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Alacaluf: Ai confini del mondo
Alacaluf: Ai confini del mondo
Alacaluf: Ai confini del mondo
E-book564 pagine7 ore

Alacaluf: Ai confini del mondo

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Info su questo ebook

Alacaluf è una barca a vela con il nome di una tribù Indios della Patagonia. La sua rotta è una scia leggendaria. Un grande anello intorno al mondo con un passaggio nella terra degli avi, fino a Capo Horn. Un racconto a tre dimensioni: subacqueo quando ci si immerge con Alain nel profondo universo sottomarino, scientifico quando si esplora con Françoise la natura incontaminata, intimo e magico quando si condivide lo stupore della piccola Stéphanie. La "fiammella" che guida questa famiglia è sempre presente. Vivida per eliminare i dubbi e superare gli ostacoli. Potente per indicare la rotta. Ardente per riuscire sempre a commuoversi. Questo libro è la testimonianza di un viaggio e di un sogno che si è realizzato. Dimostra che la fortuna appartiene a chi la vuole incontrare. "C'è qualcosa di soprannaturale in questo vento scatenato, il rumore è indescrivibile: mille isteriche sirene urlano e vomitano centinaia di decibel. È un rullo compressore che ci arriva addosso. L'attrezzatura sembra battere i denti. Fissate alle battagliole, le taniche fanno tremare i candelieri. Quando mi giro verso prua, ho l'impressione di essere schiacciato, oppresso, apro istintivamente la bocca come un pesce fuori dall'acqua."
LinguaItaliano
Data di uscita23 mag 2013
ISBN9788896331071
Alacaluf: Ai confini del mondo

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    Anteprima del libro

    Alacaluf - Alain Carron

    NOTA ALL’EDIZIONE ITALIANA

    Alacaluf è un libro con una storia particolare.

    Il libro venne tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1997, ma l’editore dell’epoca chiuse pochi anni dopo; Alacaluf restò in vendita solo per brevissimo tempo; ma i lettori che hanno avuto la possibilità di leggerlo, magari su una copia usata, prestata o fortunosamente acquistata su una bancarella, lo descrivono come uno splendido libro di mare, al pari di pietre miliari come Moitessier, Slocum e altri grandi navigatori-scrittori.

    Anche l’edizione originale francese non è più in vendita da molti anni e si trova solo come libro usato, peraltro a caro prezzo; ma è sufficiente una breve ricerca con Internet per rendersi conto che, soprattutto tra gli appassionati francesi, il libro sia diventato e resti tuttora un testo fondamentale per chi sogna il grande viaggio.

    Quando abbiamo potuto leggerlo ci siamo immediatamente domandati come fosse possibile che un tale tesoro fosse praticamente sconosciuto e costituisse quasi una leggenda tra gli appassionati di mare.

    La scelta di dare una nuova vita al libro in un’edizione e traduzione completamente nuove, con sezioni, disegni e foto in parte inediti è quindi prima di tutto un omaggio e una riscoperta.

    L’omaggio a un grandissimo viaggio intorno al mondo con una barca a vela di soli 10 metri di una coppia di persone normalissime che decide di partire con una bambina di soli tre anni e che si avventura nei mari più belli, ma anche più difficili del mondo, spingendosi fino a Capo Horn, in un viaggio che durerà sei intensi anni.

    La riscoperta di un libro che costituirà una sorpresa per gli appassionati di nautica, ma anche per gli amanti dei viaggi in genere dato che Alacaluf è un romanzo in cui l’aspetto tecnico è perfettamente bilanciato da una ricerca del lato umano del viaggio, viaggio per conoscere paesi, persone e culture, ma anche, e forse prima di tutto, viaggio dentro di sé.

    Per preparare questa nuova edizione (che esce sia in italiano che in francese), abbiamo lavorato a lungo con gli Autori, Françoise e Alain Carron: grande è stata la nostra sorpresa nello scoprire che vivono per buona parte dell’anno ancora in barca, la stessa Alacaluf del racconto, sempre in viaggio tra quelle isole tropicali che con tanto amore vengono descritte nel libro.

    A loro un saluto e un ringraziamento.

    1. LA ROTTA

    Agosto/Settembre 1988

    La custodia delle chiavi cade all’interno della cassetta delle lettere: un suono breve, inghiottito dal silenzio della notte. Françoise e io restiamo per un momento con lo sguardo fisso su quella fessura che ha appena spezzato il legame con ciò che da qualche secondo è diventato il nostro passato, mettendoci davanti alla realtà della nostra scelta.

    Un’occhiata sul sedile posteriore: Stéphanie, tre anni, dorme già, comodamente appoggiata al mucchio di roba che occupa tutta la parte posteriore della macchina.

    Vediamo sfilare le luci di Annecy, con una stretta al cuore pensando ai molti amici che lasciamo. Uno fra tutti, Maurice a cui devo la mia formazione di subacqueo, dai primi colpi di pinna al brevetto; lui ha revisionato il mio materiale da sub e stabilito la lista dei pezzi di ricambio.

    Due del mattino. La parte più tortuosa di strada è finita, il fascio dei fari è incollato all’asfalto rettilineo. L’automobile corre da sola sulla A7. Ho le mani posate sulla parte inferiore del volante e lo sguardo perso oltre la portata dei fari. Altre immagini sfilano davanti al parabrezza: vedo ancora bitume e chilometri, ma siamo nell’inverno 1982. Le strade sono scivolose, il Giura sembra cedere controvoglia il terreno alle alture della Borgogna, curva dopo curva, collina dopo collina. La ricompensa, alla fine della lunga notte, sarà l’alba nascente, croissant e caffè fumante e soprattutto l’arrivo al cantiere per vedere lei, Alacaluf, assicurarsi che tutto vada per il meglio e che la cinquantina di scelte o modifiche apportate al piano originale siano state realizzate come volevamo.

    Quante volte abbiamo compiuto il percorso Ginevra/Saint-Brevin-les-Pins? Re-golarmente, ogni sei settimane, per tutto il tempo della costruzione, da ottobre a giugno, secondo un rito consolidato: partenza il giovedì sera, viaggio di notte per trovarsi sul posto il venerdì mattina e poter disporre di un giorno intero e del sabato mattina, ritorno la domenica. Che gioia ogni volta vedere il bebè crescere e incontrare i caporeparto del cantiere Metalu intorno a un bicchiere di muscadet e un piatto di ostriche; serate animate, dominate dal soffio dell’avventura, senza dimenticare le vivificanti camminate sulla riva del mare intorno a Pornic, respirando l’odore di iodio e alghe fino a far scoppiare i polmoni.

    Tuttavia c’è un’ombra: i 1.000 chilometri che ci aspettano il giovedì sera, dopo una giornata di lavoro; la prudenza esige che ci siano due guidatori a darsi il cambio, cosa che io e Françoise facciamo di solito... Le mie mani risalgono sulla parte superiore del volante, mi raddrizzo sullo schienale e scoppio a ridere, svegliando Françoise che sonnecchia sul sedile accanto.

    - Cosa succede? Ti diverti?

    - Sì, penso al cugino!

    Quella volta, il cugino si era presentato come volontario per accompagnarmi. Abbiamo tutti dei cugini, ma non so se ce ne sono molti di questo genere. Fortunatamente, diranno le malelingue.

    La lingua, il cugino, non la tiene certo in tasca, d’altra parte nelle sue tasche non c’è assolutamente niente. Di che cosa vive allora? Né d’amore, né d’acqua fresca, ma di espedienti, perché domani si vedrà. Sulle cose di questo mondo ha una visione molto personale e anticonformista, il cugino. E questo diritto alla diversità, lo rivendica, alto e forte.

    Lasciammo quindi Ginevra con un ghiaccio del diavolo che non facilitava certo la guida e con un ritardo già considerevole sull’ora che la lunga distanza da percorrere avrebbe consigliato. Partiti? Non per molto. Passata la frontiera di La Cure, nel Giura, ecco che dopo qualche tornante trovammo un grazioso albergo, un’autentica tentazione, è vero, per il tepore che si indovinava dietro i suoi vetri gelati.

    Il cugino, al quale avevo imprudentemente lasciato il volante fin dalla partenza, posteggiò la macchina davanti alla porta ed esclamò:

    - Andiamo a riempirci la pancia!

    - ...Sì, e poi bum! Perché sazi e gelati finiremo tra i pini!

    - È con lo stomaco vuoto che finiremo per gelarci. Dai, sono sicuro che hanno un eccellente antigelo là dentro!

    Due buone ore più tardi, effettivamente ben riscaldati, riprendemmo la strada arrivando poi a destinazione, se non freschi, almeno sani e salvi.

    La giornata di venerdì trascorse come previsto, nella gioia di vedere la costruzione progredire e contribuì grandemente all’istruzione del cugino, tutto stupito nello scoprire le belle cose che si possono realizzare con l’alluminio.

    Conoscemmo di Marc Pajot[2], venuto a discutere le modifiche che desiderava effettuare sul suo catamarano Elf Aquitaine, il cui padre spirituale è lo stesso di Alacaluf: il progettista Sylvèstre Langevin.

    Seguì una serata memorabile con gli amici del cantiere che ebbe il solo difetto di ridurre drasticamente le ore di salutare sonno.

    I tecnici, che avevano un weekend intero per rimettersi dalle facezie del cugino, mi domandarono ilari:

    - È sempre così?

    - No, spesso è peggio!

    Quindi, un po’ stanchi, riprendemmo la strada del ritorno, sabato mattina... dopo che il cugino ebbe ingoiato una colazione di champagne e ostriche.

    Desideroso di evitare la trappola dello stile simpatico albergo del Giura, guidavo io, ma per la stanchezza dovetti cedere il posto due ore più tardi. Il cugino, ringalluzzito da un sonnellino, non se lo fece ripetere due volte. Quando a mia volta riemersi dal dormiveglia, mi sembrò che il paesaggio non fosse quello che si vedeva di solito lungo la Loira.

    - Ma, sei sicuro della strada? Ti sei sbagliato!

    Il cugino restò impassibile.

    - No, no... solo...

    - Spiegati!

    - Andiamo a Parigi!

    - Come?!

    - Ascolta fratellino - è così che mi chiama nei momenti di straripamento affettivo e nei tentativi di persuasione - ho accettato di accompagnarti nella traversata del grande paese di Francia, ho finto di interessarmi alle tue cose d’alluminio e di seguire le vostre discussioni in termini tecnici dei quali non capivo nulla, allora fammi questo piacere: solo una piccola deviazione a Parigi.

    - Cosa vuoi andare a fare? Fermiamoci piuttosto per una bella sosta gastronomica nella Loira, che c’è di meglio?

    E il cugino, saltando sul sedile e parodiando Serge Lama[3]:

    - Ma le donnine, le donnine di Parigi!

    Per ciò che mi concerne, la scappatella parigina si riassunse in un tragitto di metrò, uno sbarco in un albergo equivoco, un pasto inghiottito in fretta e un tuffo nelle braccia di Morfeo, sognando Sylvèstre Langevin, il caporeparto del cantiere e soprattutto Alacaluf, il tutto accompagnato da una potente risacca che sapeva più di fatica che di onda atlantica. La notte del cugino fu più agitata... e così pure la sua mattinata, ma per altre ragioni. Dovemmo in effetti camminare molto tra il commissariato, il garage e la gendarmeria che aveva sequestrato la macchina, con il pretesto che disturbava lo svolgimento di un mercato domenicale, non preannunciato da nessun cartello. Il cugino, semiaddormentato e sprofondato nel suo sedile, non sentì la mia osservazione. Dovetti ripetergliela al suo risveglio a Ginevra.

    - Il colpo della deviazione a Parigi, non riuscirai a farmelo due volte!

    L’ultimo casello autostradale è passato. Mi è apparso al momento giusto, in mezzo all’immagine di una gran quantità di scatole che mi danzava davanti agli occhi. Rivedevo il viso del gestore del supermercato, sbalordito davanti al treno, costituito da sette carrelli contenenti 600 scatole di cibi vari, posteggiato davanti alla cassa.

    - Mi piacerebbe farvi un piccolo sconto - si lamentava - ma non rientra nelle mie competenze!

    Poi, dopo essersi grattato il mento con aria perplessa, sparì per qualche istante e tornò, sorridendo, con un’enorme scatola di cioccolatini tra le mani.

    - Prendete, è tutto quello che posso fare, ma lo faccio di tutto cuore. La passerò sotto il conto della merce avariata; buon viaggio!

    Un gesto simpatico, una maglia in più della catena che venne organizzata perché Alacaluf non mancasse al suo appuntamento con il rimorchio il 10 agosto 1988.

    La nostra viva riconoscenza a tutti. A coloro che, ancora inverno, si misero all’opera, aumentarono il ritmo di lavoro con l’avvicinarsi della scadenza e contribuirono anche a far entrare dei rudimenti di meccanica, elettricità e altre questioni tecniche in una testa, la mia, che purtroppo non ha mai avuto nessuna inclinazione per i lavori pratici.

    Grazie dunque a Gérard per la posa del verricello dell’ancora e del pilota automatico e a Jacques per la dedizione, per la fornitura dei pezzi di ricambio per il motore e di una cassetta degli attrezzi così completa che anche in mani poco abili come le mie si è rivelata di una utilità maggiore di quanto immaginassi.

    2. LES GOUDES

    Dopo aver ritrovato all’alba il convoglio che trasportava la barca davanti ai cancelli del cantiere Carènes Services, nel porto di Pointe Rouge, abbiamo varato la barca, montato l’albero e infine raggiunto il minuscolo porticciolo di Les Goudes, a quattro miglia di distanza, vicino a Marsiglia.

    La barca è ormeggiata davanti a una spiaggetta; a prua, due cime la assicurano al molo, composto di grossi blocchi di cemento, una terza cima, a poppa, è fissata all’armatura di legno che serve a issare le piccole imbarcazioni fuori dalla portata delle onde col cattivo tempo.

    - Là sarete tranquilli, anche con il mistral forte - aveva detto Ely, la vigilia, quando Alacaluf si trovava provvisoriamente a fianco di un vecchio ma attraente yacht, l’Astrolabio.

    - Quando avete finito l’ormeggio, venite a casa - aveva proposto Ely - parleremo di mare e di isole lontane.

    Eccoci dunque da Ely Boissin[4], proprietario di Astrolabio, di cui il nostro amico Daniel Piarrot, direttore del club Goudes Plongée, ci ha spesso parlato.

    Mentre Stéphanie gioca con i due gatti, noi facciamo conoscenza. Apprendiamo che oltre l’attività subacquea, che ha praticato per molti anni, sia in apnea che con le bombole, Ely ha navigato a vela e ha esplorato sistematicamente una grande parte del Mediterraneo; è così che ha cominciato a redigere guide di navigazione e a organizzare tournée di film e conferenze. Uomo brillante e animato dalla passione per il mare e per il Mezzogiorno, divide attualmente il suo tempo tra l’attività di scrittore e una trasmissione radio su uno dei suoi argomenti favoriti, la Provenza, e si cimenta con entusiasmo nell’arte dell’acquerello marino.

    Mentre conversiamo, una conclusione si impone logicamente al mio spirito: per gli artisti, come per gli sportivi di élite, poco importa la scelta della disciplina, possono brillare in molte attività diverse. Eccellente ragione per non limitarsi a una sola e, nella vita, vale lo stesso per chiunque, basta dotarsi dei mezzi giusti.

    Quando si vive intensamente una passione, questa impregna la personalità e spesso trabocca fino a invadere e a segnare l’ambiente della persona in cui abita. Nel suo club di subacquea, Daniel si è costruito un piccolo luogo appartato. Sui muri, numerosi dipinti a olio testimoniano il suo amore per il mondo sottomarino. Attraverso le opere realizzate, per la maggior parte a spatola, si indovina che l’uomo seduto al cavalletto con lo spirito sia ancora là, in immersione, in ammirazione di fronte all’esuberanza e al rigoglio di forme e di colori. Dalle sue tele si sprigiona una passione e un entusiasmo che sono proprie del nostro amico, corallaio professionista.

    Nella grande sala, che funge da refettorio, da sala per i corsi e da bar, ci si riunisce di solito alla fine del pomeriggio, dopo l’ultima immersione. Questo luogo è un vero museo sottomarino. I muri sono coperti di oggetti di ogni genere recuperati da vari relitti. Vi si trovano egualmente pesci, palle di cannone, ancore e crani umani muniti ciascuno di un’etichetta che spiega la presunta ragione della morte: svuotamento di maschera difettosa, non ha saputo resistere alle sirene degli abissi, si è immerso troppo zavorrato senza le pinne... Avvertimenti per sub alle prime armi.

    C’è anche un pianoforte, perché Daniel, prima di lasciare le nebbie del nord per le rive e il corallo degli abissi, era a suo tempo cantautore. In questo caldo ambiente, dopo l’immersione, ci si trova con gli amici davanti a un pastis ed è in una di queste occasioni che abbiamo fatto conoscenza dell’effervescente Patrick Mouton che, di volta in volta e con invariabile buon umore, fa valere i suoi talenti di scrittore, giornalista e fotografo subacqueo. Patrick ha appena pubblicato una guida delle 200 più belle immersioni nel Mediterraneo. Un po’ corpulento, la barba generosa e gli occhi scintillanti d’entusiasmo, aveva dichiarato:

    - Una di queste mattine passerò a vedere il vostro battello!

    Come nei giorni precedenti stiamo tentando di trovare un posto appropriato per l’inverosimile armamentario che invade l’interno della barca. Abbiamo cominciato col spargere in coperta il contenuto della cabina di Stéphanie e questo ci dà un’illusione di progresso... a condizione di non guardare fuori.

    Toc-toc-toc, bussano sullo scafo.

    È Patrick, in piedi in un gommone, attaccato con una mano alla battagliola, mentre nell’altra brandisce un fucile subacqueo.

    - Ho qualcosa per voi!

    Seduto nel pozzetto di Alacaluf, Patrick prosegue:

    - È uno dei miei fucili, ha una lunghezza ideale, ve lo regalo. Dopo aver navigato fino alle Canarie con amici su una barca a vela, vi posso dire che in crociera un buon fucile offre una quantità di servizi inimmaginabile, per la cucina, certo, ma anche per la cassa di bordo. Qualche volta, ho venduto i pesci catturati agli albergatori.

    Sono le sei di sera.

    - Ehi, di bordo!

    - Guarda, qualcuno ci chiama dalla riva. Gli vado incontro con il battellino.

    - Buongiorno, mi chiamo André, abito proprio qui sopra. Ho saputo che preparate una grande partenza. Sono anch’io appassionato di vela e ho pensato che una serata sulla nostra terrazza varierebbe un po’ i vostri preparativi. Venite quindi, siete i benvenuti.

    La spontaneità, il senso della comunicativa e la gentilezza dei provenzali sono formidabili. Qualità che André e Anne coltivano a meraviglia. Avremo spesso l’occasione di apprezzarle. Già la sera stessa e poi l’indomani a bordo:

    - Ma cosa succede, è saltato tutto! - dice André.

    - Mi sembra che il circuito elettrico e l’elettronica di bordo non abbiano sopportato le vibrazioni e i colpi del trasporto in camion.

    - Conosco una ditta seria al Porto Vecchio che può occuparsi del navigatore satellitare e io ti darò una mano per l’impianto elettrico.

    Siamo al club subacqueo in un pomeriggio calmo e soleggiato. Françoise confronta l’inventario della farmacia di bordo con la lista dei medicinali necessari. Stéphanie fa la siesta in una stanza che Daniel ci ha gentilmente messo a disposizione e che ci serve da magazzino, per il tempo che alcuni lavoretti siano terminati e si proceda a uno stivaggio sistematico.

    Io sono sulla terrazza, seduto al tavolo davanti a una carta nautica della zona, alcuni libri di navigazione astronomica e due sestanti. Il tempo è magnifico, ne ho approfittato per regolare e controllare i due apparecchi. Terminato questo compito, contemplo lo stupefacente spettacolo, così vicino alla seconda città di Francia, costituito dalle falesie sul bordo del mare, dalle Calanques alle isole a est della rada di Marsiglia. Poi il mio sguardo si posa sul promontorio roccioso che ripara il piccolo gioiello della baia Des Singes, sulla maestosa e arida isola Maire, sull’isolotto Tiboulen e si fonde infine nel blu Savoia del cielo, che delimita un orizzonte eccezionalmente netto; la linea magica che indietreggia man mano che si avanza. Mi tornano allora in mente le parole di Alain Gerbault[5]:

    Di tutte le pazzie e le aberrazioni che si incontrano nell’umanità, quella che mi pare la più inconcepibile è che l’uomo, durante il suo passaggio sulla terra, non abbia la curiosità di conoscerla tutta intera.

    Avere un sogno è già una cosa bella. Poterlo realizzare è meglio. Provarci costituisce una via di mezzo ed è quello che noi stiamo facendo. Curiosamente, la decisione di tentare questa avventura è stata presa solo qualche mese fa, ciò spiega la frenesia che ne caratterizza la preparazione. Certo, i progetti erano in germoglio da quando avevamo vent’anni, ma non ci eravamo mai dati una scadenza, un giorno, un giorno....

    Il 1987 era stato catastrofico: la tragica scomparsa del fratello di Françoise, un serio incidente subacqueo per me e problemi circolatori degenerati in guai gravi per Françoise che l’avevano lasciata in cattive condizioni.

    Un giorno, un giorno... prima che sia troppo tardi, ecco la conclusione che avevamo tirato, mentre i medici raccomandavano una lunga sospensione del lavoro e un cambiamento d’aria.

    Ebbene a bordo di una barca a vela di aria ce n’è parecchia e il cambiamento è senza dubbio grande. Da qui a Gibilterra avremo tutto il tempo di valutare il risultato dell’esperimento e, se sarà negativo, di fermarci e restare in Spagna per qualche tempo. Perché non dimentichiamo mai un dato di fatto: oggi è il primo giorno del resto della nostra vita.

    Seduti nel museo, ascoltiamo Daniel che suona al pianoforte le melodie del suo amico Cristophe, la gola chiusa, lo sguardo scuro. Una tristezza infinita scende e avvolge tutti i partecipanti a questa serata di addio.

    Rivivremo spesso questa scena nel pensiero, Françoise e io, sempre con la stessa emozione, specialmente quando sul registratore scorrerà la canzone di Jean-Jacques Goldman Poiché tu parti.

    "...Senza dramma, senza lacrima

    Povere e risibili armi

    Perché è uno dei dolori che piangono soltanto dentro

    Poiché la tua casa

    Oggi è l’orizzonte

    Nel suo esilio cerca di imparare a tornare

    Ma non troppo tardi

    Nella tua storia

    Conserva nella memoria

    Il nostro arrivederci

    Poiché tu parti..."

    3. IL GRANDE BLU

    Settembre/Novembre 1988

    - Siete ancora qui?

    - No, siamo di nuovo qui!

    - ??

    Partiti ieri nel primo pomeriggio siamo dovuti tornare indietro poco dopo aver doppiato il faro di Planier. Tre ore dopo essere salpati, abbiamo acceso il pilota automatico: non funzionava. Abbiamo verificato l’alimentazione, controllato che la bussola interna non fosse bloccata; non era questo. Abbiamo installato un secondo pilota dello stesso modello, ci faceva girare in tondo, solo una funzione rispondeva correttamente.

    - Oh porc...! Ma non è possibile! - esclama André con il suo pittoresco accento provenzale.

    - Aspetta, non conosci il seguito. Siamo dunque tornati nel cuore della notte e, questa mattina, abbiamo verificato il terzo pilota, di marca diversa dai primi due. Da buttare anche quello.

    - ?? Un doppio pasticcio!

    - Neppure quelli hanno sopportato il trasporto in camion. Avrei dovuto controllarli prima di mollare gli ormeggi.

    Meno di una settimana più tardi, doppiamo i due moletti e passiamo davanti al club subacqueo. Daniel, sua moglie Marie-Christine e i loro bambini sono sulla terrazza. Spariamo qualche razzo, le braccia si agitano da una parte e dall’altra e Alacaluf dirige la sua rotta verso il largo. Ben presto non sarà più che un punto minuscolo nell’immensità che si apre davanti alla prua.

    Il vento soffia da nord-ovest, 20 nodi, una coda di maestrale. Il mare, agitato dal colpo di vento del giorno precedente, per il momento rende spiacevole l’andatura, ma dovrebbe migliorare perché la rotta sulle Baleari ci dovrebbe permettere di navigare con vento al traverso e poi di poppa.

    Condurre una barca a vela in alto mare non si impara in un giorno, senza presentare qualche difficoltà iniziale. Françoise e io abbiamo preso la patente, studiato la navigazione astronomica e abbiamo avuto tutto il tempo di prendere la mano su Alacaluf in molti anni sul lago Lemano. Questo non ci impedisce di avere ora nel cuore una sensazione sconosciuta, un insieme di gioia, speranza e leggerezza e, nello stesso tempo, un certo peso e un vuoto allo stomaco... Ritrovarsi soli a bordo della propria barca all’inizio di ciò che dovrebbe essere un grande viaggio, il condizionale è di rigore, è qualcosa di favoloso. Non ha più niente a che vedere con la scuola di crociera, anche se rimangono molte cose da imparare e completare... come la navigazione con astri diversi dal sole. Ecco, questa notte, se non si balla troppo, sono in programma le rette di luna con il sestante.

    Stéphanie, dopo essere rimasta due ore nel pozzetto giudiziosamente legata, desidera scendere:

    - Si muore qui, meio fuori!

    Le spieghiamo che non può restare eternamente in coperta, poi scopre da sola che, con il rollio, i posti più indicati sono le cuccette del quadrato e la sua cabina.

    - Anche alle mie Barbie piace giocare nella cuccetta.

    Perfetto, tutti sono contenti.

    Il nostro primo pasto sarà leggero, perché il nostro stomaco non reclama di più: lenticchie e purè, velocemente usciti dalle loro rispettive scatole.

    Un’occhiata fuori: ci siamo, arriva. La luce scompare davanti alla penombra. La prima notte da soli. Non è inquietudine, ma un piccolo qualcosa di molto lontano che sussurra, che viene dal tempo in cui, ancora piccoli, non amavamo la notte. Ancora una sensazione unica, non l’avevamo mai provata durante i turni al buio.

    - Allora, questa prima notturna sotto le stelle è andata bene? - chiede Françoise.

    - Sì, mi è piaciuta. Ho passato il tempo a fantasticare in pozzetto e a prendere le rette di luna. Non ho neppure ascoltato una cassetta e tu?

    - Io sì, mi sono organizzata un piccolo concerto. Poche navi, nonostante la vicinanza a Marsiglia. Dunque, sei contento delle tue osservazioni?

    - No, c’è un’evidente mancanza di precisione in confronto alle rette di sole. Come se ci fosse un falso orizzonte, causato dallo splendore dell’astro sulla superficie del mare.

    - È mancanza di esercizio: al lavoro capitano!

    - È possibile. La prossima notte proverò con un pianeta e una stella, questo eliminerà il riflesso.

    L’alba del secondo giorno ci trova in coperta in preda a una grande agitazione.

    - Là, là, l’ho vista!

    - Ma dove? È solo nebbia.

    Il suo contorno si precisa.

    - Evviva, la nostra prima isola! Minorca a prua.

    Esultiamo, travolti da una gioia sproporzionata rispetto alla navigazione effettuata. L’isola che spunta all’orizzonte è un simbolo; la prova tangibile che non sogniamo più o che il sogno si è messo in cammino. E questo ha qualcosa di magico. Qualche minuto fa, non c’era niente, adesso c’è un’ombra, indistinta, ma innegabile; è là, è nata, è uscita dalle nuvole blu pallido dell’aurora. Anche questa volta, qualcosa di profondamente sepolto nel passato si sveglia: l’isola del tesoro. Isola, questa graziosa parola sinonimo di evasione, associata a un altro termine che, anch’esso, fa sognare.

    Siamo ancorati in fondo a una grande baia, davanti al molo che ripara qualche barca da pesca. Dietro il molo, la cittadina di Fornells splende candida sotto il sole. Alcune curve e qualche cupola lasciano intuire un’influenza moresca: è magnifico.

    Prepariamo velocemente il gommone, una ricognizione si impone, perché stasera è festa; due avvenimenti da celebrare: un compleanno e il nostro primo atterraggio.

    Minorca ci lascerà un’impressione di dolcezza e di quiete, in questo scorcio di settembre 1988, come fosse addormentata dopo l’effervescenza della stagione turistica. Non dimenticheremo i languidi risvegli di Mahon, la città principale che, lentamente ogni mattino, usciva da una leggera coltre di bruma, né le meravigliose baiette della costa sud, né Ciudadela, rannicchiata in fondo a uno stretto canale, con le sue tavernette sul filo dell’acqua. Maiorca, per contro, non sosterrà il confronto ed è senza rimpianto che non ci attardiamo, raggiungendo velocemente l’isoletta di Cabrera, raccomandataci dal nostro amico Ely:

    - Tentate il colpo, è un’isola militare. Può essere che vi scaccino, secondo l’umore del comandante sul posto, ma ne vale la pena.

    Non riceveremo invece nessun gesto di malevolenza al nostro arrivo, nel pomeriggio. La sera, incoraggiati e allettati dalla prospettiva di bevande fresche, miriamo il piccolo chiosco sul bordo della spiaggia e tentiamo uno sbarco.

    - Buenas noches, bienvenida!

    Malgrado la simpatica accoglienza, due giorni più tardi mettiamo la prua su Ibiza, che raggiungiamo di notte, con mare agitato. Dopo un faticoso esercizio, che consiste nel tentare di distinguere i fari di entrata tra le innumerevoli luci della città in secondo piano, ci ormeggiamo al molo, alle quattro del mattino. Non per molto. Appena addormentati ecco una voce.

    - Hola! Di bordo! Il traghetto sta per arrivare. La darsena e gli ormeggi per le barche sono là dall’altra parte. Lasciate il posto libero per favore!

    Non del tutto freschi, togliamo gli ormeggi e ci dirigiamo nel luogo indicato. Frettolosi di ritrovare il tepore delle cuccette, filiamo l’ancora e 25 metri di catena.

    Ibiza la raggiante, un po’ hippy, tutta relax. Ibiza e le sue viuzze strette che salgono all’assalto della cattedrale, i suoi balconi di ferro battuto dove sono eternamente stesi ad asciugare panni colorati, la sua Calle Major e le sue bancarelle brulicanti di vita. Ibiza l’artista, dove agli angoli delle strade fioriscono talenti sconosciuti.

    Conquistati dall’ambiente, decidiamo, una sera, di lasciarci tentare dalla sua cucina.

    - Divino!

    - Una squisitezza - rincara Françoise.

    - Guarda, si alza la brezza, le tende delle botteghe vicine si agitano.

    Alla fine della cena...

    - I tendoni sbattono forte, soffia veramente tanto...

    Attraversiamo lo specchio d’acqua con il tender per raggiungere la barca.

    - Il vento viene da sud e tutte le barche hanno girato su se stesse - nota Françoise - ...Alacaluf ha fatto di più, è scomparsa!

    - Guarda là, quell’assembramento di imbarcazioni!

    Ci dirigiamo a tutta velocità verso il gruppo che si è formato in fondo al bacino, dove sono ormeggiate alcune grandi barche da pesca. Di fronte a esse, dondola una barca la cui identità si precisa di secondo in secondo...

    Figure gesticolano febbrilmente. Siamo a portata di voce, malgrado lo scirocco. Ci arrivano grida ed esclamazioni: il temperamento latino nei momenti di grande esaltazione.

    È già qualche istante che non lascio la barca con gli occhi. I suoi movimenti sono normali, niente fa pensare che tocchi il fondale. La catena, che adesso si distingue bene, è tesa. Poiché l’ancora ha arato, arriveremo, nella più fortunata delle coincidenze, in fondo alla darsena contemporaneamente alla barca. Un’occhiata al traverso mi fa notare un piccolo peschereccio i cui ormeggi sono stranamente tesi... e capisco: Alacaluf è andata all’indietro perpendicolarmente alla posizione della barca da pesca. L’ancora, arando il fondo, si è incattivata sulla cima di ormeggio del peschereccio... Il buon Dio ci ha dato una mano...

    - Diventa imbarazzante. Per un soffio non ci prendono per marinai d’acqua dolce.

    - Se il ridicolo uccidesse, saremmo già morti - taglia corto Françoise.

    Avendo sfiorato il K.O. nel primo round, dobbiamo riprenderci in modo sfavillante nel secondo... Dopo aver riguadagnato il nostro posto, filiamo un’altra ancora appennellata, dello stesso peso della prima e rifiliamo tutta la cima, avendo cura di verificare che abbia preso bene con il motore a marcia indietro.

    Tra le isole di Ibiza e Formentera si trova un piccolo gioiello chiamato Espalmador. Soggiornarvi alla fine di ottobre è un piacere degno di un re. I traghetti estivi, rigurgitanti di turisti, hanno smesso la loro ronda infernale. L’isoletta ha ritrovato il suo vero volto. Ogni sera, nella calda luce del sole al tramonto, il tender tirato in secca sulla spiaggia di sabbia dorata offre un acquerello a dimensioni naturali di grande bellezza, mentre, sulla sinistra, i picchi scoscesi che circondano Ibiza si fondono dolcemente con i blu pastello.

    È quasi una settimana che Alacaluf è ancorata in mezzo a questo quadro stupendo, ma dobbiamo proseguire verso ovest. Con rimpianto abbandoniamo questo piccolo paradiso.

    Il tempo si guasta durante la notte e ci obbliga a prendere una prima mano di terzaroli alla randa, poi anche una seconda. Rinunciamo a montare il tangone e le sue ritenute, che permetterebbe di issare un fiocchetto a farfalla in questo forza sette, e preferiamo correre con la sola randa terzarolata.

    È l’occasione per familiarizzare con le manovre di notte col mare agitato, di trovare i punti di appoggio, di apprezzare la lampadina frontale e la coperta molto sicura di Alacaluf che presenta a ogni passo un solido appiglio.

    L’indomani imbocchiamo il lungo canale che conduce al porto de La Manga, all’interno di una lunga laguna chiamata Mar Menor, dove si nasconde una darsena nuova fiammante. Gli spagnoli non hanno lesinato i mezzi, vi si trovano un ponte girevole che lascia passare le barche a vela a orari fissi e un’impressionante serie di infrastrutture e attrezzature. Andremo di sorpresa in sorpresa; la tariffa è ragionevole e questo porto turistico non è l’unico. I giorni seguenti, al termine di corte tappe, scopriamo San José, Almerimar, Benalmadena e Duquesa, ora piccoli e suggestivi villaggi, ora giganteschi agglomerati, ma accomunati da un’accoglienza simpatica, da prezzi veramente abbordabili e dal candore delle casette intonacate di bianco.

    Un bel mattino, quando si profila in lontananza il caratteristico profilo della rocca di Gibilterra, un branco di delfini raggiunge la barca e la scorta per le ultime miglia di navigazione in Mediterraneo, con grande gioia di Stéphanie che vorrebbe abbracciarli tutti con lo sguardo, ma non ci riesce e grida puntando il dito:

    - Eccone uno là! Eccone un altro!

    Che carosello! Lanciati a tutta velocità, gli animali si inseguono, si incrociano sotto la prua della barca, si sfiorano, descrivono un grande cerchio per tornare a correre lungo la fiancata e saltare davanti alla prua. Ce ne sono persino alcuni, un po’ in disparte, che saltano in verticale, girano su se stessi e cadono orizzontalmente con grandi schizzi.

    È la prima volta che godiamo di un simile spettacolo e in più ai piedi delle colonne d’Ercole... siamo affascinati, commossi, pensosi.

    - Françoise, cosa si può fare per rivedere cose simili?

    - Continuare!

    Senza interesse, è pieno di inglesi e sa di pesce!

    Questa secca affermazione, formulata qualche mese fa da un conoscente, mi torna in mente nel momento in cui Alacaluf doppia Europa Point e bolina verso il nord per entrare nella baia di Algésiras, dove si trova Gibilterra. Navigando in acque spagnole da diverse settimane e ignorando l’esatta zona appartenente agli inglesi intorno alla rocca, abbiamo prudentemente issato le due bandiere di cortesia a dritta. Ci avviciniamo al pontile riservato alle formalità di entrata delle barche in transito. Un funzionario in uniforme nera si strappa il cappello, agita le braccia, pesta i piedi urlando:

    - Lay down the spanish flag (Ammainate la bandiera spagnola!)

    Lo guardiamo, sorpresi e gli facciamo notare che dovremmo ammainare anche l’Union Jack... cosa che rischia di irritarlo...

    L’uomo si sgola:

    - Lay it down immediately, immediately!

    Barra a dritta, Alacaluf torna indietro e si allontana dal tempestoso personaggio.

    - Un filino suscettibili i rappresentanti di Sua Graziosa Maestà!

    - Di una suscettibilità esecrabile - rincara.

    - Françoise, che facciamo?

    - Andiamo a ormeggiarci laggiù.

    Puntiamo uno specchio d’acqua calma dall’altra parte della pista di aviazione. Due minuti più tardi:

    - Attenti all’albero!

    Françoise vira di colpo e guardiamo, attoniti, un aereo, a filo delle onde, toccare la pista qualche decina di metri più lontano.

    - Ma sono fulminati? Fare atterrare un aereo simile su questo fazzoletto! Non soltanto ci avrebbe disalberato se non avessimo virato, ma in più ha rischia di mancare il bordo della pista...

    Françoise, tutta tremante al timone:

    - Che si fa?

    - La bandiera svizzera è già a posto, possiamo alzare la bandiera bianca, dirgli che siamo neutrali, che non gli vogliamo del male...

    Qualche ora più tardi, alla fine del pomeriggio, dopo una nice cup of tea, il bellicoso agente si calma e possiamo effettuare ufficialmente la nostra entrata in territorio britannico, per poi ormeggiare Alacaluf ai vecchi pontili di legno.

    È una curiosa impressione quella lasciata da quest’avanzo di monarchia persa sulla rocca, dove si concentrano i tratti più spiacevoli del carattere di un popolo che fa la gioia dei caricaturisti. Nostalgia nell’evocare i ricordi, ben migliori, che ci hanno lasciato il soggiorno di sei mesi e il viaggio in moto in Gran Bretagna, dieci anni prima. Allora, ci aspettavamo freddezza, indifferenza, e abbiamo ricevuto dovunque un’accoglienza eccellente e spesso molto calorosa, senza parlare dell’aiuto quando siamo rimasti con la moto in panne.

    Per chi guarda verso ovest, Gibilterra è l’ultima boa, soprattutto psicologica, prima del grande salto in Atlantico e per noi è il momento di fare un primo bilancio. Come in Parlamento, prima di tutto il dibattito, poi la votazione, anche Stéphanie avrà diritto di voto, e sarà richiesta l’unanimità.

    - Françoise, come ti sembra il viaggio per la bambina?

    - Molto positivo. A parte eventuali problemi di salute, non vedo ostacoli. Stéphanie è felice di essere con tutti e due i genitori, si diverte, si impadronisce di ogni superficie piana per installarvi i suoi giocattoli. A questo proposito, bisogna essere indulgenti e accettare un po’ disordine. Quando c’è mare, lei si infila in una cuccetta dotata di telo antirollio o tra i cuscini. Bisognerebbe procurarle una buona riserva di libri e di audio cassette per il resto del viaggio. Per quanto riguarda la scuola vera e propria, vedremo un altr’anno, per il momento, limitiamoci a un’attività preparatoria, alla scoperta di lettere e cifre, a testi illustrati e alle storie che le raccontiamo. È una bambina piena di vita. Mi osserva fare il bucato e poi mi imita con i giocattoli delle Barbie e degli orsacchiotti. Guarda i vestiti delle bambole che sono stesi sulla battagliola: è il risultato del suo lavoro.

    - E i problemi di salute?

    - Abbiamo due farmacie ben equipaggiate, una per Stéphanie e una per noi. Ci sono costate abbastanza care, ma mi sembrano complete. Certamente resta l’imprevisto, il grosso incidente, ma penso che in un caso del genere, possiamo cavarcela fino a sbarcare.

    - E tu?

    - O.K.! Se tu continui ad aiutarmi nei compiti fisicamente più faticosi, che sforzano troppo la mia gamba e il mio braccio... e se la Facoltà è d’accordo.

    Passiamo ai voti. Astenuti: zero. A favore: tre. Contrari: zero.

    Tocca al segretario dell’assemblea concludere...

    ...Nonostante la relativa mancanza di comfort, alla quale ora siamo completamente abituati e che non ci ha mai pesato. Nonostante, ahimè, questo è più noioso, qualche volta il mal di mare. Nonostante il tempo dedicato al bricolage e la scarsa capacità di chi ne è incaricato. Ebbene, queste piccole voci al passivo sono spazzate vie, polverizzate dagli aspetti positivi di una tale avventura.

    4. IL LARGO

    Dicembre 1988

    Idealmente, per passare il celebre stretto di Gibilterra, bisognerebbe partire con la bassa marea e che, tenuto conto delle 35 miglia che dobbiamo percorrere, questa si verificasse di mattina. Dovremmo quindi stringere la costa fino a Tarifa, poiché qui la corrente favorevole è più intensa che al centro dello Stretto, poi puntare su Capo Espartel, sulla costa africana, che forma l’angolo sudovest del passaggio. Questo significa attraversare il binario su cui si svolge il traffico delle navi nello stretto: quelle che rientrano in Mediterraneo navigando verso sud e quello che ne escono verso nord. Questa prospettiva ottimista permetterebbe di controbilanciare la corrente di superficie che entra permanentemente in Mediterraneo con una velocità che varia da uno a due nodi. L’ideale sarebbe avere vento da est che ci spingerebbe nell’oceano come un buon calcio nel sedere. In mancanza di quello, andrebbe bene una brezza da nord o addirittura la bonaccia. Si può sempre sognare...

    Il 3 dicembre giochiamo la nostra chance. La barca si apre la strada, con una mano di terzaroli e il motore di rinforzo. La velocità è notevole, più di sei nodi, ma purtroppo la costa sfila molto lentamente... La corrente contraria si mangia due terzi di avanzamento. Il vento è moderato, forza tre-quattro, rinfrescherà qualche ora più tardi girando a nord. Incrociamo due sottomarini che navigano in superficie all’altezza di Tarifa. Al centro dello stretto, ci troviamo davanti i mostri d’acciaio che rientrano in Mediterraneo, non c’è da rilassarsi, hanno la precedenza, si avvicinano velocemente e la notte che scende non facilita le cose. Alle 20,15 abbiamo capo Espartel al traverso a sinistra. Il canale delle navi è superato, possiamo rilassarci, è il momento di mangiare qualcosa.

    Tutta la giornata è passata nel pozzetto con il timone in mano. Togliamo la mano di terzaroli presa alla partenza e accendiamo il pilota automatico. Faccio il primo turno, con l’intenzione di resistere il più a lungo possibile per lasciare riposare Françoise. Mezzanotte, le ore passano lentamente, fa freschetto fuori. Siccome non è più necessario rimanere costantemente in coperta, mi allungo in cuccetta ed esco ogni dieci minuti a guardare l’orizzonte.

    Due del mattino, faccio sempre più fatica a reagire alla sveglia del mio orologio da polso. Mi propongo di svegliare Françoise, dopo aver dato l’ultima occhiata fuori.

    - Caspita, una luce a dritta di prua, e non sembra lontana... Come mai non l’ho vista prima?

    Cinque minuti più tardi:

    - Ma ho le traveggole, eccola adesso di prua a sinistra.

    Non per molto. La luce birichina si spegne, mentre un’altra appare di nuovo a dritta; più birbante questa, perché, appena accesa, si sposta sulla sinistra per fondersi con l’oscurità.

    - Françoise, svegliati, è il tuo turno, e vieni a dirmi se sogno!

    - Che succede, ci sono navi?

    - No, siamo attorniati da geni cattivi che accendono, spengono e spostano dei falò...

    - Tu farnetichi, è la stanchezza, probabilmente sono luci di barche lontane che un po’ si vedono, un po’ sono nascoste dalle onde.

    Qualche minuto più tardi.

    - Eccolo là, quel fanale tremolante... guarda, guarda, ci viene addosso!

    Le supposizioni formulate in quel momento troveranno conferma più tardi, si trattava di boe di reti da pesca alla deriva, sballottate da un forte mare lungo.

    Durante la seconda notte il mare sale, nonostante il barometro sia alto stabile, 1027 millibar, e ci obbliga a prendere la seconda mano di terzaroli alla randa. Al mattino, cielo grigio e mare formato, la barca traccia una buona rotta nel vento fresco da nord; speriamo che il vento non

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