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La scoperta della prima infanzia - Vol. 2: Per una storia della pedagogia 0-3. - Da Locke alla contemporaneità
La scoperta della prima infanzia - Vol. 2: Per una storia della pedagogia 0-3. - Da Locke alla contemporaneità
La scoperta della prima infanzia - Vol. 2: Per una storia della pedagogia 0-3. - Da Locke alla contemporaneità
E-book415 pagine5 ore

La scoperta della prima infanzia - Vol. 2: Per una storia della pedagogia 0-3. - Da Locke alla contemporaneità

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La prima infanzia è, sul piano educativo e pedagogico, una «scoperta» moderna o affonda le sue radici nella storia più antica? Per rispondere in maniera critica e documentata a questo interrogativo, l’autrice esplora in due volumi (vol. I Dall’antichità a Comenio, vol. II Da Locke alla contemporaneità) le concezioni pedagogiche e le pratiche educative che hanno, di fatto, accompagnato la condizione delle bambine e dei bambini nella fascia d’età compresa fra 0 e 3 anni dall’antichità fino ai giorni nostri. La ricostruzione è anche occasione per riscoprire le radici epistemologiche di una agoghé del pâis progressivamente finalizzata a gettare le basi di un’educazione capace di confrontarsi con i caratteri precipui della «natura umana». Dall’analisi della prima comparsa di un pensiero «intenzionalmente» pedagogico fra età antica ed età medievale (vol. I), si è passati (vol. II) allo studio della formulazione in età moderna e contemporanea di una pedagogia sistematica della prima infanzia, distinta (anche se mai separata) dai saperi della letteratura, della teologia, della filosofia. Il ricorso ad una pluralità di fonti storiche ha consentito di far emergere dai «silenzi dell’educazione» la figura ancora poco abbozzata dell’infans, riconosciuto però nel corso del tempo come portatore di un lógos in potenza e, in quanto tale, protagonista e destinatario di un’educazione secundum naturam.
 
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2020
ISBN9788838249358
La scoperta della prima infanzia - Vol. 2: Per una storia della pedagogia 0-3. - Da Locke alla contemporaneità

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    La scoperta della prima infanzia - Vol. 2 - Evelina Scaglia

    Evelina Scaglia

    LA SCOPERTA DELLA PRIMA INFANZIA

    Per una storia della pedagogia 0-3. Vol. 2 - Da Locke alla contemporaneità

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-4935-8

    ISBN: 9788838249358

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    RIPRESA

    PARTE PRIMA - LA NASCITA DEL SENTIMENTO MODERNO DELL’INFANZIA

    I. DALL’EMPIRISMO DI JOHN LOCKE ALLA RIVOLUZIONE PEDAGOGICA DI JEAN JACQUES ROUSSEAU

    1. L’entrata in scena del sentimento dell’infanzia: la testimonianza del Journal de Jean Héroard

    2. John Locke e il neonato come tabula rasa: la formazione del gentleman fra empirismo e disciplinamento

    3. Fénelon: per un’educazione sensoriale e non autoritaria dalla nascita

    4. L’età dei Lumi fra avanzata di una nuova sensibilità pedagogica e internamento dei senza famiglia

    5. La rivoluzione pedagogica di Rousseau

    II. DALLA PEDAGOGIA DELLA MADRE ALLA NASCITA DELLE PRIME ISTITUZIONI PER LA CURA E L’EDUCAZIONE INFANTILE

    1. Johann Heinrich Pestalozzi e la pedagogia della madre amorevole

    2. Albertine Necker de Saussure: madre e figlio nel processo di educazione progressiva come autoperfezionamento

    3. Il contributo della pedagogia del cattolicesimo risorgimentale

    4. Friedrich Fröbel e il Kindergarten come paradiso dei bambini

    5. La scoperta della seconda infanzia, il movimento degli asili infantili e l’opera pedagogica di Robert Owen

    6. Da Firmin Marbeau a Giuseppe Sacchi: la nascita delle prime crèche nel riflesso della valorizzazione della prima infanzia

    7. Il progetto pedagogico Pasquali-Agazzi: per una «coerente visione dell’educazione» fra famiglia e scuola materna

    PARTE SECONDA - L’AVANZATA DELLA PRIMA INFANZIA NELLA CONTEMPORANEITÀ

    III. IL PRIMO NOVECENTO E LE VIE DELL'EDUCAZIONE NUOVA

    1. Il turning point di inizio secolo: la «rivoluzione copernicana» in campo educativo e il contributo di John Dewey

    2. Adolphe Ferrière: l’attività spontanea del fanciullo e la formazione ad una nuova genitorialità

    3. Rudolf Steiner e l’arte dell’educazione antroposofica

    4. Il diritto del bambino al rispetto: la proposta pedagogica di Janusz Korczak

    IV. LA RIVOLUZIONE MONTESSORI

    1. Maria Montessori e l’educazione come aiuto alla vita

    2. Adele Costa Gnocchi: una continuatrice

    3. Le allieve di Adele Costa Gnocchi: dal Centro Nascita Montessori ai primi nidi Montessori

    IV. LE PRINCIPALI PEDAGOGIE DELLA PRIMA INFANZIA NEL SECONDO NOVECENTO

    1. Fra cultura psicopedagogica e cultura dell’infanzia: alla ricerca dell’unitarietà del bambino

    2. Elinor Goldschmied: per una pedagogia del nido come ambiente di qualità

    3. Emmi Pikler: per una pedagogia del libero movimento nel bambino

    4. Loris Malaguzzi: per una pedagogia relazionale alle origini del Reggio Approach

    CONCLUSIONI

    APPENDICE ICONOGRAFICA

    PARTE PRIMA: LA NASCITA DEL SENTIMENTO MODERNO DELL’INFANZIA

    PARTE SECONDA: L’AVANZATA DELLA PRIMA INFANZIA NELLA CONTEMPORANEITÀ

    INDICE DEI NOMI

    COLLANA CULTURA

    CULTURA

    Studium

    206.

    Scienze dell’educazione, Pedagogia e Storia della pedagogia

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    RIPRESA

    Quanta vita vi è nella rosa sbocciata,

    quanto vi è di Dio che discende

    sulle rive dell’anima

    (K. Wojtyla, Canto del Dio nascosto, 1946)

    Il seguente testo, pensato come prosecuzione del volume I intitolato Dall’antichità a Comenio, ma fruibile, al contempo, come saggio a sé stante, intende offrire un itinerario di storia della pedagogia della prima infanzia fra età moderna e contemporanea, finalizzato prioritariamente a far emergere il contributo precipuo e insostituibile della pedagogia sul duplice piano della riflessione teoretica e dell’azione pratica, pur a fronte della progressiva comparsa di nuove scienze attente allo studio del fenomeno educativo nelle sue diverse sfaccettature. La scelta degli autori trattati è avvenuta in ragione del fatto che essi, più di altri, hanno tesaurizzato le innovazioni introdotte dalla medicina, dall’igiene e, in tempi recenti, dalla psicologia dell’età evolutiva, dalla psicoanalisi, dall’epistemologia genetica, senza mai perdere la propria fiducia nell’insostituibilità della pedagogia come disciplina in grado di studiare e promuovere, come nessun’altra, un’educazione e una formazione capaci di corrispondere, fin dalla nascita, alla physis (= natura profonda) di ogni piccina e di ogni piccino, riconosciuti nel loro singolare protagonismo educativo «da genitivo soggettivo» [1] .

    La valorizzazione pedagogica dei loro gesti, delle loro voci, delle loro manifestazioni affettive ed emotive – frutto della constatazione dell’esistenza di una dimensione meta-empirica insita nell’uomo, già presente per gli antichi greci nell’ agoghé del pâis (= moto ascensionale vissuto dal fanciullo con il suo educatore) – è stata affiancata, nel passaggio alla contemporaneità, da una risignificazione dell’infanzia operata grazie all’apporto delle scienze dell’educazione, volto a riconoscere le piccolissime e i piccolissimi come portatori di bisogni educativi specifici e di diritti educativi da salvaguardare e realizzare attraverso interventi ed istituzioni ad hoc [2] . Dietro l’adozione di un’opzione epistemologica centrata sul primato della pedagogia nella formulazione di una teoria e di una pratica dell’educazione capaci di rendere conto dell’integralità della persona umana, vi è lo scopo di illustrare come a tale risultato si sia giunti grazie ad un processo di lungo periodo, sul quale ha influito direttamente il portato di svariate suggestioni filosofiche, letterarie, teologiche, scientifiche «intenzionalmente pedagogiche» che – nel corso di un passato più o meno remoto – hanno mostrato attenzione all’importanza di promuovere una crescita, un’educazione e una formazione infantili secundum naturam.

    Un’esemplificazione di tale passaggio è rinvenibile nell’opera di Maria Montessori, la quale dal 1916 si interessò in maniera sistematica dell’educazione delle bambine e dei bambini fra 0 e 3 anni – i più sconosciuti e dimenticati – squarciando il velo che ancora troppo spesso oscurava il periodo della trophé (= nutrimento, allevamento) , per mostrare quanto dietro il rinnovamento epistemologico di una scienza dedicata allo studio dei problemi educativi vi dovesse essere, necessariamente, una revisione del ruolo educativo dell’adulto, partendo in primis dai genitori, chiamati a rendersi conto del «colossale errore inconscio» che li aveva visti per secoli, a livello universale, vestire i panni dell’adulto plasmatore della «cera molle» dell’infante [3] . Una sorta di freudiana «coazione a ripetere», che la Montessori volle combattere analizzandola in una prospettiva pedagogica attenta a scoprire, come dietro i meccanismi di repressione esercitati dai più grandi nei confronti dei più piccoli, non vi fossero solamente deviazioni psichiche, ma soprattutto un intervento educativo mancato, incapace di ispirarsi ad un’idea di educazione come «aiuto alla vita psichica» dei più piccoli. La consapevolezza dell’insopprimibile asimmetria di ogni rapporto educativo, in quanto relazione fra un magis e un minus, doveva pertanto accompagnarsi ad un cambio di paradigma antropologico nel considerare il bambino non più come un infans, cioè come un essere mancante, un pappagallo capace di imitare goffamente quanto aveva modo di vedere e sentire, ma come un «bambino nuovo» in grado di manifestare nelle diverse circostanze della vita i segni della sua natura autentica di persona umana, anche se ancora non aveva acquisito la piena padronanza del controllo degli sfinteri, della deambulazione, dell’alimentazione e dell’uso della parola.

    È infatti chiaro che se noi eravamo abituati a considerare come fatti psicologici utilizzabili nell’educazione soltanto quelli della coscienza e quelli espressi dal linguaggio, doveva venire trascurato completamente nell’educazione il bambino piccolissimo. E la convinzione che nulla ci fosse da fare per lui oltre alle cure igieniche, ha nascosto fatti di prima importanza. Ma una preparazione dell’adulto ad accogliere le manifestazioni psichiche anziché a soffocarle, ha reso chiaro che la vita psichica dei bambini è molto più intensa e precoce di quanto si era supposto. Ciò ha fatto rilevare con indubbia chiarezza che la vita psichica del bambino piccolissimo e i suoi sforzi di prendere rapporto con l’ambiente esterno precedono di molto lo sviluppo motore, cosicché si ha uno spirito vivo e bisognoso perciò di aiuti e di cure psichiche, quando ancora il grande sistema motore non funziona ed il linguaggio non è sviluppato. [...] Per questo l’uomo costruisce se stesso: al fine di possedersi e di dirigersi. Così vediamo il bambino muoversi continuamente; egli infatti deve costruire l’azione in rapporto allo spirito a passo a passo. Mentre l’adulto agisce spinto dal pensiero, il bambino si muove per costruire in una unità pensiero e azione. Questa è la chiave della personalità nel suo sviluppo [4] .

    Il riconoscimento del bambino come costruttore della propria personalità attraverso l’esercizio del lavoro manuale non fu una scoperta della rivoluzione Montessori, bensì l’approdo di un processo che, pur avendo gettato i suoi pilastri nel passato – si pensi alla concezione umanistica di homo artifex – aveva trovato nella rivoluzione pedagogica di Rousseau uno dei punti di massima espressione teoretica e nel movimento dell’educazione nuova una sistematica declinazione pratica, nei termini di un’educazione indiretta e puerocentrica all’interno di un ambiente, domestico o scolastico, pensato su misura dei più piccoli. Si trattò del maggiore risultato di una processualità attenta a riconoscere l’interiorità dell’essere umano fin dalla nascita come sede della sua autoeducazione, non riducibile alle sole dinamiche inconsce per la presenza di un’ineludibile dimensione metaempirica che da Rousseau, passando attraverso Pestalozzi, Fröbel, Rosmini, Montessori, ha offerto un riscontro sul piano pedagogico al verso di William Wordsworth «il bambino è padre dell’uomo», ma ha anche contribuito a valorizzare il «lavorio intimo» di ordinamento interiore che da sempre fa di ogni piccina e di ogni piccino un attore protagonista dei suoi processi educativi, e non un passivo destinatario di un processo di disciplinamento esteriore. A dimostrazione di come ogni «formazione dell’uomo» pedagogicamente legittimata presupponga, sul piano ontologico, l’«educazione dell’uomo»: ciascun soggetto è protagonista del suo darsi forma, attraverso un percorso in sé inesauribile e perfettibile, mosso a conquistare un agire sempre più libero, intenzionale e responsabile [5] .

    Va, però, constatato che a fronte di queste rilevanti risultanze sul piano della riflessione pedagogica e nonostante l’accento posto da Rousseau sul primato di una relazione educativa da promuovere fin dalla nascita come forma di apprendistato all’«arte del vivere» – cioè come personalizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento – ha avuto sinora la meglio, sul piano dell’organizzazione dei servizi educativi per i più piccoli, la soluzione prospettata dalla rivoluzione pedagogica della modernità inaugurata da Jan Amos Comenio. Il pastore moravo, nell’affermare il principio di universalizzazione dell’educazione e dell’istruzione a partire dalla nascita, delineò fin dalla sua opera più famosa – la Didattica Magna (1628) – un’architettura scolastica rigida e uniforme, animata tutt’al più dal principio didattico dell’individualizzazione anche per la fascia d’età 0-6 anni, interessata dalla schola infantiae (o schola materni gremii) in ambiente domestico. Un notevole passo in avanti per i tempi, se si pensa all’epoca nella quale fu avanzata tale proposta, ma se adoperata ancora oggi come idealtipo pedagogico per interpretare le nuove sfide poste dal Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a 6 anni – introdotto in Italia dal D.Lgs. 65/17 in attuazione della legge 107/15 – essa pone di fronte al limite della preminenza del dispositivo (asilo nido, spazio gioco, sezione primavera, scuola dell’infanzia, ecc.) sulla persona nella sua singolarità. In questo modo, risulta per ora sconfitta la scommessa rousseauiana della personalizzazione [6] .

    Nel licenziare questo secondo volume, esprimo nuovamente i più vivi ringraziamenti al prof. Giuseppe Bertagna per aver ispirato il progetto e alla prof.ssa Simonetta Polenghi per la supervisione scientifica.


    [1] G. Bertagna, Introduzione. La pedagogia e le «scienze dell’educazione e/o della formazione». Per un paradigma epistemologico, in Id. (a cura di), Educazione e formazione. Sinonimie, analogie, differenze, Studium, Roma 2018, p. 31.

    [2] Fra le diverse opere dedicate alla ricostruzione della storia dell’infanzia in età moderna e contemporanea, si richiamano qui in particolare: H. Cunningham, Storia dell’infanzia: XVI-XX secolo [1995] , tr.it., Il Mulino, Bologna 1997; Aa.Vv., Storia dell’infanzia, a cura di E. Becchi-D. Julia, vol. 2, Laterza, Bari 1996; M. Gecchele-S. Polenghi-P. Dal Toso (a cura di), Il Novecento: il secolo del bambino?, Junior-Spaggiari, Parma 2017.

    [3] M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari [1916], Garzanti, Milano 2016, p. 17.

    [4] Ead., Il bambino in famiglia [1923], tr.it., Garzanti, Milano 2017, pp. 135-136.

    [5] In linea con quanto discusso da: G. Bertagna, Tra educazione e formazione: playdoier per una distinzione nell’unità, in Id. (a cura di), Educazione e formazione. Sinonimie, analogie, differenze, cit., pp. 117-127.

    [6] Per un’analisi attorno ai vincoli e alle possibilità adombrati, rispettivamente, dagli idealtipi pedagogici comeniani e rousseauiani sul duplice piano della relazione educativa e della centralità della persona umana, si rimanda a: G. Bertagna, Dietro una riforma. Quadri e problemi pedagogici dalla riforma Moratti (2001-2006) al «cacciavite» di Fioroni, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008, pp. 323-327.

    PARTE PRIMA - LA NASCITA DEL SENTIMENTO MODERNO DELL’INFANZIA

    I. DALL’EMPIRISMO DI JOHN LOCKE ALLA RIVOLUZIONE PEDAGOGICA DI JEAN JACQUES ROUSSEAU

    1. L’entrata in scena del sentimento dell’infanzia: la testimonianza del Journal de Jean Héroard

    Per affrontare gli importanti passaggi che, nel pieno dell’età moderna, condussero ad una progressiva presa di coscienza pubblica dei caratteri e delle esigenze proprie dell’infanzia, con una conseguente risposta sul piano dell’azione educativa, occorre confrontarsi con gli studi di Philippe Ariès confluiti nel volume Padri e figli nell’Europa moderna e medievale (1960) . Essi hanno avuto il pregio di far accendere i riflettori sullo sviluppo sistematico di un «sentimento dell’infanzia» nei moralisti e negli educatori del XVII secolo:

    l’attaccamento e le sue caratteristiche specifiche non si manifestano più attraverso il divertimento e lo scherzo, ma attraverso l’interesse psicologico e la preoccupazione d’ordine morale. Il bambino non è né divertente, né gradevole [...] ci si sforza di penetrare la mentalità dei bambini per meglio adattare al loro livello i metodi di educazione. Perché si hanno molto a cuore i bambini, testimoni dell’innocenza battesimale, simili agli angeli, vicini a quel Cristo che li ha amati. Ma questo interesse impone di sviluppare in loro una ragione ancora fragile, facendone degli uomini ragionevoli e dei cristiani. Il tono è talvolta austero; l’accento poggia talvolta sulla severità, per contrasto con la rilassatezza e la facilità dei costumi; talvolta, ma non sempre. Persino in Jacqueline Pascal c’è del senso umoristico, e anche una dichiarata tenerezza. Verso la fine del secolo si cerca di conciliare dolcezza e ragione [1] .

    Se la sistematicità di tale sentimento era ricondotta da Ariès alla sua comparsa dapprima in ambito familiare per poi entrare in scena nelle riflessioni pubbliche dei moralisti e degli educatori, va aggiunto a riprova di queste sue considerazioni che un ruolo di primaria importanza fu giocato dalle conseguenze sul piano sociale e culturale della rivoluzione scientifica seicentesca, con l’affermazione del primato dell’esperienza e della ragione nella ricerca di leggi universali, anche in campo educativo. Crebbe, inoltre, l’influenza della medicina sulla conoscenza dei più piccoli e dei principali processi fisiologici, ma anche educativi, nei primi anni di vita [2] . Non da ultimo, va enumerato lo sviluppo di un’«ideologia borghese dell’infanzia», espressione con la quale Hugh Cunningham ha definito la maturazione di un ideale di crescita dei più piccoli in famiglia, a partire dalla constatazione che il modo in cui viveva l’infanzia era cruciale nel prefigurare l’adulto futuro e dalla consapevolezza che l’infanzia aveva diritti e privilegi propri [3] . Fu dunque dall’infanzia che si iniziò a studiare con attenzione la natura del fanciullo (maschio e, soprattutto, primogenito), osservandone i giochi, le parole, i gusti, le passioni, per conoscerne il temperamento e da esso dedurre le migliori strategie educative per intervenire in direzione del suo futuro destino personale e professionale [4] .

    Una fonte storica in grado di illustrare i cambiamenti allora in corso è costituita dalle Mémoires (= memorie familiari), scritte da nobiluomini o nobildonne dell’epoca a partire dall’osservazione quotidiana di neonati e infanti, frutto dello sviluppo di una pratica medica attenta ad indagare i loro bisogni specifici e l’eziologia di eventuali patologie. Un esempio interessante, che avrebbe dato vita ad un nuovo genere letterario e ad un vero e proprio habitus educativo, era costituito dal Journal de Jean Héroard redatto dal medico Héroard come «diario della salute» del delfino francese Luigi (1601-1643), futuro sovrano con il nome di Luigi XIII. Nel testo riportò quotidianamente, con minuzia di dettagli quantitativi, le osservazioni condotte sullo stato di benessere del principino, sull’evoluzione dei malanni e, cosa più importante sul piano pedagogico, gli accorgimenti previsti per rendere il suo sviluppo e il suo percorso di formazione i migliori possibili [5] . Il sistema di annotazione adottato, per l’assiduità di registrazione e l’accuratezza dei dati raccolti, seppe fungere «da modello e da insegnamento» per chi dopo i primi anni di vita del fanciullo regale si sarebbe occupato della sua educazione; in senso più generale, rappresentò storicamente parlando un primo tentativo di raccogliere per iscritto riscontri empiricamente constatabili (regime dietetico, orario di sveglia, di sonno e dei pasti; controllo del polso; temperatura corporea; aspetto del viso e dell’umore; osservazione delle urine e delle feci, ecc.) e, contemporaneamente, un abbozzo di riflessione pedagogica. Quest’ultima fece riferimento, nella maggior parte dei casi, ad episodi significativi della vita quotidiana del piccino, con la ricostruzione delle sue prime interazioni, divenute ben presto veri e propri dialoghi grazie al progressivo sviluppo del linguaggio [6] . Va, però, rimarcato ricorrendo all’interpretazione di Lloyd DeMause che, in diversi passaggi, venne presentata una doppia immagine del piccolo Luigi, ora descritto in aspetti adultomorfi per quanto riguardava la voracità, il pianto e la dotazione genitale, ora contenuto nei suoi movimenti con l’ausilio di dande che, anziché favorire la camminata autonoma, lo facevano manovrare come un burattino da parte degli adulti [7] . Monica Ferrari ha rilevato nel testo dell’archiatra Héroard sia la sottolineatura di una diversità naturale di Luigi, grazie al possesso di caratteristiche eccezionali che lo elevarono al di sopra della sua condizione infantile, sia la natura dispositiva del suo percorso di avvio all’arte, al mestiere e alla professione di sovrano fin dalla nascita [8] .

    Il valore peculiare della fonte risiede in almeno due motivi: nella Francia del Seicento il periodo di vita fra 0 e 7 anni era ancora un ambito animato dalle sole donne e governato da leggi non scritte, perché fondato sui contatti faccia a faccia e le parole parlate, tipici delle pratiche tradizionali di allevamento e cura dei più piccoli [9] . Inoltre, offriva una testimonianza diretta dell’avvenuto sviluppo di una conoscenza più approfondita dell’infanzia umana, come mostrato dall’enfasi con cui furono riportate, come dato di constatazione empirica ma anche di riflessione teorica, le prime conquiste del piccolo Luigi che andavano dalla comparsa dei denti da latte, al fiorire del linguaggio e alla deambulazione autonoma, corredata dal cambio di vestiario, con il passaggio dal maillot alla robe, e da quest’ultima al costume masculin. Si trattava delle medesime tappe che i futuri studi in campo pediatrico avrebbero segnalato come segni rivelatori del passaggio dalla prima alla seconda infanzia. La natura di instrument de précision (= strumento di precisione) del diario non deve far dimenticare il fatto che è stato possibile per la prima volta illustrare, attraverso la narrazione di episodi significativi di vita pubblica e privata, lo svolgimento del progetto educativo soggiacente l’ institution du prince [10] . Si spiega, in questo modo, la descrizione del Journal de Jean Héroard come «giornale dei gesti, delle parole, delle attitudini, del carattere dell’infante; una straordinaria raccolta di aneddoti, di facile e affascinante lettura: i giochi, le conversazioni, l’educazione, i rapporti con la servitù, i tratti del carattere (la collera, la dolcezza, il pentimento, la gioia, ecc.)» [11] .

    Stante queste premesse, è possibile sostenere che uno degli accorgimenti vincenti adottati da Jean Héroard fu quello di mettere il delfino Luigi nelle condizioni di diventare pienamente partecipe del percorso proposto, tanto da cogliere in lui già all’età di tre anni la consapevolezza del fatto che il Journal non era solo una «storia della sua pipì o popò», ma «delle sue armi», in altre parole delle sue potenzialità in sviluppo. Sul piano pratico, questo fu reso possibile dal fatto che il piccino era coinvolto di volta in volta nella scelta dei fatti o dei dialoghi da riportare nel diario, in quanto ritenuti degni di essere registrati; oltretutto, con la guida di Héroard, era condotto a ravvisare la necessità di correggere il tiro, qualora necessario, imparando a correggersi nelle proprie mancanze. Ne derivò che gli interventi di Héroard assunsero un carattere pienamente educativo, e non solo di cura medica, poiché accompagnò il progressivo sviluppo delle facoltà del piccino rendendolo protagonista di occasioni formative offerte dalla vita quotidiana all’interno degli ampi spazi del castello di Saint Germain-en-Laye, dove Luigi rimase stabilmente fino all’età di sette anni. Vi fu una costante attenzione ad alimentare il suo desiderio di imparare nella vivezza e nella naturalezza delle vicende di vita quotidiana, coinvolgendo le persone che gli stavano intorno come la nutrice e la governante, poi sostituite dal precettore a partire dal compimento del settimo anno di vita.

    Fra i numerosi esempi, va ricordato che, non appena il piccolo iniziò a farfugliare le prime parole, fu avviato a perfezionare costantemente, giorno dopo giorno, la sua capacità di articolare dapprima le singole lettere, poi le sillabe, fino a giungere in breve tempo alla formulazione di intere frasi e, all’età di due anni, all’apprendimento delle prime preghiere, grazie all’introduzione di particolari accorgimenti didattici e ad un ambiente di vita ricco sul piano lessicale. In aggiunta, Luigi ebbe la possibilità di entrare nella biblioteca personale del medico e consultare alcune delle riproduzioni in essa conservate, come il Livre des animaux e il Livre des oiseaux di Gesner e altri volumi riccamente illustrati, proposti da Héroard come sussidi per collegare le sue esperienze con gli animali – il padre, Enrico IV, era come molti sovrani dell’epoca appassionato di caccia – alle immagini viste nelle incisioni in calcografia. Questo esercizio era reso ancora più spontaneo e forte dall’interesse naturale provato dal piccolo Luigi per questo genere di cose, accuratamente sollecitato da Héroard in relazione ai suoi ritmi di apprendimento, alle modalità di apprendimento predilette (come il gioco di finzione) e alla viva curiosità.

    Se nella prima infanzia di Luigi XIII narrata nel Journal de Jean Héroard non si riscontrava la presenza educativa della madre, sostituita in queste sue funzioni dalla nutrice e dalla governante in un clima generale piuttosto permissivo dal punto di vista morale, di lì a qualche decennio sarebbe andato diversamente per altri rampolli delle famiglie nobili o alto-borghesi europee, in quanto nel passaggio di secolo fra il Seicento e il Settecento la figura materna iniziò progressivamente a fare con il proprio figlio quanto Héroard aveva sperimentato con Luigi, ovvero a preoccuparsi naturalmente della sua crescita fisica (osservando il sonno, l’evoluzione delle malattie, lo spuntare dei denti da latte, il passaggio dalle lallazioni alle prima parole, ecc.), della sua prima formazione religiosa (insegnando il segno della croce, le preghiere del mattino, della sera e prima dei pasti), fino all’apprendimento dell’alfabeto e della letto-scrittura. Tutto ciò in attesa di avviare il bambino dai quattro anni in avanti ad imparare il cerimoniale e le regole di corte, a praticare la danza e tutto quanto rientrava nell’ambito della costruzione della sua identità di nobile, senza dimenticare che, nei casi in cui occorresse una correzione, entrava in azione la sferza, per far passare il fanciullo «dallo stato brado alla ragione» [12] . Lo sviluppo di un sentimento dell’infanzia non deve, infatti, far credere che venissero abbandonate quelle forme di intervento centrate su punizioni fisiche e/o psicologiche, anzi, come evidenziato dagli studi di Katharina Rutschky sulla schwarze Pädagogik (= pedagogia nera), con la nascita della cultura borghese si verificò una certa diffusione della pedagogia nera come stile educativo codificato, soprattutto in ambito tedesco [13] . Essa si tradusse, in particolare, nell’esercizio di forme di controllo del corpo e della psiche dei più piccoli ricorrendo all’utilizzo di immagini spaventose, racconti terrificanti, punizioni umilianti, che produsse per esempio un precoce addestramento al controllo degli sfinteri, concepito quale forma di contenimento di quelle manifestazioni infantili – come le feci – ritenute oltraggiose per il vivere sociale [14] .


    [1] P. Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna [1960], tr.it., Laterza, Bari 1968, pp. 150-151.

    [2] Risulta importante, come ci ricorda Egle Becchi, interpretare l’espressione sentiment (= sentimento) nel significato di rappresentazione di una realtà che si vive e si conosce, nei confronti della quale ci si atteggia (cfr. E. Becchi, Una storiografia dell’infanzia, una storiografia nell’infanzia, in M. Gecchele-S. Polenghi-P. Dal Toso (a cura di), Il Novecento: il secolo del bambino?, cit., pp. 17-20).

    [3] H. Cunningham, Storia dell’infanzia: XVI-XX secolo, cit., p. 55.

    [4] D. Julia, L’infanzia agli inizi dell’epoca moderna, in AA.VV., Storia dell’infanzia, vol. 1, cit., p. 285.

    [5] Limitatamente agli anni della prima infanzia di Luigi XIII, l’unica fonte disponibile è Le Journal de Jean Héroard, Histoire particulière de Louis XIII, vol. 1: 1601-1604 della Ludovicotrophie, copia dell’opera originale attribuibile a Simon Courtaud, nipote di Héroard.

    [6] Molto utili, in tal senso, sono le interpretazioni offerte da: AA.VV., Segni d’infanzia. Crescere come re nel Seicento, FrancoAngeli, Milano 1991; D. Julia, L’infanzia agli inizi dell’epoca moderna, in AA.VV., Storia dell’infanzia, vol. 1, cit., pp. 290-331.

    [7] L. DeMause, L’evoluzione dell’infanzia, in Id. (a cura di), Storia dell’infanzia [1974], tr.it. di una selezione di saggi dall’ediz. orig., Emme, Milano 1983, pp. 33-35.

    [8] M. Ferrari, Il sovrano, il medico, il Delfino. Dispositivi panottici nella Francia del primo Seicento, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», n. 25, a. XXV, 2019, pp. 243-257.

    [9] E. Wirth Marvick, Natura contro educazione: modelli e tendenze dell’allevamento dei bambini nel Seicento francese, in ivi, p. 241.

    [10] «Grazie al diario del medico Héroard siamo in grado di immaginare la vita di un bambino all’inizio del XVII secolo, i suoi giochi e la corrispondenza dei medesimi alle singole tappe del suo sviluppo fisico e mentale. Benché il diario si riferisca a un Delfino di Francia, il futuro Luigi XIII, il caso ha valore d’esempio perché, alla corte di Enrico IV, i bambini della famiglia reale, legittimi o no, venivano educati come tutti gli altri bambini della nobiltà, e ancora non esisteva una netta differenziazione fra il palazzo reale e i castelli dei nobiluomini. Salvo la mancata frequenza del collegio, dove andava di già una parte della nobiltà, il piccolo Luigi XIII fu educato come i suoi compagni; prese lezioni di scherma e d’equitazione dal medesimo insegnante che, nella sua accademia, formava i piccoli nobili alla professione delle armi» (cfr. P. Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, cit., p. 67).

    [11] Journal de Jean Héroard, sous la direction de Madeleine Foisil, publication du Centre des Recherches sur la Civilisation de l’Europe Moderne, Fayard Paris 1989, tome premier, Journal d’hygiène du corps, cap. II, Le journal, p. 59 [mia traduzione].

    [12] Ibid., pp. 112-129, 131-139.

    [13] K. Rutschky, Pedagogia nera. Fonti storiche dell’educazione civile [1977], ediz. it. a cura di P. Perticari, Mimesis, Milano 2015, p. 171.

    [14] L. DeMause, L’evoluzione dell’infanzia, in Id. (a cura di), Storia dell’infanzia, cit., pp. 54-55. Lo storico americano introdusse, a tal proposito, la categoria di « toilet-child».

    2. John Locke e il neonato come tabula rasa: la formazione del gentleman fra empirismo e disciplinamento

    In uno scenario di forti cambiamenti come quelli avvenuti nel Seicento europeo, il contributo offerto dal pensiero di John Locke (1632-1704), medico e filosofo prestato alla politica negli anni della rivoluzione inglese, consente di cogliere il rapporto di interdipendenza esistente fra il processo di formalizzazione del sapere pedagogico nella piena età moderna e l’affermazione del processo di educazione individuale borghese, lontano dalle esperienze collegiali nei seminaria nobilium dei gesuiti e dalle grammar schools inglesi, ma con un richiamo diretto alla tradizione delle scuole umanistiche inglesi. Al centro del suo pensiero vi era un’indagine critica dell’intelletto, studiato nella sua natura, nelle sue funzioni e nei suoi limiti, dando così il via ad una nuova direzione di analisi che avrebbe condotto a Kant, e ben oltre lui [1] .

    La sua formazione iniziale in campo medico gli consentì di affrontare le tematiche di carattere filosofico e pedagogico di suo interesse alla luce dei nuovi modelli di studio del corpo e della psiche elaborati dalla rivoluzione scientifica, fondati sulla pratica dell’osservazione di dati empiricamente rilevabili. Il suo discorso pedagogico fu capace di guardare anche

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