Come rami di un albero
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Anteprima del libro
Come rami di un albero - Cinzia Cilloni
Camozzini
1
Mi svegliai di soprassalto, ero tutta sudata, ormai da diversi giorni mi succedeva di svegliarmi bagnata fradicia.
Infastidita mi tolsi il pigiama rosa con le farfalline colorate. L’avevo comprato per il ricovero all’ospedale, non volevo sembrare troppo malata
quindi avevo scelto quello, un po’ infantile per i miei 41 anni, ma non mi importava. Presi un fazzoletto dal comodino e mi asciugai le braccia e i seni, poi scesi fino al pube, diedi un’occhiata veloce alle piccole ferite sul ventre e mi coprii con il lenzuolo. Lentamente girai il capo verso l’altro cuscino sperando che fosse tutto un sogno ma non vidi la testa arruffata che tanto mi inteneriva. Lui non c’era più. Ormai erano nove mesi che se ne era andato. Dopo cinque anni di convivenza, di progetti e di promesse un bel giorno decise di tornare dalla moglie.
Ti amo!
diceva. Sei la donna giusta per me! Prima o poi la lascerò.
E invece lasciò me.
Mi alzai con fatica, una fitta alla pancia mi fece trasalire. Mi infilai le ciabatte tutte pelose, uno dei suoi ultimi regali, poi mi avviai verso il bagno, mi lavai il viso con l’acqua fredda per svegliarmi e diedi un’occhiata veloce allo specchio... Ero orribile! Consumai la colazione, in silenzio. Mi mancava il rumore dello spremiagrumi e lui che ogni mattina mi preparava la spremuta. Mi mancava il profumo di dopobarba e il nostro stare in silenzio ma vicini e uniti. Mi alzai lasciando tutto sul tavolo, mi buttai sul divano e controllai il cellulare. Nessun messaggio. Ogni mattina da quando Marco se n’era andato io, come un automa, facevo sempre gli stessi gesti.
E cominciai a scrivere...
Ciao Marco, come stai? Mi manchi tanto, a volte mi manca addirittura l’aria. Io mi sto riprendendo dall’intervento ma, chiaramente, devo stare molto riguardata. Spero sempre in un tuo ripensamento, non riesco a smettere di pensarti, come devo fare? Aiutami!!
Rilessi il messaggio due o tre volte poi, come al solito, lo cancellai.
Andai verso la finestra, stava nevicando. Mi piaceva la neve, mi ricordava tanto l’infanzia. In quel momento rividi una scena: io e mio padre davanti alla nostra casa, stavamo facendo un pupazzo di neve e lui aveva intonato una canzoncina che non ho mai dimenticato...
Sento la nostalgia di quella casa, dove stavo con il mio papà e il coniglio rosa che mi regalò quando mamma per sempre se ne andò. Ho tanti ricordi nel cuore, li dedico a te, ti possono servire a star con me.
Di colpo scoppiai in un pianto inconsolabile.
Mi aggiravo per la casa vuota poi, a un tratto, squillò il cellulare. Era Luciano, poverino... Mi aveva già chiamato diverse volte quella settimana e io non mi ero nemmeno degnata di rispondere. Mi amava da una vita, dai tempi della scuola. Ero colpevole di averlo baciato una volta, sapevo di averlo illuso, anche quando lo usavo per uscire visto che era un bravo ragazzo
, ma per me non era niente di più che un amico. Per lui invece era proprio una malattia!
Non ci pensai più di tanto: non mi interessava. Così mi sedetti al computer, la mia sola compagnia in queste lunghe settimane chiusa in casa.
Mi iscrissi così, tanto per passare il tempo, a vari gruppi: giardinaggio, viaggi, libri e filosofia. Insomma, le mie passioni.
Sbirciai un po’ qua e un po’ là e, a un tratto, notai un commento sul gruppo dedicato ai libri.
Avevo postato una delle mie ultime letture, L’amico ritrovato dello scrittore tedesco Fred Uhlman. Una certa Laura commentò così il mio post: Un libro intenso dove il valore dell’amicizia supera ogni barriera e tempo. L’ho letto tutto d’un fiato e quando l’ho finito me lo sono appoggiato sul cuore
.
La stessa identica cosa che avevo fatto io!
E glielo scrissi. Laura rispose immediatamente. Ciao Anna! Ma davvero? Dai, che bello! Adesso cosa stai leggendo?
mi chiese. E scoprimmo che stavamo leggendo lo stesso libro. Incredibile!
Mi disse che amava molto Nietzsche. Io idem.
A quel punto le chiesi: Scusa, ma di che segno sei?
Vergine
rispose.
E io allora le dissi divertita: Anch’io! Ma che giorno?
.
1° settembre.
Ma non ci posso credere... Anch’io! Praticamente gemelle separate alla nascita!
Ci salutammo divertite, ripromettendoci di sentirci presto.
Di nuovo squillò il cellulare. No, ancora Luciano! Ma questa volta mi vennero i sensi di colpa e risposi. Ciao Lucio, come stai? Ah, mi fa piacere... Sì, anch’io sto bene. No, no... grazie, non ho bisogno di nulla. Ok per la pizza, ti chiamo io. A presto!
Posai il cellulare e ripensai a quella frase: non ho bisogno di nulla
. Non era vero, Cristo! Avrei avuto bisogno di qualcuno che mi portasse a fare le terapie, non amavo guidare, soprattutto ora che mi sentivo più fragile. Non riuscivo a sollevare i pesi, quindi a volte mi facevo portare la spesa a domicilio. Avrei anche voluto che la sera, prima di addormentarmi, qualcuno mi dicesse che sarebbe andato tutto bene, avrei voluto sentirmi dire che ero ancora bella!
E sentirmi meno sola! Ma sono dettagli, non ne ho bisogno...
Luciano piaceva molto anche a mio padre. Apriti cielo! Per lui erano tutti sfigati. Io invece non avevo mai seguito la mente ma il cuore, la passione, e adesso eccomi qua a soffrire le pene dell’inferno. Ben mi sta!
Guardai l’orologio, accipicchia! Erano le 11 e a mezzogiorno dovevo essere all’ospedale per il prelievo. Ero ancora in pigiama. Corsi a vestirmi, poi misi un filo di trucco, quello sempre nonostante tutto. Mi misi il turbante, mi guardai allo specchio sempre un po’ stupita e poco convinta, poi mi dissi: Ma chissenefrega!
.
Uscii di casa velocemente, quando squillò ancora il cellulare. Era Stefy, la mia miglior amica. Ciao Valentina
mi salutò. Ultimamente mi aveva appioppato questo nome perché diceva che con il turbante sembravo Valentina Cortese. Mah!
Stasera ceniamo insieme a casa tua?
Certo
risposi.
Allora ci vediamo verso le otto. Ciaooooo.
2
Quella mattina a Bologna stranamente non c’era molto traffico, quindi avrei avuto il tempo anche per pensare.
Diedi un’occhiata allo specchietto retrovisore che mi rimandò un’immagine che stentai a riconoscere. E pensai a come cavolo poteva essere successo tutto questo.
Era una calda mattina di settembre e avevo chiesto una giornata di permesso al lavoro.
Ero su di giri, c’era il sole, sarei andata a pranzo con Stefy, poi un po’ di shopping, estetista e infine nel pomeriggio controllo di routine dalla ginecologa.
Oltretutto ero riuscita a convincere Marco a portarmi in montagna per il week end, lui preferiva il mare ma questa volta mi aveva accontentata.
La mattina era passata velocemente, alle 15.00 ero già nella sala d’attesa. Come al solito ero riuscita a fare in tempo per scambiare due parole con una signora accanto a me. Sono sempre stata un’estroversa.
Entrai nello studio.
Buongiorno Anna! Come sta?
Bene, grazie. Ok, controllino?
Mi sdraiai sul lettino, dopo cinque minuti l’espressione della dottoressa era cambiata. Non chiesi niente, la guardai solamente.
Ok Anna, venga, adesso le spiego tutto. Anna, io non so, un anno fa…. era tutto diverso
.
È un tumore, vero dottoressa?
Me lo sentivo. Lei semplicemente annuì.
In quel momento mi rividi tanti