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Le ombre di Narnja
Le ombre di Narnja
Le ombre di Narnja
E-book180 pagine2 ore

Le ombre di Narnja

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Info su questo ebook

Gli oscuri poteri di Narnja si scontrano con la fierezza di un popolo dall’indole ribelle. Riusciranno le donne e gli uomini di Castrum Podii Medii a smascherare il mandante dello scellerato assassinio compiuto tra le mura del loro borgo in un giorno di festa?
Dopo l’intrigo che ha sconvolto la placida vita di Castrum Podii Medii, il nobile
Monaldo, alla ricerca del mandante, decide di indagare tra le mura della potente Narnja durante la fiera di San Michele. I poggiani si trovano loro malgrado di nuovo coinvolti in un clima di complotto e velleità, scoprendo un mondo fatto di crudeltà, sesso, antichi rancori e macchinazioni. Solo grazie al loro spirito di giustizia, unito a sagacia e fortuna, riusciranno a ricomporre il puzzle di trame che grava sulle loro vite.
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2016
ISBN9788899207151
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    Anteprima del libro

    Le ombre di Narnja - Annalisa Basili

    Dalia Narrativa

    3

    Annalisa Basili

    Le ombre di Narnja

    Prima edizione ebook luglio 2016

    Dalia edizioni

    www.daliaedizioni.it

    © 2016 All rights reserved Dalia s.r.l.s. Terni

    ISBN 9788899207151

    Cura redazionale Dalia s.r.l.s., con il supporto di

    Samantha Falciatori

    Il contenuto di questa opera è interamente frutto di fantasia.

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti

    è da considerarsi puramente casuale.

    La copia non autorizzata di contenuti protetti da diritto d’autore, come questo ebook, è una pratica non consentita e punita dalla legge.

    La cortina pesante della notte lasciava passare pochissima luce e solo gli echi della festa dedicata al Santo rompevano il nero che aveva all’improvviso attanagliato la piazzetta.

    Nonostante fosse stato un settembre molto caldo, l’autunno in arrivo spingeva gli ultimi narnesi ad affrettarsi lungo la Platea Major; i banchi dei venditori erano vuoti ormai, solo le case nobiliari brulicavano di vita, di cene galanti o scambi d’affari.

    Un urlo salì tanto forte in cielo quanto pesante fu l’accasciarsi disperato in terra della donna accanto al corpo insanguinato.

    Gli accorsi, sgomenti, tentarono invano di farla alzare mentre con le mani si copriva il volto, rigandolo di sangue e singulti. Poche luci illuminarono la sagoma inerme.

    Gli unici occhi vivi erano quelli di due leoni rampanti e di un’aquila, che brillavano dai bottoni del mantello a terra, anch’esso esanime.

    Lunedì

    Quel giorno di fine settembre il fabbro Berto de Bernardo si era svegliato di soprassalto che la luce non faceva ancora capolino fra le assi della finestra.

    Si girò verso la sua giovane sposa, al buio non poteva vederla ma era lì, calda, e ne immaginò gli occhi splendenti come se fossero baciati dal sole. Dormiva ancora di un sonno pastoso e veloce al tempo stesso. Come la invidiava per questa sua tranquillità!

    Erano passati diversi giorni dal loro matrimonio, eppure ogni mattina si destava stupito di averla ancora accanto, e continuava a chiedersi se non fosse tutto un sogno, un sogno dal quale avrebbe dovuto presto svegliarsi. Poteva durare una serenità così cristallina? Cosa poteva arrivare stavolta a stravolgere la sua vita come nel precedente matrimonio? Un’altra epidemia che falciasse la famiglia o, peggio, una guerra d’invasione come sempre più spesso si sentiva raccontare dai viaggiatori che si incontravano lungo la via Flaminia? E così pensando, si toccò al fianco la cicatrice riportata nella battaglia della Ghiaradadda.

    Una carezza veloce lo riportò al presente, Filomena si era svegliata e aveva percepito la sua inquietudine.

    Mio amato, trattenendosi dal continuare con una domanda più diretta. Non le erano infatti sfuggiti quei frequenti sussulti notturni ma, nonostante forte fosse la sua curiosità di donna, aveva da subito capito che il suo sposo sempre sarebbe rimasto, in fondo, un taciturno e solo con pazienza e tempo, sperava, avrebbe ottenuto delle risposte. Forse era mancanza di fiducia nei suoi confronti, o la ancor poca conoscenza, ma lui, alle prime domande, non si apriva più, come il riccio della castagna caduto prematuro.

    Quanto avrà sofferto per le sue perdite o cosa avrà mai passato quest’uomo al nord mentre era soldato di ventura? si chiedeva spesso.

    Come poteva essere cambiato così tanto da quello che lei si ricordava quando, ancora ragazzina, lo vedeva giovane sposo con i tre figli salire dalle campagne per la Messa? Il piccolino sulle spalle come san Cristoforo con Nostro Signore e lui sorridente e sereno come solo un uomo felice può essere. Voleva ritrovare quel sorriso che sperava nascosto ancora dentro quel cuore, voleva capire, aiutarlo, ma si limitò a non fare domande. Se il Signore vorrà, pregò fra sé fortemente, sarà mio in tutto e per tutto.

    Ti ho destata, mi dispiace. – e, come suo solito, fece passare, tra le frasi, quel suo tipico silenzio che si presentava breve e pesante al tempo stesso – Non ho più sonno. Ne approfitterei per organizzarmi prima e meglio, visto che dobbiamo partire per la fiera di San Michele. Spero di vendere abbastanza, soprattutto il forziere, e di tornare presto a casa.

    Sottintendeva a casa da te, Berto, ma non riuscì a dirglielo.

    Lei lo accarezzò sul petto e si accostò, così che le sue forme aderirono al corpo di lui in modo perfetto. Le labbra calde si cercarono e i due corpi vi andarono dietro.

    Al diavolo, pensò lui, chi se ne frega della fiera.

    Almeno il corpo è già mio, pensò di rimando Filomena.

    ✳✳✳

    Ahi, lo stomaco! – si lamentò il parroco Gioanbattista Bonamico rigirandosi nel suo giaciglio – Devo chiedere consiglio a Maria Jennara, non posso indugiare oltre.

    Da qualche giorno il fastidio era diventato insopportabile e aveva fatto sparire dalla sua bocca il tanto frequente Deo Gratias che lo contraddistingueva. Si era mostrata prima una pesantezza dopo il desinare e la cosa parve subito a tutti strana. Si poteva chiamare desinare quello che faceva quel sant’uomo, parco com’era nei quantitativi e nel bere?

    Era sopraggiunto poi un bruciore leggero in gola che si ingigantiva la mattina all’alzata dal letto. Lì per lì, pensando a un banale raffreddamento, aveva preso delle tisane lenitive continuando come se nulla fosse stato. Poi il bruciore era aumentato sempre di più e, nonostante non avesse tremori febbricitanti, sentiva la sua bocca ardere come in preda alle fiamme.

    Poi aveva cominciato a svegliarsi nel sonno sentendosi mancare l’aria; si alzava veloce e apriva la finestra, illudendosi che un po’ di fresco potesse aiutarlo.

    Fu così anche quella notte. Si alzò, dischiuse l’asse che copriva la finestra e si affacciò in tempo per vedere da lontano il primo chiarore far capolino da dietro gli alberi sul monte San Pancrazio.

    Il camino del forno pippava, come di norma, e qualche artigiano era già in movimento. Intravide Berto sotto la locanda, la sua nuova casa, in armeggio col carretto donatogli dal nobile Monaldo in sostituzione di quello sfasciatosi poco tempo prima, mentre era in cerca della verità sull’omicidio del duca Arcamoni. Sorrise pensando alla nuova coppia che quella vicenda aveva aiutato a formare; sorrise sperando di veder presto crescere la comunità.

    Il Parroco sorrise, sorrise senza malizia pensando a quanto era successo quel luglio. La libertà dal vassallaggio alla potentissima Narnja, la festa, l’omicidio, la volontà ferrea di quel borgo di scoprire la verità fino a sfidare i maggiorenti narnesi per cercare giustizia. La rettitudine di quel popolo che, compatto, aveva indagato e ora poteva finalmente godersi la libertà concessa dal Papa. Sorrise ripensando ai suoi tre frati birrai, Leone, possente anche nella mole, Tebaldo, giocondo e serafico così come il più smilzo fra’ Jordano, sorrise pensando a Berto: uomini così potevano salvare il mondo, perché incarnazione di rettitudine, onestà e forza d’animo.

    Una fitta allo stomaco e il bruciore improvviso salito alla gola sterzarono gli angoli della bocca. Prese due candele benedette, si inginocchiò davanti alla finestra aperta, come di fronte al tabernacolo della chiesa di San Nicola e recitò una preghiera a fil di voce: O Divo San Biagio, tu che salvasti il bimbo che una spina di pesce ficcata in gola stava per uccidere, tu che puoi, liberami da ogni male della gola, proteggimi da queste sofferenze, e più di ogni altra cosa fortifica la mia fede e sii la mia guida, tu che con il martirio la testimoniasti al mondo. Aiutami a difenderla con le parole e con le azioni. Amen.

    Poi incrociò le candele e ci si toccò la gola recitando per nove volte: "Per intercessiónem sancti Blásii, Epíscopi et Mártyris, líberet me Deus a malo gútturis, et a quólibet álio malo. In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen".

    Ne aveva cantate molte ultimamente, ma il Santo sembrava disattento.

    ✳✳✳

    Marito mio, cosa vi affligge? chiese donna Isabella Frangipane posando la mano sulle spalle di Monaldo Caterini.

    Seduto sull’alto letto, con le gambe penzoloni, rimaneva immobile come un bimbo indeciso se scendere o meno. Alla nobildonna era ben chiaro, ormai da settimane, ciò che lo tormentava. Dopo anni di matrimonio quell’uomo silenzioso era comunque un libro aperto.

    So che pensate ancora al povero Alberigo, ma la sua triste fine non è colpa vostra. L’inferno ha di già inghiottito il colpevole. Ritrovate la serenità, ordunque, ed il riposo che vi meritate.

    Non posso nascondervi nulla, mia cara. Capite allora che mi sentirò sempre colpevole di quella morte, ancor più, però, mi angustia non sapere se qualche altro sia coinvolto nell’intrigo ordito nei confronti di tutto il nostro paese. Avrei dovuto andare più a fondo, pretendere indagini anche a Narnja. Voglio approfittare della fiera per parlare con il marchese Eroli e con il vescovo Gormaz. Loro, in città, avranno sentori diversi di questa storia continuò lui.

    Siamo sotto la protezione di papa Leone X, nessuno oserà contravvenire alle sue disposizioni ed il breve pontificio parla chiaro, siamo un borgo libero, ora. Se non saranno i poggiani stessi a rinunciarvi. – affermò lei rassicurante – Ma se è vostro volere indagare, mio sposo, sarò al vostro fianco, verrò con voi in città e vi aiuterò come posso.

    Non sia mai che lasciate queste pacifiche e sicure terre per entrare nei dedali di quella città infida. No, mia cara, rimarrete qui, sarò più sereno sapendovi sicura a badare alla nostra casa concluse con tono deciso, per lui inusuale.

    Non voglio dispiacervi, mio signore, farò quello che più vi aggrada. Non posso con le parole tranquillizzarvi il cuore, ma… ma, se volete, pregherò con voi, qui, ora, per l’anima del caro Alberigo aggiunse, scivolando fuori dalle leggere coltri e inginocchiandosi accanto a lui.

    Lui le prese la mano e l’accostò lieve alle labbra: La vostra intellighenzia, mia signora, brilla come i vostri occhi neri alla luce di questo sole che sta nascendo. La nostra preghiera avrà così doppia forza. Sono un uomo molto fortunato ad avervi accanto.

    Si inginocchiò anche lui e cominciarono le orazioni pro anima dei defunti: "Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis…".

    Monaldo Caterini si poteva difatti considerare un uomo fortunato. Le preghiere della madre Vannina l’avevano, da infante, salvato da una pessima malattia polmonare; lui era guarito ma il fratello più grande, Melozzo, era morto, soccombendo al grave morbo infettivo.

    La donna l’aveva poi affidato alle cure di un precettore ecclesiastico che gli aveva inculcato rigidi insegnamenti religiosi. E quando domandava a lei o a questo perché il Signore avesse preso il fratello al suo posto, entrambi rispondevano che il suo destino sarebbe stato quello di compiere cose sante in nome di Dio.

    Ma cosa? Si chiedeva sempre più, anno dopo anno, stagione dopo stagione. A quali gesta sono chiamato?

    La vita, infatti, pur se piena di soddisfazioni, era per lui scorsa tranquilla e si sentiva, sempre, in costante attesa di un accadimento futuro.

    Aveva studiato diritto civile e canonico a Perusja e, grazie alla sua perizia e serietà, era entrato alla corte pontificia perché consigliere personale di diverse altisonanti famiglie romane, ma era un pesce fuor d’acqua in quegli ambienti. La sua cagionevolezza di respiro lo aveva reso tranquillo e riflessivo, amante del riposo e dell’aria buona, mentre la corte papale era popolata da un mare di squali.

    Gentucola senza merito diceva nell’unico moto di stizza che la sua educazione gli permettesse.

    Gentucola che godeva di benefici non per propri meriti ma per quelli altrui. Mentre lui aveva sudato anni prima di poter entrare nelle camere riservate di papa Giulio II, altri faccendieri, senza qualità, pregi o virtù particolari, ma solo per conoscenze o quattrini, erano riusciti a ingraziarsi favori e benefici anche a discapito di gente seria e onesta.

    Poi rifletteva fra sé e sé: Magari non è vero che queste persone non hanno meriti. Uno ne hanno: sanno nuotare fra i loro simili!.

    Prima che quel mondo lo avesse potuto divorare e risputare, come la balena di Giona, Monaldo incontrò a un ricevimento Isabella Frangipane, donna istruita e colta che, nonostante le disavventure familiari e le difficoltà economiche dopo la prematura morte del marito, aveva sempre mantenuto un rigore e al contempo una nobiltà d’animo che rilucevano dai suoi splendenti occhi sereni. Per questo lui l’aveva notata fra mille in quel salone, per questo l’aveva amata da subito e con lei aveva condiviso la volontà di ritirarsi nelle sperdute terre dei suoi genitori, fuori dai clamori di corte, mondani e falsi. E lei aveva accettato, fedele e innamorata. La loro unione però non era stata ancora benedetta dall’arrivo di figlioli e sei anni di matrimonio erano ben lunghi per determinare la fecondità di una donna.

    Sarà quel che Dio vorrà dicevano pregando ogni qual volta si congiungevano nel loro talamo nuziale.

    Forse, se avessi un figlio, Monaldo sarebbe distolto da questa ossessione, stava proprio pensando in quel momento la donna, distraendosi dalle litanie, volesse Iddio rendermi pregna! E mentre così pregava, delle lacrime le scesero silenziose. Lui se ne accorse ma aspettò di terminare le orazioni per guardarla.

    Cosa avete, luce degli occhi miei?, baciando i suoi più e più volte.

    Sono molto preoccupata per voi, mio signore! – rispose abbracciandolo con disperazione – Vorrei rendervi felice e poter togliere dalla vostra vita ogni tormento, ma non è in mio potere darvi il figlio che tanto desiderate.

    Voi già mi rendete felice, mia beneamata. Un figlio sarebbe il culmine di una gioia già abbondante, della quale voi siete la parte principale e irrinunciabile. Non fatemi vedere queste lacrime, vi prego. Queste, queste sì, che mi intristiscono. Per il resto… sarà quel che Dio vorrà.

    La baciò con trasporto, a lungo, e si lasciarono prendere dai sensi congiungendosi lì, ferinamente, ai piedi del letto come

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