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L'Osmiza sul mare
L'Osmiza sul mare
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E-book153 pagine2 ore

L'Osmiza sul mare

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Info su questo ebook

Le osmize sono dei luoghi particolari, in cui si vendono e consumano vino e prodotti locali. Sono piccoli angoli di paradiso dove i triestini adorano trascorrere il proprio tempo, godendo della compagnia reciproca mentre tutto il resto sembra di colpo perdere importanza, come per magia.

Nell’Osmiza sul mare, che forse esiste o forse no, ventitré improbabili personaggi ci racconteranno altrettante storie strampalate. Conosceremo così la leggenda di Julian Raven, il pirata capace di affondare le navi nemiche con una sola freccia, o quella di Arsalan, genio della lampada alle prese con la burocrazia dei tempi moderni, passando dalle perle di saggezza dispensate alle leonesse della savana da un orango particolare o dagli esperimenti musicali di Gesù alle prese con la creazione del mondo.

I racconti degli scienziati ci porteranno alla scoperta del cervello e degli effetti del vino su di questo, quelli dei giovani poeti ci narreranno le più belle storie d’amore, mentre i vecchi ricorderanno i bei tempi andati e come si stava meglio quando si stava peggio. Accanto a loro, il tavolo dei viaggiatori e infine il trespolo dei gabbiani, o cocai. Perché anche gli animali, in fondo, hanno sempre una bella storia da condividere.

Risate, lacrime, pensieri, filosofia, demenza senile, crisi adolescenziali, vino, pane e formaggio. Tutto questo ci attende nell’Osmiza sul mare.
LinguaItaliano
Data di uscita21 nov 2016
ISBN9788822867445
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    Anteprima del libro

    L'Osmiza sul mare - Diego Manna

    Diego Manna

    L’OSMIZA SUL MARE

    nativi

    Testo

    Diego Manna

    www.mononbehavior.it

    Revisione bozze

    Susanna Cassoni e Chiara Boccali

    In copertina

    Natura mona con cocal

    Pupolo di Erika Ronchin

    Edito da

    Nativi Società Cooperativa

    Salita al promontorio, 11 - 34123 Trieste

    www.bora.la

    manna@bora.la

    prima edizione, dicembre 2016

    A zia Luisa,

    che legerà sto libro

    nel’osmiza più bela

    in ciel, coi angeli

    OSMIZA, IL PARADISO DEL TRIESTINO

    Osmiza, osmiza, su a Gabroviza

    xe el paradiso del triestin!

    L’osmiza, per il triestino, è un piccolo angolo di paradiso. Il suo nome deriva dallo sloveno osem, otto. Otto come i giorni l’anno in cui, anticamente, queste particolari locande erano autorizzate a vendere direttamente i loro prodotti, e solamente quelli.

    Oggi le osmize sono libere da questo vincolo e possono tenere aperto per un periodo più lungo. Resta tuttavia la limitazione relativa alla produzione propria. Ed è per questo che in osmiza nessuno vi porterà mai un menù, ma lo troverete scritto, a pennarello o con il gesso, a fianco del bancone, dove potrete fare la vostra ordinazione. Vino bianco, vino rosso, grappa, acqua, prosciutto crudo, cotto, ossocollo (coppa), ombolo (filetto), pancetta, speck, uova sode, formaggio, olive, pane, peperoni. E l’immancabile cren, radice del rafano grattuggiata a scaglie. In osmiza il piatto tipico è porti un po’ di tutto per quattro persone.

    Per raggiungerle, agli incroci bisogna seguire le frecce rosse a cui è appesa una frasca, in una sorta di ghiotta caccia al tesoro.

    Ma ciò che rende uniche le osmize è il clima che vi si respira. Situate generalmente nelle case storiche, le osmize sembrano avere il potere di fermare il tempo, o perlomeno di rallentarne lo scorrere. È così che, una volta varcatane la soglia, si entra in una nuova dimensione, in cui anche l’età anagrafica non ha più significato. L’anziano torna giovane e il giovane fraternizza con l’anziano, mentre condivide assieme a lui quella saggezza popolare che permea i dialoghi e le canzoni che puntualmente accompagnano le ore trascorse in questi luoghi magici.

    In osmiza si mangia, si beve, si canta, si parla e si ascolta. E in questa osmiza, l’Osmiza sul mare, che forse esiste o forse no, soprattutto si ascolta. Una volta a settimana, di sera, si ascoltano i racconti di chi, tra gli avventori, ha qualche storia da condividere. E oggi Ucio e Ciano, entrambi Luciano all’anagrafe, sono venuti fin qui in sella alle loro biciclette proprio per ascoltare queste storie. Biciclette a pedalata assistita, visto che gli anni passano e l’orografia triestina non aiuta.

    Seduti al loro solito posto attendono pazienti, guardandosi intorno e commentando la composizione dei tavoli.

    IL TAVOLO DEI VECCHI

    Posto a sinistra nella sala, ospita i quattro avventori più anziani.

    Ce n’è uno coi baffi che sembra uscito dalla pubblicità della birra Moretti. Nel suo bicchiere, tuttavia, c’è del vino bianco. Forse un po’ allungato con l’acqua, per ottenere quello che i triestini d’altri tempi chiamerebbero bevanda.

    Alla sua destra un’anziana, dall’aspetto sobrio e dalla sciarpa rispettabile.

    Sensibilmente meno sobrio, segue poi il più attempato dei quattro, conosciuto dai più per essere ormai alquanto rimbambito.

    Chiude la tavolata un anziano col cappello, dall’aria pensierosa, alle prese con il proprio spritz dalle percentuali personalizzate: 90% vino bianco e 10% acqua frizzante.

    IL TAVOLO DEI GIOVANI POETI

    Dando la schiena ai vecchi, vi siedono cinque ragazzi dall’aria trasognata.

    C’è il giovane visibilmente innamorato, anche se non si riesce a capire di chi o di che cosa.

    C’è la bella giovane dai capelli lisci e lunghi fino quasi a toccare terra.

    C’è il giovane che fuma una sigaretta elettronica, mentre con la mano libera litiga con le olive nel piatto.

    C’è la giovane che guarda le stelle, e non sembra essersi accorta che la giovane dai capelli lunghi e lisci le sta rubando il bicchiere di vino rosso.

    C’è infine il giovane emo, a cui i capelli nascondono gli occhi. Ma non la bocca, che lentamente traghetta verso la sua anima il nutrimento tanto anelato, una fetta di cotto col cren.

    IL TAVOLO DEGLI SCIENZIATI

    Completamente spostato sulla destra, ospita quattro avventori che sicuramente provengono da uno dei tanti istituti scientifici triestini di fama internazionale.

    Uno di loro sta giocando con una piccola spugna a forma di cervello, presumibilmente per valutare quanto vino questa sia in grado di trasferire da un bicchiere all’altro. Durante lo spostamento, pare proprio che una tassa di circolazione lo obblighi a versarsi in bocca metà del contenuto.

    Alla sua sinistra, una giovane ha con sé una piccola pianola a fiato e lo prende in giro accompagnando i suoi movimenti con il motivetto di Benny Hill.

    Di fronte a loro, un attempato mix di Einstein e del dottor Spock è impegnato a versarsi il vino in un improbabile bicchiere a forma di USS Enterprise.

    Nonostante il trambusto che contraddistingue il tavolo, l’ultimo ospite sembra riuscire ad estraniarsi completamente. È un giovane dottorando dall’aria malinconica.

    IL TAVOLO DEI VIAGGIATORI

    Tra i vecchi e i giovani, trova posto la compagnia più strampalata della serata.

    Ecco qui un vecchio marinaio, completo di pipa, tatuaggio sull’avambraccio, maglia a righe e cappello.

    Al suo fianco, un uomo dalla folta barba bianca e la camicia a quadri, che potrebbe essere tanto un agguerrito sindacalista quanto un ambientalista disilluso.

    Impegnati in un fitto dialogo, infine, ci sono un motociclista panzone e un ciclista funambolo, che preferisce stare seduto sul sellino della propria bicicletta piuttosto che sulle panche dell’osmiza. I due sembrano intenti a valutare la capienza della borraccia, per calcolare quante calorie possa fornire un pieno di vino.

    IL TRESPOLO

    Di fianco al microfono, che attende la prima storia, sono schierati tre gabbiani reali. Tre cocai, per dirla in dialetto triestino, talmente ben disposto verso questo tipo di uccelli da dispensargli anche un aggettivo, incocalido, che significa rimbambito.

    Il trio, ospite fisso dell’osmiza, è composto dal cocal più vecchio, dal cocal più saggio e dal cocal più mona (stupido).

    E proprio sotto a loro fa capolino un fungo, presente naturalmente solo quando la stagione lo permette.

    Punto d’incontro tra mare e Carso, l’Osmiza sul mare accoglie in sé le varie anime di Trieste, ed è per questo che le serate dedicate ai racconti si alternano, una settimana in italiano, una in sloveno e una in dialetto triestino. Questa, ma Ucio e Ciano lo scoprono solo ora, è la serata dedicata all’italiano. Brontolando perché speravano fosse quella triestina, i nostri due veci sorseggiano un ottavo di rosso mentre l’oste, cui spetta l’onore del primo racconto, si avvicina al microfono.

    ARSALAN, GENIO MODERNO

    Il racconto dell’oste buontempone

    Questa storia ha come protagonista un signore di nome Giovanni. Un nome come qualunque altro, giusto per mettere subito in chiaro che non si tratta di una storia di epiche imprese né di eroi senza macchia e senza paura. Altrimenti un nome più appropriato sarebbe stato Ercole, Gianromualdo o Paride, o qualcosa di più esotico, tipo Jonathan, Kevin, Parsifal, Ramses e cose così... ma bon, non ha importanza.

    Giovanni quella domenica stava passeggiando tranquillamente lungo uno dei suoi sentieri preferiti. Sotto il consueto paio di jeans logori e sdruciti indossava dei lunghi calzettoni, per tenersi al riparo dalle insidiose zecche, che con i primi caldi avevano già dato inizio alla loro attività di parassiti rompipalle. Una camicia a quadri con le maniche tirate su ne completava l’abbigliamento. In tasca giusto qualche moneta, per due calici in osmiza prima di rientrare a casa.

    Dabbasso, si sentivano le voci di chi preferiva trascorrere il giorno festivo in riva al mare. Il sentiero infatti si sviluppava lungo il ciglione carsico, e da lì si godeva di un panorama eccezionale. Giovanni, quasi come un gatto, adorava cercare il punto più alto per poter avere la miglior visuale su tutto ciò che gli stava accadendo attorno, per poi sedersi a fantasticare sulla bellezza della natura e sulla complessità delle opere dell’uomo che poteva scorgere dal suo cantuccio, in cui solo sedeva, e sulla caducità di queste, destinate prima o poi a perire nell’obsolescenza dettata dall’inarrestabile scorrere del tempo... ma bon, non ha importanza.

    Giovanni adorava quelle sue lunghe camminate. Lo aiutavano a prendere le distanze dai problemi di tutti i giorni. A dimenticarli, diluendoli piano piano con il canto degli uccellini e l’odore del bosco che lo circondava. Quella settimana era arrivata la bolletta della luce. E sicuramente c’era stato un errore, vista la cifra che gli veniva chiesto di pagare. L’indomani sarebbe andato a informarsi. Avrebbe preso il suo numero e avrebbe atteso in coda il suo turno per potersi lamentare. Poi sarebbe andato a ritirare la pensione, ben sapendo che questa volta non si sarebbe potuto sottrarre dall’ascolto delle nuove vantaggiose offerte che ogni volta gli operatori cercavano di rifilargli. Infine, gli restava l’appuntamento con la visita medica per il rinnovo della patente. Ma almeno lì sapeva che ad attenderlo c’era quasi sicuramente quella nuova dottoressa che tutti ricordavano per i modi vellutati, la perfetta simmetria, la prosperosa sensibilità e la soda professionalità, il tutto evidenziato dalla camicetta chiusa appena al terzo bottone... ma bon, non ha importanza.

    Mentre il pensiero di questi appuntamenti stava pian piano lasciando posto alla pace circostante, Giovanni notò un luccichio alla base di un albero, poco al di fuori del sentiero.

    Si avvicinò, incuriosito, facendo attenzione a non cadere dal ciglione, che proprio in quel punto finiva a strapiombo. Scostando delicatamente l’erba alta che la circondava, Giovanni si ritrovò tra le mani nientemeno che una lampada di ottone. Una lampada in tutto e per tutto simile a quella di Aladino, per capirci.

    Sorpreso, si sedette su di un masso che si trovava lì accanto, e cominciò ad analizzare l’oggetto rinvenuto.

    Aveva un aspetto antico e misterioso. Tuttavia, una volta ripulito per bene dai residui di terra sulla superficie, pareva quasi di nuova fattura, tanto che Giovanni, insospettito, iniziò a cercare la magica formula Made in China. Ma non trovò nulla di simile. L’unica sigla, scritta in caratteri che parevano richiamare sinuose movenze da danza del ventre, riportava enigmaticamente le lettere C e G. Vi era poi una fessura, rivolta verso l’alto, delle dimensioni di una moneta, che poteva far presumere che la lampada fosse semplicemente un originale salvadanaio, perso nel bosco da qualche sbadato marmocchio che forse ora lo stava cercando, o magari ne aveva già ricomprato un altro... ma bon, non ha importanza.

    Fatto sta che Giovanni, affascinato dall’accaduto, si lasciò sopraffare dall’immaginazione e, una volta accertatosi di essere completamente solo, fece quello che avremmo fatto un po’ tutti: strofinò la lampada. Così, giusto per provare.

    Con sua grande delusione, non uscì alcun genio. Al suo posto, una voce suadente recitò:

    Benvenuto nel servizio Modern Genius & Co, la nuova linea di lampade in conformità con gli standard della Comunità dei Geni, nonché l’unica a poter vantare la certificazione CG, che ne garantisce il perfetto funzionamento nel rispetto di tutte le normative vigenti negli Stati in cui la lampada viene utilizzata. Per poter accedere alla consulenza del Genio, ti invitiamo ad inserire nell’apposita fessura l’obolo volto a garantire la copertura

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