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Dormouse: Primi incontri
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Dormouse: Primi incontri
E-book149 pagine2 ore

Dormouse: Primi incontri

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Info su questo ebook

In un luogo immaginario, un po’ indietro nel tempo, esiste un piccolo paese di nome Silverville. 
Se si sale sulla collina si arriva in località Rivercoast, dove si è appena trasferita Janis, proseguendo invece verso le scogliere si incontra la piana di Acqua Silente in cui si trovano la Casa dal Tetto di Prato del signor Creed e una simpatica comunità di animali, tra i quali il nostro ghiro: Dormouse.
Tra case di campagna, tane e nidi, stufe a legna, orti e giardini, si svolge una quotidianità scandita dal ritmo delle stagioni in cui sentimenti e perplessità, entusiasmi e sfide, coinvolgono i personaggi del racconto, che si tratti di animali o esseri umani.
Con il tempo si fanno nuovi incontri, alcuni di passaggio, altri che si trasformeranno in amicizie o forse in qualcosa di più. 
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2023
ISBN9791222456430
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    Anteprima del libro

    Dormouse - Paola Atalmi

    1.png

    I Sorrisi del Leone

    75.

    Paola Atalmi

    Dormouse

    Primi incontri

    Grafica di copertina: Matilde Conte

    Proprietà letteraria riservata

    2023 © Piazza Editore

    via Chiesa, 6 - 31057 Silea (TV)

    Tel. 0422.1781409

    www.piazzaeditore.it - info@piazzaeditore.it

    e-mail dell’autore: atalmi.p@gmail.com

    ISBN 978-88-6341-295-6

    A Denny Bohn

    And the seasons they go ‘round and ‘round,

    and the painted ponies go up and down.

    We’re captive on the carousel of time.

    We can’t return, we can only look behind

    from where we came,

    and go ‘round and ‘round and ‘round

    in the circle game.

    The Circle Game, Joni Mitchell

    IL RISVEGLIO

    (Primavera)

    Socchiuse un occhio e per un po’ se ne stette raggomitolato sul suo morbido giaciglio di muschio e paglia, in cerca di un motivo per svegliarsi o piuttosto di una scusa per rimanersene ancora in letargo.

    La realtà, tuttavia, iniziava a filtrare al di sotto delle palpebre con tutte le sue piccole ragnatele appese alla tana. Alla vista di tutto quel lavoro da sbrigare, Dormouse si sentì improvvisamente debolissimo e decise che non era il caso di affrettarsi.

    Peccato che la sua pancetta avesse già iniziato a brontolare e che i pensieri finissero con insistenza nell’angolo dove, l’Estate precedente, aveva accumulato una grande quantità di prelibatezze. Non appena nella sua mente nebulosa si accamparono noci, nocciole, uva passita, mandorle, castagne e frutti di bosco, il ghiro sospirò: Eeeh… credo proprio sia arrivato il momento di alzarsi.

    Accadeva sempre così quando l’aria della Primavera iniziava a scaldarsi e il suo orologio biologico faceva scoccare il fatidico rintocco che lo risvegliava dal torpore dell’Inverno. Come ogni anno, con ritrovate energie iniziò a stiracchiarsi, poggiò a terra le zampe e inarcò lentamente la schiena intorpidita, quel tanto che gli era sufficiente per barcollare in zona cibarie.

    Ma fu solo quando giunse di fronte a tutto quel ben di dio che avvenne la vera trasformazione: gli occhietti neri si spalancarono nella penombra, le zampette anteriori si fecero velocissime e in un battibaleno una grande quantità di cibo si trasferì dalla dispensa alla sua bocca, gonfiandogli le guance come due grossi palloncini.

    E masticò, masticò... riempendo la cavità del suo albero-tana con quel sordo crunch crunch che tanto ricordava lo scoppiettio di un trattore. Eh già, a modo suo anche Dormouse stava scaldando i motori per l’imminente lavoro primaverile.

    Quando fu sazio, decise che a quel punto una bella corsetta sarebbe stata proprio l’ideale, giusto per digerire un po’, ravvivare la pelliccia, rinfrescare polmoni e idee.

    E fu così che, mentre le ultime luci del giorno si attardavano tra i fusti dei faggi, finalmente Dormouse dischiuse la porta di casa su quella Primavera.

    Respirò a fondo. L’aria della sera gli pizzicò il naso ed entrò nel suo petto in un miscuglio di ossigeno, essenze di timo selvatico e menta piperita. Scese a terra lungo il tronco del Salice Piangente e atterrò su un tappeto di anemoni bianchi e blu. Qualche vecchio croco piegava già il capo, mentre i narcisi selvatici iniziavano appena ad allungarsi al di sopra dei loro piccoli bulbi e le giovani primule spandevano il loro sorriso color del sole, qua e là, a mazzetti.

    Doveva aver piovuto da poco, osservò il ghiro, perché il terreno gli sembrò straordinariamente soffice e umido, e tutta la piana di Acqua Silente pareva verniciata di fresco.

    Tante cose aveva lasciato in sospeso dall’anno passato e altrettante lo attendevano ora che si era svegliato, ma innanzitutto doveva incontrare i vecchi amici.

    Quanto gli mancavano tutti: Jack, con le sue mirabolanti collezioni di oggetti rubati agli umani, il piccolo Peter, la famiglia Breaksit, la cara vicina di tana Gina e Lady Loire, la sua candida amica dagli occhi a spicchio di luna.

    Lady Loire, per gli amici Lady Lo, viveva al limitare del bosco, in una casa dal tetto ricoperto d’erba ed era la gatta del signor Angus Creed, per lui semplicemente Madame.

    Forse proprio per la sua lunga permanenza accanto all’essere umano in questione, oltre che per il suo sguardo penetrante e la mente arguta, Lady Loire aveva un ascendente così forte sugli altri animali, che tutti finivano per rivolgersi a lei quando si trattava di risolvere una questione particolarmente delicata.

    Ecco, avrebbe iniziato proprio da lei. Il nostro ghiro aveva giusto bisogno di qualche suggerimento e stavolta si trattava di una questione più che delicata.

    Infatti, per quanto fosse un tipo atletico, senza dubbio un esemplare al di sopra della media in quanto a prestanza, Dormouse era anche un ghiro ormai maturo, e per lui non c’era più tanto tempo da perdere se voleva provare a metter su famiglia. Urgeva pertanto qualche buon consiglio in materia di corteggiamento.

    Ma prima di presentarsi al cospetto della sua bianchissima amica, Dormouse doveva correre al fiume a darsi una bella ripulita.

    Tastò l’acqua con cautela, mentre l’erba fredda gli pungeva i polpastrelli come il tappeto di un fachiro, e iniziò a passare le zampette anteriori lungo tutta la pelliccia: dapprima il muso, poi il dorso, la candida pancetta e infine la bella coda, così folta da fare invidia a uno scoiattolo, pensò, uno piccolo magari.

    Nel buio della radura, tra il frastuono dei grilli, Dormouse si avvicinò furtivo alla Casa dal Tetto di Prato e sbirciò dalla finestra della cucina dove sperava avrebbe trovato l’amica. Ma di Lady Loire neanche l’ombra.

    Il signor Creed, al contrario, dormiva della grossa al piano superiore, del tutto ignaro di come ogni tanto la sua gatta, una volta che lo aveva sentito ronfare, scendesse quatta quatta dal letto per tornare al piano terra e trasformare nottetempo la sua cucina nella sede del Midnight Club.

    Le origini di quel bizzarro circolo risalivano al tempo in cui Lady Loire aveva riportato, con estrema dovizia di particolari, quanto tramandatole da un vecchio antenato circa un duello sulle sponde del grande fiume francese, storia che le valse per l’appunto quel nome esotico. Come avesse fatto a teletrasportare i presenti nelle dense brume di quell’alba lattiginosa, tra candidi castelli e lame di spade che si riflettevano tremolanti sul pelo dell’acqua, rimaneva ancora un mistero per tutti.

    Da allora però ebbe inizio la tradizione per cui, con cadenza pressoché settimanale, la cucina di casa Creed si tramutava in una specie di teatro, in cui il palcoscenico era costituito da un divano rosso, schienale e braccioli rimanevano a disposizione di chi desiderasse piazzarsi in galleria e un bel tappeto era pronto per chi si fosse accontentato della platea. Il pubblico, nient’altro che una buffa ciurma di teneri marinai, pronta a spiccare il volo a bordo di quel veliero di stoffa e salpare sulle rotte della fantasia.

    Ma quella notte, nessuna mitica riunione, nessuna traccia di Lady Loire. La cena era ancora nella ciotola. La gatta non aveva toccato cibo.

    Dormouse non si diede per vinto. Si intrufolò in casa entrando dalla porticina basculante sul retro e iniziò a ispezionare le varie stanze. La cercò dappertutto. Niente.

    Uscì di nuovo. Ormai era quasi l’alba, un sottile chiarore ricamava le montagne e lui cominciava a sentirsi un po’ stanco. Come primo giorno di ritorno in attività era stato fin troppo frenetico per i suoi gusti. Meglio cercare un riparo e farsi una bella dormitina, pensava mentre si arrampicava sul Ciliegio in cortile.

    All’improvviso udì dei rumori provenire dal piano superiore.

    Il signor Creed si era appena svegliato e, indossata la vestaglia, era sul punto di uscire dalla camera da letto quando i suoi piedi urtarono qualcosa di soffice. Due passi indietro, allungò la mano sul comodino, inforcò gli occhiali ma, mentre cercava ancora di mettere a fuoco l’oggetto misterioso, un verso inequivocabile risolse all’istante il rebus. Si trattava di un gattino.

    Con quel cosetto nero comodamente rannicchiato nel palmo della mano, Angus scese le scale, cercando con lo sguardo qualcosa in cui poterlo depositare. Non trovò niente di meglio che il cestino di ferro per le uova.

    Ma da dove arrivava quel micetto? Com’era entrato in casa?

    Fulminea arrivò l’intuizione. Chiaro, non poteva esserci altra spiegazione, la sua Madame era diventata mamma, e lui non se n’era nemmeno accorto. Si batté la mano sulla fronte: Vecchio stupido! disse a se stesso. Come poteva esser stato così cieco?

    D’altronde, mai gli sarebbe parsa plausibile un’altra gravidanza. Madame non era più giovane e sinceramente nessuno si sarebbe più aspettato di vedere altri fiocchi sulla sua cesta. Di sicuro non uno come lui, dotato di gran senso pratico e così avvezzo alla logica.

    Ricordò che, in effetti, da un po’ di tempo la gatta se ne stava parecchio in disparte. L’aveva vista sempre più spesso sonnecchiare sul sofà e sempre meno andarsene in giro e, ora che ci pensava bene, di recente dormiva tantissimo, anzi soprattutto dormiva e spazzolava la cena come una furia. A dire il vero era anche parecchio ingrassata, rifletteva accarezzandosi il mento. Beh, pure a questo non aveva fatto più di tanto caso, del resto anche lui durante l’Inverno aveva messo su qualche chiletto.

    Ma bando alle riflessioni, ora bisognava darsi da fare e riportare la madre dal neonato. Un gioco da ragazzi certo, ma dov’era la madre?

    Dalla sua postazione, Dormouse vide accendersi, ad una ad una, tutte le luci della casa. Corse allora, lungo i rami frementi di gemme, fino al punto più vicino all’abitazione e saltò sul davanzale della finestra che dava sul corridoio del piano superiore.

    La situazione era alquanto strana. Sopra il tavolino ai piedi delle scale c’era un gattino nero in gabbia dentro un cestino portauova, mentre il signor Creed entrava in ogni stanza chiamando, con toni dapprima dolci: Maaadaaame??? via via sempre più perentori: Ma-dame!!! senza ottenere alcun risultato. Sentì sbattere porte, ante di armadi e perfino cassetti.

    Dove poteva essere? si tormentava Dormouse, non era da lei sparire così e soprattutto non era da lei abbandonare un cucciolo.

    A differenza del signor Creed e nonostante quel gattino fosse il negativo di Lady Loire, il ghiro non aveva mai dubitato in merito alla maternità del piccolo.

    Ad Acqua Silente tutti erano ben consapevoli della generosità di Madre Natura e di quali abituali stranezze essa fosse capace, eccetto gli umani ovviamente, che si ostinavano a illudersi di avere un qualche controllo sullo svolgersi degli eventi, salvo poi stupirsi ogniqualvolta la vita dimostrava loro proprio il contrario.

    Acqua Silente non si estendeva che per poche centinaia di metri oltre la radura.

    Aveva preso questo nome da quando, alcuni anni addietro, il corso d’acqua che scorreva nella piana era straripato. Le piogge primaverili avevano ingrossato il fiume a poco a poco, giorno dopo giorno, così che quella mattina la piena aveva sorpreso tutti, costringendo ciascuno dei suoi piccoli abitanti a correre ai ripari.

    I signori Breaksit, dei veri lord, per esempio si erano visti allagare la casa sotto gli occhi e, mentre cercavano di salvare il salvabile scavando nuovi tunnel d’emergenza, avevano dimenticato nonna Grandma in veranda. Brutta storia! Per fortuna Jack, sempre alla ricerca di un’opportunità per qualche innocente furtarello, si era accorto della vecchia talpa impanicata e aveva dato l’allarme.

    Jack era il classico furfante dal cuore d’oro, una gazza guerriera sempre in difesa dei più deboli, un po’ criminale, un po’ guardia.

    Per questo, non parve strano a nessuno che adottasse il piccolo Peter, un martin pescatore trovato il giorno seguente, mezzo assiderato nel canneto, dopo che i genitori avevano dovuto abbandonare la tana sommersa. Il vecchio Jack lo nutrì per settimane salvandolo senz’altro da morte certa e con pazienza gli insegnò a volare, ma nulla poté con la melodia del canto, né con l’arte della pesca.

    In quel tragico frangente, solo la Gina,

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