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Dream Hotel
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E-book96 pagine1 ora

Dream Hotel

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Sussurri e vibrazioni, poi rumori e scosse violente agitano le fondamenta del Dream Hotel, propagandosi nelle sue stanze vuote e buie. L’intera struttura sembra pervasa da una forza oscura, abitata da un gigante che si muove, si agita e corre veloce sotto il pavimento, costretto sotto strati di terra e cemento, affamato d’aria e di luce. Ma c’è un progetto su quell’albergo, anzi di più: c’è un sogno, proprio come è scritto nel suo nome, e nulla può fermare il giovane Adolf dal realizzarlo. Mette su una squadra, pochissime persone di estrema fiducia, determinato a riaprire le porte del Dream Hotel e farne un piccolo capolavoro. Gli eventi sinistri però non si placano, anzi: più si avvicina il momento dell’inaugurazione, più il mistero s’infittisce…
“Un horror…” penserà il lettore. Forse. In questo romanzo, nulla è come sembra.
Pagine ricche di suspence per giungere a un finale sorprendente, dove riflettere sui reali pericoli che quotidianamente minacciano il quieto vivere: egoismo, ambizione, arrivismo… sono loro i veri “giganti”, affamati d’aria e luce.

Andrea De Nuzzo è nato a Brindisi il 9 marzo 1985. Subito dopo aver  conseguito il diploma, inizia a lavorare come informatico, dedicando il suo tempo libero alla stesura di testi musicali, seguendo un’altra sua passione, appunto, la musica. 
Dream Hotel è la sua prima pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2023
ISBN9788830691322
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    Anteprima del libro

    Dream Hotel - Andrea De Nuzzo

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1.

    Un corridoio lungo, una luce bigia entra dalla finestra in fondo a esso. Sembra che fuori il sole sia stato oscurato da una fitta formazione di nubi. Il solito tempo che non porta mai novità. A terra una moquette in misto rosso e giallo che, a dir dal colore, potrebbe raccontare storie per una vita intera. Le pareti, giallo sbiadito a destra, a sinistra sono interrotte solo per due volte da porte in legno antico. Alla fine del corridoio, un termosifone acceso, in tinta con il muro adiacente sotto quella grigia finestra, abbellita, per così dire, da due piccole tendine di raso bianco. Nell’angolo a sinistra, per terra, una vecchia radio valvolare in legno suona ripetutamente una vecchia canzone francese.

    "Non je ne regrette rien

    Ni le bien, qu’on m’a fait

    Ni le mal, tout ça m’est bien égale"

    Niente sembrava, se non un sogno, quando a un tratto il terreno iniziò a tremare. Poteva essere un terremoto di fortissima intensità. Era come se qualcosa stesse muovendosi sotto la casa, sotto il pavimento, come se un gigante corresse tra la sala caldaie e le fondamenta, come se volesse raggiungere quella radiolina per terra. Il pavimento in legno sotto la moquette cominciava a scricchiolare e man mano che quel tremore impressionante si avvicinava, le pareti sembravano contorcersi, pronte a implodere, fino a quando la violenta vibrazione non giunse esattamente a un centimetro dalla radio alla mia destra e a un tratto… silenzio.

    Poi, un boato assordante misto a un urlo di donna si propagava nel corridoio.

    Stop.

    Buio.

    Tutto esattamente al proprio posto.

    Un sogno!?

    Niente di tutto questo sarebbe potuto accadere solo nella mia mente, pensai.

    2.

    Ricordo di aver detto a me stesso che nulla mi avrebbe portato via da quella casa. Era un progetto che avevo cercato di realizzare con la mia povera mamma. Anni di sacrifici, pasti freddi, notti gelide in un letto a tratti asciutto dal calore dell’influenza. Starete pensando a un’infanzia difficile e piena di sofferenza ma non è così. La mia mamma ha sempre cercato di non farmi mancare nulla e la gioia di vivere era una costante. La famiglia ha sempre scaldato i nostri cuori e nonostante tutto, ogni 25 dicembre, non è mai mancato un pacchetto sotto il nostro esile albero, mentre il mio Babbo Natale provava goffamente a nascondere i ciuffi biondi sotto una malandata parrucca di ricci bianchi, ingialliti dal tempo e perché

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