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L'epistemologia genetica
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L'epistemologia genetica
E-book216 pagine3 ore

L'epistemologia genetica

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Jean Piaget (1896-1980) è universalmente noto come il fondatore della psicologia dell’intelligenza. Tuttavia la sua pur titanica opera nel campo della psicologia è solo una parte del suo progetto di epistemologia genetica, l’impresa interdisciplinare e transdisciplinare più importante che il XX secolo abbia conosciuto. La sua originalità consiste nell’estendere l’ambito di indagine dell’epistemologia a tutti gli stadi evolutivi della conoscenza, non limitandosi a quelli geneticamente più compiuti, come è quello della conoscenza scientifica. Suo oggetto di studio non è cioè soltanto la conoscenza scientifica, ma anche le varie manifestazioni storiche della conoscenza scientifica, la conoscenza prescientifica che è solidale alle strutture mentali dell’adulto e del bambino, nonché l’insieme di condizioni biologiche, fisiche e sociali che rendono possibile lo sviluppo di tali strutture. Piaget ha studiato la storia della conoscenza all’interno della storia naturale e ha proposto due radicali cambiamenti di prospettiva nello studio dei processi cognitivi e dei processi evolutivi: uno nel modo di studiare la conoscenza umana, tramite lo studio della sua genesi naturale, sociale e individuale; e un altro nel modo di intendere l’idea stessa di evoluzione, che ha aperto la strada ai recenti studi sui sistemi autoorganizzatori e complessi. Questo libro è una sintesi mirabile degli esiti di tale progetto.
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2016
ISBN9788838244742
L'epistemologia genetica

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    L'epistemologia genetica - Jean Piaget

    Jean Piaget

    L'EPISTEMOLOGIA GENETICA

    Edizione originale:  

    L’épistémologie génétique © Presses Universitaires de France

    Traduzione di Francesca Martinelli  

    con revisione scientifica di Emilio Gattico

    Copyright © 2016 by Edizioni Studium - Roma  

    versione digitale: ISBN 978-88-382-4474-2

    versione cartacea: ISBN 978-88-382-4355-4

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838244742

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Prefazione. Un'epistemologia dell'epistemologia

    Introduzione

    I. La formazione delle conoscenze (psicogenesi)

    1. Lo stadio senso-motorio

    2. Il primo sottostadio del pensiero pre-operatorio

    3. Il secondo sottostadio pre-operatorio

    4. Il primo sottostadio delle operazioni concrete

    5. Il secondo sottostadio delle operazioni concrete

    6. Le operazioni formali

    II. Le condizioni organiche preliminari (biogenesi delle conoscenze)

    1. L'empirismo lamarckiano

    2. L'innatismo

    3. Dagli istinti all'intelligenza

    4. Le autoregolazioni

    III. Ritorno ai problemi epistemologici classici

    1. Epistemologia della logica

    2. Epistemologia della matematica

    3. Epistemologia della fisica

    4. Il costruttivismo e la creazione delle novità

    Postfazione. Dal metodo storico-critico all'epistemologia genetica: Federico Enriques e Jean Piaget

    Prefazione. Un'epistemologia dell'epistemologia

    di Mauro Ceruti e Luisa Damiano

    La conoscenza scientifica è in perpetua evoluzione. Non è transitoria; non è un’istanza statica; è un processo. Più specificamente è un processo di continua ricostruzione e riorganizzazione.

    (Jean Piaget)

    1. Un’epistemologia dell’epistemologia

    L’opera di Jean Piaget ha indubbiamente ricevuto riconoscimenti crescenti già a partire da tutta la seconda metà del Novecento. Tuttavia è altrettanto innegabile che tendenzialmente essi siano stati e siano tutt’ora polarizzati sul solo settore disciplinare della psicologia, riducendo dunque drasticamente non solo la portata titanica dell’insieme della sua opera scientifica, ma anche l’adeguata comprensione del senso del suo contributo alla psicologia stessa. Gli specialisti nell’ambito della psicologia dello sviluppo evidenziano certo il carattere inestimabile dei contributi piagetiani all’evoluzione della disciplina – «valutare l’impatto di Piaget sulla psicologia dello sviluppo è come valutare l’impatto di Shakespeare sulla letteratura inglese o di Aristotele in filosofia: impossibile» [1]. Ma troppo spesso sono considerati secondari o del tutto trascurati gli apporti che le indagini interdisciplinari e transdisciplinari di Piaget hanno espresso e – soprattutto – possono ancora esprimere non solo sulle impalcature teoriche di un range di domini di ricerca che spazia dalle scienze della vita alle scienze della cognizione, ma anche sulle strategie di conoscenza che questi domini oggi esibiscono – le modalità contemporanee di fare scienza.

    Jean Piaget non fu prima di tutto uno psicologo [2], ma un naturalista[3]: si formò come zoologo e biologo ed è da epistemologo che definì scopi e metodi delle sue indagini. Egli volle elaborare una epistemologia (cioè una conoscenza della conoscenza) sperimentale,che utilizzasse metodi e risultati di tutte le scienze pertinenti allo studio della conoscenza. Il compito di una tale epistemologia sarebbe stato quello di coordinare metodi e risultati di tali scienze, senza tuttavia ridursi a queste, né a nessuna di queste in particolare, fosse pure la psicologia. A questo scopo elaborò il programma di ricerca dell’epistemologia genetica, l’impresa interdisciplinare e transdisciplinare più importante che il XX secolo abbia conosciuto. Alla base di tale attitudine transdisciplinare sta una radicale critica dell’immagine positivistica e neopositivistica della conoscenza scientifica e di ogni classificazione lineare delle scienze, cioè una critica di ogni tentativo di fondare unilateralmente una scienza su di un’altra, di dissolvere un livello di realtà in un altro, di estrapolare automaticamente dal noto all’ignoto.

    Piaget ha criticato le pretese dei filosofi di conoscere la conoscenza prescindendo da ciò che le varie scienze ci dicono a proposito della conoscenza stessa, ma ha criticato anche i tradizionali progetti di epistemologia scientifica (di stampo positivistico) proprio per le loro aspirazioni normative, che li induce a considerare norme e criteri della conoscenza vera come atemporalmente predeterminati. Il problema centrale del programma di ricerca di Piaget è invece proprio quello della genesi temporale delle norme. È la sfida posta da questo problema che Piaget raccolse definendo metodi e scopi dell’epistemologia genetica. L’epistemologia genetica capovolge molti capisaldi delle epistemologie classiche, talmente radicati nella tradizione filosofica occidentale moderna da identificarsi con la definizione stessa di epistemologia. Metodi e scopi dell’epistemologia genetica furono delineati in un’opera monumentale in tre volumi pubblicata nel 1950[4]. Nella presentazione a questa opera Piaget enunciò chiaramente il suo progetto. Vi possiamo leggere:

    Le soluzioni non genetiche partono dall’ipotesi che la verità si fonda su norme permanenti, situate nella realtà, nelle strutture a priori del soggetto o nelle sue intuizioni immediate e vissute. Lo sviluppo mentale o storico, come verrà descritto dall’epistemologia genetica, sarà dunque concepito dalle teorie non genetiche come l’attuazione di una virtualità determinata in anticipo da queste stesse norme [...]. Ma nel caso in cui lo studio della crescita delle conoscenze confermasse una delle [...] soluzioni genetiche, attribuendo cioè questa crescita alla pressione delle cose, alle felici convenzioni del soggetto o alle interazioni del soggetto e dell’oggetto, in che modo 1’analisi dello sviluppo potrà procedere dal fatto alla norma, più precisamente dal divenire che caratterizza la costruzione delle nozioni alla immutabilità delle connessioni logiche? Il problema non sarà più in tal caso quello di rinvenire la norma fissa nell’ambito dell’evoluzione, bensì di generare la norma stessa tramite i dati mobili dello sviluppo[5].

    Questa è la ragione cruciale per cui Piaget volle elaborare un’epistemologia che fosse non solo scientifica (come era il neopositivismo, grazie agli strumenti della logica matematica) [6], non solo storica (come è stata ed è l’epistemologia post-neo-positivistica di Karl Popper, di Thomas Kuhn, di Imre Lakatos ...)[7], non solo sperimentale (come sono i programmi di ricerca legati allo sviluppo delle scienze cognitive dalla metà del XX secolo)[8], ma anche genetica, nel senso di una continua auto-applicazione della scienza a se stessa. Ha capito bene il cuore e l’orizzonte dell’epistemologia genetica Leo Apostel, che (a Milano nel 1982, in un simposio dedicato a «L’altro Piaget», il Piaget epistemologo appunto) affermò:

    Come questi autori [Kuhn, Popper, Lakatos], il cui nome è oggi sulla bocca di tutti, ma molto prima di loro, Piaget aveva scoperto che è impossibile dare una teoria soddisfacente della scienza che sia statica. Questa impresa sempre in divenire non può essere compresa se non attraverso una dinamica. Una volta riscoperta la storicità (grosso modo: il momento kuhniano), occorre ricominciare a trovare una razionalità in questo divenire, una struttura in questa genesi. Ed è qui che Piaget supera in precisione – e di molto – tanto Kuhn che Lakatos e Popper, che si collocano ancora sempre a un meta-livello e che, pur appropriandosi dei fatti della storia delle scienze, tentano di costruirne modelli tratti dall’esterno. L’epistemologia genetica è una delle prime auto-applicazioni della scienza a se stessa[9].

    L’epistemologia genetica non si esaurisce nell’analisi formale della struttura delle teorie scientifiche e nemmeno cerca di stabilire una volta per tutte criteri di validità e di scientificità. L’epistemologia genetica utilizza e promuove (è il caso della psicologia genetica, a questo scopo sviluppata da Piaget stesso) ogni tipo di indagine (biologica, psicologica, storica, logico-matematica...) in grado di fornire dati e modelli utili per uno studio della storia naturale dei processi cognitivi. Fa però continuamente retroagire, in una sorta di anello ermeneutico, i risultati di tali indagini sui principi epistemologici che hanno guidato le indagini stesse che li hanno prodotti. Ciò fa sì che l’epistemologia genetica possa essere definita una sorta di epistemologia dell’epistemologia[10]. È nel cuore delle indagini attuali di conoscenza della conoscenza[11]quanto lo stesso Piaget si proponeva nell’enunciazione originaria del suo progetto:

    Se l’analisi genetica si appoggia necessariamente su un sistema di riferimento formato dalle scienze costituite al momento considerato, è naturalmente questo sistema di riferimento che si tratterebbe di spiegare a sua volta per generalizzare la spiegazione genetica alla conoscenza intera. Ma ci si trova allora in presenza dell’alternativa seguente: o l’analisi genetica non giungerà a rendere conto del suo proprio sistema di riferimento, e fallirà dunque nel costituire un’epistemologia generale, oppure vi riuscirà, ma al prezzo di un cerchio evidente, poiché l’analisi genetica riposa, in questo secondo caso, su un sistema di riferimento che dipenderà lui stesso da essa! Ora, fedeli agli insegnamenti che comporta lo sviluppo del pensiero scientifico, è questa seconda soluzione che dobbiamo adottare, per il solo fatto che l’insieme delle ricerche contemporanee stanno precisamente impegnandosi in un tale cerchio. Soltanto che questo cerchio, per quanto sia effettivo, non è vizioso, o, per lo meno, è imposto dalla natura delle cose. Non costituisce, in effetti, che un caso particolare del cerchio del soggetto e dell’oggetto, cerchio inevitabile non soltanto per ogni conoscenza, ma anche per ogni teoria della conoscenza. La conoscenza si appoggia su un oggetto al di fuori del quale il soggetto non sarebbe raggiunto (dal di dentro o dal di fuori), e non conoscerà dunque se stesso, in mancanza di attività da parte sua; ma questo oggetto non è a sua volta conosciuto che attraverso il soggetto, senza di che resterebbe inesistente per lui. Höffding ha insistito con chiarezza su questo cerchio iniziale, tale che il soggetto si conosce solo attraverso l’oggetto e conosce quest’ultimo solo relativamente alla sua attività di soggetto. Ugualmente, ogni teoria della conoscenza, per spiegare come il soggetto è toccato (affecté) dall’oggetto (che questo sia concepito a titolo di realtà esterna, o di pura rappresentazione o presentazione tout court),deve da parte sua porre questo soggetto e questo oggetto riuniti a titolo di oggetto della sua propria ricerca, il nuovo soggetto essendo allora il teorico della conoscenza: ma quest’ultimo giunge naturalmente a conoscere il suo oggetto (dunque il rapporto costituito dalla conoscenza) solo attraverso il suo pensiero (cioè la sua propria conoscenza), che gli è conoscibile a sua volta solo per riflessione su questo oggetto. Che, per sfuggire a questa difficoltà, si ponga in medias res e faccia così appello a certe informazioni preliminari sui soggetti e sugli oggetti che egli studia a titolo di oggetto, dovrà presto o tardi reintegrare questi presupposti nella sua propria spiegazione, e il cerchio riapparirebbe[12].

    L’epistemologia genetica è dunque:

    un’ epistemologia sperimentale, che produce, utilizza e coordina i risultati sperimentali delle scienze cognitive e delle scienze del vivente;

    un’ epistemologia transdisciplinare, che richiede una classificazione circolare delle scienze;

    un’ epistemologia dell’epistemologia,che applica continuamente la scienza a se stessa, facendo retroagire i risultati delle scienze sui principi epistemologici che hanno guidato le scienze stesse che hanno prodotto tali risultati.

    Ma per comprendere l’orizzonte dell’epistemologia genetica dobbiamo anche comprendere che per Piaget:

    il problema fondamentale dell’epistemologia è quello degli apporti rispettivi del soggetto e dell’oggetto nella costituzione delle conoscenze;

    la conoscenza è un processo e non un fatto, e quindi un’epistemologia scientifica deve avvalersi di metodi genetici e storico-critici;

    l’epistemologia sfocia in una storia naturale della conoscenza,e in una sua integrazione nella più generale storia della natura.

    2. Una storia naturale della conoscenza

    I due poli di ogni processo cognitivo (soggetto e oggetto) sono, secondo Piaget, irriducibilmente interrelati, risultano da una costruzione reciproca, co-evolvono. E in questa prospettiva che egli, sin dalle sue prime ricerche psicologiche, definì l’intelligenza nei termini dell’adattamento biologico, definendo a sua volta l’adattamento come un equilibrio tra le due funzioni dell’assimilazione (dell’«oggetto» da parte del «soggetto») e dell’accomodamento (del «soggetto» all’«oggetto»). Ed è in questa stessa prospettiva che ha studiato le polarità di soggetto e oggetto come stratificate e decentrate su molteplici livelli, e come entrambe espressione di molteplici dinamiche sistemiche (dal punto di vista sincronico) e di molteplici processi genetici (dal punto di vista diacronico).

    Non esiste cioè, per Piaget, un unico problema generale a proposito dell’interrelazione fra soggetto ed oggetto [13]. Esistono piuttosto molteplici problemi corrispondenti alle molteplici modalità di interrelazione fra soggetto e oggetto[14]. Le relazioni fra soggetto e oggetto non sono omogenee, ma si definiscono di volta in volta secondo modalità specifiche ai vari sistemi e processi cognitivi, ai vari domini e livelli di esperienza, ai vari stati e stadi di sviluppo delle conoscenze. Alla base di questa concezione interazionista sta la seguente idea: la conoscenza è legata a una azione che modifica l’oggetto. In altri termini: la conoscenza raggiunge l’oggetto solo attraverso le trasformazioni introdotte da un’azione. Secondo Piaget nessuna conoscenza si fonda sulla sola percezione, poiché le percezioni sono sempre guidate da schemi di azione: la conoscenza è strutturalmente legata all’azione. Heinz von Foerster ha riconosciuto a Piaget la paternità di questo modo di affrontare il problema della conoscenza, e ha ridefinito in modo più generale la conoscenza come un accoppiamento di attività sensoriali e motorie che produce un anello senso-motorio, nel quale le attività sensoriali informano le attività motorie che a loro volta informano le attività sensoriali[15]. In questa stessa prospettiva Francisco Varela è forse stato colui che più di ogni altro ha contribuito a definire e sperimentare tale idea «pratica» della conoscenza. Anch’egli ha riconosciuto il proprio debito nei confronti di Piaget:

    Quanto Piaget ha introdotto in modo indimenticabile è che la cognizione – anche in quelle che sembrano le sue espressioni più astratte – è fondata sulla concreta attività dell’intero organismo, cioè sull’ accoppiamento senso-motorio. Il mondo non è qualcosa che ci è dato, è qualcosa a cui prendiamo parte attraverso il modo in cui ci muoviamo, attraverso il modo in cui tocchiamo e via dicendo. Questo è quanto io chiamo cognizione quale azione effettiva, dato che azione effettiva connota questa attività di produzione attraverso una manipolazione concreta [16].

    L’originalità dell’epistemologia genetica consiste nell’estendere l’ambito di indagine dell’epistemologia a tutti gli stadi evolutivi, non limitandosi a quelli geneticamente più compiuti, come è quello della conoscenza scientifica. Suo oggetto di studio non è cioè soltanto la conoscenza scientifica, ma anche le varie manifestazioni storiche della conoscenza scientifica, la conoscenza prescientifica che è solidale alle strutture mentali dell’adulto e del bambino, nonché l’insieme di condizioni biologiche, fisiche e sociali che rendono possibile lo sviluppo di tali strutture. Jean Piaget ha studiato il modo in cui soggetto e oggetto si costruiscono reciprocamente attraverso molteplici livelli di sviluppo. In questo senso, secondo Piaget,

    il soggetto non è più di fronte all’oggetto – e su di un altro piano –, a guardarlo così com’è o attraverso occhiali strutturanti: esso affonda nell’oggetto attraverso il suo organismo, necessario all’azione, e reagisce sull’oggetto arricchendolo degli apporti dell’azione; soggetto e oggetto, cioè, sono ormai situati esattamente sullo stesso piano, o piuttosto sugli stessi piani successivi, secondo cambiamenti di scale spaziali e sviluppi genetici e storici. In breve, non c’è più frontiera di principio fra il soggetto e l’oggetto: il soggetto si prolunga nei suoi arnesi, strumenti e apparecchi inseriti nell’oggetto così come la sua logica e le sue matematiche traducono le strutture progressive della coordinazione delle sue azioni, coordinazione le cui sorgenti risalgono fino alle coordinazioni nervose ed organiche [17].

    Piaget ha studiato la storia della conoscenza all’interno della storia naturale per mostrare come la complessità di risposte già manifestate dall’organismo nelle sue interazioni con l’ambiente (allo stesso tempo passive, nel senso di un’adeguazione a condizioni esterne date, ma anche attive, nel senso di un intervento per la trasformazione di tali condizioni) possa prolungarsi nella complessità delle risposte fornite dal soggetto conoscente nelle sue interazioni con i suoi domini di esperienza. L’epistemologia genetica pone dunque il problema di una storia naturale della conoscenza, perché, dalla sua prospettiva, la storia della natura (fisica, biologica, antropica, cognitiva, sociale...) ci può dire qualcosa di pertinente e di fondamentale sulla natura della storia e quindi sulla natura della conoscenza stessa[18].

    Senza una comprensione dei reali e complessi meccanismi che presiedono ai processi evolutivi (coevolutivi) ogni analisi dei processi cognitivi è destinata infatti, secondo Piaget, a isterilirsi nelle maglie di un astratto normativismo.

    3. Autonomia, vita e cognizione

    L’epistemologia genetica ha proposto due radicali cambiamenti di prospettiva nello studio

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