Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il destriero d'acciaio: sulle ali di Pegaso
Il destriero d'acciaio: sulle ali di Pegaso
Il destriero d'acciaio: sulle ali di Pegaso
E-book250 pagine3 ore

Il destriero d'acciaio: sulle ali di Pegaso

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Racconto di un viaggio avventura in moto, attraverso i Balcani con destinazione Turchia, poco prima dello scoppio del conflitto degli inizi anni 90, quando già le avvisaglie plumbee della guerra tingevano pesantemente il cielo. Un percorso più attraverso persone e genti che attraverso luoghi, compagnie di una notte ed amicizie per una vita, un incessante susseguirsi di emozioni e situazioni avvincenti.
LinguaItaliano
Data di uscita25 ott 2016
ISBN9788822859389
Il destriero d'acciaio: sulle ali di Pegaso

Correlato a Il destriero d'acciaio

Ebook correlati

Viaggi per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il destriero d'acciaio

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il destriero d'acciaio - Alfredo Sasso

    Epilogo

    La preparazione.

    Km. 0 Giorno 0

    La preparazione. Km. 0 Giorno 0

    Il momento più bello di un viaggio è la sua preparazione.

    Mappe cartine piantine itinerari, calcoli chilometrici stradali, svisceramento di guide, saccheggi di enti per il turismo, preventivi di costi, di consumi, individuazione di tappe e relativi tempi di percorrenza, passo di là e salto quel posto, mi fermo, c’è da visitare, no, non mi fermo.

    Il tutto con maniacale e capillare scrupolosità: alle ore tot sarò lì, avrò consumato tanto, speso di più, dormito ics volte per ics ore, percorso questi chilometri alla media oraria di, rispettato la tabella di marcia, no, sono in anticipo, no, sono fuori tempo, devo recuperare, no, non ce né bisogno.

    Tutto questo lavoro viene svolto con l’ausilio di un regolo calcolatore atomico di ultima generazione, strumento indispensabile per avere la certezza matematica che al primo minimo imprevisto, alla più banale inezia, salta tutto con una precisione che ha del surreale, e il lavoro elaborato con tanta accuratezza e pazienza da far invidia anche al più ligio dei Certosini, va letteralmente a farsi Benedire perché generalmente in queste pianificazioni di viaggio, si sottovaluta sempre, non considerandolo mai, il fatidico, puntualissimo e onnipresente fattore imprevisto.

    L’imponderabilità del contrattempo, è un’astrusità aliena al nostro modo di essere curiosi ed affamati di novità; in particolar modo al nostro essere aspiranti viaggiatori e globetrotter, effettivi, abili e arruolati.

    Ma a noi piace così.

    Come piace approcciarci agli itinerari, alla scrivania nell’intima penombra e nell’avvolgente compagnia della notte, alla luce di un abat-jour immersi nel denso silenzio della casa, ascoltando i sussurri o le urla dei propri progetti, immaginando chissà quali avventure, fantasticando eventi e situazioni che, l’odiata quotidianità, ci ha strappato con la sua costante banale ripetitività, l’uguale monotono strappa e sradica quella tua innata propensione al bello e al diverso, ammazza la tua voglia di essere vivo, ti comprime soffocandoti.

    Ma poi alle volte arriva lei, la preparazione.

    La preparazione supporta diversi modelli e progetti attuativi con diverse casistiche e tempistiche di realizzazione.

    Si passa dal modello base classico e più diffuso, nel quale l’approssimazione sfiora la realtà, mentre nel modello più evoluto, quello per intenditori tanto per capirci, rasenta il virtuale in maniera quasi perfetta.

    La realizzazione della preparazione invece, è subordinata e legata a diversi fattori spesso eterogenei tra loro; voglia di fare, capacità di sognare, tempo a disposizione, potenzialità di elaborazione dati, velocità di ricerca delle informazioni, abilità organizzativa, indice di entusiasmo e mezzo di spostamento da utilizzarsi.

    Da poche ore a mesi è il delta temporale che richiede lo sviluppo della preparazione.

    Noi, i due protagonisti, avevamo scelto quale mezzo per il nostro viaggio, la moto.

    La Moto, con la emme maiuscola.

    Mezzo di incommensurabile bellezza; la Moto è libertà, è vivere il viaggio il più intensamente, ti proietta anima e corpo in tutto quello che ti circonda, in quel plasma ambientale, consapevole e succube del meteo sia esso caldo freddo sole pioggia vento, sei come un surfista sulla cresta dell’asfalto, sei un batter d’ali d’insetto nell’ambiente circostante, sei protagonista attivo in quella ragnatela di sensazioni che si sprigionano ad ogni giro di pneumatico, sei attore del cast sul set di quel film: sei il viaggio.

    Il nostro mulo era una moto enduro 800, con prestazioni, a confronto di altre sue pari categoria, da educanda, estetica sul retrò andante ma massiccia, robusta e con le dovute accortezze caricabile come un tir, e, non ultimo pregio ragguardevole, instancabile trita chilometri manco fosse un diesel di ultima generazione montato su di un cargo della marina mercantile.

    Scommetto che anche i non esperti in moto avranno capito di quale enduro si tratta, e per non far nomi, un ulteriore indizio: mito tedesco con le bistecchiere.

    La fase due, dopo la teoria d’itinerario, si proietta nella preparazione del mezzo, con accurata e pignola messa a punto, gomme olio candele batteria filtri, tutto nuovo per ridurre al minimo le manutenzioni in corso di viaggio, con i conseguenti rischi di spiacevoli panne, anche perché capitano immancabilmente sempre anni luce dal più vicino meccanico, e in momenti il più distante possibile dagli orari di apertura di qualsiasi officina o, presunta tale.

    A proposito di meccanici, ognuno penso abbia la sua tuta blu del cuore cui affidare la propria creatura con serenità e tranquillità, e spesso sono più di semplici aggiusta motori e preparatori, diventano amici e confidenti in quella sfera molto delicata ed intima che ha la sua massima espressione nel mondo dei motori delle due ruote.

    Un affettuoso ricordo lo dedico ad un piccolo grande meccanico di paese soprannominato fiammì in virtù del fatto che il suo essere rosso di capelli, lo faceva accostare al rosso della capocchia appunto di un fiammifero.

    Grazie alla sua competenza e passione riusciva a rendere possibile ogni cosa, e per questo viaggio riuscì ad adattarmi un portapacchi da manubrio introvabile per il mio modello di enduro.

    Colpo di martello di qui, affondo di sega di là, saldatina in questo punto, ed ecco un perfetto portapacchi che sembrava progettato e realizzato apposta dalla casa madre della mia moto.

    Purtroppo per un male improvviso, quando non dovrebbe essere assolutamente ancora il momento per nessuno, tanto meno per un trentenne con cuccioli da proteggere e preparare ad affrontare la vita, Fiammi non è più tra noi da qualche anno, ma sono convinto che abbia ancora da qualche parte nel mondo dei giusti e dei buoni la sua officina, e lo vedo ancora nel suo camicie nero, chino sulla morsa a limare qualche pezzo da adattare, con lo stesso amore di sempre, con l’officina immancabilmente piena di ragazzini curiosi, rapiti da quel mondo per loro pieno di fascino e magico, dal sapore ed essenza di olio e benzina.

    Alla volta della Turchia.

    Km. 0 Giorno 1

    Alla volta della Turchia. Km. 0 Giorno 1

    Estate 89 o 90, non ricordo bene, ma non ha senso fare ricerche per stabilirlo con esattezza essendo un dettaglio ininfluente al fine del racconto.

    L’alba.

    Non un’alba come tante, ma l’alba della partenza, l’ora ics di quel nostro nuovo capitolo di vita.

    Sarà stata la forza della suggestione ma la seduzione di quei momenti li rendeva veramente preziosi ed unici, tutto era diverso, la luce, i colori, i sapori, la voglia di vivere e proiettarsi verso nuovi orizzonti.

    Come un centometrista ai blocchi di partenza, si aspettava il colpo di pistola dello starter, colpo atteso e preparato con mesi di allenamento, studio, grinta e determinazione.

    Ultimo maniacale controllo.

    Documenti: ok.

    Soldi: ok.

    Cartine: ok.

    Carico legato e assicurato bene: ok.

    Salutato tutti compresa una coccola a quel cagnone di Flick: ok.

    Flaps completamente estesi: ok.

    Rullaggio fuori dal garage: ok.

    Motori al massimo: ok.

    Take off: ok!

    «Comandante ad equipaggio, decollo riuscito, slacciare le cinture di sicurezza e prepararsi al volo.»

    Eravamo finalmente sull’A4, l’autostrada Milano Venezia Trieste, 400 chilometri percorsi e ripercorsi più volte.

    Era l’autostrada delle nostre vacanze alla quale erano legati particolari momenti della mia vita, compresa quella della famigerata naja, di stanza a Villa Opicina, appena sopra Trieste.

    A4 che avevo percorso un’infinità di volte, alcune in autostop, e negli anni settanta si usava ed era facile farsi caricare indossando la divisa, altre volte a bordo della mia Trilly, soprannome della mia Vespa 200 Rally, altro gioiellino meccanico, fedele compagna delle mie licenze di 48 ore.

    Partivo dalla caserma il tardo pomeriggio del venerdì per arrivare a casa sei ore dopo, e mi accompagnava al rientro, partendo da Milano alla mezzanotte della domenica, per esser di nuovo in caserma poco prima della sveglia alle sei, mi cambiavo in tutta fretta, e indossata la divisa, essere presente per la cerimonia dell’alzabandiera, e via, di nuovo da subito con le normali attività soldatesche, dopo una nottata in bianco a guidare.

    Cosa non si faceva per strappare attimi a quella non vita, per riuscire ad evadere anche per poche ore da quella situazione incompatibile con la visione che avevo del mondo.

    Ci eravamo ripromessi di viaggiare all’insegna della calma avendo tanta strada da percorrere, non volevamo partire di scatto per poi arrivare alla meta con il fiatone e la lingua di fuori, e la nostra andatura tranquilla permetteva di centellinare ogni momento di quel inizio viaggio, da gustare e vivere fino in fondo.

    Già dopo alcune ore, fedeli alle nostre intenzioni, una graziosa area di pic-nic ci vide protagonisti di un affondo a dei gustosi panini che manco a dirlo, ci sembrarono più succulenti e prelibati che mai; la splendida giornata estiva priva stranamente della solita fastidiosa afa padana, completava il tutto racchiudendolo come in una preziosa bomboniera.

    «Guarda Alfredo, che traffico. Siamo in pieno esodo estivo, e meno male che in previsione di inevitabili code, abbiamo il vantaggio di essere in moto»

    «Rosy pensa a quei poveracci nelle loro scatolette, in quegli involucri metallici, se finiscono fermi in coda altro che cotti a vapore, vengono grigliati giusto a puntino».

    Previsione avveratasi purtroppo per loro, gli utenti a quattro ruote, che poco oltre, fermi, boccheggiavano in preda ai raggi impietosi di un sole che si accaniva contro le loro carrozzerie avvicinandole al punto di fusione.

    Proseguimmo per la nostra strada in mezzo a due colonne ferme di disperati, eravamo per questo da loro odiati ed invidiati, dileggiati ed insultati, ma eravamo consapevoli della nostra superiorità meccanica di avanzamento, per cui la sfruttavamo al meglio incuranti delle loro umane miserie.

    La vita è fatta di scale, e noi in quel momento ne scendevamo gli scalini a tre a tre.

    Tutto nella norma come da copione, valico senza problemi del confine Italo Jugoslavo a Sezana, via verso Rijeka (la Fiume italiana), Karlovac e da qui di nuovo autostrada verso Zagabria e oltre.

    Alla volta della Turchia. 1

    Giorno 2

    Giorno 2

    Pernottammo in un grazioso, rustico e sorridente Zimmer Frei tra Ljubljana e Zagabria (il paese mi pare si chiamasse Brezice).

    Vivo il ricordo della squisita ospitalità e delle camere piccole ma ben curate che rispecchiavano l’accogliente giovialità dei padroni di casa, e ancor di più impressa nella memoria la pantagruelica colazione a base di tutto, latte caffè thè biscotti marmellata frutta yogurt salumi uova cetrioli in agrodolce, e…, soprattutto un ricovero sicuro per il nostro mezzo.

    Ripartimmo sereni anche alla luce della prima tappa appena trascorsa nel migliore dei modi, e nulla lasciava presagire le future vicissitudini cui andammo incontro.

    Non mi dilungo a descrivere i chilometri divorati quel giorno, su una striscia d’asfalto tra paesaggi ameni e tempo splendido, senza nulla di particolare da segnalare.

    Man mano che si proseguiva verso sud diventavano sempre più brulle le verdi colline, e nei paesi cominciavano a stagliarsi all’orizzonte con sempre maggior frequenza le punte dei minareti, segno inequivocabile di una profonda modifica culturale e religiosa, cambio quasi netto, repentino, affascinante, e per noi sconosciuto, ma che donava al nostro viaggio un pizzico in più di mistero, stimolando la nostra fantasia già proiettata in chissà quali nuove avventure.

    Alle volte, per la nostra pigrizia mentale non ci accorgiamo dell’esistenza di genti così diverse da noi, ma al contempo così geograficamente vicine.

    Genti povere ma dignitose.

    Lasciata l’autostrada ci addentrammo nei dintorni alla solita ricerca di un qualche piccolo hotel o affitta camere, per passarvi veloce la notte.

    Sistemazione spartana e decorosa.

    Ripartimmo ancor prima del far del giorno, con ancora buio e solo qualche timido cenno di chiarore all’orizzonte.

    Alla volta della Turchia. 2

    Giorno 3

    Giorno 3

    Genti povere e dignitose.

    Se ti fosse capitato viaggiare come noi in quei luoghi ancor prima dell’alba, le incontravi quelle genti, già in fila indiana lungo il ciglio della strada con i loro rudimentali attrezzi agricoli appoggiati sulle spalle, vanghe forconi rastrelli falci, che si avviavano verso campi spesso lontani da paesi, e stupiti ci chiedevamo da quanto tempo stessero camminando e da dove provenissero, perché l’ultimo abitato incontrato era distante chilometri.

    Forse da qualche piccolo centro rurale ben nascosto ed invisibile alla vista dei rari viaggiatori che transitavano distratti per quei luoghi privi di interesse turistico.

    Campi dorati ancora chiazzati di papaveri e narcisi.

    Erano immagini per noi figli del boom economico degli anni sessanta, lontane nel tempo, retaggio di un nostro passato ormai relegato nella memoria dei nostri vecchi.

    Ed il pane.

    Attraversammo un piccolissimo paese, poche case lungo la strada principale, case basse, tutte uguali, tutte stesso colore grigio sporco, e fummo attirati da un negozietto, e, dalla gente che ve ne usciva con del pane capimmo con intuito fuori dal comune che doveva trattarsi del fornaio del paese.

    «Dai Rosy, quel negozio mi ispira, che ne dici?»

    «Quasi, quasi, anche perché siamo partiti senza neanche aver mandato giù nulla per colazione, e poi hai ragione, è proprio un negozietto che ispira, e poi ho una fame…»

    Un tavolaccio fungeva da bancone, qualche cesta alle spalle conteneva tante pagnotte tutte uguali, uguali come le case del paese, degli scaffali in legno, vecchio, consumato e stanco, mal sopportavano il peso di alcune bottiglie di latte.

    Null’altro era il negozio ma la sua ricchezza era il profumo che solo il pane appena sfornato riusciva a regalarti.

    E odore di fumo di legna.

    Pane cotto a legna.

    La nostra colazione quella mattina fu pane e latte.

    Avevamo avuto la grande fortuna di capitare nel forno di uno di questi paesi nascosti nei Balcani, botteghe essenziali nella loro semplicità ma decorose, dove per farti capire l’unica comunicativa possibile per noi non del luogo, era una gestualità istintiva.

    Sempre all’alba, all’ora del contadino, il pane appena sfornato sapeva di vita, di amore, di fatica, e, noi che avevamo goduto questo privilegio non avremmo mai più potuto dimenticarne la fragranza e la genuinità, rimpiangendo poi di non poterla ritrovare in futuro nel nostro mondo.

    Una realtà asettica ed esageratamente consumistica con farine troppo raffinate e lieviti artificiali, frutto di processi chimico industriali.

    Rientrammo in autostrada dopo quella esperienza contadina, felici di esserci immersi in un per noi mistico lontano passato, e, come viaggiatori del tempo, aver per un attimo vissuto nel loro presente.

    L’imminente conflitto etnico che sarebbe scoppiato di lì a poco, cominciava già ad essere tangibile, si percepiva un qualcosa che, col senno del poi, si poteva definire consapevolezza che da lì a poco sarebbe successo qualcosa di disumano, di non degno di chi si reputava un essere pensante arrogandosi un’immeritata etichetta di superiorità nei confronti del mondo animale.

    Già, l’Homo Sapiens; se invece di cominciare a percorrere la sua strada evolutiva, avesse continuato a guardare la tv non dedicandosi ad altro, forse sarebbe stato un bene per tutti, in primis per sé stesso.

    Qualche piccola avvisaglia di quanto stava per accadere la si poteva riscontrare nella difficoltà a trovare, man mano che si procedeva, un qualche boccone veloce da mandar giù, negozi non proprio forniti e autogrill al limite del vuoto.

    Ma tanto, noi intrepidi moto-cicloturisti, eravamo avezzi a nutrirci ben poco in viaggio, spinti dalla voglia di consumare chilometri su chilometri, e questa voglia era il nostro nettare, la nostra benzina.

    Già, benzina!

    Il nettare andava bene per noi.

    Ma per la moto no!

    Lei, la nostra cavalcatura senza nutrimento non si sarebbe mossa se non a spinta.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1