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Saggi e recensioni del 32° Premio Ferrero
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E-book393 pagine3 ore

Saggi e recensioni del 32° Premio Ferrero

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Info su questo ebook

Tutti i saggi e le recensioni, con i vincitori, del 32° Premio Adelio Ferrero per giovani critici cinematografici. Con interventi di Vittoria Oneto, Lorenzo Pellizzari e Roberto Lasagna.
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2015
ISBN9788893040266
Saggi e recensioni del 32° Premio Ferrero

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    Anteprima del libro

    Saggi e recensioni del 32° Premio Ferrero - AA. VV.

    32° Premio Adelio Ferrero

    Saggi e recensioni

    Sono una divoratrice di film

    Vittoria Oneto*

    "La televisione crea l’oblio,

    il cinema ha sempre creato dei ricordi"

    Jean-Luc Godard

    Sono una divoratrice di film, amo il cinema da sempre. Come tutti gli adolescenti andare al cinema rappresentava un momento di svago e di condivisione importante coi coetanei; al cinema ci si poteva avvicinare senza sguardi indiscreti al ragazzo di cui ci si era infatuati e si poteva stare con gli amici senza i genitori nei paraggi. Si può sognare guardando un film e la sala cinematografica diviene il luogo del possibile; ho ricordi meravigliosi.

    Col tempo il cinema è diventato una vera passione. Da quando ho iniziato a frequentare l’Università, il DAMS di Torino e i corsi di cinema, il mio approccio alla visione è cambiato.

    Ho studiato importanti registi e guardato decine e decine di film, ma analizzare il lavoro dei grandi montatori del cinema italiano è stato determinante.

    Fin da ragazzina ho amato i film di Bernardo Bertolucci: L'ultimo imperatore, Il tè nel deserto. Ne ho capito e apprezzato fino in fondo la grandiosità e la poetica solo dopo aver visto film come La strategia del ragno e Il Conformista. L’importanza del montaggio in un film è alla pari della musica in una canzone. Un testo bellissimo può diventare un capolavoro solo se la musica lo valorizza e perfeziona. Questo accade ai film nel rapporto tra la sceneggiatura, la regia e il montaggio. Il cinema si è trasformato in un mondo meraviglioso di cui coglievo fino a quel momento solo una piccola parte. Per questi motivi consegnare personalmente, durante il 32° Premio Adelio Ferrero, un riconoscimento ufficiale a Roberto Perpignani è stata una grandissima emozione. Fin dalla seconda edizione il concorso è stato affiancato da seminari critici e laboratori di grande rilevanza anche internazionale. Sono passati i più bei nomi del panorama culturale cinematografico internazionale tra registi, critici e giornalisti, che hanno contribuito a far grande la storia di questa manifestazione .

    Il premio Adelio Ferrero è per la città di Alessandria un patrimonio culturale importante che va preservato e tutelato.

    *Assessore ai Beni e Politiche Culturali e alle Politiche Giovanili

    Comune di Alessandria

    Di nuovo una scommessa

    Lorenzo Pellizzari *

    Il premio Adelio Ferrero rinasce sotto buoni auspici se questo e-book vuole dire qualcosa. Sin dalla sua nascita nel 1978 il saggio vincitore (e in seguito, dal 1991, anche la recensione vincitrice) ha visto la pubblicazione, dapprima su Cinema e cinema (Cinema & Cinema con il tempo) e poi su Cineforum, e la tradizione continua anche oggi. Talora accadde anche per altri saggi ritenuti meritevoli. Ma la gran massa degli elaborati è rimasta nell'anonimato, nell'insindicabilità, quindi nell'oblio, con rammarico degli organizzatori e naturalmente degli interessati. Oggi la lacuna viene colmata, almeno per quanto riguarda la prima edizione del rinato premio, ed è una gran bella cosa..

    Una piccola pubblicazione del 2010, in occasione della trentesima edizione, riferiva rapidamente della nascita del Ferrero. Quando il 24 settembre 1978, a un anno esatto dalla prematura, quindi due volte dolorosa scomparsa di Adelio Ferrero, si svolse la prima edizione del premio a lui dedicato sembrava una scommessa. C'era già stato il prestigioso premio Pasinetti-Cinema Nuovo, cui non a caso Adelio aveva partecipato, ma era la prima volta che i molti concorrenti ammessi presenziavano pubblicamente a una manifestazione di assegnazione, che si svolgeva appunto attorno a loro e per loro. Ebbene, possiamo dire di aver vinto la scommessa: non solo, di essere riusciti con il tempo a trasformarlo in un vero evento, sino a dar vita al festival Ring!. Fortemente voluto dai genitori Mario e Carmen, che misero a disposizione anche il capitale necessario (800.000 lire al vincitore), il premio era nato, sulla scorta di un mio progetto, grazie a un comitato promotore (Lucio Bassi, Giampaolo Bernagozzi, Giorgio Canestri, Ugo Casiraghi, Alberto Cattini, Guido Fink, l'indimenticabile Enrico Foa, Franco Livorsi, Nuccio Lodato, Delmo Maestri, Alfredo Mango, Lorenzo Pellizzari, Giorgio Tinazzi, Marisa Vescovo, Gianfranco Zino) con l'indispensabile supporto dell'Azienda Teatrale Alessandrina (angelo tutelare, affettuoso quanto discreto, l'altrettanto indimenticabile Grazia Robotti Pierallini).

    Ma chi era Adelio Ferrero? Forse i giovani concorrenti di oggi stentano a collocarlo e ad acquisirne la memoria, e qualche cenno biobibliografico può essere utile. Nato ad Alessandria nel 1935 (oggi compirebbe 80 anni) e scomparso improvvisamente a Bologna nel 1977, lo si ricordava con questo premio non solo come primo presidente del teatro Comunale di Alessandria (oggi infaustamente e colpevolmente cattedrale inquinata nel deserto), ma soprattutto per la sua opera critica, didattica e politico-culturale svolta in qualità di critico cinematografico, di docente di Storia del Cinema presso il Dams dell'Università di Bologna, di fondatore e primo direttore della rivista Cinema e cinema.

    Adelio aveva esordito giovanissimo, nel 1956 sulle pagine del quindicinale e poi bimestrale Cinema Nuovo, contribuendovi, come pochi altri, in modo determinante sino al 1970, anno della definitiva rottura con il direttore Guido Aristarco; era stato critico televisivo, e poi anche teatrale e cinematografico, del settimanale, poi quindicinale Mondo Nuovo (sinistra socialista, indi Psiup) dal 1961 al 1971; aveva appunto fondato, con altri, nel 1974 il trimestrale Cinema e cinema, dirigendone i primi 12 numeri. Intensa la sua attività didattica (anche presso l'Università di Pavia) e organizzativa, come il suo impegno politico: non è superfluo affermare che, se non fosse stato stroncato così precocemente, lo attendevano obiettivi ed esiti ancora e ben più importanti. Era un predestinato, fu – purtroppo in un altro senso – un predestinato.

    Ci restano i suoi libri, tra i quali Jules Dassin (Guanda, 1961), Da Roma città aperta a La ragazza di Bube (con Guido Oldrini, ed. di Cinema Nuovo, 1965), Godard tra avanguardia e rivoluzione (Palumbo, 1974), Robert Bresson (La Nuova Italia, 1976), Il cinema di Pier Paolo Pasolini (Marsilio, 1977). E, postumi, a cura di Lorenzo Pellizzari, Dal cinema al cinema . Cronache di tv, teatro, cinema 1960-1972 (Longanesi, 1980) e Per un altro cinema. Recensioni e saggi 1956-1977 (Falsopiano, 2005).

    Anche interpretando le sue esperienze e le sue intenzioni, lo scopo dichiarato, nel lontano 1978, era quello di segnalare alla pubblica attenzione e di concretamente aiutare i giovani che intendano dedicarsi allo studio del cinema in ogni suo aspetto e un po’ risentiva dello spirito del tempo, ma l’obiettivo, mutate le condizioni oggettive, possiamo dire sia stato raggiunto. Forse anche grazie al Ferrero – o così ci illudiamo di pensare – molti dei circa 2000 concorrenti, e non solo tra i vincitori, anzi…, si sono affermati nei più vari settori: dalla critica vera e propria alla ricerca storica, dall’insegnamento all’animazione culturale, dal giornalismo all’editoria, dallo spettacolo al management e decine di libri recano le loro firme. Alcuni nomi: Enrico Giacovelli, Fabio Matteuzzi, Giovanni Bogani, Roberto Buffagni, il compianto Vincenzo Buccheri, Emiliano Morreale, Giuseppe Ascione, Luca Malavasi, nonché Cristina Prasso, Federico Di Chio e perfino Milena Gabanelli. Senza contare due concorrenti esclusi, colpevoli di essere già un po' noti, quali Alberto Crespi e Davide Ferrario.

    Con questa edizione del 2015 pare in un certo senso di essere tornati alle origini. Di nuovo una scommessa, di nuovo mezzi limitati, di nuovo una bella dose di fiducia e di tenacia. Di nuovo risultati incoraggianti a voler proseguire, come potranno verificare anche i lettori di questo e-book.

    *Presidente della giuria del Premio Adelio Ferrero

    Ritorno al futuro

    Roberto Lasagna*

    Le Giornate del Premio Ferrero, svoltesi ad Alessandria dall'1 al 3 ottobre 2015, sono state, per chi le ha fortemente volute e vi ha preso parte, un'iniziativa unica di condivisione di propositi e riflessioni. Con curiosità e inesausta passione, gli organizzatori si sono calati nella prospettiva vissuta come irripetibile di riportare il Premio Adelio Ferrero, rimasto fermo quattro anni per motivi di forza maggiore, al livello di autorevolezza e libertà espressiva che esso meritava. I protagonisti del cinema e della critica, invitati a partecipare, hanno aderito spontaneamente e con entusiasmo a quelle che sono state presto battezzate le giornate, tre giorni di convegni, incontri, spunti, lezioni, divagazioni, attorno al cinema e alla critica, nel ricordo di grandi nomi (Pasolini e Salo', Massimo Troisi e Philippe Noiret, Claudio G. Fava, Liliana Cavani), nella dimensione intima e colloquiale di un festival surrurrato, che ha fatto da sponda al concorso dedicato ai giovani critici e saggisti di cinema, giunto alla trentaduesima edizione. Roberto Perpignani, Alessandro D'Alatri, Roberto Faenza, Stefano Della Casa, Oreste De Fornari, tutti visibilmente contenti di trovarsi tra amici e confidenti di una manifestazione in cui ogni momento sembrava armonizzarsi e confluire con disarmante continuità in quello successivo. Una festa della riflessione attraverso il cinema e il ricordo dei suoi protagonisti. Ognuno chiamato ad interpretare e ripercorrere, proprio come dovrebbe fare un critico, la condizione del suo lavoro, del suo itinerario umano e culturale, senza forzature né censure.

    Al termine della manifestazione Roberto Faenza, premiato (assieme a Roberto Perpignani, Lorenzo Pellizzari e Liliana Cavani) con la targa Adelio Ferrero per il contributo alla cultura e all'arte cinematografica, rivolge ai premianti il suo ringraziamento e un monito che gli amici del Circolo del Cinema Adelio Ferrero non dimenticheranno facilmente e che li colma di un senso di responsabilità davvero gradito: dovreste essere premiati voi che con la vostra bella associazione siete tra i pochi a credere ancora nel cinema. Tra emozioni, frasi penetranti, lezioni di comunicazione davanti ad un pubblico sempre attento (indimenticabile il ricordo-racconto pasoliniano di D'Alatri e Perpignani), le giornate hanno difeso l'idea che la critica sia una pratica tutt'altro che superflua o in via di estinzione, ma un proposito di cui, invece, non è oggi più possibile fare a meno. E l'urgenza di questa evidenza è stata comprovata dalla partecipazione dei giovani.

    Tra i molti elaborati pervenuti per il concorso, che qui proponiamo integralmente e per la prima volta nella storia del Premio, gli spunti sono spesso di alto livello, la retorica è bandita mentre emerge a chiare tinte l'adesione ad una profondità di lettura che deve far riflettere soprattutto chi detiene le leve del potere culturale. A questi ragazzi va il ringraziamento più sentito degli organizzatori e la promessa dell'impegno per future edizioni importanti e autorevoli del Premio Adelio Ferrero.

    Le giornate del Premio Adelio Ferrero 2015 sono state un clamoroso evento fatto di sorprese, di alchimie tra i partecipanti, a cominciare dal convegno sul film-testamento di Pasolini Salo', durante il quale i convenuti hanno dato prova di grande adesione al tema sottolineando l'attualità di un punto di vista sensibile e profondo sul mondo: quello, ai margini, del poeta, sensore di tutte le storture di una società davvero troppo malata. Da quel momento, è il caso di dirlo, la manifestazione ha vissuto di una sua innegabile grazia, fino ai momenti più alti, tra cui l'omaggio a Claudio G. Fava, alla lezione di cinema di Roberto Perpignani testimone di una terza lingua nella comunicazione tra gli interpreti del film Il postino di Michael Radford, da lui amorevolmente montato dopo la morte improvvisa di Massimo Troisi, con dolore e tensione al cardiopalma, per essere visto per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia del primo settembre 1994 (indimenticabili, nel montaggio di lavoro non doppiato del film, Troisi e Noiret che si capiscono perfettamente parlando ciascuno nella propria lingua e dando vita a una rappresentazione di comunicazione extra-verbale da manuale); fino al finale in musica per vedere in una nuova luce The blacksmith di Buster Keaton che la notte del 3 ottobre 2015 ha compiuto 120 anni ed ha chiuso la manifestazione in perfetta continuità con il clima con il cui il Ferrero è ripartito.

    Ai molti amici coinvolti in un'organizzazione spontanea e irripetibile, un grosso grazie per essersi lasciati - come insegna Roberto Faenza - prendere l'anima, per avere messo passione talento senso dell'avventura e ironia in una tre giorni i cui echi ritorneranno tra di noi e saranno fonte di stimolo, di una passione autentica ritrovata.

    Il Premio Adelio Ferrero è rinato ed è tornato ad essere quello che voleva essere, un'avamposto, un laboratorio per l'elaborazione di nuove ipotesi di percorso. Un punto di incontro ma anche, in definitiva e senza preclusioni, di confronto.

    Le giornate del Premio Ferrero 2015 e il Premio Ferrero trentaduesima edizione sono state possibili grazie alla collaborazione di enti, associazioni ed istituti: Circolo del Cinema Adelio Ferrero, A.S.M. Costruire Insieme, Associazione Cultura e sviluppo, Comune di Alessandria, Edizioni Falsopiano, Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, Il Piccolo, Alessandria News, Centrale del Latte di Alessandria e Asti, Alegas, Regione Piemonte, Museo Nazionale del Cinema, Fondazione Ente dello spettacolo, Federazione Italiana Cineforum.

    Un ringraziamento particolare a Alberto Ballerino, Daniela Sguaizer, Elena Salvarezza, Marco Caneva, Giovanni Frera, Veronica Geraci, Elena Mortaretto, Simona Biancu, Lorenzo Pellizzari, Saverio Zumbo, Mathias Balbi, Davide D'Alto, Anna Tripodi, Alberto Barbera, Roberto Perpignani, Alessandro D'Alatri, Roberto Faenza, Liliana Cavani, Francesca Brignoli, Nuccio Lodato, Barbara Rossi, Mario Gerosa, Stefano Della Casa, la redazione di Hollywood Party, Oreste De Fornari, Adriano Piccardi, Mauro Gervasini, Alessandro Leone, Paolo Micalizzi, Danilo Arona, Mirko Locatelli, Giuditta Tarantelli, Federico Magni, Fabio Bobbio, Roberto Urrata, Roberto Santarelli, Brunello Vescovi, Valentina Frezzato, Francesco Ballo, Paolo Darra, Frame Freeze Quartet, Enzo Macrì, Emira Gandini, Giuseppe Rinaldi, Fabio Zanello, Stefano Boni, Paolo Manera.

    Un ringraziamento ai componenti della giuria del Premio Adelio Ferrero 2015: Lorenzo Pellizzari (presidente), Mathias Balbi, Giorgio Cremonini, Davide D'Alto, Bruno Fornara, Mario Gerosa, Roberto Lasagna, Nuccio Lodato, Luca Malavasi, Roy Menarini, Emiliano Morreale, Adriano Piccardi, Barbara Rossi, Saverio Zumbo,

    Grazie, infine, all'assessore alla cultura del Comune di Alessandria, Vittoria Oneto, e al sindaco di Alessandria, Rita Rossa.

    *Presidente del Circolo del Cinema Adelio Ferrero di Alessandria

    Saggi: i vincitori

    Primo classificato

    Esca, desiderio e schermo nero. Maschere d'autore nell'ultimo film di Lars Von Trier

    Riccardo Bellini

    Chi si aspettava di trovare in Nymphomaniac (o Nymph()maniac secondo l’allusiva grafia della locandina) un film sul sesso nel senso più comune del termine è probabilmente rimasto sorpreso. Aggiungeremo che Nymphomaniac sembrerebbe, almeno in un primo momento, il film di Lars Von Trier più distante dal concetto di osceno. Se accettiamo per un momento, sostanzialmente in linea con Baudrillard e Galimberti¹, l’interpretazione etimologica che fa derivare la parola osceno dal greco os-kenè (fuori dalla scena), osceno è allora ciò che si sottrae alla rappresentazione, aprendosi al metafisico e al trascendente. Nymphomaniac è invece un film estremamente fisico, quasi materico, corpo che reclama a viva voce il proprio essere e il proprio esserci fino all’apoteosi del visivo, dove per corpo, scansato l’equivoco erotico, si intenderà sempre il corpo dell’immagine. Eppure, lo sconcertante epilogo sembra declinare in direzione del tutto contraria, come se questa epopea dell’immagine non potesse che concludersi proprio con una drammatica e ineluttabile sottrazione dalla e della scena per cui da una sorta di eccesso del visibile si passa all’invisibile.

    Ma facciamo un passo indietro. Sostenere che Nymphomaniac non sia un film sul sesso nell’accezione più ovvia ci dà la possibilità di aprire un secondo spiraglio. Intendo dire che non si tratta di un film di questo tipo nonostante quello che Lars Von Trier ha voluto farci credere. Sui fini dell’operazione distributiva, del resto, non ci sono dubbi, la campagna pubblicitaria che ha accompagnato l’ultima fatica del regista è piuttosto eloquente: dalla lusinghiera tagline (Forget about love) alle sapienti locandine in cui i volti degli attori sono catturati al culmine dell’orgasmo, fino alle scene selezionate per il trailer, – per non parlare della particolare grafia con cui il titolo è stato distribuito, divenendo una sorta di brand cinematografico², – tutto sembra volerci consegnare un erotismo altamente spettacolarizzato. Ciò ci fa capire che Von Trier ha fin da subito impostato il proprio lavoro su un serrato e fondamentale dialogo con il pubblico. Il film stesso, d’altronde, si sviluppa come un continuo e sempre più intenso dialogo tra i due protagonisti della cornice: Joe (Charlotte Gainsbourg), una donna di mezza età affetta da ninfomania che racconta la propria storia a Seligman (Stellan Skarsgard), l’uomo dalla quale è stata soccorsa. Un dialogo che, come vedremo, pare istituirsi secondo un rapporto interlocutore/narratore analogo a quello tra preda e cacciatore, un rapporto il cui garante è l’esca che ne mantiene vivo l’interesse, allo stesso modo in cui il dialogo tra Lars Von Trier e spettatori è reso possibile dalla serie di esche che il danese ha lanciato loro durante la campagna di promozione e che continuerà a gettare nel corso del film. Ma questo è solo ciò che affiora in superficie, sotto la quale Nymphomaniac si presenta in realtà come un percorso intenso e complesso dove anche i fenomeni all’apparenza più ovvi hanno più di un volto.

    Esca

    Tutto inizia così come si conclude: schermo nero e rumori in sottofondo per più di un minuto. Poi, improvvisamente, con un gesto cinematografico che accomuna il regista a un vero dio creatore, ecco imporsi l’immagine di un vicolo notturno illuminato da un fievole lampione. È quello il luogo dell’incontro tra Seligman e la protagonista. «Solo ora e solo per volontà del regista», sembra dirci questa lapidaria soluzione, «può avere inizio la visione». Von Trier, lungi ormai dai dettami del Dogma 95, – e soprattutto dal decimo comandamento, il quale vieta appunto al regista di essere accreditato come tale³ – non è soltanto autore della propria opera, «artista, artefice e unico responsabile del valore estetico di un film»⁴ma padre padrone di un gioco impudente intrattenuto con il pubblico.

    L’interesse di quest’ultimo viene subito indirizzato nella prima sequenza del film, quando dopo alcuni lenti movimenti di macchina, accompagnati dal misterioso, contemplativo scrosciare dell’acqua, tuona, inaspettato quanto straniante, il brano Führe mich della band tedesca Rammstein, scelta di grande impatto che pare prometterci ritmi frenetici e scene spettacolari (la stessa traccia accompagna il trailer del secondo volume inserito durante i titoli di coda del primo con raddoppiato effetto esca)⁵. Ora lo spettatore è pronto a farsi condurre dal regista – e führe mich significa letteralmente guidami – nel mondo di Lars Von Trier. Parallelamente – ma senza alcuna sovrapposizione diretta – al percorso di Seligman, anche lo spettatore sta per fare la conoscenza di un universo inesplorato, anch’egli sta per prendere parte a un «gioco» (così Joe definirà, verso la fine del secondo volume, il tentativo di dare un titolo a ogni capitolo del suo racconto), anch’egli insomma, dopo avere abboccato all’amo, ignaro ma sempre più affascinato, si prepara ad affrontare un viaggio nell’ultimo capitolo di quel percorso che insieme a Antichrist e Melancholia costituisce la Trilogia della depressione. Ma solo nel momento in cui questo viaggio si configura come un denso racconto-confessione dell’intera vita della sua narratrice – una sorta di Recherche in cui però, a differenza del romanzo proustiano, sono soprattutto le immagini e non gli odori ad innestare il ricordo, – e quindi solo dopo aver stabilito i ruoli dei due protagonisti, la discesa nell’universo Lars Von Trier può avere inizio.

    Le due parti in un primo momento sembrano chiare: Joe è il narratore/pescatore che governa le redini del dialogo e ne stabilisce le condizioni («partirò dall’inizio ma sarà un racconto lungo e forse ci sarà una morale»), Seligman l’interlocutore/preda desideroso di conoscere i segreti di una ninfomane, il pescatore pescato e caduto con tacita soddisfazione nella rete di Lars Von Trier, sedotto quanto lo spettatore dalle molteplici maschere sotto cui il film si nasconde e tramite cui si rivela al tempo stesso. Tra i due viene dunque stipulato un accordo che subordina inevitabilmente una delle due parti all’altra sulla base di una ricompensa-esca – non a caso il titolo del primo capitolo è Il pescatore perfetto. Si potrebbe pensare che il film sia destinato a procedere in un unico senso, sul filo di una arbitraria gerarchia

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