Racconti dalle Interiora
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Info su questo ebook
Si insinuano ovunque, turbano, scuotono.
Viaggiano come un treno in deragliamento sino ad insinuarsi in qualche organo interno troppo debole per fermarli ed eccoli lì, annidati, pronti ad esplodere e portarsi con sè le interiora in un atto di auto-terrorismo psichico. Una enorme esplosione che lancia parti di noi ovunque, una devastazione interna, un campo raso al suolo che nessuno vede se non attraverso dolori o malattie.
Il corpo umano è un insieme di organi e apparati che collaborano alla riuscita di azioni scontate ma fondamentali.
A volte, però, qualcosa sussulta.
Un viaggio tra i disturbi psichici di D., le sue ansie, le sue paure e i suoi malanni.
Attenti a non calpestare le interiora.
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Anteprima del libro
Racconti dalle Interiora - Alessandra Colombo
11
Capitolo 1
Articolazioni
D. era fermo al semaforo da ormai 10 minuti abbondanti.
Il semaforo di via Monte Bianco non portava lo stesso prestigio del monte affidatogli.
Era una via secondaria, malmessa, discretamente dimenticata dal mondo.
La via Monte Bianco terminava con un incrocio dove non risultava strano trovare copertoni, scarpe, pezzi di lamiera, oggetti che nessuno sarebbe più tornato a reclamare - no, non ne avrebbero avuto bisogno dall'altra parte dell'anima.
Alla fine della via c'era una villa infossata in un grosso avvallamento, come se un giorno il territorio appartenente alla casa avesse deciso di sprofondare, cercando in qualche modo un contatto più caloroso con il centro della terra. La via era decisamente oscura, intrisa di sentori mistici ed emozioni notevoli sebbene stranamente opaca.
Se via monte bianco fosse stata un colore, sarebbe stata un verde scuro. Quel verde scuro che si trova nei boschi al crepuscolo, assieme all'odore di muschio e muffa che, forse a causa di qualche primordiale imprinting, riporta comunque ad un odore di madre - Madre Natura.
Ah, che luogo impervio.
D. stava ancora aspettando.
I muri di quella via erano ricoperti da vegetazione.
Erano per di più edere e rampicanti egoisti, di quelli che - se potessero - ingloberebbero pure i passanti. L'umidità di quella strada, completamente diretta verso nord, era notevole. I muri sembravano costantemente bagnati tanto che le case avevano un prezzo irrisorio, nessuno avrebbe abitato in un luogo tanto ostico verso i reumatismi.
La luce tuttavia esisteva. Erano per di più fasci di luce dorata e prorompente, una luce quasi estiva ma mai diretta. La luce passava sopra alla via come se fosse un'autostrada celeste, portava alla mente quei carcerati che, nonostante la vita li avesse chiaramente abbandonati, non smettevano di guardare il cielo dalle fotografie sbiadite.
Che fosse la morte a rendere quella strada così opaca?
Tutto in quella strada pareva morire, l'edera scrosciava dai muri come un'emorragia, i muri si rompevano come ossa senili e le crepe non rimanevano mai composte, si frastagliavano in sezioni che nemmeno una protesi avrebbe aggiustato. L'asfalto era sbiadito, scolorito, ricordava il livor mortis di una civiltà antica, troppo giovane per essere archeologica, troppo anziana per essere moderna. Le finestre erano quasi sempre chiuse. I pochi temerari che scelsero via monte bianco per abitare se ne guardavano bene dall'aprire le finestre a quell'aria fredda e umida, un'aria con la stessa consistenza delle anime che trasmigrano.
Alla fine della strada eccolo lì, impettito: il semaforo infinito.
D. era ancora in attesa di qualcosa che gli facesse capire che non sarebbe invecchiato in quel luogo.
Quel semaforo viveva in un'epoca a sé stante, senza riferimenti temporali.
I minuti duravano ore e le ore duravano minuti, D. sapeva che non ci avrebbe passato anni a quel semaforo, ma ore forse sì.
D. cominciò a pensare.
Cosa lo spingeva ad attendere la luce verde? Seriamente, non poteva forse fare inversione?
Oh, no signore.
Proprio no.
Quante macchine aveva già visto abbracciare quei muri fragili ma irremovibili? Quante persone avevano oltrepassato lo Stige grazie a manovre azzardate come quella?
Non sarebbe mai dovuto uscire di casa.
D. cominciò a pensare a tutto ciò che era accaduto quel giorno. Il semaforo, il rischio dell'incidente, il caffè troppo lungo, l'asse alzato, il telefono che squillando lo distraeva alla guida.
Nel mentre, la radio passava Wild World di Cat Stevens.