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Casa Balboa - Il film a luci rosse
Casa Balboa - Il film a luci rosse
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E-book243 pagine4 ore

Casa Balboa - Il film a luci rosse

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Info su questo ebook

C’era da aspettarselo che Mario Rocchi desse un seguito al suo Casa Balboa. Non tanto perché sollecitato dal successo del primo, ma soprattutto per continuare quel discorso sulla famiglia e sulla società che gli è particolarmente caro e che affronta anche qui con la spregiudicatezza, l’immediatezza, la forza della verità che gli appartengono. Se in tutti i suoi libri il cinema, suo grande amore, è sottinteso, qua ne fa da protagonista. Anche se contrastato dalla moglie e dai figli, diventa regista di una pellicola che potrebbe aprirgli le porte della rivincita creativa. Il film è scabroso, con scene hard di sesso, ma ha anche inequivocabili sottintesi esistenziali. Riuscirà Balboa a coronare appieno il suo sogno? Una cosa certa si evidenzia nel finale, e cioè che il sesso è liberatorio e non può che creare felicità.
 
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita26 feb 2013
ISBN9788867520466
Casa Balboa - Il film a luci rosse

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    Casa Balboa - Il film a luci rosse - Mario Rocchi

    Mario Rocchi

    Storie di casa Balboa

    Il film a luci rosse

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2013 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788867520466

    Il sesso allevia la tensione e l’amore la provoca.

    (Woody Allen nel film

    Commedia sexy in una notte di mezza estate).

    L’anno è cominciato con una pioggia pallosa che ha contribuito, in ogni caso, a mandare via la neve che era caduta nei giorni precedenti e che era ghiacciata, procurando disagi a tutti. Una fine dell’anno mesta, terminata scialbamente anche in Piazza Napoleone, dove era la festa popolare, durante la quale gli amministratori hanno tentato di farsi belli. Fra l’altro, hanno premiato come lucchese dell’anno, l’arcivescovo, che non è nemmeno di Lucca. Ma cosa importa a chi vuole ingraziarsi il clero dimostrando ancora una volta l’insanabile bigotteria dei lucchesi?

    A me giravano i coglioni a più non posso. Stavo attraversando un periodo nero anche se in casa, dopo il rientro di Sofia da sua madre dove si era rifugiata a seguito della tremenda litigata che avevamo fatto, le cose apparentemente sembravano andare meglio. Non era che mia moglie mi desse molto spago: se ne stava sulle sue e non c’era stato più verso di chiavare. Come cercavo di avvicinarla, con una scusa o con l’altra mi respingeva. Da Vanessa, la mia amante nascosta che abitava una rampa di scale sotto di me, ero stato, come le avevo promesso con il messaggino augurale, due giorni dopo Natale. Rischiai molto ma il gioco valse la candela. Poi non l’avevo più incontrata perché non mi sembrava il momento, anche se via via l’assaporavo fugacemente, dato che quella pazza se ne stava dietro la porta quando sentiva chiudere la mia, si affacciava sul pianerottolo e come vedeva che ero io, mi afferrava con forza e mi portava dentro quel tanto per farmi scandagliare con la lingua la sua splendida dentatura. Poi io scappavo con la merda al culo perché avevo paura di essere scoperto.

    Era un periodo nero ma giustificato, perché un figlio che se ne va di casa e non si fa più vedere, una figlia che si converte al cattolicesimo, un altro figlio, il più piccolo, che è innamorato e per amore trascura la scuola, non sono cose da poco sia pure per una famiglia anomala come la mia. Poi aggiungiamoci la questione politica con il centro-sinistra che se la faceva addosso per le  intercettazioni telefoniche di Fassino, e la frittata era presto fatta. Quello che mi faceva incazzare ferocemente era l’atteggiamento piagnone dei vari capoccia del centro-sinistra. Si piangevano addosso, si mettevano il cilicio, facevano autocritica. Cose incredibili, mentre il Berlusca, a cui in quei giorni rideva di gioia anche il culo, riusciva a negare tutto in merito alle malefatte, alle leggi ad personam che aveva fatto approvare, insomma negava l’evidenza e la gente gli credeva, almeno così sembrava. E con la legge sul condono, aveva risparmiato una cifra enorme, un risparmio che lui negava. Addio sogni di gloria per il 9 aprile!

    Va be’, lo prenderemo nel culo anche alle prossime elezioni, pensavo, magari anche senza vasellina. Era giusto l’augurio che faceva a tutti i componenti la redazione, un po’ scherzando e un po’ sul serio, Paolo secondo buon ano nuovo. Quello vecchio era ormai rotto dalle varie inculate inflitte soprattutto dal nostro presidente del consiglio, con il beneplacito della Chiesa che ha sempre benedetto i potenti.

    In quel periodo continuavo anche di malavoglia il lavoro di redazione. Quando uno non è tranquillo lavora male, c’è poco da dire. E’ come per trombare: non ci vogliono pensieri. Ero più silenzioso e anche Otto, il mio affezionato cane, era più mesto e mi si accoccolava ai piedi e ci rimaneva tutto il tempo che ci stavo io, senza nemmeno alzare la testa. Allegra, la gattina, invece non ci pensava, e quando rientravo a casa, era sempre pronta a giocare  tanto con me che con Otto e le mie mani portavano le tracce di questi passatempi infantili, come diceva Sofia.

    Dopo le feste natalizie, sembrava che tutto si fosse addormentato, che tutta la vita fosse rallentata in attesa della ripresa primaverile. Forse era un effetto del calo fisiologico del turismo che faceva diradare la gente per le strade anche se avrebbe dovuto esserci un incremento per i saldi di fine stagione, ma solo il sabato e la domenica il centro ritornava affollatissimo, tanto che diventava problematico fare una passeggiata. Mi veniva in mente la poesia di Mario: Piccola città/ piena di case vecchie/ e di merda…

    Quando la sera uscivo dalla redazione e mi recavo a casa, come sbucavo in via Fillungo, mi prendeva una tristezza profonda. Che fosse l’inizio della depressione senile? Ma no! E’ solo effetto dell’inverno, del freddo che blocca i processi del metabolismo a livello cerebrale, pensavo. Ma non sarà stata anche colpa di questa esistenza monotona, che non mi dava più sprint?

    Mi mancava Vanessa, lo so. Mi mancava una donna. Come il matto di Amarcord. Dovevo rivederla, chiavarmela da dritto e da rovescio, ma avevo paura che se ne accorgesse Sofia e che scoppiasse un casino che forse questa volta, sarebbe stato irreparabile. Dovevo stare calmo, lasciar passare un po’ di tempo, dovevo aspettare che le acque si fossero calmate del tutto. Pazienza, ci voleva, pazienza. E tempo.

    Così pensando, sempre per la solita sindrome di Amici miei che manda in ironia anche il dramma, mi venne in mente quando, da ragazzi, un mio compagno di scuola andò a un’edicola dove, dietro il bancone, c’era una bella signorina e le chiese: scusi ce l’ha Tempo. E quella: sì. E Grazia? Sì. E Mani di fata? Sì. Allora mi faccia una sega! Quella rimase allibita e lui se la dette a gambe. Mani di fata era un settimanale di ricamo che può darsi esista ancora. Insomma, anche da ragazzi eravamo un po’ stronzi.

    Inconsciamente avevo paura del male oscuro. Non sentendomi realizzato, ero preda della scontentezza e dell’ansia. Che soprattutto saliva dal mio profondo e mi invadeva come acqua di alluvione. La sera, mi sfogavo a scrivere soprattutto poesie che mi tenevo nel cassetto. Se l’avessi fatte leggere a qualcuno, o mi avrebbe preso per un illuso, o avrebbe pensato veramente alla depressione senile. Mi conveniva tenermele strette e leggermele da solo quando ne avevo voglia. E poi, quando mi fossi reso conto della loro inutilità, le avrei strappate.

    Sentivo che avrei dovuto cambiare vita, che sarei dovuto fuggire lontano e ricominciare da capo. A Cuba magari, nella terra del Comandante, dove avrei potuto trovare giovani compagnie che mi avrebbero galvanizzato, e poi, se fossi morto su di un pompino, tanto meglio. Volete una morte più dolce? Diranno al procuratore quello che disse quella puttana di Bologna che aveva spompinato un cliente che le era morto sotto godimento: Sgambettava, sgambettava, credevo venisse invece se ne andava. Oppure rifugiarsi a Bali dove, mi hanno detto, puoi prendere con poca spesa una villa in affitto con annessa cameriera. E andare così in culo a tutti, moglie e figli compresi. Ma poi quando, passata la rabbia e la ribellione, pensavo a quello che avrei voluto fare, mi sentivo un po’ idiota, pavido, incapace di affrontare la vita con tutti i suoi casini e ricadevo nell’abbattimento che mi diceva anche quanto fossi illuso.

    Riprendevo allora il tran tran quotidiano, con le solite discussioni o di topa o di politica (hai visto che topa è la fidanzata di quel tale giocatore? Hai sentito il presidente del Senato che si è pronunciato contro l’aborto?), con le beghe di Stefi che era sempre più attaccata al suo fidanzatino cattolico di merda, con Sofia che mi metteva spesso il muso, probabilmente a ragione, con Manuel che faceva sempre incazzare per il suo menefreghismo nei confronti dello studio. Era tutta lì la vita che mi ero prospettato? Così poca cosa? Così ricca di delusioni? Dovevo dunque reagire, la mia esistenza non poteva finire così malamente. Non è mai troppo tardi, questo è certo.

    Come ho sempre pensato, è il caso che condiziona la vita degli individui. Non so, diceva qualcuno in un film, se ognuno di noi ha il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso, come da una brezza. Sì, credo proprio anch’io che siamo trasportati per caso in qua e là; chiamatelo pure destino, ma è solo il caso che ci porta o a star bene o a pigliarlo nel culo. Possono sembrare concetti banali, ma non lo sono. Stanno a fondamento del vivere e il che potrebbe anche voler dire di prendere la vita come viene, di non cercare di indirizzarla forzatamente, oppure di farlo ma senza troppe illusioni e cogliere la felicità del momento.

    C’è una storiella, mi sembra indù o buddista, che è significativa in tal senso. Si racconta di un uomo che è inseguito da una tigre. Fugge, fugge sino a che si trova davanti un precipizio e cade, ma, per sua fortuna riesce a reggersi ad una radice di una vite selvatica. Lì, penzoloni, guarda in basso e si accorge che sul fondo staziona un’altra tigre. Poi scorge due topolini che cominciano a rosicchiare la radice. Si sente perduto ma nello stesso momento vede sul ciglio una bella fragola matura. Riesce a togliere una mano dalla presa, allunga il braccio e coglie la fragola. Se la mette in bocca e la mangia. Come era buona!

    Un giorno Stefi tornò a casa con un’idea balzana in capo. Contemporaneamente allo studio della filosofia voleva intraprendere quello del canto. Le aveva detto un certo Theo, un suo amico americano, che aveva una bella voce che, se educata, avrebbe potuto avere un futuro. Nella musica leggera naturalmente. Io le dissi se aveva le traveggole, che una ragazza come lei, impostata in una determinata maniera, non poteva infilarsi nel foltissimo gruppo delle idiote illuse che sognano di diventare o veline o cantanti del cazzo.

    - Tu sei il solito retrogrado. Non vedi altro che la cultura, quella con la c maiuscola. Secondo il tuo modo di pensare, le ragazze, o i ragazzi, che non la pensano come te, sono degli idioti. Tu non conosci altro che i tuoi libri, il tuo giornale di merda, le mostre di pittura e il circolo del cinema.

    - Ma scusa Stefi, a parte i discorsi a testa di cazzo che fai nei miei confronti e che fanno il pari con quelli di tua madre, tu stai studiando alla facoltà di filosofia. Cerca di finire al più presto possibile e cercati un lavoro in quel campo che ti possa dare soddisfazione. E’ inutile andare a cercare i sogni. Bisogna stare con i piedi per terra oggigiorno che il lavoro è scarso e mal pagato.

    - Allora, te lo voglio dire una volta per tutte, io della filosofia ne ho piene le palle. Mi sono rotta i coglioni di leggere pagine e pagine di elucubrazioni sulla vita, sulla realtà, sulla conoscenza, sui problemi e i valori dell’agire umano. Non mi interessano un cazzo.

    - Ma sei stata tu a volertici iscrivere, non ti ho costretta io. Anzi, io ero contrario!

    - E va bene, ora non mi interessa più, non mi interessa niente.

    - E allora cosa vorresti fare, la cantante forse? Ma sei diventata tutta scema? Cambia facoltà, vai a lettere, a matematica, a informatica, a medicina, a ingegneria, a legge, come si dice a Lucca, se non sai cosa fare, vai a legge, insomma vai a morì ammazzata, ecco cosa mi fai dire!

    - Anche il mio ragazzo non ne ha più voglia.

    - Ah, ecco, ora ho capito tutto l’arcano. E lui cosa vuol fare?

    - Si vuole iscrivere a dottrine politiche. Dice che dà più possibilità di lavoro.

    - Sì, forse per lui che è appoggiato dal padre che ha le spalle coperte dalla chiesa, può darsi, ma tu che te ne fai di una laurea in dottrine politiche? Ti ci puoi pulire il culo.

    - Non è detto. Intanto potremmo studiare insieme e quindi si potrebbe finire prima possibile, e poi mi lascerebbe il tempo per studiare canto.

    - Ma allora sei suonata veramente. Tu credi che io ti mandi a imparare canto, credi che io ti paghi le lezioni per diventare una fallita come ce ne sono a milioni? Tu sei pazza, cara bambina, tu sei suonata. Io ti dico sin da ora che per quelle stronzate lì io non ti darò mai una lira. Promissio boni viri est obligatio.

    - Invece di sfoggiare il tuo latino di merda sarebbe meglio che tu e tua moglie vi comportaste meglio con i figlioli. Siete due egoisti, siete due stronzi, ve ne siete sempre fregati di me. A te basta di chiavare quella del piano di sotto per essere contento, e dovresti vergognartene, ma dei tuoi figli te ne sei sempre fregato altamente - e prese le gambe e se ne andò.

    Io, che mi trovavo solo in casa a subire tutte queste invettive, restai allibito, attonito e non ebbi nemmeno la forza di volontà non tanto di darle uno schiaffo, ma nemmeno di risponderle. Rimasi come un coglione consapevole di essere un coglione. Dopo una vita persa per i figli, ecco che al momento opportuno, ti vanno nel culo quando meno te l’aspetti. Non solo, e questo non me lo sarei mai aspettato da Stefi, soprattutto da lei, ti trattano male, da egoista, da stronzo. Pazienza per quando certe cose venivano dette in maniera leggera durante un battibecco, ma qui la cosa era pesante. Si stava parlando della svolta della sua vita e quello che aveva detto nei nostri confronti, non era una battuta come era già successo altre volte in diverse situazioni, no, quello che ci aveva detto lo aveva dentro da tanto tempo e ora l’aveva esternato con tutta la sua rabbia. In maniera ipocrita l’aveva trattenuto dentro di sé e quando si era presentata l’occasione, aveva sparato ad alzo zero.

    Io non dissi niente nemmeno a Sofia. Mi ero rotto i coglioni di discutere e discutere, prima con i figli e poi con la moglie. Stetti zitto e se Stefi avesse avuto voglia di tornare sull’argomento, che lo facesse pure con sua madre che, se consenziente magari per darmi contro, non avrebbe avuto il coraggio di venirmene a parlare, dato che la questione non era solo di educazione ma anche di quattrini sonanti. E lei certamente non li avrebbe tirati fuori per far studiare canto a sua figlia. Certo che Stefi, per farmi del male, avrebbe potuto sputtanarmi smerdandomi per la relazione con Vanessa, ma che cosa ci avrebbe guadagnato? Le avrei forse dato i soldi per studiare canto? Non credo che potesse pensarlo.

    Ingollato insomma anche questo rospo, la sera, dopo aver giocato con Allegra e Otto, presi il cane e me ne andai fuori con la scusa di portarlo a pisciare e a cacare. Ormai era un appuntamento fisso e nessuno trovava da ridire perché se non c’ero io a sacrificarmi (si fa per dire perché io per Otto avrei fatto qualsiasi cosa), gli altri componenti questa merdosa famiglia sarebbero andati regolarmente nel culo a  me e a al cane.

    Passai davanti alla ricevitoria del totocalcio e, come ogni settimana, giocai quelle schede fisse ereditate da mio padre che, senza mai sgarrare, le aveva giocate sempre sin dagli inizi di quella che si chiamava Sisal, cioè, mi sembra, addirittura dagli anni 40, e io non ero nemmeno in pancia a mia madre. Ho sempre continuato a giocare puntualmente quelle schedine anche dopo la scomparsa di mio padre, ma la speranza di vincere scemava di anno in anno. Lui diceva: prima o poi dovranno uscire. Ma i risultati nemmeno si avvicinavano a quelli pronosticati, che magari non vuol dire nulla, ma insomma il fatto è che quelle colonne non uscivano mai. E morendo, si portò via anche l’illusione di diventare milionario. Io, come ho detto, continuai a giocarle senza illusione, così, quasi per rispetto alla volontà e ai desideri del caro estinto.

    Dopo la giocata al totocalcio, non mi rimaneva che passeggiare un po’ anche se il tempo non invitava molto dato che si era levata una tramontana che non arrapava per niente. Arrivai fino al Caffè de Flore dove fanno un marocco da urlo. Chi ci trovo? Antonio naturalmente con due quadretti sottobraccio, mezzi incartati, che si portava di sicuro a casa per terminarli. Perché le grandi capacità grafico-pittoriche di Antonio, gli permettono di iniziare contemporaneamente diversi quadri che tu vedi nascere di ora in ora, di giorno in giorno, come se l’uno compendiasse l’altro.

    - Dove vai…, a casa? - gli chiesi.

    - Sì. Come mai non sei venuto alla festa del mio compleanno? Sei una merda.

    - Non sono di spirito in questo periodo, non ho voglia di allegre brigate, sono giù di corda.

    - La solita ganza che ti fa ingelosire?

    - Non ci penso nemmeno. Lo sai che la gelosia non è parente mia.

    - Mi sa invece che in vecchiaia tu sia cambiato.

    - Sai ‘na sega te se la sega sega o fa la segatura.

    - Non fare il biscaro, vai, ti conosco troppo bene.

    - Insomma pensala come ti pare. Io dico che ho ben altre ragioni per essere turbato. A me è successo come quando uno prende un colpo nelle palle. Il dolore lì per lì è abbastanza forte, ma il dramma è che per diversi secondi aumenta fino a non poterne più. Ecco, io ho preso un colpo metaforico alle palle e il dolore è aumentato gradatamente sino al limite di ora che è quasi insopportabile.

    - Insomma te ne stai andando a fette.

    - Quasi. Come il biroldo, o la soppressata.

    - La soppressata la chiamano anche testa in cassetta. Mi sembra proprio che ormai la tua testa sia in cassetta.

    - L’importante è che non ci sia la fava.

    - Per quello che ti serve!

    - Non per metterlo in culo al prossimo, stai certo.

    Insomma questo battibecco scherzoso continuò ancora e siccome il conto della bevuta lo pagò lui, e anche la pizzetta per Otto, ironizzò sul mio braccio corto che non arriva mai alla tasca del portafoglio. Facemmo due passi insieme senza ricordi, segno buono, ma chiacchierando in merito alla pittura, ormai quasi inesistente, alla politica sempre più degradata. Mi venne in mente una frase di Woody Allen sugli uomini politici che diceva su per giù così: Conosciamo la morale di quella gente: è un gradino più giù di quella di chi si inchiappetta i bambini.

    Poi mi venne in mente una cosa ganzissima che, con l’aiuto di Antonio, poteva diventare realizzabile.

    - Antonio, ti ricordi quando facemmo il documentario su Ciro? Ci divertimmo un sacco, anche se lo facemmo in maniera del tutto artigianale, anzi, rudimentale. Non avevamo una lira e bisognava risparmiare sulla pellicola e su tutto. Senti, io ho un’idea che a te sembrerà balzana ma che potrebbe essere valida e soprattutto divertente. C’è Mario, sai, il nostro collaboratore d’arte e di cinema che tu conosci forse meglio di me, che avrebbe l’idea di girare un film, sai, in digitale, con una macchina naturalmente professionale e coinvolgendo certi attori lucchesi. Verrebbe a costare poco ma io non ho nemmeno quel poco. Forse con 100.000 euro o poco più si farebbe una cosa buona. Si tratterebbe di un film sperimentale che poi potrebbe essere inserito in certi canali di distribuzione. Da cosa nasce cosa e così potrebbe essere un inizio per una inaspettata carriera. Che ne dici?

    - Insomma tu vorresti i quattrini, il finanziamento.

    - Certo. A te non mancheranno i soldi. Potresti anche guadagnarci.

    - Ma non dire bischerate. Queste sono tutte fisime tue e di Mario. Mi sembrate dei dilettanti allo sbaraglio. Ormai siete grandini per dio. Vivete sempre di queste illusioni?

    - Non è vero. Altra gente ha tentato e poi ha sfondato. Guarda Moretti, ad esempio. Cominciò con un filmetto a passo ridotto Io sono un autarchico e ora è un regista di successo.

    - Sì, ma aveva 23 anni. Tu ne hai dieci più del

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