Cinquantadue Centesimi
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Anteprima del libro
Cinquantadue Centesimi - Gaetano Parise
DODICI SECONDI
Dodici secondi ti possono stravolgere definitivamente l’intera esistenza.
Scritta così la frase risulta banale, me ne rendo conto, ma di una frazione di tempo così esigua, se non ci prestiamo attenzione, difficilmente ne abbiamo coscienza.
Allora facciamo così. Fai schioccare le dita e contemporaneamente pronuncia le parole: milleuno, milledue, milletre…
Ti rendi conto quanto a lungo possono durare dodici secondi? Mentre con un colpo secco strofini un polpastrello sull’altro, in ognuno di quegli istanti può accadere qualcosa di imprevisto e magari spetta a te la scelta del passo successivo. Sarà in base a quella decisione che si verificheranno gli eventi a seguire. Ora, se in quella scelta vengono anche coinvolte un certo numero di persone, allora ti rendi conto che hai in mano il loro destino e la tensione della responsabilità non ti fa dormire la notte. A quel punto il lavoro più difficile è con te stesso. Devi imparare ad arginare e tollerare quelle tue reazioni particolarmente intense che rischiano di sfuggirti dal controllo. Con il tempo capisci che fa parte del motivo per cui ti pagano così bene, così il cervello crea degli automatismi che ti danno sicurezza. Quando hai un’esperienza tale da reagire simultaneamente ai segnali anomali, allora capisci di aver raggiunto il punto in cui provi una tale fiducia in te stesso da sentirti in pieno controllo del tuo compito.
Grave errore! Dimentichi che il destino è sempre lì in agguato, pronto a darti una lezione di umiltà, e quella volta a me ha dato quella più pesante.
Quando una serie di fortuiti episodi si concatenano in maniera tale da innescare un effetto domino, allora la situazione sfugge dal tuo controllo. Nulla e nessuno può rimettere le cose a posto, mentre a te toccherà pagarne il prezzo.
Il mio compito è quello di seguire gli aeromobili che entrano nel nostro spazio aereo, prenderli in carico e portarli a terra. Per fare ciò devo trasmettere ogni singolo messaggio in maniera chiara e corretta, poiché quello che dico farà in modo che i programmi di centinaia di persone non subiscano modifiche. In caso contrario… Quando ogni giorno controlli le vite di migliaia di donne, uomini e bambini l’errore non ti è permesso, a maggior ragione quando hai a disposizione un radar che fa un refresh ogni 12 secondi. Quel buio è un timer del destino. Cinque rotazioni al minuto. Milleuno, milledue, milletre,… Milleundici… Dov’è il volo AK125?
Da piccolo ero molto attratto dagli aerei che decollavano e atterravano non lontano dalla mia camera. I sogni di un bambino andrebbero coltivati in modo tale che da adulti possano essere realizzati. Chi ci riesce ha fatto bingo con la vita. Astronauta, chirurgo, scrittore, pompiere, pilota di aerei…
Qualcuno una volta disse: «fai ciò che più ami e non lavorerai un giorno in vita tua». Ecco, quello che amavo di più era volare.
Nel mio mondo fantastico l’aereo non era un cilindro con appendici alari e ruote, bensì un essere vivente con un corpo di metallo controllato da una mente umana. La magia dei fari di sera tesi a illuminare un ideale binario che portava dritto dritto alla pista, il suono acuto dei motori, il profumo inconfondibile del kerosene, tutto ciò si miscelava magicamente esaltando i sensi, provocandomi brividi indescrivibili. Nelle sere di foschia, in particolare, al limite del permesso di atterraggio, quelle sensazioni si amplificavano, diventavano più dense. Le scie luminose delle luci di atterraggio si trasformavano in nuvole sfumate di vernice sparate fuori dall’ugello di uno spruzzatore a pressione. L’aeromobile compariva come un essere misterioso che sbucava dal nulla, il cui arrivo era annunciato da un suono dapprima sordo e poi, man mano che si avvicinava, sempre più intenso, fino ad essere così alla mia portata da sembrare entrarmi dentro, invadendo completamente il mio spazio. Lo sentivo nella pancia, mi batteva sempre più forte il cuore. Venivo attraversato da una scarica elettrica. Che emozione!
Dalla finestra potevo vedere i piloti che portavano a casa la loro creatura
, tanto erano vicini. Genitori putativi di un figlio meccanico che dovevano condurre fino a terra in tutta sicurezza. Erano addestrati a gestire la maggior parte delle emergenze, era quella la loro missione e loro si sentivano le persone migliori per farlo.
Quante cose sarebbero potute andare male in un volo? Molte, ma quegli uomini erano pronti a quasi tutto e gli strumenti di bordo avrebbero dato loro una mano.
Come facevo a saperlo? Passavo ore a giocare con i simulatori di volo e dopo tutto quell’addestramento virtuale sarei stato in grado anch’io di sedermi sul sedile di comando, o almeno quello era ciò che credevo. Così giorno dopo giorno, simulazione dopo simulazione, arrivò la mia occasione di accedere al corso base, quello reale. Mi presentai al vicino aeroclub per iniziare la carriera di pilota. Il primo step sarebbe stato quello di prendere confidenza con i Cessna e studiare le teorie fisiche del volo prima di arrivare agli aerei di linea. Avevo pianificato ogni step, non potevo fallire. Mi piaceva l’idea di portare le persone verso i loro sogni, verso i loro obiettivi e farlo più velocemente possibile. Dal businessman al turista, tutti avrebbero avuto un buon motivo per salire sul mio aeromobile e dare a me il piacere, e il dovere, di portarli sani e salvi verso il loro futuro. Mi vedevo a lato del portellone di uscita dopo l’atterraggio a ringraziare ogni singolo passeggero che si era affidato alla mia preparazione, alle mie ore di addestramento.
Tutti loro avrebbero meritato di essere guardati in faccia perché non avevo portato centinaia di persone qualunque da un punto all’altro del globo, ma individui con la propria storia, con i propri pensieri, con i propri progetti, con i propri sentimenti. Il problema dei grandi numeri è che perdi di vista il singolo. Diventa un tutt’uno omogeneo. Succede come con la marmellata. Quando frulli una quantità elevata di frutti non hai più coscienza di ognuno di loro e ti rimane una massa tutta uguale a sé stessa. A me ciò non doveva succedere. Uno degli obiettivi che mi ero posto, una volta diventato
pilota, era proprio quello di non trasformare una passione in semplice lavoro. Era per questo motivo che all'aeroclub non solo prendevo lezioni di volo, ma curavo anche il bar, facevo il cameriere nel ristorante e portavo via la spazzatura. Volevo rimanere a contatto con la realtà, per cui le vacanze estive dai sedici ai vent’anni le passai così, all’interno di un caseggiato di centoventi metri quadri pensando ogni minuto all’obiettivo e servendo ai tavoli.
Giunto a vent’anni arrivò il mio momento. Superati tutti gli esami e acquisiti i brevetti necessari, potei partecipare al corso di volo commerciale, e qui calò dall’alto il muro che mi sbarrò la strada. In quel preciso istante capii che la vita può essere spietata, ma che di sicuro ha il grande pregio di essere giusta. Se una cosa la puoi fare, allora si verificheranno una serie di circostanze che porteranno alla realizzazione del tuo progetto, altrimenti gli ostacoli che si frapporranno tra te e il tuo sogno diverranno così insormontabili da costringerti a cambiare rotta. E nel mio caso fu ciò che accadde. Il destino aveva in serbo altri programmi per me.
Portai a casa la domanda di iscrizione, la compilai con cura, infine arrivai alla sezione finale. Settantamila dollari da saldare a rate o in un'unica soluzione, basta che arrivassero tutti a destinazione entro fine corso. Il lavoro all'aero club non sarebbe più bastato per frequentare corso ATPL, così dirottai provvisoriamente su quello ad alta specializzazione per diventare controllore di volo. Lo scopo era di entrare nell’ambiente e, riducendo all’osso le spese, in poco tempo riuscire a pagare l’iscrizione per poi finalmente coronare il mio sogno. Quella fu la prima grande svolta della mia vita. Il destino mi aveva lastricato una strada diversa da quella che avevo progettato e all’inizio accettai senza protestare.
Così passai le selezioni ed ebbi l’accesso al corso di formazione, al termine del quale conseguii la licenza con cui venni assunto nell’aeroporto locale, quello vicino alla finestra da dove sognavo di diventare pilota. Nei mesi successivi tutto andò per il verso giusto. Uomini ignari della mia presenza venivano trasportati da piloti che mi conoscevano solo per la mia voce. Il loro destino era nelle mie mani. Tutto filò liscio fino a quel fatidico quattro agosto duemiladodici.
Un agosto così caldo non lo si vedeva da trent’anni. Gli incendi erano all’ordine del giorno e il modesto aeroporto gestiva anche il traffico