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Questa era la vita che volevo per me
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E-book226 pagine3 ore

Questa era la vita che volevo per me

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Info su questo ebook

C’è sempre una grande motivazione per chi non nasce scrittore e decide all’improvviso di mettersi davanti ad un “foglio bianco” e raccontare una storia. Questo è successo anche al nostro autore che ha avuto la sensibilità e l’intuito di riconoscere che la vita vissuta dal protagonista non è soltanto un’avventura della memoria ma un appassionante recupero delle radici del presente. La testimonianza concreta, quotidiana e autentica di fedeltà ai giovani non si dissolve con il tempo ma si trasforma in una particella che genera nuove testimonianze, nuovi incontri, nuove occasioni. Sicuramente l’autore non avrebbe mai immaginato che sarebbe toccato a lui raccogliere i ricordi di don Ennio Borgogna, trascriverli con puntuale umiltà, rispetto, partecipazione e affidarli alla stampa per non dimenticare e far conoscere il suo carisma a chi non ha avuto la fortuna ed il dono di crescere accanto a lui. Uomini e sacerdoti salesiani come “Ennio” non escono di scena quando si chiude il sipario, ma continuano ad illuminare il cammino di molte persone attraverso l’esempio. La più bella sensazione che queste pagine trasmettono è che non leggi una storia da spettatore, ma ci entri dentro e la vivi.
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2016
ISBN9788856778632
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    Anteprima del libro

    Questa era la vita che volevo per me - Valente Paolo

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-7863-2

    I edizione elettronica luglio 2016

    A Simone,

    in ricordo di Ennio e Vinicio

    Prefazione

    Era l’anno 1999. Mi trovavo nella mia Missione di Makuyu, in Kenya, dove sono missionario salesiano da 34 anni.

    Mi giunge una telefonata: rarissimo riceverne una dall’Italia.

    Qualcuno, dall’altro capo, parla alquanto concitato, interrompendosi di tanto in tanto.

    Mi dice che chiama da Macerata (nella mia testa mi sforzo di situarla in qualche angolo dell’Italia, la geografia non è il mio forte) e che si trova nell’Oratorio Salesiano, come direttore.

    Preoccupato certo per il tempo che passa e per il costo della telefonata stessa, mi dice, in breve, che vuole venire nella missione di Makuyu durante l’estate del 2000, con una trentina di giovani scout e oratoriani.

    Resto a bocca aperta. Ma chi è questo salesiano che vuole portarmi giù 30 giovani in Missione, tutti insieme, e a fare che?

    Ogni anno avevo avuto un gruppetto del VIS, ma si trattava per lo più di 5 o 6 giovani. Qui mi si parlava di 30 e poi, a dire il vero, quell’incepparsi sulle parole dall’altro capo del filo, mi dava l’impressione che andavo a mettermi in un bel guaio.

    Gli ho detto che avevo bisogno di interpellare la comunità, anche se in cuore avevo già la risposta: dovevo avere il coraggio di dire no, anche perché non sapevo proprio niente di questo don Ennio che mi parlava così animatamente da 7.000 km di distanza.

    Passò una settimana ed io mi ero ormai dimenticato della cosa e in ogni caso ero convinto che tutto sarebbe andato a morire. Invece devo attaccarmi nuovamente al telefono e sentire la solita voce. Lui si accorge che io tentenno e allora con una passione che capirò solo più tardi, mi dice: Ma guarda che io ti porto giù dei ragazzi davvero bravi, sono eccezionali i miei ragazzi.

    Furono quelle parole che mi convinsero a prendere un appuntamento con lui, quando a distanza di pochi mesi sarei stato in Italia.

    Ci siamo trovati a Torino, presso la Basilica di Maria Ausiliatrice, dove lui era venuto con un bel gruppetto di giovani a fare il suo pellegrinaggio per l’Anno Santo.

    Mah! L’impressione che mi fece non fu delle migliori. I giovani sembravano un po’ imbarazzati nell’incontrarmi ed io lo ero più di loro. Lui poi, già di età, penso avesse allora 70 anni, piccoletto e rotondetto che si incespicava un po’ nelle parole, non mi dava la solita impressione di trovarmi di fronte ad un trascinatore di giovani. Ma tant’è, anche se non con tantissima convinzione, gli dissi che sì, che potevano venire. Certamente il fatto che tutto fosse avvenuto all’ombra della Basilica della Madonna di Don Bosco ebbe una importanza eccezionale. Era un regalo che la Madonna faceva a me e alla mia missione.

    A distanza di pochi mesi dal nostro incontro, me li sono ritrovati a Makuyu. Tremavo al pensiero del giorno del loro arrivo. Che cosa gli faccio fare? E dove trovo il tempo per stargli sempre vicino anche per fare da interprete?

    Come si adatteranno all’alloggio e al vitto?

    Erano con me da un’ora e già io avevo tirato un respirone lunghissimo. Tutte le mie preoccupazioni erano svanite.

    I giovani, Ennio in testa, erano già in cortile con i nostri bambini e ragazzi e già tutto era in movimento: giochi, balli, risate e poi tanta allegria dei nostri bambini che si giravano attorno a quel grande pretino.

    La sera li trovai tutti in cerchio sotto il porticato e mi invitarono a stare con loro. Non perdevano tempo e quel pretino non batteva l’aria. Si organizzavano per il giorno dopo e c’era un tale rispetto vicendevole ed una tale libertà negli interventi che mi sono sentito subito di casa, con loro.

    La prima domenica si sono presentati alla gente, alla fine della Messa, con un canto alla Madonna delle Lacrime che ha riscosso gli applausi prolungati di tutti, bambini in testa. E lui, il grande Ennio, era là che cantava con passione in mezzo ai suoi giovani e mi ricordai delle parole che mi aveva detto al telefono: I miei giovani sono davvero bravi.... Non ne avevo alcun dubbio, ma adesso la convinzione più grossa era che davvero bravissimo era questo salesiano e che mi trovano di fronte ad un altro Don Bosco.

    La mattina presto si alzava e penso che si recasse in cappellina, anche se io non potevo vederlo, perché impegnato nella Messa con la gente.

    Poi, armato di un vecchio registratore che più che suoni emetteva rumori, si recava alle finestre dove dormivano i suoi giovani e faceva sentire loro le dolcissime note... Qualcuno gli mandava un accidente, qualche altro mugugnava ed altri lo invitavano ad allontanarsi, ma lui imperterrito passava da una finestra all’altra finché non era sicuro che tutti avessero lasciato le coperte... poi in cucina a preparare la colazione per i suoi giovani, perché lui l’aveva chiaro in testa che diventare prete voleva dire mettersi a servizio.

    Verso le dieci del mattino, dopo la preghiera e la preparazione immediata, partivano per i diversi centri, mentre alcuni restavano in parrocchia per l’animazione. Lui andava sempre al centro più lontano. Saltava sul camion che lo portava con i giovani a Doromo Falls e là stava tutto il giorno ad organizzare giochi, attività varie ed a controllare che anche il pranzo fosse sufficiente per le centinaia di bambini che tutto il giorno gli scorrazzavano attorno. La povertà del posto era davvero tanta. La sera faceva rientro e sulla camicia aveva stampate le mani non sempre pulite dei tanti bambini che, come diceva lui, gli insegnavano il Kikuyu a suon di risate.

    La polvere era tanta ed i suoi giovani, appena scesi dal camion, correvano a lavarsi, ma lui no, entrava subito in cucina e dava un mano al cuoco: pelare patate, lavare la verdura, preparare la tavola... solo dopo andava anche lui per una doccia a cui faceva seguire subito il momento di raccoglimento con i giovani: pregavano, riflettevano, si verificavano sul lavoro della giornata trascorsa. Non era mai lui a dare l’avvio alla riflessione e tanto meno a dare avvisi: aveva i suoi capi che lui rispettava e senza i quali non faceva nulla.

    Se gli dicevo qualche cosa che concerneva l’animazione, mi rispondeva subito: «Lascia che ne parli con i miei ragazzi».

    Lui non si metteva mai al centro. Al centro c’erano i suoi giovani, che godevano della sua stima e fiducia nel modo più assoluto e incondizionato. Vennero tra noi per oltre 10 anni, tutte le estati. A volte lo vedevo stanco e gli chiedevo di fermarsi e andare a riposare. Mi rispondeva di stare tranquillo che lui stava bene e che sapeva come riposarsi: se ne andava in cappellina e là tirava fuori il suo libretto in cui c’erano scritti i nomi dei suoi ragazzi e giovani dell’Oratorio e là, come mi ha detto più tardi, leggeva tutti quei nomi al Signore, quasi a ricordarglieli, quasi a dirgli che non ne doveva dimenticare nessuno, tanto meno quelli che erano andati storti nella vita.

    In cappellina arrivava prima dei suoi giovani e metteva sull’altare una statuetta della Madonna che chiamava la Madonnina e mi pareva che la mettesse lì per essere sicuro che anche Lei sentisse quello che lui diceva e che avrebbero pregato e deciso insieme, in modo che fosse coinvolta anche Lei...

    Mi rendo conto che se vi parlo di Ennio, scrivo un altro libro e mi piacerebbe tanto averne il tempo...

    Un giorno mi invitò a Macerata per la Messa. In chiesa, penso sulla destra di chi guardava l’altare, c’era una statua di Don Bosco. Cominciai la Messa e con la convinzione che ho ancora adesso dissi ai suoi giovani: «Io qui sono un po’ confuso, perché ho alla mia destra Don Bosco, la statua, ed a sinistra Don Bosco vivo, don Ennio».

    È una convinzione che mi è rimasta. Con Ennio, Don Bosco è ritornato tra noi e ci è stato un bel pezzo in quell’Oratorio di Macerata e ci si è trovato bene, proprio come a Torino, nella sua Valdocco. Ed io, che a Don Bosco sono legato da tanto affetto e riconoscenza, provo proprio altrettanto affetto e riconoscenza per don Ennio a cui voglio bene come a mio fratello maggiore. Grazie Ennio.

    Don Felice Molino

    Direttore della Comunità Ispettoriale

    ed incaricato della Procura Missionaria

    per l’Ispettoria Africa Est (AFE).

    Introduzione

    Nell’autunno 2011, dopo alcuni mesi trascorsi a riflettere su questo progetto, pensai fosse giunto il momento di parlarne con il protagonista: don Ennio Borgogna.

    Ci conoscevamo dal 1968 e l’anno seguente, durante i preparativi per il campo estivo, lo invitai a casa con la ferma intenzione, anche se appena undicenne, di convincere i miei genitori ad autorizzare la mia partecipazione. L’anno scolastico si era appena concluso e ricordo che poco prima della chiusura dell’oratorio per la pausa pranzo, con Ennio inforcammo entusiasti le biciclette pedalando velocemente con la speranza di strappare un sì definitivo. Per lui non fu difficile stabilire una relazione di fiducia, la componente del suo carisma interiore era talmente potente e riconoscibile che avrebbe superato ogni ostacolo.

    Da quel momento, per me, non fu solamente il prete che con le maniche rimboccate, la veste impolverata e alzata fino al ginocchio prendeva parte ai divertimenti dei ragazzi e che, dribblando tutti, ci lasciava sbalorditi per la sua destrezza, ma un punto di riferimento, un faro che avrebbe continuato sommessamente e umilmente ad illuminare con l’esempio e l’incarnazione quotidiana dei valori evangelici il mio cammino verso l’età adulta. Ad ogni modo gli dissi che si trattava di realizzare un prodotto editoriale con una triplice funzione:

    - far conoscere agli educatori e ai giovani confratelli il lavoro svolto negli anni con i ragazzi attraverso il racconto della sua vita e la sua testimonianza di sacerdote;

    - organizzare un archivio fotografico e video indicizzato per condividere con tutti gli amici i ricordi, le emozioni e le avventure vissute nel corso degli anni;

    - continuare l’opera di sostegno delle missioni africane destinando tutti i proventi raccolti dalla vendita di questa pubblicazione ai nuovi progetti avviati nelle comunità che lo avevano visto protagonista attivo negli ultimi vent’anni.

    Mi guardò perplesso, quasi imbarazzato e commentò: «Indubbiamente è interessante, ma sarà molto impegnativo... devo sentire cosa ne pensa mio fratello Vinicio perché con lui ho condiviso tutti i momenti più intensi della mia vita e le scelte più importanti».

    A quel punto ci accordammo per rivederci dopo una ventina di giorni ed esaminare il documento che riportava le fasi operative del progetto. Trascorse appena una settimana e una sera Ennio mi recapitò un sms nel quale annunciava telegrafico: Per Vinicio ok!. Ci incontrammo tutti e tre per definire i dettagli dell’iniziativa e, da lì, tutto prese il via.

    Tentare di illustrare per intero le esperienze, l’intensità dei ricordi, i sentimenti e le emozioni che Ennio è riuscito a regalare, significherebbe parafrasare ciò che ha rappresentato per i molti che l’hanno conosciuto e ciò che è stata nella realtà la sua vita vissuta sempre al fianco dei deboli, dei dimenticati, sempre fedele ai suoi ragazzi. Il contenuto di queste pagine, pertanto, non ha l’ambizione della completezza, né tantomeno vuole assumere una valenza nostalgica contraria alla vivacità prospettica di Ennio, è semplicemente il frutto di una serie di incontri avvenuti tra l’autunno del 2011 e gennaio 2013 in cui le nostre conversazioni, libere da ogni vincolo prestabilito, senza pregiudizi e in piena allegria, come sempre, hanno toccato i temi a lui cari: la famiglia, la vocazione, l’educazione e la formazione dei giovani, l’avventura, la povertà, le missioni e l’attualità del messaggio di Don Bosco. Una fitta trama di affetti, memorie, delusioni e speranze, la tessitura di una tela che rimanda numerosi fili, tanti quanti sono stati quelli delle generazioni toccate nell’anima da questo piccolo sacerdote con un cuore grande come quello di un gigante.

    Riuscire a comprendere cosa si muove nella nostra vita interiore e in quella degli altri è straordinario. Per te, Ennio, è stata la vita che volevi, per noi sei stato il fratello maggiore che ci voleva bene. «Il vangelo che si legge la domenica serve il lunedì» ricordacelo ancora, tu che sei entrato nell’abbraccio di Dio.

    Nota dell’autore

    Il testo riporta gli episodi, gli aneddoti, le espressioni e le riflessioni raccolte in diretta durante le conversazioni con don Ennio Borgogna. Gli approfondimenti, i rimandi alle sue esperienze, la narrazione ricca di dettagli, mostrano la sua sorprendente lucidità, l’attitudine naturale ad essere infaticabilmente vero ed autentico e il suo proverbiale forte senso della realtà. Per evitare omissioni involontarie ed esclusioni accidentali, con Ennio avevamo pensato di contenere la citazione dei personaggi ai soli familiari, confratelli e coadiutori.

    Senza dubbio una scelta sofferta, ma comprensibilmente imposta dal grande numero di amici, ragazzi, allievi ed ex-allievi conosciuti in tutta la sua vita. Ogni lettore quindi potrà liberamente ricordare e riconoscersi tra i protagonisti di queste pagine così come Ennio ha desiderato.

    Capitolo I

    "La prima felicità di un fanciullo

    è il sapere di essere amato"¹

    «Raccontiamoci qualcosa di sereno, niente viene per caso». Sono nato il 30 luglio 1930 in una famiglia povera, e come altri poveri occupavamo una piccola casetta di terra nel quartiere di Ficana² a Macerata. Ora la zona è stata rivalutata con un progetto di recupero architettonico, ma queste abitazioni all’epoca ospitavano le famiglie meno abbienti della città. Vivevamo con i nostri genitori ed i nonni, i servizi igienici erano all’aperto ed il caminetto della cucina era l’unica fonte di calore, dove mamma Ida ogni sera, dopo aver rigovernato, metteva a scaldare un mattone che piacevolmente mitigava la temperatura delle lenzuola sempre fredde e umide. Dormivamo sopra materassi fatti di foglie di granoturco. All’inizio erano talmente alti che non riuscivamo nemmeno a salirci sopra, poi con il passar del tempo le foglie si schiacciavano e diventavano rigidi come il pavimento.

    Dopo qualche anno ci trasferimmo in un altro quartiere, in via dei Cincinelli. In quei luoghi ho cominciato a capire la dimensione della povertà. Tuttavia il problema maggiore che avevamo, io e mio fratello Vinicio, era quello di riuscire a mangiare. Spesso, come accadeva a molti nostri coetanei, trafugavamo ai contadini confinanti le poche cose che riuscivamo a prendere: uova, frutta, pomodori, ecc. Un giorno mamma Ida si accorse delle nostre scorribande e per l’occasione ci servì un antipasto di sonore sculacciate seguito da un’esemplare punizione di contorno. Consapevoli della nostra prontezza e vivacità, riuscivamo a consolarci rapidamente, ma ne rimediavamo sempre tante. In casa c’era posto per tutti: due maschi, due sorelle femmine, i nostri genitori e quattro nonni, di cui uno paralizzato. Nonostante questa situazione familiare, mamma non si disperava mai. Era sempre contenta, la sentivo spesso cantare malgrado le difficoltà e gli impegni quotidiani. Con lei ho sempre avuto un rapporto molto bello e un dialogo aperto e sincero. Mi ricordo un episodio che segnò e diede forza al nostro reciproco affetto.

    Nel quartiere, noi ragazzini giocavamo senza distinzione d’età e spesso accadeva che i più grandi s’improvvisassero maestri di vita. Quel giorno, un ragazzone alto e spavaldo che usava condire regolarmente le sue espressioni con bestemmie, imprecazioni di ogni tipo e che si atteggiava a capo del quartiere, attirò la mia attenzione. Aveva radunato intorno a sé un gruppetto di curiosi e facendosi vanto della sua mistificata esperienza con l’altro sesso, sfoggiava il suo repertorio di racconti scurrili e volgari dettagliando, senza alcun pudore, le sue avventure. Quando rientrai a casa, subito mi misi a raccontare ciò che avevo sentito a mia madre. Lei mi ascoltò con molto imbarazzo cercando in tutti i modi di mostrarsi distaccata e impassibile, ma l’autocontrollo non riusciva a celare i rossori del suo viso di fronte all’impudenza delle mie espressioni. Notai il suo disagio e mi domandai: Ma mamma di queste cose non conosce proprio niente?!. Lei, a casa, era l’educatrice, si faceva ubbidire con le sue amorevoli premure e rispettare, quando era necessario, con qualche scapaccione. Ma quel giorno mi ascoltò fino in fondo senza interrompermi. Poi mi disse: «Ennio hai finito?» ed io risposi di sì. Mi fece cenno di appoggiare la testa sulle sue gambe ed iniziò con voce lieve a trasferirmi la sua versione: «Sai Ennio... i figli nascono per amore...» e proseguì con straordinaria calma allontanando i miei turbamenti e restituendomi quella serenità che solo una madre può ristabilire. Da quel giorno mi confidai sempre con lei. Ida era una donna che aveva frequentato la terza elementare, ma era in grado di esprimersi con

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