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E-book343 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Idee a confronto: uno spazio in cui scrivere liberamente e senza censure. Dalla società, alla politica, alla cultura, all'esperienza letteraria. Il mondo in un blog.
LinguaItaliano
Data di uscita3 apr 2017
ISBN9788892655638
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    Anteprima del libro

    Spazioliberoblog - Fabrizio Barbaranelli

    Self-Publishing

    Intro

    Abbiamo iniziato l’attività del Blog a marzo del 2016 e fino a dicembre abbiamo pubblicato 238 articoli di 57 collaboratori. Una sorpresa anche per noi che lo abbiamo promosso.

    Contributi sui temi più vari, che hanno superato l’ottica locale, dalla quale eravamo partiti e che hanno coinvolto professionalità, esperienze, tendenze diverse.

    Il tutto in un clima di grande civiltà, così raro ai nostri giorni.

    Uno spazio davvero libero, in cui è possibile esprimere opinioni senza censure e senza diventare bersaglio di intolleranza, di aggressioni o di irrisione, come purtroppo si sta verificando sempre più diffusamente.

    Vista la quantità e soprattutto la qualità dei contributi, abbiamo deciso di trasferirli in ebook.

    Il primo volume contiene gli articoli apparsi sul Blog dal suo inizio (marzo 2016) fino al 30 giugno.

    Continueremo a pubblicare gli altri volumi, fino ad esaurire, raccogliendoli in due trimestri, il 2016.

    Dal 2017 la cadenza sarà trimestrale o quadrimestrale.

    Sarà anche disponibile la versione cartacea.

    Collaboratori e sostenitori anno 2016

    Amministratori

    Fabrizio Barbaranelli Marcello Rocchetti Fabrizio Sciarochi

    Collaboratori e sostenitori anno 2016

    Piero Alessi

    Giacomo Angelini

    Paola Angeloni

    Afiero Antonini

    Elisabetta Appetecchi

    Andrea Barbaranelli

    Ernesto Bassignano

    Luigi Benni

    Dario Bertolo

    Simonetta Bisi

    Corrado Bonifazi

    Rita Busato

    Anna Maria Caccavale

    Teresa Calbi

    Ezio Calderai

    Maurizio Campogiani

    Simone Cannatà

    Leonardo Caprio

    Valentino Carluccio

    Paola Ceccarelli

    Stefano Cervarelli

    Enrico Ciancarini

    Francesca Conti

    Francesco Correnti

    Luciano Damiani

    Ismaele de Crescenzo

    Federico de Fazi

    Ombretta del Monte

    Marco de Luca

    Luca di Giovanni

    Giuseppe Di Mito

    Enrico Maria Falconi

    Carlo Falzetti

    Ettore Falzetti

    Germano Ferri

    Ciro Fiengo

    Roberto Fiorentini

    Claudio Galiani

    Alessio Gismondi

    Luca Guerini

    Enrico Iengo

    Mauro Iengo

    Damiano Lestingi

    Marco Manovelli

    Gianna Di Marco

    Toto Maruccio

    Giancarlo Maruccio

    Ermanno Mencarelli

    Valerio Mori

    Enrico Novello

    Tullio Nunzi

    Piero Pacchiarotti

    Patrizio Paolinelli

    Franco Papa

    Enrico Paravani

    Mario Michele Pascale

    Marco Piendibene

    Nicola Porro

    Gabriella Ramoni

    Asia Retico

    Eraldo Riccobello

    Benedetto Salerni

    Roberto Sanzolini

    Lucia Scaggiante

    Hamid Sciarochi

    Sandro Scotti

    Silvio Serangeli

    Rosamaria Sorge

    Tonino Spirito

    Paola Rita Stella

    Marietta Tidei

    Eloisa Troisi

    La rubrica fotografica - SpazioLiberoFoto - è coordinata da Damiano Lestingi e Fabrizio Sciarochi

    FABRIZIO BARBARANELLI ♦ Perché

    Creare uno spazio libero, un luogo aperto in cui confrontare le idee. Può sembrare persino banale in un mondo normale. Ma viviamo in un mondo normale?

    «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar". Un giudizio sommario e forse ingeneroso quello di Umberto Eco, ma con qualche fondamento di verità.

    Siamo in un'epoca in cui al ragionamento si va sostituendo sempre più l'urlo, l'insulto, la prevaricazione. La stessa tv ci offre soprattutto con i talkshow spettacoli indecenti che non costituiscono certo un esempio di civiltà.

    Facebook, nel suo uso distorto, rischia di diventare un luogo in cui per aver ragione dell'interlocutore, ogni mezzo sembra legittimo: la denigrazione, l’irrisione, la totale assenza di rispetto e di tutela della altrui dignità. L’improperio irridente sembra essere la carta vincente.

    Il patrimonio delle idee, il ragionamento, la cultura stessa vengono emarginati e molti che per professionalità e competenze potrebbero dire la loro, si tengono lontani dall'impegno nella società e nel mondo della comunicazione per non correre il rischio di essere coinvolti in situazioni intollerabili.

    E’ inevitabile che anche la società e le istituzioni siano permeate da questi comportamenti e si trasformino sempre più in luoghi ingestibili e condizionati dagli urlatori di turno.

    Si perde così l’impegno collettivo, il senso della comunità come luogo in cui trovare comuni ragioni di convivenza, di dialogo e di confronto.

    La comunità: una parola magica che esprime il senso di appartenenza, la volontà di lavorare insieme per migliorare le condizioni di esistenza, che impone nelle scelte di fondo la ricerca delle più vaste intese, che induce comportamenti di tutela e difesa del territorio, di amore per i suoi beni, che isola il vandalismo, l’ignoranza, la violenza.

    Civitavecchia non è sempre stata così. Siamo a un punto bassissimo della sua storia. Bisognerà pure riallacciare i nodi di una coscienza collettiva che si fa governo, senza pregiudiziali ed esclusioni. Non sono queste forse le priorità soprattutto in una città che va sempre di più declinando?

    Solo così può riprendere forza ciò che si agita sui veri problemi della città: l’ambiente, le condizioni di vita, il lavoro, la dignità, la difesa dei più deboli.

    Tutto questo passa necessariamente per la ripresa del dialogo e del confronto libero ed aperto.

    Ci si può provare? Si può tentare di offrire un luogo, uno spazio, in cui si possa esercitare l’antica e civile pratica del confronto senza insulti e prevaricazioni, in cui chi ha da offrire idee e voglia esprimerle può farlo liberamente?

    Spazio libero aspira ad essere un momento di questo indispensabile processo.

    Apriamo il blog a tutti e a tutte le idee. Senza esclusione alcuna. Lo apriamo ai commenti liberi, alle diverse opinioni, con un argine solo alla violenza verbale, all’insulto e alla denigrazione degli altri.

    Perché SpazioLiberoBlog vuole essere uno dei luoghi della tolleranza, della civiltà dei rapporti e del dialogo, anche quando le opinioni sono radicalmente diverse.

    17-03-2016

    LUCIA SCAGGIANTE / ETTORE FALZETTI ♦ Altri ameni inganni al Nuovo Sala Gassman

    Molti anni fa, quando non esistevano tutti i mezzi per la riproducibilità tecnica dell'opera d'arte che abbiamo ora a disposizione, non era infrequente che nelle case si facesse musica. Nel film Bright star un gruppo di amici canta un brano strumentale di Mozart a più voci a cappella, per il puro piacere di farlo e per il puro piacere di chi li ascolta (guarda video a fine articolo).

    E' un modo di vivere - anche nell'imperfezione - il proprio amore per la musica, la propria dimensione sociale e anche la propria giocosa creatività, perché il brano non solo è interpretato, ma anche trascritto in una forma diversa da quella che aveva previsto Mozart. Non è niente di eccezionale, ma è un piccolo evento. Ha quella magia che si dice l'arte perda quando, troppo facilmente sotto i nostri occhi e i nostri orecchi, finiamo per non sentirla e non vederla più. E' da diversi secoli che la poesia ha avuto i suoi mezzi di riproducibilità tecnica e da evento collettivo è divenuta faccenda privata, ma è nata canto, ascolto. Con Ameni inganni abbiamo voluto restituirle questo carattere, nella condivisione. Ci è piaciuto che nella quotidianità ci fosse posto per la straordinarietà della poesia, o che quella straordinarietà si mescolasse alle nostre vite quotidiane; e che comunque ciò avvenisse in un piccolo rito da preparare, vivere e ricordare insieme agli amici, perché la poesia magari non riesce a cambiare nulla, ma può dare un altro respiro e un altro passo a ognuno di noi.

    Questi gli appuntamenti del secondo ciclo di Ameni inganni, come di consueto al Nuovo Sala Gassman:

    -venerdì 1 aprile, ore 19 FINESTRE DELLA MIA CAMERA- Le parole della solitudine;

    -venerdì 8 aprile, ore 19. IL VENTO PORTO’ VIA I COTONI- O degli amor perduti;

    -giovedì 21 aprile, ore 19. PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE- D’estri sulfurei e bizzarri.

    con Enrico Maria Falconi, Ettore Falzetti, Lucia Scaggiante per la parola poetica,

    Giada Di Sauro, Simona De Leo, Antonio Massimo per i movimenti scenici.

    [youtube : https://www.youtube.com/watch?v=GnutO6k-waw&feature=youtu.bew=854&h=385 ]

    18-03-2016

    MAURIZIO CAMPOGIANI ♦ L'insostenibile pesantezza di informare

    Un golgota quotidiano, un monte da scalare in mezzo a mille difficoltà, a gente che ti spinge a scrivere il contrario di ciò che vorresti raccontare, a personaggi più o meno influenti che ti invitano a dargli la massima visibilità, o a toglierla all'avversario di turno. Questo è diventato informare oggi.

    Non esiste la libertà di informare, di illustrare i fatti e, figuriamoci, di esprimere un'opinione su questo o quello argomento. Ogni titolo e ogni riga di un qualsiasi articolo vengono passati al setaccio della censura di parte. Vengono letti come l'esempio lampante, in un modo o nell'altro, dell'assoggettamento a questa o a quella parte politica, soprattutto a questo o a quel personaggio, politico e istituzionale.

    Mentre sui cosiddetti social network chiunque, senza averne titolo (e a volte neanche coscienza), può scrivere su qualsiasi argomento e insultare tutto e tutti, paradossalmente sugli organi di informazione ciò non può avvenire. Chi scrive sui giornali, sui quotidiani telematici, sui blog, svolge attività radiofonica e televisiva, deve assolutamente essere asservito a qualcuno.

    Ci troviamo di fronte ad uno scenario assolutamente inedito, finora mai riscontrato.

    Una volta esisteva l'autorevolezza degli organi di informazione. L'autorevolezza di alcune testate e, soprattutto, di alcuni giornalisti. Adesso tutto è entrato nel frullatore di una rivoluzione culturale ridicola, portata avanti non solo da giacobini di bassa lega, che spesso non sanno neanche distinguere tra un sostantivo e un aggettivo, ma anche da personaggi, del mondo politico e istituzionale, che rispettano solo ed unicamente il loro potere e che per difenderlo sono disposti a tutto.

    La stampa, da questo punto di vista, non può certo considerarsi esente da colpe. Troppo spesso negli ultimi venti anni si è piegata alle esigenze dei potentati economici e politici. Troppo spesso una normale e naturale linea editoriale è diventata invece pura appartenenza e becera partigianeria. Gli esempi al riguardo sono sotto gli occhi di tutti, alcuni anche veramente miserevoli e non vale nemmeno la pena di soffermarcisi.

    Avere l'esigenza di portare la pagnotta a casa, o cercare di non avere rotture di scatole, non possono più essere una giustificazione. Per cui farebbero bene gli informatori di oggi a ritrovare il vero spirito del loro mestiere, a rialzare la schiena e ad interpretare la professione per quella che è e deve continuare ad essere.

    18-03-2016

    FRANCESCO CORRENTI ♦ Bar-Barie

    Sulla scia del Bar Bagia – il posto di ristoro a ridosso dei bastioni sangalleschi della darsena nel porto di Civitavecchia gestito da tre sardi che sembrano ex marinai (?) del genere Braccio di Ferro di Elzie Crisler Segar – e del Bar Ricata (che era di Pietro Valpreda), ho giocato un po’ su nomi e definizioni.

    Bar A – quando il caffè è del tipo Pisciotta o Sindona.

    Bar Abba – si trovava a Gerusalemme, vicino alla casa di Pilato.

    Bar Accone – esercizio di ristoro per dipendenti di enti inutili.

    Bar A-onda – ritrovo d’alto mare.

    Bar Are – caffè del Casinò dove è sconsigliabile chiedere colazioni alla carta (o chiedere la carta).

    Bar Atro – pub irlandese sulle scogliere delle Cliffs of Moher, a strapiombo sull’Atlantico.

    Bar Atto – per scambi alimentari o d’altro tipo.

    Bar Attolo – piccolo spaccio di bevande conservate.

    Bar Ba – posto di ristoro presso sale congressi, specializzato in coffee break durante convegni noiosi.

    Bar Bablù – esercizio pubblico riservato a fanciulle ignare (se mai ce ne furono).

    Bar Bacane – per una sosta lungo le mura (con eventuale alzata della zampa).

    Bar Bara – locale per alcolisti all’ultimo stadio (pare che sia frequentato anche da Rutelli).

    Bar Baranelli – storico ritrovo civitavecchiese, forse dedicato ad una delle componenti demografiche della città, quella appunto proveniente da Barano (nel Sannio, noto per i resti archeologici di Monte Vairano), meno nota di quella campana, rappresentata da pozzolani e gaetani [questa voce l’ho scritta oggi, per onore di firma, ma è poco spiritosa].

    Bar Baro – taberna della Pannonia dove i legionari romani giocavano con gli indigeni che li imbrogliavano con alee truccate.

    Bar Becue – serve con l’aperitivo spiedini di capretto, capriolo, stambecco.

    Bar Bera – tipica osteria in incognito dell’Astigiano, simile al Bar Olo.

    Bar Betta – pub inglese intitolato alla sovrana, per giovani non rasati; se di qualità più scadente prende il nome di Bar Bettola.

    Bar Biere – birreria francese per capelloni.

    Bar Bino – per appuntamenti da mancare e fare così brutte figure.

    Bar Biturico – mescita di prodotti da dimenticare.

    Bar Bona o Bar Bone – con cassiere male in arnese ma non male nel fisico.

    Bar Buto o Bar Buti – per cappuccini pelosi.

    Bar Caccia – tipico caffè del Cacciatore (di straniere) a Trinità dei Monti.

    Bar Camena – per bibite prudenti.

    Bar Collo – per superalcolici.

    Bar Cone – di supporto a servizi fluviali.

    Bar Cotto – caffetteria galleggiante sul torrente Parma.

    Bar Do – buvette per poeti ispirati. In francese si pronuncia Bar D’ò e si scrive Bardot (vedi Bar O).

    Bar Ella – in ospedale, vicino al pronto soccorso.

    Bar Etto – piccolo buffet nelle stazioni della nota catena dei Bar Chilo [bah!].

    Bar Gello – per centri storici toscani.

    Bar H o Bar Acca – locale precario in zone abusive o in aeroporti di guerra (’15-18).

    Bar I e Bar Ese - dove è consentito bère e ribère .

    Bar Ile – piuttosto un’osteria.

    Bar Illa – con spaghetteria annessa.

    Bar Ista – proprietaria autoreferente di formazione classica.

    Bar Lume – bottega per libagioni notturne.

    Bar Num – gestito da ex pagliacci e trapeziste in pensione.

    Bar O – locale di Poissy reso celebre dagli incontri tra giocatori di chemin-de-fer e fanciulle marchiate.

    Bar Occo – bottega romana dove i papi facevano giocare a carte gli architetti svizzeri.

    Bar O’metro – mescita frequentata dagli addetti alle stazioni meteorologiche del Napoletano.

    Bar One – se fosse spiritoso [l’omonimo proprietario dei locali], sulla calata del porto di Civitavecchia.

    Bar Racano – per cammellieri sahariani.

    Bar Racuda – pericoloso ritrovo per sub.

    Bar Rito – locale tipico della savana per cerimonie al cimitero degli elefanti.

    Bar Roccio – cicchetteria dove sostavano i carri degli scalatori e dei gondolieri (Bar Ocio).

    Bar Tali – per ciclisti qualunque.

    Bar Tolomei – cicchetteria vicino al monumento a Colleoni.

    Bar Uffa – pub noto per le risse tra marinai annoiati dal viaggio.

    Bar Zelletta – specializzato in bevande spiritose.

    Lom Bar Dia – noto locale milanese per tecnici del sud specializzati in pratiche edilizie con garanzia di esenzione dal pizzo.

    PIERO ALESSI ♦ Ettore Scola: un omaggio e una proposta

    Il 19 Gennaio 2016 muore Ettore Scola. Una data triste per la cultura e per il cinema italiano. Era il Febbraio del 1989 quando Scola iniziò, nella nostra città, le riprese di Che ora è. Molti altri registi prima di lui avevano scelto, come è noto, Civitavecchia come set per molte scene dei loro film.

    Che ora è ha il pregio rispetto alle produzioni precedenti di essere stato interamente girato nella nostra città. In realtà persino il titolo nelle primarie intenzioni del regista doveva essere Conosci Civitavecchia?.

    La scelta finale volle evitare di costringere la tematica entro i confini ristretti di un rapporto, che pure è presente, tra città e provincia, esprimendo valori più universali. Il senso del tempo e soprattutto il delicato e conflittuale rapporto generazionale.

    Dei film, girati con E. Scola, Troisi amava Che ora è più degli altri perché diceva: è un film piccolo nel senso buono. Che ora è narra in chiave intimista la giornata, trascorsa assieme, di un padre, interpretato da Marcello Mastroianni, e di un figlio, interpretato appunto da Massimo Troisi.

    Il racconto inizia la mattina presto e si conclude, in una carrozza ferroviaria, la sera tardi. Seduti, uno di fronte all’altro, padre e figlio, dopo una giornata di incomprensioni, trovano un momento di inaspettata solidarietà giocherellando col vecchio orologio a cipolla del nonno ferroviere. Nell’estate del 1989 il film venne portato da Scola alla Mostra del Cinema di Venezia. Roberto Ellero ci informa che: la cosa scatenò una violenta polemica da parte dei socialisti craxiani, nel Governo guidato da G. Andreotti: la presenza del film alla mostra sarebbe stata, a loro giudizio incompatibile con il ruolo politico, appena assunto dal regista, nel Governo ombra del PCI. Era legittimo o meno che Scola partecipasse ad un festival organizzato da un ente pubblico (la Biennale di Venezia) che lo stesso Scola, nella sua veste politica voleva riformare? I socialisti invitarono Scola a ritirare Che ora è dal programma ufficiale della mostra. Scola rifiutò con fermezza. Nessun premio al film. Mentre a Mastroianni e Massimo Troisi venne riconosciuta per la loro interpretazione la coppa Volpi.

    L’avventura ebbe inizio il 26 Gennaio del 1989 quando alcuni rappresentanti della produzione fecero visita all’allora Sindaco Fabrizio Barbaranelli per informarlo che di lì a poco sarebbero iniziate le riprese di un film interamente girato a Civitavecchia e con la regia di uno dei più grandi maestri del cinema italiano. La visita aveva anche lo scopo di chiedere all’Amministrazione dell’epoca una collaborazione per agevolare il rapporto tra la troupe e la popolazione. La collaborazione fu piena. Per un paio di settimane la città fu ispezionata dagli occhi attenti, scrupolosi e geniali di E. Scola e dallo scenografo Luciano Ricceri. Scelsero i luoghi che poi divennero il teatro del film. In realtà fu l’intera città con i suoi angoli più caratteristici il palcoscenico sul quale prese vita la rappresentazione e si mossero quegli straordinari e indimenticabili protagonisti. Tra questi vale anche ricordare Anne Parillaud, ancora poco nota al grande pubblico. Lo diverrà l’anno successivo per l’interpretazione di Nikita, per la regia di Luc Besson, che gli valse il David di Donatello. Dunque per riepilogare: nella nostra città, un maestro del cinema dirige per intero un film di qualità con un cast di eccezione. Vi furono anche in quella circostanza delle polemiche. Ci fu chi ritenne che il film desse della città una brutta immagine e se ne chiese persino il sequestro. Furono, per la verità voci isolate e largamente minoritarie. Da segnalare che sulla questione si accese un dibattito. A questo proposito non sarebbe male che tornasse in voga la sana abitudine di dividersi sul terreno di idee contrapposte piuttosto che su sterili pregiudizi. Non voglio portarla troppo per le lunghe. Mi sembrava giusto riprendere, sia pure per sommi capi, alcuni elementi quale doveroso omaggio ad un uomo come Ettore Scola che avrebbe meritato nella mesta circostanza della sua scomparsa una maggiore attenzione da parte della città. Lo abbiamo ospitato ed accolto come un amico così avremmo dovuto riconoscergli l’ultimo saluto. Come si sarebbe fatto per una persona cara. Così non è stato. Avremmo potuto proiettare il film a beneficio delle scuole, avremmo potuto animare dibattiti attorno alla figura di Scola, avremmo potuto partecipare alle sue esequie con la più adeguata rappresentanza istituzionale. Delle molte cose poco o nulla si è fatto. Guardo con qualche elemento di insofferenza, non lo nascondo, una apparente ansia di cambiamento che smarrisce forse volutamente la propria memoria. A questo proposito, evitando accuratamente di approfondire concetti che mi spingerebbero ad una più feroce polemica politica, mi provo ad avanzare una proposta. Vi sono state in città interessanti ricerche a proposito delle numerose occasioni in cui Civitavecchia è stata scelta come set cinematografico. La ricerca può, a mio giudizio, essere ulteriormente approfondita. D’altro canto prima che si aprisse a Roma Cinecittà la nostra Civitavecchia, relativamente vicina alla Capitale, ben si adattava alle esigenze di un cinema povero di risorse. Ritengo sia verosimile che molte produzioni si siano orientate su Civitavecchia. Sarebbe forse ipotizzabile la creazione di un Museo Multimediale magari intestato allo stesso Ettore Scola nel quale si possano raccogliere testimonianze fotografiche, audiovisive, documentali ecc. ecc. che siano plastica testimonianza del contributo che la nostra città ha dato, nel corso degli anni, al cinema italiano. In questo senso perché non immaginare un coinvolgimento dell’Università con studenti che opportunamente sostenuti potrebbero svolgere un certosino lavoro di ricerca? L’idea oltre che utile a salvaguardare la nostra memoria, a rendere un doveroso omaggio a Scola potrebbe anche avere degli interessanti risvolti economici arricchendo la nostra offerta a coloro che per turismo si trovano a passare dalla nostra città.

    18-03-2016

    ENRICO CIANCARINI ♦ Arditi del popolo, una memoria cancellata

    Alcuni giorni fa il giovane storico romano Valerio Gentili ha presentato il suo libro Dal nulla sorgemmo. La legione romana degli arditi del popolo edito nel 2012, nuova edizione riveduta e ampliata di un suo precedente lavoro dato alle stampe nel 2009.

    Luogo di presentazione un bar alla moda al centro di Civitavecchia, pubblico presente una ventina di persone soprattutto giovani, organizzatori della presentazione il neo costituito gruppo Arditi del popolo civitavecchiesi.

    Nell’ormai lontano 2000, a mia cura, furono presentati in una libreria cittadina i volumi di Eros Francescangeli, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922) e di Marco Rossi, Arditi, non gendarmi. Dalle trincee alle barricate: arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-1922). Anche allora il pubblico non superava la ventina di persone, molte delle quali parenti di arditi del popolo civitavecchiesi.

    I due eventi, distanti sedici anni, hanno cercato di risvegliare nella comunità civitavecchiese l’interesse nei confronti del movimento antifascista degli arditi del popolo che nella nostra città per più di un anno resistette ai ripetuti assalti delle squadracce fasciste provenienti da Roma e dalla Toscana che prevalsero sulle organizzazioni proletarie solo il 29 ottobre 1922, al pari di poche altre città italiane. Nel 2013 l’Amministrazione comunale ha intitolato nel centro cittadino uno slargo agli Arditi del popolo ponendo una targa che oggi purtroppo è illeggibile. D’altra parte in un quartiere periferico un piazzale è intitolato a Francesco Cinciari unico sindaco fascista, primo podestà fascista e certamente complice delle squadre fasciste nella conquista armata di Civitavecchia, all’epoca considerata irriducibile roccaforte del bolscevismo laziale.

    Se alcuni protagonisti della Resistenza antifascista di Civitavecchia negli anni della Seconda guerra mondiale hanno trovato il loro giusto riconoscimento nella toponomastica cittadina, dei protagonisti di quei mesi del 1922 solo Cinciari, come dicevamo, e Ciro Corradetti, sindacalista che aderì al fascismo, hanno visto eternato il loro nome nelle targhe stradali.

    Nell’epica civitavecchiese gli Arditi del popolo non hanno trovato posto mentre in altre città, penso a Parma, le loro vicende sono celebrate nelle varie forme culturali, teatro, letteratura, feste popolari.

    Su di essi negli anni passati hanno scritto Ettore Falzetti, Antonio Maffei ed io nel mio volume sul Fascismo a Civitavecchia. Anche il movimento resistenziale ha trovato scarsa eco. Unico lavoro pregevole quello di Mirella Scardozzi, storica universitaria, con il saggio Civitavecchia fra Resistenza e ricostruzione nei Quaderni della Resistenza laziale editi dalla Regione Lazio nel 1978.

    Poco per una città che è stata amministrata dalla Sinistra ininterrottamente dalla Liberazione al 2000. Cinquanta anni di potere che non hanno visto emergere il desiderio e la disponibilità a raccogliere le testimonianze dei protagonisti di quei terribili mesi del 1922, per creare un’epica condivisa ed offerta alle giovani generazioni.

    La polizia politica nei suoi rapporti affermava che gli arditi del popolo civitavecchiesi fossero oltre seicento. Tantissimi ma che purtroppo sembrano non aver prodotto alcunché di memorialistica utile allo studio di quel fenomeno resistenziale nella nostra città. Unica parziale eccezione Le mie memorie di Augusto Milo uscite nel 1949 che ripercorrono le sofferenze da lui patite sotto il regime fascista.

    Certamente questa mancanza di memoria è condivisa da altre realtà urbane ed anche la storiografia ha solo recentemente studiato il primo movimento di resistenza antifascista con gli autori che abbiamo

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