Il profumo della salvia
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Anteprima del libro
Il profumo della salvia - Stefano Conti
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
Il profumo della salvia
Stefano Conti
Temperino rosso edizioni
Prima edizione 2016
Grafica Afo-TR designer
© 2016 Temperino Rosso Edizioni Fortini
ISBN 978-88-99819-08-8
IL PROFUMO DELLA SALVIA
I
Nessuno se n’è mai accorto, ma sono una cornice. Credono di conoscermi, di sapere da che parte del mondo provengo, di cosa sono fatta e che sogni mi porto dentro. La mia vita non è questa, non sono nata per proteggere strutture, tesori, feriti e tele incluse, non ho intenzione di credere in Dio, né negli uomini.
Con questo non escludo il mio amore per gli abbracci o per le carezze, semplicemente preferisco godere delle mie voglie, vivere le ondate di pulsioni che a tratti mi travolgono, condividere del tempo con l’uomo, la donna, lo straniero e con me stessa. Voglio essere me stessa, voglio vivere nel mondo e starne fuori. Voglio essere felice. Conosco un uomo che ci sta provando, un tipo dall’aria bohémien, sulla sessantina e pieno di fumo; una volta mi ha detto che per stare dentro e fuori il mondo non è necessaria la solitudine, bensì l’atto creativo. Si tratta di decentrarsi, escludere il familiare e gettarsi nell’ignoto, sul confine dell’irresolubile. Voglio essere felice.
In questo momento della mia vita non mi sento felice, appagata, soddisfatta. Mi avverto come essere manchevole, in difetto, fuori luogo e prepotente. Sono cambiata. Sarà la casa nuova, saranno quei sette baci improvvisi, i mezzi ragazzi che ho iniziato a conoscere, o la musica diversa. Non sono più quella di due mesi fa; per fortuna.
Avverto il mio cambiamento come una fase importante della mia esistenza, arrivata troppo impetuosa e senza possibilità di confronto. Con chi mi confronto? Esiste un amico? Sono inutili categorie della società. Siamo certi solo dei nostri genitori, penso. Voglio avere certezze nella vita, ma l’esperienza mi ha insegnato che, in fin dei conti, non si è certi nemmeno di se stessi; un giorno si è in un modo, l’indomani si cambia, si guarda indietro e si corre per evitare il peggio.
Ho voglia di credere che tra le infinite persone che posso incontrare per strada, in ogni parte del mondo, ci sia una che corrisponda al mio contenuto; senza di esso rimango un flebile contenitore. Ora sono un contenitore vuoto, nessuno è ancora passato di qui riempiendomi nel modo che io desidero. Passo le mie giornate nell’attesa di sostanza, non conosco persone di sostanza; i miei genitori non sono di sostanza, voglio frequentare chi della vita abbia capito qualcosa in più di me.
L’uovo possiede l’affascinante caratteristica di essere contenuto e contenitore, ad esempio. E’ fantastico, ma non tutti riescono a capirlo. Esso è il contenuto della gallina ma, allo stesso tempo, il contenitore di altrettanta vita; è la realizzazione di sé, il compimento, il sogno.
Una volta provai a raccontare questa mia riflessione ad una donna tosta, segnata dal tempo ma estremamente contemporanea, elegante e francese nell’abbigliamento. Niente da fare. Non le pareva essere un concetto abbastanza ricco di significato, eppure si trattava di considerare l’uovo in quanto tale, nel suo essere primario. L’uovo è un oggetto metafisico. Quando lo guardo so che non potrò mai possederlo, ma questo non mi ferma nel contemplarlo; mi accontento spesso di vederlo da lontano, per qualche secondo, illuminato dalla luce giallognola del frigorifero. E’ un oggetto in continua tensione, immobile ma fremente all’interno, che inganna la seducente forma con una rigida compostezza. Lo immagino costantemente irritato dall’abbondanza di cibi che si ritrova attorno e con cui è costretto a convivere; secondo me è un individuo solitario; un giorno mi ha lanciato una di quelle occhiate eccitanti che mi hanno reso splendente per l’intera giornata, il sole che mi percuoteva mi faceva risplendere in un modo estremamente particolare. E’ l’uomo giusto per me, peccato non sia provvisto neanche di un accenno di barba. Così come mio padre. Non riesco ancora a capire come abbia fatto ad affascinare mia madre in poco tempo, con quella pelle liscia che si ritrova. Mi ricorda il di dietro di un bambino. Un po’ come le facce dei tedeschi, o dei polacchi, sempre pulite, prive di impurità, ma dalla scorza talmente dura che per cavar fuori loro un sorriso ce ne vuole di tempo; e di questa gente ne ho vista in questi anni. Non ho mai avuto molto a che fare con loro perché schivi e molto riservati, ma se qualcuno necessita qualcosa, che sia un favore o un prestito di energia, corre veloce da me, ormai ci ho fatto il callo. Forse sono troppo disponibile ed accogliente. Mi immagino dalla pelle dorata e lucida, oppure nera ed opaca, mentre qualche uomo mi accarezza e mi stringe con forza contro il muro, lasciandomi sola piena delle mie voglie. Mi piace il sesso, l’ho sempre visto fare, ma non l’ho mai provato. Però mi piace. Vorrei poter urlare anche io un giorno, forse sono troppo giovane per questi pensieri o forse sono solo matura prima della maggior parte; intanto mi godo lo spettacolo ed imparo. Vedo due figure in controluce che stanno entrando