L'Anello di Santa Rita: Romanzo familiare
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L'Anello di Santa Rita - Lucia Forabosco
Lucia Forabosco
L'Anello di Santa Rita
Romanzo familiare
ISBN: 9788894421583
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Foto
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Epilogo
Bibliografia e riferimenti
Ringraziamenti
L'autore
Presentazione
Lucia Forabosco
L'ANELLO DI SANTA RITA
Romanzo familiare
Edizioni Scripta Volant
Collana: Narrativa familiare
Edizioni Scripta Volant
Tel: +39 3334408793
Email: libri@scriptavolant.net
Web: www.scriptavolant.net
A Giovanni e Vincenzina
1° edizione, Bellano 23 ottobre 2019
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile 1941 n. 633)
Copyright 2019 – Lucia Forabosco
ISBN: 9788894421583
Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione
di questo volume anche parzialmente o con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico
Capitolo 1
Lucia
Sono già diversi giorni che non piove. I fiori nel giardino oggi hanno un’aria triste e sofferente, con la corolla reclinata in basso. Questo mese di maggio è iniziato con un sole rovente già estivo; solo le buganvillee rosse e viola e gli oleandri giù a mare, con i primi boccioli che fanno capolino tra le foglie verdi e lunghe come lame di coltello, sembrano non risentire della calura. Mi ero ripromessa di non piantare più fiori delicati, che in estate bisogna curare e innaffiare anche tutte le sere, ma solo fiori robusti e piante grasse, che posso trascurare un po’, senza che ne abbiano a patire. Invece succede sempre che, arrivato il mese di aprile, quando tutti i fiorai espongono sulla via un tripudio di tinte e profumi, non so resistere e torno a casa più e più volte con la macchina piena di ogni varietà e colore, impegnandomi con me stessa: Son così belli! Quest’anno mi renderò libera e li curerò di più
. Sulle verbene variopinte che ho piantato sul muretto con l’ancora, fatta da mio padre con i sassi di mare, ci sono due farfalle gialle, delicate, intente in una danza gioiosa: a mezz'aria si girano intorno l’un l’altra spostandosi al contempo da un fiore all’altro. Le contemplo immobile, poi le seguo quando con un breve volo si spostano di qualche metro sulla siepe d’edera che recinta il giardino verso est. Si allontanano e si avvicinano per poi riallontanarsi e riavvicinarsi ancora.
Penso che una cosa così eccezionale vada filmata, allora rientro velocemente in casa e ritorno munita della mia modesta cinepresa, ma ho indugiato troppo: le farfalle amorose non ci sono più.
Innaffierò dopo. Mi siedo sui gradini che dalla strada su in alto portano alla casa e guardo quello spicchio di mare, che si staglia tra il nostro pioppo frondoso e gli eucalipti balsamici del vicino, e che oggi è blu cobalto e si confonde all'orizzonte con un cielo di una tonalità appena un po’ più chiara, limpido e senza una nuvola. Penso. Quei gradini sono il mio rifugio di meditazione.
In questi giorni c’è un pensiero che mi gira per la testa. Da quando, l’altro ieri, passando davanti alla Chiesa di San Giovanni Battista, mi sono fermata a leggere un manifesto. Aspettavo un’amica che era lì che si attardava a salutare una signora anziana a me sconosciuta e nell'attesa mi sono messa a leggere.
È l’avviso di una gita-pellegrinaggio che si farà tra gli ultimi giorni di giugno e i primi di luglio ad Assisi e Cascia. Il nome Cascia fa affiorare nella mia mente e forse, ancora prima nel cuore, una serie di emozioni e pensieri… pensieri che ho già da un anno a questa parte, anche se finora in modo vago, come un’idea passeggera che viene accantonata per l’urgenza delle incombenze quotidiane. Ma è un’idea che come va via così ritorna. Ogni tanto.
Non so se è una cosa da attuare effettivamente oppure no e in che modo. Fino a quando non ho letto il manifesto. Allora l’idea ha preso forma e consistenza: voglio andare a Cascia. In quel momento ho saputo per certo che ci andrò. Io non sono cattolica, anzi non sono neanche credente, ma questo viaggio che mi gira per la testa da un anno, lo so, lo farò.
Mi sono seduta sugli scalini a guardare il blu del mare per pensare meglio. Proprio sotto l’arco di gelsomino che ora si è riempito di migliaia di piccoli fiori bianchi profumati. Alla mia sinistra c’è il muretto con l’ancora e le verbene e sulla destra la grossa fioriera bianca con al centro l’alberello di mimosa e sotto questo la statuetta della madonna Immacolata, che è invece un ricordo di mia madre. Ho piantato tutt'intorno cespuglietti di margherite bianche sfumate di un violetto tenue.
Mi sforzo, anche se sono poco brava e poco costante, di mantenere la bellezza di questo giardino che i miei genitori curavano con passione e allegria.
Si sedevano dopo pranzo davanti al portone di casa, in questo angolo esposto a nord, ma riparato dai venti di mare, e stavano seduti lì al tavolino sulle due poltroncine bianche a leggere e chiacchierare godendosi in quiete il pomeriggio fino al tramonto.
L’idea del viaggio a Cascia con il pellegrinaggio organizzato mi attrae molto, perché mi risolverebbe il problema che a me non piace viaggiare da sola e soprattutto andare in albergo e mangiare in solitudine. Ma mentre osservo un’ape silenziosa che si è poggiata sui fiori del gelsomino mi viene subito chiaro che anche il pellegrinaggio ha i suoi inconvenienti, cioè il pullman. Io soffro il viaggiare con questo mezzo, poi ho anche un po’ paura: tutta la notte in autostrada?!
Peccato! Perché l’idea del gruppo mi piacerebbe proprio. Penso che con i pellegrini si crei un’atmosfera raccolta e spirituale già durante il viaggio, che so, con canti e preghiere. Così penso io. Devo far mente locale e inventarmi qualche altra cosa, perché ormai il viaggio è diventato un’idea fissa e concreta. Devo solo studiare il come e il quando e soprattutto con chi.
Caterina… mia sorella Caterina! Ecco con chi. Lei non sa niente ancora, naturalmente. Non le ho mai parlato di questo mio pensiero, che non era ancora chiaro neanche a me. Non so se lei accetterà. Non so se lei ci ha mai pensato a questa cosa. Ma se la conosco bene, qualcosa mi dice che le piacerà questa mia idea.
Mia sorella ha la responsabilità di tre nomi importanti nella mia famiglia: Caterina appunto che è il nome che in ogni ramo da parte materna si ripete per venerazione a santa Caterina d’Alessandria; Rita, per particolare devozione di nostra madre e nostro padre alla santa di Cascia e Barbara che è la santa protettrice della Marina Militare, perciò… Potremmo andare in treno io e lei. Occorre che prima di dirglielo controlli gli orari, le varie possibilità, gli alberghi, in modo da farle una proposta precisa.
Ieri sera mia sorella mi ha telefonato, di ritorno dalla Germania, per salutarmi e dirmi che tutto è andato bene. Caterina mi fa puntualmente il resoconto dei suoi itinerari corredato di belle fotografie e io sono contenta perché in questo modo mi rende partecipe di mete che finora non ho potuto raggiungere, ma non le ho detto niente al telefono di questo mio progetto: non è cosa da parlarne a distanza. A fine mese, mancano meno di due settimane, sarà qui insieme agli altri fratelli. In quell'occasione, un pomeriggio, inviterò Caterina a sedersi davanti casa con me, sulle due poltroncine bianche vicino al tavolino e le racconterò quello che ho in mente, pensiero che, più passano i giorni, più diventa una necessità pressante.
È arrivato il momento di innaffiare, non posso più procrastinare, altrimenti i miei poveri fiori rischiano di appassire. Perciò, con questi pensieri in mente e con la pace nel cuore per la decisione presa, vado avanti e indietro dal rubinetto della cucina al giardino più volte, per bagnare le piantine con una brocca di metallo che ha il beccuccio, in modo che l’acqua vada delicatamente alle radici senza rovinare le corolle.
Capitolo 2
Vincenzina Angellara – aprile 1941
Oggi è il primo giorno delle vacanze pasquali. È venuto a prenderci a Vico Equense lo zio Beniamino in carrozza. Nel collegio delle suore dove io e mia sorella Giuseppina siamo da due anni, dopo la morte del babbo, non stiamo male, anzi il collegio è bello e confortevole anche se dobbiamo dormire in camerata con altre diciotto ragazze. Da quest’anno poi vicino ai nostri letti c’è quello di nostra cugina Gabriella che ha 17anni, un anno meno di Giuseppina. Gabriella è simpaticissima e ci fa divertire. Lei prende tutte le cose con più leggerezza e spesso si fa sgridare dalle suore. Ma mentre noi, io soprattutto, ci sentiremmo morire al suo posto, lei non batte ciglio, anzi, quando la suora gira le spalle, le tira fuori la lingua.
Oggi l’hanno redarguita perché si era tolto il grembiulone nero, divisa del collegio, e aveva costretto una compagna a tenerlo teso dietro la porta a vetri. Ahimè non c’è neanche uno specchio in tutto il collegio. Per castigare la vanità, ci ha detto il primo giorno la madre superiora dopo averci riunite, un centinaio di ragazze in tutto, nel grande salone delle conferenze episcopali. Noi tutte abbiamo chinato il capo e ci siamo ripromesse modestia e castità, ma nostra cugina, bella, con gli occhi brillanti e le fossette sulle guance e con un corpo flessuoso da attrice del cinema, di modestia non ne vuol sentir parlare.
Gabriella era lì che si specchiava, quel poco che poteva, in quello specchio rudimentale, si aggiustava i riccioli e si dava i pizzicotti sulle guance per farsi i pomelli rossi e si girava di qua e si girava di là per guardarsi meglio, quando è arrivata suor Tarcisia. Gabriella è stata messa in castigo e dovrà leggere e poi ricopiare vita e opere di Santa Maria Goretti, nel quaderno nero dei castighi, invece di fare la ricreazione pomeridiana in cortile. Così imparerà, forse.
Lo zio Beniamino in divisa da colonnello