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Quello che non sai di te
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E-book170 pagine2 ore

Quello che non sai di te

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Info su questo ebook

“Ci sono molte persone che hanno avuto esperienze simili alle mie, che hanno percorsi spirituali importanti e che non ne parlano per paura di essere giudicati o non creduti, mi auguro che questo libro possa darvi la forza di andare oltre le vostre paure, perché non c’è nulla di male a divulgare l’amore, bisogna affidarsi, e quando la fede è concreta questi timori si superano affidandosi al volere di Dio. Mi piacerebbe leggere tanti libri con scritto le vostre esperienze perché questa realtà unita alla concretezza della vita possa essere vista da più persone e condivisa da altrettante. So che molte persone fin da quando erano bambine avevano percezioni, visioni, e capacità che lungo il loro percorso di vita hanno dovuto soffocare perché se provavano a spiegarle non venivano credute e addirittura in alcuni casi portate da psicologi, psichiatri, esorcisti, e questo ha creato la vostra chiusura, ma oggi non è più cosi e ci sono persone che ora possono comprendervi perché l’evoluzione spirituale che si è creata impedisce il fatto di essere puniti per quello che si è, come spesso dico un po’ scherzosamente, ma non troppo: ora non possono più bruciarci. Non abbiate paura di quello che siete, quella è la vostra vera natura tutto il resto è quello che vi siete creati in questa incarnazione; ma è effimera, è la costruzione di qualcosa che lascerete qui e non porterete con voi, amatevi per quello che siete, e se non comprendete, chiedete che vi venga mostrato magari con l’aiuto di qualcuno che vi possa aiutare a comprendere, tornate alla vostra sorgente, tornate ad abbracciarvi nell’unione con la vostra vera essenza.”
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2021
ISBN9791220118644
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    Anteprima del libro

    Quello che non sai di te - Veronica Garufi

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    Veronica Garufi

    Quello che non sai di te

    È che la chiave sei tu

    © 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-1534-6

    I edizione ottobre 2021

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Quello che non sai di te

    È che la chiave sei tu

    Prefazione

    Cari lettori: forse questo libro sarà capitato nelle vostre mani per un dono ricevuto, o forse lo avete scelto; qualsiasi sia la modalità con la quale è giunto tra le vostre mani, quello che mi auguro per voi è che le parole di questo libro vi donino una speranza, un messaggio, una conferma, una risposta, una nuova visione. La mia scelta è stata dettata da una necessità nata dall’anima, perché è lei, insieme alla mia mente, che si è posta delle domande, una di questa è: cosa posso fare io per aiutare ancora di più nella comprensione, come posso io divulgare l’amore unito alla concretezza della vita?.

    La consapevolezza che forse non stavo facendo abbastanza, o che avrei potuto fare di più, e l’aiuto inconsapevole di mio fratello che in un momento di crisi famigliare in una nota vocale mi chiese: come fai tu a pensarla così? Come fai?, mi hanno permesso di realizzare che nessuno sapeva del mio percorso; solo a mia sorella minore avevo accennato qualcosa di me, qualcosa sapeva, non tutto: perché io prima d’ora non ho mai parlato di quello che mi è accaduto negli ultimi nove anni della mia vita, e mi sono chiesta: e adesso come glielo spiego in una nota vocale?. Provai a spiegare che avevo compiuto un percorso personale che mi aveva spinto a non portar rancore più a nessuno e che non mi sarei tirata indietro nell’aiuto per nessun motivo al mondo, ma capii che era difficile da comprendere, e dopo qualche giorno la mia anima gettò fuori questo anelito con tutta la sua forza ed eccoci arrivati al libro che avete tra le mani, perché ho deciso con non poca fatica di parlare di me, del mio percorso che è simile a quello di tante altre persone ma che si è molto restii a raccontare per timore di essere giudicati o di non essere creduti, questo timore era anche il mio prima, oggi invece esiste in me la consapevolezza che non bisogna nascondere ciò che di bello accade in questa esistenza terrena, è importante per me far comprendere che esiste un’altra realtà, che con i nostri occhi intrisi di materialità non vediamo. Sono sempre stata una persona estremante razionale e concreta quindi poco dedita a visioni ultraterrene, ma nella mia vita è accaduto qualcosa che ha tolto il velo dai miei occhi che mi impediva di vedere, e qui lo racconterò, perché nonostante ci sia in me ancora un po’ di titubanza mi hanno insegnato che quello che fai con amore e per l’amore non può danneggiare nessuno, quindi vi chiedo, se leggerete la mia storia, che prendiate quello che vi servirà e il resto mettetelo in un cassettino all’interno di voi, perché potrebbe arrivare un giorno in cui potrebbe tornarvi utile riaprirlo e guardarne il contenuto. Chiedo scusa anticipatamente se qualcuno si sentirà toccato dalle esperienze e dalle parole di alcuni messaggi, non c’è in me l’intenzione di giudicare niente e nessuno ma solo di divulgare quello che la mia essenza intesa come anima e come persona ha scelto di trasmettere, in base ad alcune esperienze vissute in prima persona, specifico che alcuni nomi sono stati cambiati per rispettare la privacy di queste persone.

    In questo libro si toccheranno argomenti come la pratica del Reiki, l’ipnosi regressiva alle vite precedenti e i Registri Akashici, ma non saranno approfonditi, perché lo scopo di questo libro è quello di trasmettere un messaggio che arrivi come una voce che sussurra alla vostra anima per permettergli di riconoscersi e di prendere coscienza di ciò che siete in questo corpo, e in questa esistenza. Che siate accompagnati in questa lettura da chi vi guida e vi ama profondamente.

    1.

    Quando ci trasferimmo a Gattinara avevo quattro anni e non ricordo molto prima di allora, so solo che vivevamo a Catania, di cui conservo solo qualche immagine. Quello che ricordo è che ci trasferimmo in seguito a un lutto che colpì la mia famiglia, non so se fu questo il motivo che li spinse a lasciare la Sicilia o se ci fosse altro alla base di quella decisione: so che mia sorella Grazia morì di tumore quando aveva nove anni, ma io non ho quasi memoria di lei, così come mia sorella minore, Vanessa. Mio fratello e mia sorella maggiori, Vincenzo e Melina, invece la ricordavano bene, ma non parlavano di lei. Il dolore della sua scomparsa era troppo vivido in loro e non so quanto possano averne sofferto anche i miei genitori, ma io ero troppo piccola per capire a pieno la situazione.

    Quello che ricordo più nitidamente della mia infanzia è la mia fede spontanea e sincera: non ero mai stata indottrinata al cristianesimo dai miei genitori, cristiani non praticanti, non avevo ricevuto pressioni di nessun tipo che mi avessero spinto in quella direzione; abbracciai la fede genuinamente, con la tipica purezza di una bambina. Libera dal dogmatismo con cui viene insegnata la religione, la spontaneità del mio credo derivava soprattutto dall’esperienza diretta, più che dalle parole dei parroci o dalle letture della bibbia a messa; l’origine della mia fede si manifestava ogni notte quando pregavo, era una presenza confortante che avvertivo seduta davanti a me quando pregavo seduta sul pavimento di camera mia. Affondavo il viso nel suo largo vestito che le copriva le gambe, tanto morbido che soltanto lì potevo sperimentare quella pace, sentivo le sue carezze sulla mia testa che le appoggiavo sulle ginocchia. Non ho mai visto il suo volto, ma bastava il suo tocco delicato e amorevole a riempirmi di una gioia indescrivibile.

    Frequentai l’asilo dei Salesiani gestito dalle suore e iniziai a frequentare la chiesa e fin da bambina, Vanessa veniva con me. Un giorno mamma ci portò al santuario del Santissimo Crocifisso di Boca, sulle colline novaresi, e sotto al portico d’ingresso al santuario, sorretto da otto colonne bianche, le dissi che volevo diventare suora.

    I miei genitori non andavano a messa e nel primo periodo a Gattinara erano a casa raramente: lavoravano entrambi, papà tornava soltanto la sera e mamma spesso si prendeva carico anche dei turni di notte del suo lavoro di assistenza agli anziani. A quei tempi era soprattutto Melina ad occuparsi di me e di mia sorella minore quando era a casa e noi le volevamo un gran bene: ogni volta che riuscivamo ad ottenere qualche spicciolo da mamma andavamo a comprarle le tortine di frutta che le piacevano, per ringraziarla di tutte quelle volte che lei si prendeva cura di noi e ci preparava la merenda quando mamma non c’era. Nonostante le attenzioni di mia sorella, l’assenza di mamma mi pesava parecchio, tanto che una sera decisi improvvisamente di uscire di casa e scendere le scale per raggiungere l’appartamento di un’amica di mamma, nostra vicina di casa. Bussai alla sua porta senza indugio e lei fu sorpresa di vedermi quando aprì la porta.

    Veronica, mi disse con tono sorpreso, che ci fai qui?

    Puoi ricordare a mamma che ha dei figli a casa?, risposi io impettita.

    Lei esitò un attimo prima di rispondere, si guardò intorno per controllare se ci fosse qualcuno con me. Va bene, disse infine.

    Allora la ringraziai e tornai a casa senza aspettare oltre. Nei giorni successivi mamma non disse nulla al riguardo, non mi rimproverò per aver disturbato la sua amica ne mi chiese quale fosse il problema, ma dopo pochi giorni smise di lavorare la notte e passò più tempo a casa con noi.

    Il rapporto che avevo con mia madre cambiò qualche anno più tardi, quando non fui più bambina: Melina mi aveva accennato che sarebbero avvenuti dei cambiamenti nella mia vita con l’arrivo della pubertà ma non me ne aveva spiegato i dettagli, quindi non sapevo bene che cosa aspettarmi. Successe a Napoli, eravamo andati lì a conoscere i genitori di Antonio, il ragazzo di Melina, mentre ero in bagno mi accorsi del sangue. Quel poco che sapevo me lo avevano raccontato alcune mie compagne di scuola e quando lo vidi chiamai subito mia sorella; quando uscii da quel bagno, mamma aveva capito cos’era successo e mi rivolse uno sguardo duro che prima d’allora non avevo mai conosciuto e di cui non compresi la causa in quel momento, una strana espressione accusatoria che nascondeva implicazioni che non capivo. Da allora mi furono imposte nuove restrizioni, come se non mi fosse più concesso d’essere bambina e innocente: mamma mi guardava con occhi diversi e spesso ritrovavo nel suo sguardo quell’espressione d’accusa quando violavo anche inconsapevolmente qualche sua regola; quello sguardo era spesso l’annuncio di una punizione.

    Non mi era più concesso di uscire a giocare sul vialetto di casa come avevo sempre fatto, probabilmente per non attirare le attenzioni dei vicini o dei passanti, era come se dovessi moderare la mia disinvoltura: dovevo pensare a ciò che facevo, non mi era più concesso di essere una bambina, non lo ero più, almeno agli occhi di mia madre; sicuramente lo sguardo accusatorio di mamma nascondeva anche il desiderio di proteggermi, ma questo non potevo ancora capirlo e non mi sarebbe bastato a giustificare il suo nuovo comportamento nei miei confronti; fu per me una fonte di rabbia che da quel momento mi accompagnò per anni. La causa di questa rabbia fu l’incomprensione: non solo per il fatto che non riuscissi a capire che cosa fosse cambiato così drasticamente e rapidamente, fu soprattutto perché non riuscivo a comunicare con lei per ottenere la risposta che cercavo, perché improvvisamente era tutto diverso?

    Mamma non fu l’unica a cambiare atteggiamento nei miei confronti, anche mio fratello Vincenzo assunse un approccio molto più protettivo di prima, relazionandosi con me. Assecondava il comportamento di mamma ma lo faceva con la bonarietà di un fratello maggiore: nonostante questo speravo sempre di non incrociarlo quando ero fuori con gli amici, quando lo incontravo mentre era in giro sulla sua Vespa, lui si fermava a rimproverarmi.

    Che ci fai qui? Torna a casa!, mi diceva ogni volta tra il serio e lo scherzoso.

    Speravo di non incontrarlo soprattutto quando cominciai a uscire col mio primo ragazzo, perché avevo paura che avrebbe potuto dirlo a mamma. Fu in quel periodo che sperimentai davvero quell’incomunicabilità che permeò il rapporto tra me e mia madre durante la mia adolescenza: proprio quando provai a parlarle di quel ragazzo, sperando di riuscire a condividere con lei le nuove emozioni che stavo appena sperimentando, nel tentativo di instaurare quella complicità che mi sembrava che avessimo perso dopo quel giorno a Napoli.

    Mamma, devo dirti una cosa, le dissi con una punta d’ansia nella voce, ho baciato un ragazzo.

    Lo schiaffo che piovve dalla sua mano arrivò inaspettato e immediato come un fulmine nel cielo notturno, bruciò più nel mio petto che sul mio viso: dentro di me ribollì tutta la frustrazione accumulata dall’impossibilità di condividere ciò che provavo. Quello schiaffo innescò in me un processo emotivo che lentamente trasformò l’incomunicabilità che sperimentavo nei confronti di mamma, facendola diventare un’inesorabile sensazione di solitudine. Nonostante avessi le mie sorelle con cui potevo parlare, sentivo che mi mancava il sostegno di una madre e questo corrose pian piano la mia stabilità, come un singolo scoglio che viene pian piano eroso dal mare immenso.

    Nonostante la sua reazione, mamma non mi impedì di avere una relazione: volle però conoscerlo come da usanza: il cosiddetto fidanzamento in casa era una tipica tradizione siciliana che i miei genitori non avevano abbandonato, quindi lo invitai per presentargli la mia famiglia, di modo che mi fosse concesso di continuare a vederlo.

    Era la mia prima relazione e fui felice di sperimentare quelle nuove esperienze, ma questo non bastò a contrastare la crescita di quell’opprimente sensazione di solitudine che si era impadronita di me, di cui ancora non ero pienamente consapevole. Sentivo sempre più spesso il bisogno di isolarmi, come se quella solitudine fosse una fame da nutrire e io non potevo sottrarmene; pensavo alla mia infanzia rimpiangendo quei giorni in cui non mi ero mai sentita sola, anche se i momenti che passavo in solitudine erano tanti anche allora, ero sempre confortata dalle presenza che adesso attribuivo alla mia immaginazione: la donna delle mie preghiere, ad esempio, ma ricordavo anche di quando giocavo dietro al divano e dentro di me intrattenevo lunghe conversazioni di cui ora non ricordo né le parole, né l’interlocutore, era come se avessi sempre accanto qualcuno. Però durante l’adolescenza si diventa scettici e si attribuiscono tutte le esperienze passate all’immaginazione, o si perdono in ricordi falsati, perciò adesso non avevo accanto alcuna presenza confortante, reale o immaginaria, che potesse compensare ciò che cercavo dal mio rapporto con mamma.

    Quel mio evidente malessere però dalla mia famiglia fu attribuito ai problemi nella mia relazione: lui aveva diciassette anni quando ci mettemmo insieme, quattro anni più di me, ne compì diciotto dopo alcuni mesi dall’inizio del nostro rapporto e prese subito la patente; non appena ebbe la macchina fu più interessato a frequentare le sue amicizie e i suoi coetanei piuttosto che me, e la nostra relazione finì a causa di questo suo allontanamento. Ma la mia solitudine era nata molto prima e aveva ben poco a che fare con la fine della mia relazione: era nata dall’incomprensione e negli anni si era nutrita di ogni mia emozione,

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