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Thymos e il Mistero del Minotauro
Thymos e il Mistero del Minotauro
Thymos e il Mistero del Minotauro
E-book381 pagine5 ore

Thymos e il Mistero del Minotauro

Di AKA

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Info su questo ebook

In un tempo moderno in cui i ricordi antichi sono raccontati da eroi, dei e semidei, siamo certi di conoscere ogni cosa del passato. Sarà invece un giovane gruppo di amici, insieme al famoso Minotauro, a raccontare la storia di chi si muove nell'ombra e resta inascoltato: i mostri.

Viaggiando per l'Europa e muovendosi fra miti Greci, leggende balcaniche e folklore continentale, i ragazzi dovranno scoprire perché il Minotauro sia apparso nel loro tempo e come questo potrà aiutare il mondo. Fra incomprensioni e momenti drammatici, creature dimenticate e protagonisti di ogni estrazione, questo romanzo, primo di una trilogia, parla di integrazione, di diritti umani, di battaglie passate e di insospettabili eroi mitologici.
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2022
ISBN9791221415704
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    Anteprima del libro

    Thymos e il Mistero del Minotauro - AKA

    PRIMO

    Dopo secoli di buio esistetti.

    Non sapevo come fosse possibile, cosa fosse successo, semplicemente dal buio infinito qualcosa si mosse, la mia coscienza si agitò e io tornai a capire di essere io.

    È una sensazione bizzarra da descrivere, come risvegliarsi, ma avendo la consapevolezza che non sia possibile.

    Sentii una brezza sulla pelle, il suono cacofonico di voci e rumori a me sconosciuti accalcare l’aria.

    Mossi una mano e accarezzai la pietra fredda, in mezzo a tutto ciò che mi sembrava alieno e irreale, la lastra di pietra era così familiare, quasi consolatoria.

    Aprii gli occhi e la vidi, accucciata davanti a me, una bambina bionda mi osservava.

    Gli occhi castani, acuti e accesi da una vivida curiosità entusiasta, si insinuarono nei miei e la sua gioia parve esplodere.

    Di tutte le reazioni che ebbi in merito al mio viso quella fu la più insolita e sorprendente.

    La osservai, era vestita in modo bislacco, constatai: portava quelli che poi scoprii chiamarsi pantaloni viola e una maglietta rosa, i capelli le cadevano in boccoli scomposti attorno al viso spuntando da uno strano copricapo, ai piedi bizzarri sandali degli stessi colori. Le mancava un dente, lo notai quando mi sorrise, inaspettatamente, facendomi quasi ritrarre e al contempo paralizzandomi, doveva essere folle o una forma di scherno, non vi era dubbio alcuno.

    «Mamma guarda! È il minnotaurvo, miniotauro, minnotauro» cercò di ripetere indicandomi a una donna, alta e dall’aspetto denutrito, vestita con un’insolita tonaca succinta, ricamata in modo mai visto.

    Forse era stata dipinta da qualche lontano artigiano, non ne avevo mai vista una simile, aveva qualcosa sul viso che le copriva gli occhi, dovevano essere forestiere sempre che in quel luogo non lo fossi io, pensai ancora stranito.

    La donna non la degnò di attenzione, intenta a osservare qualcosa fra le sue mani, sbuffando visibilmente seccata. «Sì Tea, il minotauro, come dici tu. Tuo padre quanto ci metterà a tornare? Questa cartina è incomprensibile.»

    La bambina si accigliò e qualcosa di simile alla strana benda della madre le cadde dal capo, rimbalzando fino ai miei piedi.

    I miei piccoli piedi.

    Mi sorpresi, incerto, come se di colpo realizzassi la mia stazza. Quanti anni avevo? Non riuscivo a ricordare, o meglio la mia età non era più la mia, la sentivo variata in me.

    «No mamma, dico davvero! Però è piccolo, come me. Dai mamma, guarda!» cercò di tirarla per una mano, con scarso successo, non seppi perché, ma il fatto che la ignorasse mi infastidì.

    Aprii la bocca per protestare e muggii, il mio stesso suono mi fece sobbalzare facendomi scoppiare a piangere, affidai la reazione allo shock.

    «Mamma guardalo sta piangendo, per favore! Guarda mamma aiutiamolo, è tutto solo! Mamma? Mamma!»

    La piccola la prese per mano per attirare la sua attenzione, ma la donna l’afferrò per un polso, strattonandola bruscamente, i capelli scuri e lucidi legati in una pettinatura stretta e severa ondeggiarono sotto il sole, sembrando ferocemente affilati.

    «Ascolta tesoro, a mamma fa tanto piacere che la tua fantasia viaggi a tutto spiano, ma la mamma adesso non ha tempo, sta cercando di uscire da questo maledetto labirinto di sito archeologico. Quindi fa’ la brava e smettila.»

    La lasciò andare, rischiando di farla cadere.

    La piccola non si mosse, guardò il terreno polveroso sotto le sue calzature, gli occhi lucidi di una persona che non si permetteva di piangere, doveva essere abituata a tutto quello, probabilmente anche ad altro, pensai, ma poi mi rimproverai delle supposizioni.

    Non riuscii a non pensare che dovessero conoscere il labirinto per parlarne così a cuor leggero, forse ne erano uscite da poco, forse con un trucco, ma dov’era il labirinto? Guardai verso l’orizzonte in lontananza e per poco non piansi più forte, il cielo era lì a un passo da me.

    «Ah eccolo!» sua madre la riacchiappò per il polso, sollevando l’altra mano a salutare qualcuno fuori dal mio campo visivo, mentre io restavo schiacciato contro la parete, nascosto nella poca ombra presente, cercando di smettere di singhiozzare.

    La bambina mi guardò mortificata, salutandomi con la mano e sussurrando «Ciao ciao», quando venne trascinata via fra la folla.

    La cosa che mi sorprese di più fu essere in grado di comprendere il loro strano idioma, ma con il tempo, crescendo fra gli avanzi dei turisti e i grassi ratti delle rovine, mi accorsi di parlarne diversi mai sentiti prima.

    Nella mia mente si mescolavano conoscenze ignote e ricordi che non sentivo più miei, come se li avessi visti dall’esterno, come se fossero frammenti della vita di altri chiusi in un barattolo dal vetro spesso e opaco e potessi guardarli senza comprenderli del tutto, senza sentirli vicini, senza afferrarli del tutto. Ricordavo cose accadute prima di me e cose accadute per molto tempo dopo, tempo in cui dovevo essere morto, ricordi che non sapevo come potessero esistere nella mia mente, ma dopo quel lungo periodo tutto si era fatto buio fino alla mattina della bambina dai capelli biondi.

    Ero stranamente compiaciuto di possedere tutte quelle nozioni e informazioni nuove e innovative, quasi quanto lo ero del mio essere in grado di raccoglierne altre che andavano a incrementare con il mio studiare quei nuovi popoli, sopravvivendo nascosto ai limiti della loro civiltà.

    Non mi allontanai mai dalla zona del mio ritorno, forse perché scioccamente convinto che la mia esistenza vi fosse legata in qualche modo, chi poteva saperlo.

    Persi la cognizione del tempo, inverni ed estati arrivarono e se ne andarono, nascondersi era diventato sempre più difficile, ma era ancora consolante poter trovare zone scure in cui riposare.

    Fu durante un aspro autunno, ancora caldo e piacevole sulla pelle, che mi svegliai e il mio cuore sobbalzò furioso e inesplicabilmente spaventato.

    A pochi metri da me una figura tagliava l’aria, guardandosi attorno circospetta.

    Mi accucciai sui talloni, nascosto dietro la porzione di una parete posta davanti a un riparo costituito da altri resti di struttura millenaria, casualmente la stessa di tanti anni prima, avevo ormai capito di essere in un’altra epoca.

    Davanti a me la figura si voltò, era un ragazzo dai capelli biondi, la barba ispida di chi non ha una crescita regolare o non ha il tempo e la voglia di rasarne la ricomparsa, il fisico né asciutto né paffuto celato da una maglietta bianca che, bucherellata, aveva visto certamente momenti migliori, come i jeans chiari e impolverati.

    Lo osservai per qualche istante, cercando di comprendere la sua familiarità, ma fu impossibile sottrarsi alla realtà quando girò la testa di scatto verso il mio nascondiglio, rischiando di farmi battere la testa nel sobbalzo che mi causò, sondando il buio con acuti occhi scuri.

    Non esisteva in terra, come in nessun altro regno divino, la possibilità che io potessi confondere quello sguardo: la bambina delle macerie, che spesso aveva tormentato le mie giornate per la sua surreale empatia, era cresciuta e aveva mostrato le sue vere forme, evolvendosi nel ragazzo che avevo di fronte.

    La cosa non mi sorprese, era insito nella natura delle cose cambiare e trasformarsi, adeguarsi alla propria natura o stravolgersi in qualcosa di completamente nuovo, forse per un periodo, forse per sempre, chi ero io per giudicare? Non era il mio stesso padre un toro e mia madre una regina? Non erano innumerevoli gli dei cha cambiavano forme e dimensioni a seconda di cosa volessero nei loro destini? Non era Dafne che nella fuga diventò pianta? Non erano Narciso e Giacinto a essere nella morte diventati fiori? Lo stesso Zeus, re dell’Olimpo, aveva spesso preso spoglie non umane.

    La natura cambia gli animi e le forme, se non lo facesse non sarebbe tale.

    «Thymos!» una voce maschile lo distrasse dalla sua ricerca, per un attimo ero stato certo mi avesse notato, sospirai senza emettere un reale suono.

    Un ragazzo dalla pelle scura si avvicinò e lo cinse in un abbraccio. «Amico hai controllato quella cosa? Si sta facendo tardi e qui si muore di fame!» indicò con un cenno del capo altri ragazzi poco più in là, notai con sorpresa che uno di loro, forse una ragazza, portava un maglione, nonostante la calura ancora persistente.

    «Ora arrivo» sorrise scuotendo il capo prima di guardare verso il cielo inspirando l’aria che prometteva pioggia, probabilmente uno degli ultimi temporali estivi che tardivo si trascinava verso il gelo, forse alla ricerca della casa dei venti del nord per tramutarsi in ghiaccio. «Sai, quando ero piccolo sono venuto in questi posti con i miei genitori e proprio qui ho visto…» la sua voce era profonda e densa, ma non troppo, possedeva una melodia difficile da replicare, mossi un orecchio, forse mi sporsi, non aspettandomi la seguente interruzione.

    «Hai visto un piccolo minotauro» roteò gli occhi l’altro, ma Thymos stava guardando nuovamente nella mia direzione, come se cercasse un movimento che non trovò. «Fattelo dire, probabilmente eri strafatto di zuccheri, ma siccome è importante per te ok! Siamo davanti al sasso! Possiamo tornare domani però? Ho fame e sono più polvere che persona.»

    Notai solo in quel momento le palpebre dorate del giovane, che fosse trucco? Constatai che con il suo incarnato era una piacevole accoppiata. Era tempo che non ne vedevo su un uomo, la mia mente tornò indietro a ricordi confusi di antichi usi cretesi.

    Thymos si passò una mano sul volto. «E va bene, però giuro di… mhm…» guardò di nuovo verso il mio nascondiglio, che ora iniziava a starmi stretto, «aver visto qualcosa» sussurrò lasciando cadere la frase, prima di venir trascinato via dal gruppetto festante.

    Era probabile si sarebbero presentati in qualche bar nel vicino centro abitato, per festeggiare, tutto ciò mi sembrava soltanto un lontano scherzo del fato.

    Rimasi stretto nel nascondiglio a lungo, quasi temendo di uscire, cadendo vittima del sonno in quella scomoda posizione. Riaprii gli occhi al suono del cancello di metallo che veniva scosso, maledicendomi per il mio stupido modo di essermi addormentato. Stupido e ingenuo. Silenziosamente tornai a sbirciare da dietro la parete crollata, sussultando nel vedere Thymos togliersi le scarpe per scavalcare il cancello, avvicinandosi pericolosamente alla mia posizione.

    «Ma che cazzo sto facendo» sospirò in un linguaggio colorito che non mi sarei aspettato e che trovai sottilmente divertente, mi morsi la lingua nel divagare, non avevo notato l’avvicinarsi ulteriore del ragazzo.

    «Ci sei?» chiese sottovoce, chinandosi piano vicino all’entrata del mio rifugio improvvisato.

    Fece per raggiungere con la mano la torcia appesa alla vita e io mi ritrassi ulteriormente, ma lui non la prese, la sua mano proseguì fino alla sacca sulla sua spalla, prendendo un pacchetto che rilasciava un intenso profumo di miele.

    Il mio stomaco brontolò e io fui seriamente tentato di prendermi a schiaffi da solo.

    «Ho portato della torta, ecco… Mhm, spero davvero che tu ci sia, ho finito quasi tutti i miei risparmi per venire qui» rise piano, un suono strano come se lo stesse trattenendo per non essere sentito, ma da chi?

    La zona era deserta, c’era solo il suo odore nell’aria e quello della torta, che aveva posato poco distante da lui. Sembrava quasi un’offerta, inclinai il capo sorpreso.

    Dopo un tempo indefinito in cui tutto rimase immobile e silenzioso, sospirò più rassegnato che altro, le spalle si rilassarono come se fosse stato teso fino ad allora, il suo viso lievemente illuminato era una maschera di triste consapevolezza, mentre accarezzava con affetto la pietra. Quel suo gesto, così pieno di cura, così affettuoso, mi sembrava così irreale e fuori contesto, come se salutasse un vecchio amico per l’ultima volta prima di partire per non fare ritorno.

    «A quanto pare è vero, ho sempre avuto una fervida immaginazione.»

    Si passò il dorso della mano sul viso, ma non ebbi il tempo di dispiacermi che una fitta mi travolse, una scarica dolorosa lungo la colonna vertebrale, il mio capo si reclinò con forza in uno spasmo, cosa che fece cadere diversi pezzi di pietra a terra, facendolo voltare di scatto, così velocemente da cadere seduto a terra, prendendo la torcia e puntandola contro il mio viso dagli occhi sgranati.

    Avrei voluto scappare, avrei voluto puzzasse di vino in modo che nessuno gli avrebbe creduto, mi avrebbero dato la caccia, mi avrebbero rinchiuso, sarei morto o peggio sarei stato prigioniero per sempre.

    Cercai di non farmi assalire dai ricordi di quella vita non-mia che avevo vissuto in un lontano passato, ero paralizzato dal terrore e dal dolore che si affievoliva; il ragazzo prese ad avvicinarsi, avrei potuto colpirlo, ma non volevo, ero in trappola e mi ci ero messo da solo.

    Chiusi gli occhi attendendo che chiamasse aiuto o che mi colpisse, avrei voluto, oh come avrei voluto poter fare qualcosa che non fosse restare inerme.

    Passarono un paio di istanti, ma non accadde nulla di quello che immaginavo: non venni colpito, non ci furono urla, non ci furono allarmi, Thymos allungò una mano e mi accarezzò il volto, sbloccando un ricordo sopito, cancellato dalla mia mente fino a quell’istante, del nostro primo incontro, quando aveva tolto le lacrime dal mio muso infantile, prima di essere trascinato lontano.

    Aprii gli occhi e lo trovai vicino a me, molto vicino, troppo vicino perché fosse sano di mente o per lo meno intelligente quanto pensavo fosse, avrei potuto facilmente ferirlo, ma non sembrava spaventato quanto sollevato. Non mi mossi, non parlai, in realtà quasi mi godetti quel tocco gentile dopo anni di incuria e solitudine, lui sorrise, i denti chiari alla luce autunnale.

    «Devo dedurre che non ti piaccia la torta.»

    Si sedette a fianco a me, la situazione così irreale che in altri momenti avrei riso.

    «Ti sei fatto male?» la sincera preoccupazione nel suo sguardo mi trafisse.

    «No.»

    Il sorriso sul volto del ragazzo si allargò, un lampo di astuzia apparve nel suo sguardo.

    «Oh ma allora parli, sarà più semplice. Non penso ti ricorderai di me, io ero molto piccolo e tu stavi piangendo proprio in quel…»

    Lo interruppi mettendomi a sedere in modo più dignitoso. «In quell’angolo, mi ricordo. Quel giorno perdesti questi» allungai i piccoli occhiali da sole che aveva lasciato nella sua fuga forzata, li portavo sempre con me.

    Il suo viso sembrò sorpreso in un modo che non mi aspettavo, accarezzò gli occhiali con la punta delle dita come se fossero roventi. «Non pensavo li avessi conservati.»

    Non seppi cosa rispondere, in realtà non lo sapevo nemmeno io.

    «Cosa… mhm… cosa fai qui?» mi schiarii la voce, cercando di colmare il silenzio.

    «Cercavo te, mi sembrava evidente.»

    Mi studiò attentamente, la mia sorpresa doveva essere evidente perché lo fece ridacchiare.

    «Volevo sapere la verità» disse come se fosse una risposta esaustiva, cosa che per me chiaramente non era. Sospirò. «Insomma volevo sapere se fossi stato reale». Guardò in lontananza, il viso accigliato mentre lasciava vagare la mente in pensieri che non condivise. «Una parte di me sperava di ritrovarti in altri luoghi, non chiedermi il perché, mi spiace tu sia rimasto qui tutti questi anni.»

    Non so come lo sapesse, o se lo stesse semplicemente deducendo dai miei abiti trafugati senza il minimo ritegno dai banchetti per i turisti.

    «Dove sarei dovuto andare?» azzardai cauto, quella conversazione era surreale, stavo parlando con lui come fossimo uniti da un’amicizia profonda e duratura. O almeno lo supposi, dopotutto chi aveva mai avuto elementi di confronto?

    «Non lo so». Spalancò le braccia rischiando di colpirmi con il gomito, ma fermandosi appena in tempo. «A esplorare il mondo?»

    Voltò il viso per guardarmi, cogliendo probabilmente la mia espressione sorpresa, non ci avevo mai pensato.

    «Non ci avevo mai pensato, mhm… non saprei se riuscirei a muovermi in questo mondo, io non…»

    Posò una mano sulla mia, ma non si scompose quando la ritrassi un poco sotto la sua, interrompendomi in quella sciocca fuga: era evidente non fosse un’aggressione, ma non riuscivo a non essere sospettoso.

    Mi guardò in un sorriso comprensivo. «Non lo senti tuo e non sai come muoverti». Rimasi in silenzio, assaporando le sue parole crude nella loro verità. «Siamo in un mondo senza miti, può fare paura a chi ne fa parte.»

    Il suo sguardo insistette nel cercare il mio che gli rifuggiva, si alzò spolverandosi gli abiti e mi porse una mano. «Sono venuto a prenderti, vieni via con me, non sei al sicuro in questo posto.

    Stai crescendo sempre più, presto non ci saranno nascondigli utili.»

    La voce calda era vellutata nel silenzio serale, il viso era gentile, ma fermo e determinato, la mano tesa non vacillò nemmeno un istante.

    Non dissi nulla, forse troppo sorpreso dalla sua proposta o da quanta ragione avesse a giudicare dai solchi lasciati dalle mie corna nella pietra.

    Il mio stomaco brontolò di nuovo e lui sorrise, chinandosi a recuperare la torta. «Sei certo di non volerne un po’?». Me la porse e stavolta la presi, scartandola e dandovi un morso, arrossendo appena nel percepire il suo sguardo su di me, sentendomi studiato.

    Come se avesse letto il mio pensiero distolse lo sguardo e tornò a sedersi al mio fianco, lasciandomi mangiare in silenzio.

    «Scusami, era tanto che pensavo a questo ipotetico incontro» ammise con semplicità, come se fosse un argomento davvero tanto facile da comprendere. «Come ti chiami?» era evidente che cercasse di fare conversazione con me, forse a disagio nel silenzio, forse preoccupato che lo fossi io, era difficile leggere il suo viso in quella penombra.

    «Minotauro.»

    Sentii il suo viso contrarsi nel silenzio. «Quello è ciò che hanno deciso tu fossi, non il tuo nome, o è così che gradisci essere chiamato?» chiese, evidentemente pesando le parole in modo che non fossero taglienti, pur chiarendo il suo pensiero.

    Ci pensai qualche lungo istante, il mondo si era riferito a me così una volta, mi aveva abbracciato in una spirale di mura, disprezzo, furia e terrore, aveva fatto di me il mostro che tutti si erano convinti fossi.

    Scossi il capo ripetendomi di non smuovere più i ricordi nel barattolo.

    «No, non lo gradisco» ammisi, forse più con me stesso.

    La risposta sembrò però piacergli, anzi ne sembrava quasi soddisfatto, come se il mio recentemente scoperto amor proprio lo compiacesse.

    «Allora non ti metterò fretta, i nomi sono difficili, ne so qualcosa» ridacchiò fra sé e sé, facendomi inclinare nuovamente il capo, confuso.

    Era la persona più strana che avessi mai incontrato, anche se a dire il vero non avevo mai interloquito con molte persone e le vite altrui, spiate nella nebbia inspiegabile e temporanea della morte, non erano un valido esempio di confronto.

    «Allora vieni via con me?» si alzò nuovamente e pur essendo fisicamente più minuto di me, sembrava imponente nell’aria elettrica per la pioggia che, solo allora mi accorsi, stava prendendo a cadere.

    «Per andare dove?» mormorai, cercando motivi che non ero certo di voler trovare per fuggire alla sua richiesta, una parte di me voleva solo disperatamente afferrare quella mano e allontanarsi da lì, l’altra era premuta contro la parete terrorizzata senza

    «Il bagno è da questa parte, usa pure tutti i prodotti che vuoi» sorrise gentile in modo che non sembrasse che mi stesse chiedendo di lavarmi, ma non potevo biasimarlo, in quel luogo pulito il mio odore forte e terroso non era più ignorabile nemmeno da me stesso.

    «Sì, mhm… vado subito.»

    Non so quanto tempo rimasi sotto la doccia, lui non venne a mettermi fretta, mi asciugai a lungo in modo da non gocciolare ovunque e quando tornai in camera, lui stava aspettando sprofondato nella poltrona.

    Nel vedere che avevo rindossato i miei vestiti logori fece una smorfia.

    «Domani ti compreremo dei vestiti, ok?»

    Annuii, cercando di non sentirmi a disagio, lisciandomi sul petto la maglietta sporca.

    Notando la mia difficoltà, si alzò in piedi dispiaciuto. «Non ti stavo giudicando, stai tranquillo. Vorrei solo poter far sì che tu non ti senta a disagio per cose sciocche come gli abiti. Purtroppo uno dei miei amici è piuttosto indelicato, quindi farà commenti in merito. Non darci peso, non saprebbe tacere nemmeno se perdesse la lingua». Rise e la sua risata mi tranquillizzò quanto la sua mano ad accarezzarmi il braccio.

    «Grazie» sorrisi, e il suo viso parve illuminarsi.

    «Non posso credere che tu sia qui!» sorrise entusiasta, nessuno aveva mai voluto con tanto ardore la mia compagnia. A ben pensarci, nessuno l’aveva mai voluta. «Dai, ora mettiti comodo, riposati. Domani sarà una giornata, mhm, intensa direi!» ridacchiò tornando in disparte, lasciando che mi stendessi, rigando inevitabilmente la testata del letto con le corna. Si accigliò per un istante, ma poi sollevò le spalle con fare leggero, sorridendomi. «Pagheremo i danni, non preoccuparti.»

    Era tutto così irreale che non riuscivo a rispondere alle sue frasi, non riuscivo quasi a parlare, tutto sembrava un’allucinazione, le coperte morbide su di me, la stanza fresca, il letto che profumava di pulito, lui che in piedi mi sorrideva spegnendo le luci.

    «Buonanotte» la sua voce morbida e calda mi raggiunse nel buio e come frutto di un sortilegio a me ignoto, la mia preoccupazione svanì, lasciandomi a un sonno profondo e sereno.

    ***

    La mattina dopo sentii Thymos alzarsi, così mi misi a sedere assonnato. Lo sentii dire di stare tranquillo, di non raggiungerlo ancora, che doveva preparare il terreno con i suoi amici, qualsiasi cosa volesse dire. Lo guardai uscire dalla porta, e mi nascosi nell’angolo cieco del corridoio, sbirciando quel poco che mi era possibile.

    Seduta sul divano una ragazza dai capelli corvini e gli occhi chiari stava sbadigliando assonnata, ancora abbracciata al cuscino. Riconobbi il suo maglione a righe, era lei alle rovine il giorno prima.

    A fianco a lei, a torso nudo, Tom le faceva i grattini su un braccio.

    «Mhm… ragazzi ecco, devo dirvi una cosa, diciamo che dobbiamo lasciare l’albergo passando dal retro» iniziò Thymos e Tom alzò le spalle.

    «Sai che problema amico, abbiamo pagato in anticipo. Perché, che hai fatto? Hai vomitato in piscina? Anche a me è successo.»

    Il ragazzo scosse il capo. «Non ho vomitato nella piscina, però ecco, diciamo che ho un ospite.»

    Il suo amico sorrise divertito. «Ah ti ho sentito rientrare stanotte, sei tornato alle vecchie abitudini? Vecchio porco» rise e il biondo scosse nuovamente il capo. «Tillie, amore, Thymos si è portato qualcuno in stanza» rise più forte, battendo piano le mani.

    «Non fare così casino» borbottò lei, legandosi i capelli. «È vero che hai portato qualcuno in stanza?»

    Aveva gli occhi grandi e la pelle chiara, il suo sguardo era di una dolcezza che aveva qualcosa di fraterno. Sicuramente fra i tre era quella più pacata, sorrisi fra me e me, a pelle mi piaceva già.

    «Sì, ma non è come pensate» prese un profondo respiro. «C’è una persona nella mia stanza, la chiamo di qui, ma per favore, niente battute scortesi» lo vidi inclinare il capo in direzione di Tom.

    «Tenterò» rispose lui alzando le spalle, mettendosi una sigaretta fra le labbra.

    Odiavo quelle cose puzzolenti, nonostante i cartelli c’era sempre qualche turista che alle rovine tentava di passare inosservato e fumare, gettando poi i mozziconi negli angoli.

    «Scordatelo!» Tillie gli diede uno scappellotto, prendendo poi il malevolo fautore di mefitici miasmi e spezzandolo in due.

    Ora era certo che mi piacesse.

    «Che palle» sbuffò lui.

    «Ragazzi?» Thymos provò a attirare nuovamente la loro attenzione.

    «Sì sì, non farò battute ho capito» si imbronciò Tom.

    «Grazie, e Tillie, niente domande invadenti, ok?»

    Sentii il sorriso nella sua voce, Tillie fece per dire qualcosa, ma si limitò ad alzare un sopracciglio, annuendo guidata dalla curiosità.

    «Ok, bene.»

    Il mio vecchio amico prese un respiro e si sporse verso il corridoio, sapendo perfettamente che mi ero nascosto lì.

    «Vieni, dai» sussurrò con gentilezza e al mio tentennare mi prese una mano, lasciandomi sorpreso da quanto facilmente mi concedesse del contatto fisico.

    Emergemmo dalla penombra del corridoio entrando nel salotto luminoso, i volti dei suoi amici erano il ritratto della sorpresa.

    «Ragazzi, abbiamo un nuovo compagno di viaggio» sorrise orgoglioso Thymos.

    «Cazzo amico, puoi scommetterci che dobbiamo passare dal retro.»

    SECONDO

    Saremmo partiti il giorno dopo, in modo da poter comprare per me quanto mi servisse per il viaggio durante la giornata. Questo era l’inizio del piano che emerse, mentre seduti a terra vicino al letto della coppia consumavamo la colazione appena preparata.

    Dopo un lungo nutrirsi di cose recuperate dai rifiuti o sottratte dai banchetti, del cibo caldo mi fu una novità così deliziosa che credetti di star per piangere. Non dissi molto, mi limitai ad annuire o scuotere il capo, ancora disorientato da quella situazione così irreale.

    Era un problema per me restare solo? Scossi il capo. Avevo preferenze sul cibo? Di nuovo negai.

    C’era qualcosa che mi servisse particolarmente? Questa volta annuii senza guardarli. «Dei vestiti» mormorai e poi sollevai lo sguardo verso Thymos, che mi sorrise incoraggiante.

    Cercai di sorridere anch’io, ma non ero certo mi fosse riuscito bene, tenni il viso chino la maggior parte del tempo finché, dopo aver dato un morso a una delle pietanze, non sollevai il volto restando immobile, sorpreso, portandomi poi una mano alla guancia: il sapore mi esplose sulla lingua, nuovo e delizioso.

    «Ti fanno male i denti?» chiese il ragazzo accigliandosi, non aveva messo in conto quest’eventualità.

    Scossi il capo e sorrisi un po’ di più. «No, è molto buono».

    Arrossii e fui quasi certo lo avesse notato, ma non disse nulla preceduto da Tom.

    «Amico, ma come sono i tuoi denti? Sai che forza!» esplose di curiosità entusiasta, mentre la sua compagna inutilmente cercava di comunicargli con lo sguardo di essere più delicato.

    Con un dito tesi l’angolo delle labbra a scoprire ciò che celavano: una dentatura umana moltiplicata in modo da poter coprire tutta la lunghezza della mia bocca, denti da onnivoro, lunghi canini capaci di nuocere alla carne e grossi molari per triturare il pasto.

    «Sono stupendi» annuirono e in tutta onestà non riuscii a capire se si stessero burlando di me o meno.

    Tillie, che si era sporta per sbirciare come gli altri due, sgranò appena gli occhi. «Oh ma sei tutto screpolato» sussurrò alzandosi dal letto, rivelando il piccolo gonfiore materno del suo ventre.

    Era in attesa, senza dubbio.

    Fece una piccola corsetta fino a un borsone, recuperando un contenitore, un barattolino colmo di qualcosa di chiaro e viscoso, tornando verso di me, mentre ne apriva il coperchio, sollevando una mano vicino al mio volto. Di riflesso alzai le braccia voltando il viso per difendermi da lei, ma mi ci vollero solo pochi istanti a comprendere quanto ridicola fosse la mia reazione.

    Sollevai nuovamente lo sguardo e vidi il dolore esplodere nei suoi occhi, mentre si mordeva piano le labbra.

    «Oh no tesoro, non voglio farti del male» mormorò dispiaciuta e mi sentii terribilmente in colpa, quanto incredibilmente sorpreso, erano forse lacrime quelle sul limitare del suo sguardo?

    «Guarda» sorrise dolcemente Thymos, avvicinandosi e immergendo due dita nella crema, spalmandola sul proprio volto. «Visto? Non preoccuparti, è perfettamente innocua.»

    Annuii piano abbassando le braccia, che non mi ero reso conto di tenere ancora sollevate, e lasciai che la ragazza ne spalmasse un velo sul mio naso. Il sollievo fu così immediato che non potei fare a meno di sorriderle con delicatezza, prendendole una mano piano.

    «Grazie» sussurrai guardandola in viso con sincera gratitudine e lei sorrise con affetto.

    «Per così poco» rispose, ma non tornò al suo comodo luogo di riposo, si sedette a terra al mio fianco, in modo da potermi osservare chiedendomi di quando in quando se avessi sete o aggiungendo qualcosa alla lista che Thymos non aveva ancora nominato, o di cui avremmo avuto bisogno in maggiori quantità.

    Poco l’aveva definito lei, ma in quel momento mi parve di avere un mondo intero di novità di fronte a me. Quella sensazione spaventosa ed elettrizzante mi diede come un’energia che non avrei mai pensato di nascondere in me. Sorrisi e distesi appena le spalle, rilassandomi quanto bastava per appoggiarmi al bordo del letto con il capo e socchiudere gli occhi, seguendo il discorso con sempre più difficoltà, fino a crollare in un sonno leggero.

    La tensione doveva avermi affaticato più del previsto, ma non riuscivo a lasciare quello stato di costante vigilanza, nel quale mi accorsi del loro coprirmi con delicatezza. Socchiusi un occhio al

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