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E-book119 pagine1 ora

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Accesi il televisore per ascoltare il notiziario: un ennesimo acquazzone aveva flagellato Napoli ed una voragine si era aperta sulla collina di Posillipo. Sembrava che ci fosse anche un disperso, un automobilista che transitava con la sua auto, proprio in quel momento.
Non riuscii ad udire il servizio di approfondimento perché nel frattempo squillò il cellulare. Dal display vidi che la chiamata veniva da un numero che non avevo in agenda.
«Ciao, sono Loretta, ti disturbo?», disse con voce concitata.
«No Loretta, dimmi pure sono qui a Milano a casa.»
«Ah, pensavo fossi ancora a Napoli, avevo bisogno urgente di parlarti, ma non per telefono.»
«Senti, io torno a Napoli dopodomani, ho un impegno in mattinata, ma in pomeriggio sono libero, il giorno dopo  poi rientro.»
«Pensavo che ti trattenessi di più, comunque, se puoi ci possiamo vedere dopodomani, qui a casa mia alle quindici, così ti spiego, ci sarà anche un mio amico avvocato.»
«Bene, allora, mandami l’indirizzo per sms che me lo salvo sull’agenda elettronica, perché ora non ho dove scriverlo. Ciao Loretta, ci vediamo, come stabilito.»
“Avrai senz’altro sentito di quella frana a Posillipo: il disperso è mio marito!», esordì Loretta, senza lasciarmi neppure il tempo di sedermi.
«I vigili del fuoco hanno detto che la macchina è scivolata nella voragine lentamente fino quasi al mare, per cui  non ha subìto grossi schiacciamenti. Il terriccio vi si è poi riversato sopra coprendola e l’acqua ha fatto il resto.
“Il problema” intervenne l’avvocato,” è che i casi sono due, o Carlo, il marito della signora, si è salvato e vaga per Napoli in stato di choc oppure, l’ipotesi alla quale non vogliamo neppure pensare, è che sia scivolato in mare e sia sparito durante la notte trascinato dalle correnti, molto forti quel giorno.
LinguaItaliano
Data di uscita6 gen 2018
ISBN9788827547229
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    Anteprima del libro

    Amazement - Roberto Genovese

    (2014)

    Prologo

    Guardavo fuori dalla finestra del mio studio: pioveva come solo il cielo di Milano sa fare, nel periodo che va da Maggio a Giugno, la stagione delle grandi piogge, come la definisco io.

    Il mio umore non era quello dei giorni migliori.

    Ero ripiombato nella piatta tranquillità dei bei tempi andati , dopo circa quattro anni in cui il pericolo, l’ansia ed il dolore, anche fisico, erano stati componenti continui della mia vita.

    Tutto era cominciato con la morte di una mia cliente e, quasi come in uno di quei giochi di ruolo, mi ero ritrovato a collaborare con la polizia di stato, in veste di esperto del settore immobiliare. A volte era stata dura, ma tutto sommato, mi ero divertito. Ora, invece, la routine del lavoro stava cominciando ad annoiarmi ed anche le trattative più complicate non mi provocavano più quelle scariche di adrenalina così salutari e benefiche per l’umore.

    Il nostro è uno studio di professionisti associati, consulenti immobiliari, del quale io sono il broker titolare, ma al di là della forma giuridica, è una piccola famiglia, nella quale i problemi di uno, sono quelli di tutti.

    I miei colleghi di ufficio, con i quali avevo condiviso le ansie ed i problemi degli ultimi anni, erano stati parecchio distratti dalle mie avventure ed in alcuni casi, il loro lavoro ne aveva anche sofferto. Ora naturalmente, guardavano con sollievo la situazione attuale, a differenza di me che sentivo la mancanza di qualcosa di indefinibile; di notte facevo strani sogni ai quali non riuscivo a dare spiegazioni.

    Nelle brevi scene che la mia memoria mattutina mi rimandava, ricorreva l’immagine di una bambina o meglio di un essere di genere femminile che ogni volta aveva un’età diversa. A volte mi appariva come una bambina di pochi anni, altre come un’adolescente, mai come una donna. Condivideva con me le avventure o comunque gli avvenimenti del sonno, ma non ricordo mai che mi parlasse. Mi aiutava nelle mie azioni, mi porgeva delle cose, mi stava vicino, alle volte la tenevo in braccio, ma al risveglio, pur ricordando di averla sognata, non riuscivo a definirne il ruolo.

    All’epoca in cui collaboravo assiduamente con la polizia, ero ricorso all’aiuto di una psicoanalista, anch’essa consulente delle forze dell’ordine, che mi aveva aiutato a superare brutti momenti. Mi era stata di aiuto soprattutto dopo la morte della mia compagna, Simona, ispettrice di polizia.

    Quando un incidente stradale, durante un inseguimento, me l’aveva portata via, la dottoressa Carli, mi aveva aiutato ad elaborare il lutto , usava questo termine. Senz’altro corretto dal punto di vista medico anche se, ogni volta che lo usava, io le facevo il verso, prendendola in giro.

    A posteriori credo che, sopratutto chiacchierare, sdraiato su una poltrona, immerso in un’atmosfera calma ed aprirmi raccontando tutto di me, dei miei pensieri, sensi di colpa, timori, quello sì, che era stato salutare… forse era questo che lei intendeva per elaborare il lutto ,

    Da qualche giorno, stavo seriamente pensando di sentirla, per cercare di capire qualcosa di questi sogni perché, anche se non mi sentivo in alcun modo turbato, volevo a tutti i costi sapere che nesso avessero con la realtà della mia vita.

    Conducevo la mia esistenza, ormai da anni, separato da mia moglie e da mia figlia, che risiedevano entrambi a Firenze, ma il rapporto con loro e con il nuovo compagno di mia moglie era dei migliori. Vivevo però in solitudine, con pochissimi amici, uno dei quali era il commissario Durso, l’ex capo di Simona, con il quale mi vedevo ogni tanto per fare quattro chiacchiere o per prendere un aperitivo. Ero completamente conscio della mia condizione ed affatto turbato, ma quel piccolo essere che mi veniva in sogno, cosa voleva dire o dirmi? Questo mi sfuggiva!

    Non era stato sempre così: avevo trascorso la mia adolescenza a Napoli, la mia città natale, dove avevo tanti amici veri, quelli con i quali si divide il panino nell’ora di intervallo a scuola.

    Insieme eravamo andati per la prima volta a donne, avevamo imparato a guidare l’auto, fatto le prime ragazzate: con le cinquecento truccate, le gare di accelerazione nel tunnel della Vittoria… le prime sbronze. Poi l’università, il sessantotto: scioperi, occupazioni, cortei, ma anche studio sino a tarda notte, esami, tutto sempre insieme, anche se con differenti esiti.

    Poi i vari impieghi lavorativi, in diverse città, io a Milano uno a Trieste, un altro a Reggio Calabria ed alcuni rimasti a Napoli, quelli che noi avevamo ritenuto, forse a torto: i più fortunati. Le telefonate, le rimpatriate, durante le ferie di Natale, poi i figli e sempre meno rimpatriate, sempre meno telefonate.

    Ad un certo punto, cominciarono ad arrivare quelle che non avresti mai voluto ricevere: «Sai tizio sta molto male, gli hanno trovato…, sai a quell’altro è successo che…, l’hanno dovuto operare d’urgenza, ma non ce l’ha fatta».

    Ogni volta rivedevo le stesse immagini dei nostri volti felici durante una gita al mare o in Abruzzo, sulla neve e facevo finta che quello morto fosse un’altra persona: «Non è lui, vedi che questo è più vecchio, più grasso e con i capelli quasi bianchi».

    In un anno e mezzo ricevetti ben quattro di queste telefonate: una strage!

    Ero distrutto, mi sentivo un sopravvissuto ed in quei momenti capii quanto è grande la natura, in particolare la mente umana, soprattutto, credo, quella dei napoletani. Penso che sia dotata di una sorta di meccanismo di difesa contro le disgrazie, perché, dopo il primo momento di dolore, fa subentrare una sensazione quasi di sollievo, di benessere inconscio che ti risolleva dal baratro nel quale stavi cadendo e ti fa dire: «Boh, meglio a lui che a me!»

    Ma ormai ogni volta che andavo a Napoli, c’era sempre meno gente da salutare, da incontrare, con cui andare a prendere un caffè o semplicemente passeggiare sotto braccio, come si usa da noi, per i quartieri spagnoli.

    Lo squillare del telefono mi distolse dai miei pensieri, Emma, la mia segretaria mi trasferì la chiamata di un agente immobiliare di Napoli, quando si dice, con il quale condividevo l’incarico di vendere un immobile di proprietà di un mio cliente milanese. Era un mio ex collega di quando lavoravo per un grosso gruppo petrolchimico, prima di intraprendere la libera professione. Aveva deciso di darmi l’incarico, sapendo che il network di cui facevo parte era presente con uffici anche a Napoli.

    Avevo accettato volentieri, poiché, ogni tanto, fare qualche viaggetto nella mia città natale ed immergermi nei miei ricordi di gioventù non mi dispiaceva affatto.

    Man mano che il mio collega mi parlava, il mio umore mutava in meglio: aveva ritirato un’offerta di acquisto da parte di un suo cliente e voleva che la sottoponessi al proprietario. Gli dissi di inviarmela per e-mail. Il prezzo offerto non si scostava molto da quello richiesto, per cui intravedevo la concreta opportunità di una positiva conclusione della trattativa.

    Oltre all’allettante prospettiva di guadagno, ciò mi lasciava sperare nell’opportunità di un nuovo viaggetto a Napoli, per giunta in un momento molto vicino alle ferie estive. Infatti questa concomitanza mi dava anche la scusa per trattenermi un po’ di più del necessario e trascorrere qualche giorno con mio fratello, oltre che inalare un po’ di quelle atmosfere di festoso caos che a Milano tanto mi mancavano.

    I

    Da sempre ho odiato l’alta velocità, anche in macchina preferisco la strada statale piuttosto che l’autostrada. Percorrendo l’Aurelia si allunga di circa un’ora, ma si vedono panorami incantevoli e soprattutto ci si può fermare in qualsiasi momento senza dover per forza arrivare ad un’area di servizio. In tanti anni di andirivieni tra Milano e Napoli avevo conosciuto diversi posticini, in riva al mare, prevalentemente in Toscana, dove fermarsi a mangiare un panino, prendere un po’ di sole e riposarsi per qualche minuto prima di rimettersi in viaggio.

    Uno di questi si

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