertura della crisi che avrebbe portato i socialisti al governo, Nenni annotò nel suo diario che questo era quanto aveva «voluto con una lunga e tenace battaglia»(44). Anche Moro si sarebbe attribuito con orgoglio il merito del lavoro svolto. Sentendosi criticato dal quotidiano socialista, in una lettera a Nenni del 21 settembre 1965, avrebbe ribadito: «Della politica di incontro con i socialisti, […] credo di essere stato, per libera determinazione, protagonista di qualche rilievo anche se l’Avanti!, ormai da molto tempo, non dice su questo punto nemmeno la più breve parola di riconoscimento». Del resto, entrambi riconobbero l’uno all’altro l’importanza del ruolo avuto in questo senso. In una lettera del 24 settembre 1963, Nenni formulò a Moro «gli auguri più vivi al pieno successo» della sua «battaglia», aggiungendo di considerare tale successo fondamentale per l’«avvenire della democrazia italiana». In un telegramma del 5 dicembre 1963, al momento della nascita del primo governo con Nenni, Moro volle esprimergli tutta la sua «viva riconoscenza per l’appoggio» che, sotto la sua «guida», i socialisti avevano «assicurato» e che aveva dato «avvio ad una collaborazione importante et feconda di bene per il Paese e la democrazia». Nenni, da parte sua, riconobbe a Moro, in un momento in cui si apriva una crisi di governo, nel febbraio 1966, che «la collaborazione dei socialisti al governo» era «cominciata» con lui e con lui avrebbe potuto «facilmente durare». Per il Natale del 1966 Nenni fece anche omaggio a Moro del suo ultimo libro, Il socialismo nella democrazia, premettendovi delle «parole di dedica» che Moro definì «affettuose» e «incoraggianti» e che commentò così: «Ti ringrazio ancora per quanto hai fatto in affettuosa collaborazione in questo e ti invio la mia così lunga solidarietà».
Naturalmente, gli obiettivi di Moro e di Nenni non erano gli stessi. Nenni pensava – come scrisse a Moro nella lettera del 3 marzo 1961 – a un «incontro su un programma e sul consolidamento e la difesa della democrazia». Pensava alle riforme. Nella lettera del 15 febbraio 1967 avrebbe spiegato a Moro: «Andai al governo nel 1945 (controvoglia allora come oggi) per fare la Repubblica e, pur di raggiungere lo scopo, ingoiai molti rospi. Sono tornato al governo per le riforme, in primo luogo la programmazione, il referendum, le regioni, l’urbanistica. Posso rimanerci, anche se vi sono rospi da ingoiare, se ho la garanzia dell’attuazione delle riforme. Diversamente non ho nessun motivo di stare al governo». Nenni pensava anche al rafforzamento necessario delle istituzioni democratiche dopo la drammatica crisi Tambroni del 1960. Ribadiva la sua «convinzione che senza un compromesso con la DC, e in senso sociale con i nuovi ceti medi del parastato, la classe della democrazia» fosse «troppo debole per far fronte alle minacce della destra»(45). Pensava a difendere dall’inflazione «i risultati della larga ridistribuzione di reddito […] a favore dei lavoratori e dei ceti popolari» – come scrisse in un’altra lettera a Moro del 28 maggio 1963. Pensava, addirittura, al colmarsi del «fossato tra lavoratori e ceti medi» – come avrebbe detto al congresso del PSI dell’ottobre 1963(46) –. Aveva, tuttavia, anche (e forse innanzitutto) un obiettivo strategico. Nel giugno 1963, di fronte alle difficoltà poste anche dalla sua sinistra interna moderata a concedere una nuova astensione socialista per favorire l’evoluzione di un equilibrio politico più avanzato, contestò al suo partito di essere fermo «a questo o a quel punto programmati» e di non aver colto il «problema di fondo»: «O riusciamo a fare con la DC un accordo di cinque anni – scrisse nel diario –, oppure non c’è modo di resistere alla pressione della destra da un lato, dei comunisti dall’altro. Noi saremmo le vittime predestinate di una polarizzazione del Paese su posizioni estreme»(47). Pensava necessario – ribadì a novembre – far uscire il PSI dalla stretta «tra l’integralismo democristiano, e forse in senso più vasto cattolico, e quello comunista: le due chiese sostanzialmente alleate contro il terzo incomodo, cioè contro i socialisti, i laici del movimento operaio»(48). Nenni non si nascose mai però le grandissime difficoltà dell’impresa che aveva davanti. A esperienza di governo appena avviata, notò che «intanto, fin dal primo momento», si era «alle prese con una latente crisi economica». Certo, c’erano «un aumento considerevole della produzione» e la «diffusione del benessere». Certo, «l’Italia della automobile e delle autostrade» si lasciava «dietro le spalle l’Italia della prima metà del secolo». Ma si trattava di «un progresso minato alle fondamenta dalla insufficienza dei servizi civili e sociali e dagli squilibri nord-sud e città-campagna»(49). E, in effetti, questo sarebbe stato costantemente un tallone d’Achille
del centro-sinistra.
Obiettivo di Moro era invece quello di realizzare finalmente il suo sogno di aiutare «questo popolo che sale» a raggiungere «la sua meta lontana», di passare cioè a quella «democrazia progressiva», «sociale», «dinamica», «sostanziale» per la quale si era impegnato già alla Costituente. Così, contrapponendosi a buona parte del mondo cattolico, egli propose «di accettare il fatto compiuto della modernizzazione, cercando di compenetrarla di valori e di guidarla, piuttosto che darsi a una sua inutile demonizzazione»(50). In un discorso a Milano, il 3 ottobre 1959, si dichiarava «certo che questo mondo è in cammino con ritmo veloce ed inarrestabile, che questo è segno di civiltà, che questo moto non dev’essere contrastato, ma accompagnato, condizionato dal di dentro, arricchito da ragioni morali»(51). E i valori e le ragioni stavano, per lui, – appunto – nell’esigenza di ampliare la base democratica dello Stato. Anche nel famoso,