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A Milano si muore così
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A Milano si muore così
E-book518 pagine7 ore

A Milano si muore così

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Info su questo ebook

Per le vie di Milano si aggira una belva scatenata, tale “Nicu ‘U Buccèri”, un killer professionista che la gente di malavita considera un “cane sciolto” della ‘Ndrangheta. In realtà ”’U Buccèri” ha un compito preciso e per portarlo a termine non si preoccupa del numero di cadaveri che si lascia alle spalle. ‘U Buccèri è furbo ed estremamente pericoloso. Eppure, nonostante si guardi costantemente le spalle, non si accorge di essere seguito da una strana figura femminile che arriva dritta dal suo passato e vuole vendetta. Assegnato alle indagini su quella che ha i contorni della strage familiare, il commissario Vincenzo Marino della Mobile di Milano si trova ben presto al centro di un intrigo che sa di criminalità organizzata. Circondato dall’ostilità dei colleghi, è costretto a muoversi su un terreno reso insidioso dall’inspiegabile immobilismo del magistrato inquirente e soprattutto dal sospetto, niente affatto campato per aria, che nella sua Divisione, nella sua stessa squadra, siano infiltrati fiancheggiatori delle organizzazioni criminali: “talpe” che, dall’interno delle Istituzioni, si adoperano per favorire i traffici della Mafia più potente di tutte, la ’Ndrangheta. A poco a poco, fra abbagli, depistaggi e lotte sotterranee fra le procure che vorrebbero assicurarsi la titolarità delle indagini, tutte le tessere del puzzle vanno a posto disegnando il terrificante arazzo di una Milano segreta in cui si intrecciano affari sporchi, massoneria mafiosa, omicidi su commissione e complicità insospettabili...
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2013
ISBN9788875639419
A Milano si muore così

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    Anteprima del libro

    A Milano si muore così - Adele Marini

    Avvertenza

    Questo non è un libro d’inchiesta sulla malavita organizzata, ma un paradigma degli effetti nefasti che produce infiltrandosi nella società civile e nelle istituzioni. Di fatto appartiene al genere non fiction novel e, in quanto tale, dalla cronaca trae ispirazione per elaborarne i fatti e piegarli alla logica narrativa mentre la ricostruzione della realtà socioculturale in cui prosperano le organizzazioni criminali, la descrizione del loro ambiente, dei modus operandi, la loro storia e perfino l’utilizzo nei dialoghi del linguaggio criptico dei mafiosi, là dove sono funzionali alle vicende narrate, sono tratti da notizie riportate dalla stampa e soprattutto da atti giudiziari ormai pubblici e da relazioni ufficiali della Commissione parlamentare antimafia. Quindi non intendono portare alla luce altra verità se non quella ormai acclarata dalle inchieste ma poco conosciuta dai cittadini. Tuttavia, anche se la verosimiglianza potrebbe talvolta riportare alla cronaca, i fatti narrati all’interno della trama e i personaggi non hanno, nello specifico, alcun riscontro con la realtà e ogni riferimento a persone reali è da ritenersi puramente casuale.

    A.M.

    Dedico questo libro a Libera associazione nomi e numeri contro le mafie.

    E alle vittime della violenza mafiosa: magistrati, uomini e donne delle forze di polizia, giornalisti, politici, testimoni di giustizia, persone comuni di tutte le età. Affinché i loro nomi rimbalzino di lapide in lapide, di libro in libro, di bocca in bocca, di piazza in piazza, per diventare patrimonio di una memoria sempre più condivisa.

    EMANUELE NOTARBARTOLO. EMANUELA SANSONE. LUCIANO NICOLETTI. ANDREA ORLANDO. JOE PETROSÌNO. LORENZO PANEPINTO. MARIANO BARBATO. GIORGIO PECORARO. BERNARDINO VERRO. GIORGIO GENNARO. GIOVANNI ZANGÀRA. COSTANTINO STELLA GIUSEPPE RUMORE GIUSEPPE MONTICCIOLO. ALFONSO CÀNZIO NICOLÒ ALONGI PAOLO LI PUMA. CROCE DI GANGI PAOLO MIRMINA GIOVANNI ORCEL STEFANO CARONÌA. PIETRO PONZO. VITO STASSI. GIUSEPPE CASSARÀ. VITO CASSARÀ. GIUSEPPE COMPAGNA. DOMENICO SPATOLA. MARIO SPATOLA. PIETRO SPATOLA. PAOLO SPATOLA. SEBASTIANO BONFIGLIO. ANTONINO SCUDERI. ANTONINO CIOLÌNO. SANTI MILISENNA. ANDREA RAJA. CALOGERO COMAIANNI. NUNZIO PASSAFIUME. FILIPPO SCIMONE. CALCEDONIO CATALANO. AGOSTINO D’ALESSANDRO. CALOGERO CICERO. FEDELE DE FRANCISCA. MICHELE DI MICELI. MARIO PAOLETTI. ROSARIO PAGANO. GIUSEPPE SCALÌA. GIUSEPPE PUNTARELLO. ANGELO LOMBARDI. VITTORIO EPIFANI. VITANGELO CINQUEPALMI. IMERIO PICCINI. ANTONINO GUARISCO. MARINA SPINELLI. GIUSEPPE MÌSURACA. MARIO MÌSURACA. GAETANO GUARINO. PINO CAMILLERI. GIOVANNI CASTIGLIONE. GIROLAMO CACCIA. GIUSEPPE BIONDO. GIOVANNI SANTANGELO. GIUSEPPE SANTANGELO. VINCENZO SANTANGELO. GIOVANNI SEVERINO. PAOLO FARINA. NICOLÒ AZOTI. FIORENTINO BONFIGLIO. MARIO BOSCONE. FRANCESCO SASSANO. EMANUELE GRECO. MARIO SPAMPINATO. MARIO LA BROCCA. VINCENZO AMENDUNI. VITTORIO LEVICO. ACCURSIO MIRAGLIA. PIETRO MACCHIARELLA. NUNZIO SANSONE. EMANUELE BUSELLINI. MARGHERITA CLESCERI. GIOVANNI GRIFÒ. GIORGIO CUSENZA. CASTRENSE INTRAVÀIA. VINCENZA LA FATA. SERAFINO LASCÀRI. GIOVANNI MEGNA. FRANCESCO VICARI. VITO ALLOTTA. GIUSEPPE DI MAGGIO. FILIPPO DI SALVO. VINCENZO LA ROCCA. VINCENZA SPINA. PROVVIDENZA GRECO. MICHELANGELO SALVIA. GIUSEPPE CASÀRRUBEA VINCENZO LO IACONO. GIUSEPPE MANÌACI. CALOGERO CAJOLA. VITO PIPITONE. LUIGI GERONAZZO. EPIFANIO LI PUMA. PLACIDO RIZZOTTO. GIUSEPPE LETIZIA. CALOGERO CANGELOSI. MARCANTONIO GIACALONE. ANTONIO GIACALONE. ANTONIO DI SALVO. NICOLA MESSINA. CELESTINO ZAPPONI. GIOVANNI TASQUIER. CARLO GULINO. FRANCESCO GULINO. CANDELORO CATANESE. MICHELE MARINARO. CARMELO AGNONE. QUINTO REDA. CARMELO LENTINI. PASQUALE MARCONE. ARMANDO LODDO. SERGIO MANCINI. CARLO ANTONIO PABUSA. GABRIELE PALANDRANI. GIOVAN BATTISTA ALOE. ILARIO RUSSO. GIOVANNI CALABRESE. GIUSEPPE FIORENZA. SALVATORE MESSINA. FRANCESCO BUTIFAR. ANTONIO SANGINITI. FILIPPO INTILE. SALVATORE CARNEVALE. GIUSEPPE SPAGNUOLO. PASQUALE ALMERICO. ANTONINO POLLARI. VINCENZO DI SALVO. VINCENZO SAVOCA. ANNA PRESTIGIACOMO. GIUSEPPINA SAVOCA. VINCENZO PECORARO. ANTONINO PECORARO. ANTONINO DAMANTI. COSIMO CRISTINA. PAOLO BONGIORNO. ANTONINO GIANNOLA. PAOLINO RICCOBONO. GIACINTO PULEO. ENRICO MATTEI. GIUSEPPE TESAURO. PIETRO CANNIZZARO. MARIO MALAUSA. SILVIO CORRAO. CALOGERO VACCARO. PASQUALE NUCCIO. EUGENIO ALTOMARE. GIORGIO CIACCI. MARINO FARDELLI. CARMELO BATTAGLIA. GIUSEPPE PIANI. NICOLA MIGNOGNA. FRANCESCO PIGNATARO. GIUSEPPE BURGIO. SALVATORE SUROLO. ORAZIO COSTANTINO. GIOVANNI DOMÉ. MAURO DE MAURO. PIETRO SCAGLIONE. ANTONINO LORUSSO. VINCENZO RICCARDELLI. GIOVANNI SPAMPINATO. GIOVANNI VENTRA. DOMENICO CANNATA. PAOLO DI MAIO. ANGELO SORINO. EMANUELE RIBOLI. CALOGERO MORREALE. GAETANO CAPPIELLO. FRANCESCO FERLAINO. DOMENICO FACCHINERI. FRANCESCO FACCHINERI. TULLIO DE MICHELI. GERARDO D’ARMINIO. GIUSEPPE MUSCARELLI. CATERINA LIBERTI. SALVATORE FALCETTA. CARMINE APUZZO. SALVATORE LONGO. SALVATORE BUSCEMI. FRANCESCO VINCI. MARIO CERETTO. ALBERTO CAPUA. VINCENZO RANIERI. VINCENZO MACRÌ. FORTUNATO FURORE. ROCCO GATTO. STEFANO CONDELLO. VINCENZO CARUSO. PASQUALE POLVERINO ANTONIO CUSTRA. GIUSEPPE RUSSO. FILIPPO COSTA. ATTILIO BONINCONTRO. DONALD MACKAY. MARIANGELA PASSIATORE. UGO TRIOLO. GIUSEPPE IMPASTATO. ANTONIO ESPOSITO FERRAIOLI. SALVATORE CASTELBUONO. GAETANO LONGO. PAOLO GIORGETTI. PASQUALE CAPPUCCIO. ALFONSO SGROI. FILADELFIO APARO. MARIO FRANCESE. MICHELE REINA. GIORGIO AMBROSOLI. BORIS GIULIANO. CALOGERO DI BONA. CESARE TERRANOVA. LENIN MANCUSO. GIOVANNI BELLISSIMA. SALVATORE BOLOGNA. DOMENICO MARRARA. VINCENZO RUSSO. GIULIANO GIORGIO. LORENZO BRUNETTI. ANTONINO TRIPODO. ROCCO GIUSEPPE BARILLÀ. CARMELO DI GIORGIO. PRIMO PERDONCINI. PIERSANTI MATTARELLA. GIUSEPPE VALARIOTI. EMANUELE BASILE. GIANNINO LOSARDO. PIETRO CERULLI. GAETANO COSTA. CARMELO JANNÌ. DOMENICO BENEVENTANO. MARCELLO TORRE. VINCENZO ABATE. GIUSEPPE GIOVINAZZO. CIRO ROSSETTI. FILOMENA MORLANDO. BRUNO VINCI. VITO IEVOLELLA. SEBASTIANO BOSIO. LEOPOLDO GASSANI. GIUSEPPE GRIMALDI. VINCENZO MULÈ. DOMENICO FRANCAVILLA. MARIANO VIRONE. ANGELO DI BARTOLO. GIUSEPPE SALVIA. MARIANO MELLONE. FRANCESCO BORRELLI. LUIGI D’ALESSIO. ROSA VISONE. SALVATORE STALLONE. ANTONIO FONTANA. NICOLÒ PIOMBINO. ANTONIO SALZANO. PIO LA TORRE. ROSARIO DI SALVO. GENNARO MUSELLA. GIUSEPPE LALA. DOMENICO VECCHIO. RODOLFO BUSCEMI. MATTEO RIZZUTO. SILVANO FRANZOLIN. SALVATORE RAITI. GIUSEPPE DI LAVORE. ANTONINO BURRAFATO. SALVATORE NUVOLETTA. ANTONIO AMMATURO. PASQUALE PAOLA. PAOLO GIACCONE. VINCENZO SPINELLI. CARLO ALBERTO DALLA CHIESA. 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MARIO FERRILLO. SALVATORE LEDDA. GIOVANNI GARCEA. GIUSEPPE RECHICHI. ROSARIO IOZIA. GIUSEPPE CUTRONEO. ROSARIO MONTALTO. SEBASTIANO MORABITO. ANTONIO CIVININI. CARMELO IANNÒ. CARMELO GANCI. LUCIANO PIGNATELLI. GIOVANNI DI BENEDETTO. COSIMO ALEO ANIELLO GIORDANO. MICHELE PIROMALLI. GIUSEPPE INSALACO. GIUSEPPE MONTALBANO. NATALE MONDO. DONATO BOSCIA. FRANCESCO MEGNA. ALBERTO GIACOMELLI. ANTONINO SAETTA. STEFANO SAETTA. MAURO ROSTAGNO. LUIGI RANIERI. CARMELO ZACCARELLO. GIROLAMO MARINO. ANIELLO CORDASCO. GIULIO CAPILLI. PIETRO RAGNO. ABED MANYAMI. RAFFAELE ANTONIO TALARICO. MICHELE VIRGA. FRANCESCO RISOPULLI. GIUSEPPE CARUSO. FRANCESCO PEPI. MARCELLA TASSONE. NICOLA D’ANTRASSI. VINCENZO GRASSO. PAOLO VINCI. SALVATORE INCARDONA. ANTONINO AGOSTINO. IDA CASTELLUCCI. GRAZIA SCIMÈ. DOMENICO CALVIELLO. ANNA MARIA CAMBRIA. CARMELA PANNONE. PIETRO GIRO. DONATO CAPPETTA. CALOGERO LORIA. FRANCESCO LONGO. GIOVANBATTISTA TEDESCO. COLIN WINCHESTER. GIACOMO CATALANO. GIUSEPPE GIOVINAZZO. PIETRO POLARA. NICOLINA BISCOZZI. GIUSEPPE TALLARITA. PASQUALE PRIMERANO. PASQUALE MIELE. GIUSEPPE TIZIAN. JERRY ESSAN MASSLO. NICOLA GIOITTA IACHINO. EMANUELE PIAZZA. GIUSEPPE TRAGNA. MASSIMO RIZZI. GIOVANNI BONSIGNORE. ANTONIO MARINO. ROSARIO LIVATINO. ALESSANDRO ROVETTA. FRANCESCO VECCHIO. ANDREA BONFORTE. GIOVANNI TRECROCI. SAVERIO PURITA. ANGELO CARBOTTI. DOMENICO CATALANO. MARIA MARCELLA. VINCENZO MICELI. ELISABETTA GAGLIARDI. GIUSEPPE ORLANDO. MICHELE ARCANGELO TRIPODI. PIETRO CARUSO. NUNZIO PANDOLFI. ARTURO CAPUTO. ROBERTO TICLI. MARIO GRECO. ROSARIO SCIACCA. GIUSEPPE MARNALO. FRANCESCO OLIVIERO. COSIMO DISTANTE. ANGELO RAFFAELE LONGO. CATALDO D’IPPOLITO. RAFFAELA SCORDO. CALOGERO LA PIANA. EMILIO TACCARITA. ANTONIO NUGNES. PASQUALE FELICIELLO. MARCO TEDESCHI. VALENTINA GUARINO. ANGELICA PIRTOLI. GIUSEPPE SCEUSA. SALVATORE SCEUSA. VINCENZO LEONARDI. ANTONIO CARLO CORDOPATRI. ANGELO RICCARDO. DEMETRIO QUATTRONE. ANDREA SAVOCA. DOMENICO RANDÒ. SANDRA STRANIERI. ANTONIO SCOPELLITI. LIBERO GRASSI. FABIO DE PANDI. GIUSEPPE ALIOTTO. ANTONIO RAMPINO. SILVANA FOGLIETTA. SALVATORE D’ADDARIO. RENATO LIO. GIUSEPPE LEONE. FRANCESCO TRAMONTE. PASQUALE CRISTIANO. STEFANO SIRAGUSA. ALBERTO VARONE. FELICE DARA. VINCENZO SALVATORI. SERAFINO OGLIASTRO. VITO PROVENZANO. GIUSEPPE GRIMALDI. SALVATORE TIENI. NICOLA GUERRIERO. GIUSEPPE SORRENTI. ANTONIO VALENTE. NUNZIANTE SCIBELLI. VINCENZO GIORDANO. SALVATORE VINCENZO SURDO. GASPARE PALMIERI. IGNAZIO ALOISI. ONOFRIO ADDESI. FRANCESCO AUGURUSA. SALVATORE AVERSA. LUCIA PRECENZANO. PAOLO BORSELLINO. ANTONIO RUSSO. ANTONIO SPARTÀ. SALVATORE SPARTÀ. VINCENZO SPARTÀ. FORTUNATO ARENA. CLAUDIO PEZZUTO. SALVATORE MINEO. ALFREDO AGOSTA. GIULIANO GUAZZELLI. GIOVANNI FALCONE. FRANCESCA MORVILLO. ROCCO DI CILLO. ANTONIO MONTINARO. VITO SCHIFANI. PAOLO BORSELLINO. AGOSTINO CATALANO. EDDIE WALTER COSINA. EMANUELA LOI. VINCENZO LI MULI. CLAUDIO TRAÌNA. RITA ÀTRIA. PAOLO FICALÒRA. LUIGI SÀPIO. EGIDIO CAMPANIELLO. GIORGIO VILLÀN. PASQUALE DI LORENZO. GIOVANNI PANUNZIO. GAETANO GIORDANO. GIUSEPPE BORSELLINO. SAVERIO CIRRINCIONE. ANTONIO TAMBORINO. MAURO MANIGLIO. RAFFAELE VITIELLO. EMANUELE SAÙNA. ANTONINO SIRAGUSA. LUCIO STIFANI. GIOVANNI LIZZIO. ANTONIO DI BONA. BEPPE ALFANO. ADOLFO CARTISANO. PASQUALE CAMPANELLO. VINCENZO D’ANNA. VINCENZO VITALE. GENNARO FALCO. NICOLA REMONDINO. DOMENICO NICOLÒ PANDOLFO. MAURIZIO ESTATE. FABRIZIO NENCIONI. ANGELA FIUME. NADIA NENCIONI. CATERINA NENCIONI. DARIO CAPOLICCHIO. CARLO LA CATENA. STEFANO PICERNO. SERGIO PASOTTO. ALESSANDRO FERRARI. MOUSSAFIR DRISS. DON GIUSEPPE PUGLISI. RAFFAELE DI MERCURIO. ANDREA CASTELLI. ANGELO CARLISI. RICCARDO VOLPE. ANTONINO VASSALLO. FRANCESCO NAZZARO. LORIS GIAZZON. GIORGIO VANOLI. GIOVANNI MILETO. LUIGI IANNOTTA. VINCENZO GAROFALO. ANTONINO FAVA. DON GIUSEPPE DIANA. ILARIA ALPI. MIRAN HROVATIN. ENRICO INCOGNITO. LUIGI BODENZA. IGNAZIO PANEPINTO. MARIA TERESA PUGLIESE. GIOVANNI SIMONETTI. SALVATORE BENNICI. CALOGERO PANEPINTO. FRANCESCO MANISCALCO. NICHOLAS GREEN. MELCHIORRE GALLO. GIUSEPPE RUSSO. COSIMO FABIO MAZZOLA. GIROLAMO PALAZZOLO. LEONARDO CANCIARI. LILIANA CARUSO. AGATA ZUCCHERO. LEONARDO SANTORO. PALMINA SCAMARDELLA. ANTONIO NOVELLA..FRANCESCO ALOI. FRANCESCO BRUNO. ANGELO CALABRÒ. SAVERIO LIARDO. FRANCESCO BRUGNANO. GIUSEPPE DI MATTEO. FRANCESCO MARCONE. SERAFINO FAMÀ. GIOACCHINO COSTANZO. PETER IWULE ONJEDEKE. FORTUNATO CORREALE. ANTONINO BUSCEMI. GIUSEPPE MONTALTO. GIUSEPPE CILIA. GIUSEPPE GIAMMONE. GIOVANNI CARBONE. CLAUDIO MANCO. ANTONIO BRANDI. ANTONIO MONTALTO. EPIFANIA COCCHIARA. GIAMMATTEO SOLE. GENOVESE PAGLIUCA. PIETRO SANUA. PIERANTONIO SANDRI. GIUSEPPE GIAMMONA. GIOVANNA GIAMMONA. FRANCESCO SAPORITO. FRANCESCO TAMMONE. GIUSEPPE PUGLISI. ANNA MARIA TORNO. GIOVANNI ATTARDO. DAVIDE SANNINO. SANTA PUGLISI. SALVATORE BOTTA. SALVATORE FRAZZETTO. GIACOMO FRAZZETTO. MARIA ANTONIETTA SAVONA. RICCARDO SALERNO. GIOACCHINO BISCEGLIA. ROSARIO MINISTERI. CALOGERO TRAMÙTA. PASQUALE SALVATORE MAGRÌ. CELESTINO FAVA. ANTONINO MOIO. RAFFAELE PASTORE. GIUSEPPE LA FRANCA. CIRO ZIRPOLI. GIULIO CASTELLINO. AGATA AZZOLINA. RAFFAELLA LUPOLI. SILVIA RUOTOLO. ANGELO BRUNO. LUIGI CANGIANO. FRANCESCO MARZANO. ANDREA DI MARCO. VINCENZO ARATO. INCORONATA SOLLAZZO. MARIA INCORONATA RAMELLA. ERILDA ZTAUSCI. ENRICO CHIARENZA. SALVATORE DE FALCO. ROSARIO FLAMINIO. ALBERTO VALLEFUOCO. GIUSEPPINA GUERRIERO. LUIGI IOCULANO. DOMENICO GERACI. ANTONIO CONDELLO. MARIA ANGELA ANSALONE. GIUSEPPE MARIA BÌCCHERI. GIUSEPPE MESSINA. GRAZIANO MUNTONI. GIOVANNI GARGIULO. GIOVANNI VOLPE. GIUSEPPE RADICIA. ORAZIO SCIASCIO. GIUSEPPE IACONA. DAVIDE LADINI. SAVERIO IERACE. ANTONIO FERRARA. GIUSEPPE MARIA BICCHERI. SALVATORE OTTONE. EMANUELE NOBILE. ROSARIO SALERNO. STEFANO POMPEO. FILIPPO BASILE. HISO TELARAY. MATTEO DI CANDIA. VINCENZO VACCARO NOTTE. LUIGI PULLI. RAFFAELE ARNESANO. RODOLFO PATERA. ENNIO PETROSINO. ROSA ZAZA. ANNA PACE. MARCO DE FRANCHIS. FRANCESCO SALVO. ANTONIO LIPPIELLO. SALVATORE VACCARO NOTTE. ANTONIO SOTTILE. ALBERTO DE FALCO. FERDINANDO CHIAROTTI. FRANCESCO SCERBO. GIUSEPPE GRANDOLFO. DOMENICO STANISCI. DOMENICO GULLACI. MARIA COLANGIULI. HAMDI LALA. GAETANO DE ROSA. SAVERIO CATALDO. DANIELE ZOCCOLA. SALVATORE DE ROSA. GIUSEPPE FALANGA. LUIGI SEQUINO. PAOLO CASTALDI. GIANFRANCO MADIA. VALENTINA TERRACCIANO. RAFFAELE IORIO. FERDINANDO LIGUORI. GIUSEPPE ZIZOLFI. TINA MOTOC. MICHELE FAZIO. CARMELO BENVEGNA. STEFANO CIARAMELLA. FEDERICO DEL PRETE. TORQUATO CIRIACO. MAURIZIO D’ELIA. HUSAN BALIKÇI. DOMENICO PACILIO. GAETANO MARCHITELLI. CLAUDIO TAGLIALATELA. PAOLINO AVELLA. MICHELE AMICO. GIUSEPPE ROVESCIO. BONIFACIO TILOCCA. ANNALISA DURANTE. STEFANO BIONDI. PAOLO RODÀ. GELSOMINA VERDE. DARIO SCHERILLO. MATILDE SORRENTINO. FRANCESCO ESTATICO. FABIO NUNNERI. MASSIMILIANO CARBONE. ANTONIO LANDIERI. FRANCESCO GRAZIANO. ANTONIO MAIORANO. ATTILIO MANCA. FRANCESCO ROSSI. ATTILIO ROMANÒ. FRANCESCO FORTUGNO. GIUSEPPE RICCIO. DANIELE POLIMENI. 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    [...] Y la muerte se sintió

    orgullosa de tenerles.

    (Miguel Hernández, Llamo a la juventud)

    Aprile 2006

    Vigilia di Pasqua: Il macellaio

    Era la prima volta che veniva ammesso a un vertice di quella importanza. Una riunione plenaria delle Locali in un punto imprecisato della periferia sud di Milano. Un privilegio che avrebbe potuto costargli la vita se qualcuno fra i convocati avesse avuto la sensazione di essere osservato un po’ più di quel che consentiva la creanza. Su questo punto mastro Pinu, che l’aveva cresciuto, era sempre stato intransigente.

    «Ninni’, arricchia mm’u! Testa alta e occhi bassi, fai la vita a grandi passi".

    Glielo ripeteva ogni volta che capitava l’occasione e di solito aggiungeva il secondo comandamento: nari ‘u viniri ninti t’hai da pirdiri.

    Sacrosantamente vero. Ne aveva visti tanti, mastro Pinu, finire al camposanto solo per essersi soffermati un istante di troppo sulla faccia sbagliata. A scanso d’incidenti aveva inchiodato in testa al ragazzo diverse regole prima di battezzarlo picciotto d’onore.

    Doveva stare muto, sempre. E confondersi con l’ambiente mentre teneva occhi e orecchi ben aperti per osservare, ascoltare, imparare.

    Nomi, facce e circostanze. Luoghi e date. Amicizie e inimicizie. Alleanze e parentele. A chi incontrava chi e a chi ce l’aveva con chi. Chi faceva favori a chi e chi era protetto da chi. Ogni santa cosa doveva essere scolpita nella memoria. Ma senza darlo a vedere. Senza mostrare interesse. Per questo Ninni’ stava sempre con gli occhiali a specchio saldati alla faccia. Sole o pioggia, luce o buio, interno o esterno, lui non se li levava mai.

    Il luogo d’u summitti era stato scelto diversi giorni prima e consacrato con il rito di ‘ndrangheta. L’edificio era un’ex balera di campagna riciclata negli anni Settanta in un centro di aggregazione sociale conosciuto come Circolo del Tressette. L’ambiente non era mai stato elegante ma dopo decenni di semiabbandono era un posto triste e vuoto come una fabbrica dismessa situata nel cuore dello squallore. Però offriva diversi vantaggi. Anzitutto aveva un salone molto ampio nel quale un tempo si ballava, con finestre su due lati dalle quali si aveva una discreta visuale sugli orti e sul viale di accesso. Poi, l’edificio si trovava a pochi minuti di auto da una cittadina della cintura milanese tutta rotonde, svincoli e condomini che proprio per la sua topografia offriva rapide vie di fuga. E infine il fabbricato sorgeva al centro di un vasto appezzamento incolto, difficile da raggiungere se non si sapeva dove svoltare. Un deserto urbano così piatto e pelato che un intruso lo si sarebbe avvistato a chilometri di distanza.

    L’edificio, un cubo di cemento simile a un piccolo capannone industriale, in estate era poco visibile dalla strada essendo nascosto dalle fronde degli alberi di fico selvatico, da matasse spinose e ciuffi di robinie cresciute con disordinata spontaneità. Quell’anno la primavera si faceva desiderare e i rami ancora spogli non offrivano alcuna protezione, in compenso era impossibile avvicinarsi senza essere visti.

    Un gran brutto posto.

    Svoltando nella sterrata Ninni’, che di nome vero faceva Nicola, vide una fila di auto parcheggiate sul ciglio. Era presto ma i convocati avevano l’abitudine di arrivare in anticipo per studiare il posto e controllare chi c’era e chi non c’era. Perché il timore delle imboscate non calava mai.

    Rallentò fin quasi a fermarsi. Stava guardandosi attorno per cercare il viottolo in cui immettersi per arrivare più vicino possibile alla meta, quando sentì bussare al finestrino. Un ragazzo gli fece segno di abbassare il vetro.

    «Laggiù c’è posto. I telefonini lasciateli in macchina».

    «È lontano? Don Pinu fatica a camminare».

    «Vi accompagno col Suv».

    Ninni’ cercò l’assenso del boss attraverso il retrovisore poi fece come gli era stato comandato. Parcheggiò, scese e andò ad aiutare mastro Pinu che, oltretutto, era impacciato dalla grossa bombola di ossigeno che si portava dappertutto perché l’enfisema non gli dava tregua. Mentre raggiungevano il Suv e si accomodavano dietro, si concesse un’occhiata a campo lungo che gli permise di scorgere gli uomini seduti dentro le vetture parcheggiate.

    Autisti dei boss. Guardie del corpo. Sentinelle.

    Il Suv si inoltrò in un gomitolo di strade sterrate. Ninni’, seduto dietro, conosceva il percorso ma badò a tenersi sempre fuori dalla visuale del retrovisore e a non mostrare curiosità. Era evidente che chi aveva organizzato il summit voleva che il posto restasse segreto.

    Dopo una serie interminabile di svolte in viottoli che sembravano tutti uguali, arrivarono in vista della brutta palazzina a due piani con l’intonaco, un tempo giallo, tutto chiazzato da scrostature e macchie di umidità. L’edificio era circondato da una larga striscia di terreno incolto, pieno di attrezzi agricoli in disuso, rottami d’auto, copertoni. Il Suv superò due pilastri di cemento e imboccò il corto viale fermandosi in uno slargo, a pochi passi dall’ingresso.

    Arrivati.

    Senza dire una parola l’autista scese, fece il giro dell’auto e aprì la portiera a mastro Pinu. Ninni’, rapido, gli si pose davanti per sorreggerlo e sistemare la bombola dell’ossigeno sul carrellino, poi il Suv fece inversione e partì sollevando polvere.

    Sforzandosi di adeguare il passo a quello del boss, Ninni’ assunse un’espressione impenetrabile badando a non mostrarsi schifato dal sudiciume e dalla puzza di fogna che arrivava da un canale che scorreva lì attorno.

    Davanti all’ingresso stazionavano due ragazzi sui vent’anni. Fianchi al muro, sembravano immersi in una conversazione svagata ma appena mastro Pinu posò il piede sul gradino di accesso, gli furono accanto. Uno per lato.

    «È una festa privata» disse il primo.

    «Non si può entrare», aggiunse il secondo.

    «Siamo compari d’anello di... » il boss fece tre nomi che Ninni’ non aveva mai sentito. «Senza di noi la festa nun si tini».

    «Tutti e due?».

    Il boss sollevò appena un sopracciglio.

    «E che è ‘sta novità? Anche Ninni’ tiene i suoi compari, ma adesso sta con me».

    «Entrate».

    Ninni’ sollevò il carrello dell’ossigeno per superare il gradino dopo il boss, ben consapevole dell’importanza di essere l’unica persona sulla terra a cui fosse consentito di camminargli alle spalle.

    Il Circolo del Tressette non era un posto qualunque. Dietro il fabbricato, a perdita d’occhio, si estendevano gli Orti con la O maiuscola.

    Gli Orti erano appezzamenti di terreno pieni di sterpaglie fra cui si intravedevano vecchi sostegni per le piante di pomodoro. Girava voce che a partire dagli anni Sessanta e fino ai Novanta fossero stati una specie di enclave per i calabresi al confino. E non poteva essere altrimenti visto che sul suolo era stata sparsa la sacra terra natia, fatta venire con i camion dalla Locride. Gli Orti, dunque, erano un pezzetto di Calabria in Lombardia, santificato da una santella con dentro una Madonna col bambino. Non una Madonna qualsiasi, ma La Madonna, ovvero una riproduzione della Vergine della montagna venerata nel santuario di Polsi, sull’Aspromonte.

    Per decenni quei lotti di terreno comunale più che fornire verdure e meloni erano serviti ai capi delle ‘ndrine costretti al soggiorno obbligato come location per le loro riunioni. In quelle occasioni, con la scusa di battesimi e cresime, vi allestivano grandi barbecue. Feste in famiglia nel corso delle quali, fra una costina di agnello alla brace e un panino col salame, gli uomini d’onore si appartavano per decidere dove aprire nuove piazze di spaccio per la droga che acquistavano a quintali dai trafficanti turchi e colombiani.

    A partire dagli anni Novanta, quando i soldi dello spaccio erano ormai montagne e per lavarli niente era meglio degli appalti, gli Orti erano stati abbandonati perché i nuovi boss avevano cominciato a preferire luoghi più confortevoli per i summit: alberghi, pizzerie affittate per l’occasione, circoli Arci e perfino sale parrocchiali.

    Anni di abbandono alle sterpaglie poi, quando si era diffusa la paura delle intercettazioni, gli Orti erano tornati gloriosamente in auge. Lì dove era impossibile piazzare microspie, si erano tenute riunioni nel corso delle quali si era deciso chi mandare nei consigli comunali, chi in parlamento e chi spedire al camposanto.

    Quel sabato di aprile, vigilia di Pasqua, il cielo era sereno ma l’aria era fredda e tanto umida che nel tardo pomeriggio, ora dell’appuntamento, sarebbe stato impensabile stare all’aperto. Entrando nel salone dietro a mastro Pinu, Ninni’ vide che diversi convocati erano già presenti. Una rapida occhiata schermata dalle lenti gli confermò che gli accompagnatori, affiliati e non affiliati, autisti e guardie del corpo, erano rimasti fuori, nel parcheggio. I presenti erano tutti mafiosi di rango. Capi delle ‘ndrine distaccate e capi delle Locali del Nord. Tutti membri della Società Maggiore, con doti elevate. A lui soltanto, semplice picciotto della Società Minore, era stato concesso di accedere a quel luogo sacro e di trattenervisi fino alla fine. Un segno speciale di rispetto verso il suo boss che aveva la dote più elevata di tutte: santista o anche vangelista. Ninni’ non era sicuro perché quelle doti erano segrete.

    Mastro Pinu era troppo anziano e malmesso per spingere da sé il carrello con la bombola dell’ossigeno. Ninni’ era stato ammesso alla riunione per aiutarlo però, guardandosi attorno, si gonfiò di orgoglio: era chiaramente un segno di apprezzamento per la sua fedeltà al boss e per la ferocia che gli aveva fatto guadagnare un soprannome di rispetto. Nell’organizzazione lui era Nicu’ ‘U Buccèri. Nicola il Macellaio.

    L’inizio dei lavori d’u summitti fu preceduto dai rituali. Si iniziò con la puliciata. I convenuti risposero in coro alle domande che venivano suggerite dal mastro di giornata. Un tipo che Ninni’ conosceva di vista perché girava spesso attorno a don Pinu e nelle occasioni ufficiali gli faceva da portavoce.

    «Buon Vespero state conformi a sequestrare queste armature?».

    «Siamo conformi».

    «Se prima mi riconoscevo per un mastro di giornata da questo momento mi conoscete per un poliziotto d’omertà che fa il suo dovere. Chi ha armature nuove che le tirasse fuori».

    L’uomo fece il giro dei presenti con un cesto per ritirare le armi.

    Spuntarono un paio di pistole e vari coltelli.

    Mastro di giornata: «Ora che sono sequestrate qualsiasi armature, guai a chi trovo specchi, coltelli e rasoi: verrà praticato con due e tre zaccagnate nella schiena, come è prescritto dalla regola sociale. Io con una mano mi ribasso e con un’altra vi passo le pulci».

    La puliciata era solo un rito. Nicola non mosse un muscolo. Non era armato ma negli slip, fermato con una fascetta elastica e raggiungibile attraverso la tasca sinistra, teneva il micidiale coltellino a molletta affilato come un rasoio. Se glielo avessero trovato avrebbe dovuto fare onore al suo soprannome direttamente lì e difficilmente l’avrebbe scampata.

    Poi venne la formazione di Società. Mastro Pinu designò con un cenno colui che l’avrebbe presieduta. L’uomo uscì dalla schiera dei convenuti disposti in semicerchio ponendosi di fronte. Nicola riconobbe il Contabile della sua copiata. Doveva essere arrivato direttamente dalla Locride. Rabbrividì di eccitazione. Summitti di quella importanza si tenevano solo per prendere decisioni di eccezionale gravità. Guerre, alleanze internazionali, traffici su scala planetaria.

    Si aggiustò gli occhiali sulla faccia.

    Il silenzio, nel salone, era rotto solo dal respiro sibilante di Mastro Pinu.

    Il capo società sollevò una mano col palmo rivolto verso i presenti e dette il via al rituale.

    capo società: «Buon vespero».

    Tutti meno Ninni’ che era un semplice osservatore: «Buon vespero».

    capo società: «Siete conformi?».

    Tutti: «Siamo conformi».

    capo società: «Su che cosa?».

    Tutti: «Sulle regole di società».

    capo società: «Allora, nel nome dell’arcangelo Gabriele e di Sant’Elisabetta, io dico che circolo di Società è formato. Ciò che si dice in questo circolo a forma di ferro di cavallo, qua si dice e qua rimane, chi parla fuori da questo luogo è dichiarato tragediatore a suo carico e a discarico di questa società».

    I convenuti a quel punto si sarebbero dovuti reciprocamente baciare ma per Mastro Pinu era penoso aspettare in piedi. A un cenno del Capo società quel passaggio fu saltato e i convenuti andarono a prendere le seggiole pieghevoli che arrivando avevano appoggiato alle pareti. Se ne trovò una anche per il vecchio boss che lanciò un’occhiataccia a Nicola perché se l’era scordata. Sedettero. Tutti a braccia conserte, talloni uniti e ginocchia divaricate, posizione che avrebbero dovuto mantenere per l’intera durata del summit.

    Esaurito il cerimoniale, il capo società prese di nuovo la parola.

    «Vi ringrazio e vi bacio le mani a tutti. Siamo qui per un felice augurio alla nostra Famiglia per la Santa Pasqua. E perché una questione grave ci impone di consigliarci fra noi che dobbiamo essere uniti e volerci tutti bene».

    «Dicci qual è la questione. Noi siamo qui per ascoltare e per discutere come una sola famiglia», disse uno dei convenuti.

    «Ebbene, io ve lo dico. Dobbiamo formare una società fra noi ed essere una sola persona».

    «Ma di quale società parli? Noi siamo tutti una cosa sola. Insieme formiamo già una Società», obiettò un altro.

    Nicola provava una certa insofferenza nei confronti di quel rito arcaico. Però capiva che ogni gesto, ogni sillaba che proveniva dagli uomini seduti con aria solenne, non soltanto rafforzava il senso di appartenenza all’Onorata Società, ma tutto quel dialogare a vuoto prima di arrivare al punto dava a ciascuno la possibilità di scrutare e decifrare le espressioni degli altri per cogliervi un lampo fuggevole, un guizzo sottopelle che denunciassero la paura, il dissenso, il dubbio.

    Il capo società riprese la parola.

    «La società che vogliamo formare è una società più segreta della Società, ma è uguale alla società degli uomini battezzati che stanno dentro la Società. È un’altra cosa perché solo ‘u carduni è ammesso e santificato. Non il cristiano battezzato. Ma è anche la stessa cosa, perché qualsiasi che entra, una volta entrato, non esce più con le sue gambe».

    Nicola si posizionò meglio contro la parete. Era l’unico in piedi, ma la regola delle braccia conserte valeva anche per lui.

    Braccia conserte, talloni uniti e punte divaricate.

    Sì fece attentissimo, badando a non far trasparire i pensieri.

    Se da un lato era stato un onore venire ammesso al summitti, dall’altro, negandogli la possibilità di restare fuori come gli altri bodyguard, il boss gli aveva gettato sulle spalle una croce. Non doveva perdere una sillaba di quello che si sarebbe detto. E doveva imprimersi tutto nella memoria. Nomi, luoghi, facce di tutti i presenti.

    Una volta, quando era un bambino, suo padre gli aveva tenuto un discorso che ricalcava la filosofia di mastro Pinu. Figghiu, gli aveva detto con solennità, se non puoi stare fuori da una cosa, se ti viene impedito di tenere occhi e orecchi serrati, allora devi spalancarli bene per guardare, ascoltare tutto quanto e poi segnartelo dentro la testa come su un foglio bianco. E devi averlo sempre pronto quel foglio, come la medicina che ti salva da una malattia mortale.

    Nari ‘u viniri, ninti t’ai da pirdiri.

    Il ricordo del padre sfiorò per un attimo la mente di Nicola: era della stessa generazione di Mastro Pinu e ‘ndranghetista comm’a iddu, però tutta quella saggezza non gli aveva fatto bene visto che era stato ammazzato a fucilate pochi mesi dopo avergli tenuto quel ragionamento. Una faida che aveva quasi sterminato gli abitanti di due paesi. Lo stesso Nicola era ancora vivo solo perché il poveruomo aveva avuto come garante al battesimo di sgarro mastro Pinu, ‘u capubastuni della ‘ndrina vincente.

    ‘U summitti si concluse con l’approvazione di tutte le proposte avanzate dai convenuti che a un cenno del Capo società furono liberi di alzarsi e di salutarsi baciandosi l’un l’altro. Guancia destra e guancia sinistra. Un suggello inviolabile.

    Nicola, in disparte, osservava senza darlo a vedere quegli uomini che si aggiravano complimentosi. Avevano superato tutti la mezza età e avevano l’aspetto inoffensivo. Nella vita civile erano commercianti, padroncini di camion e imprenditori edili, ma c’era anche qualche dipendente comunale e, stando a quello che gli aveva detto il boss, perfino un bidello di scuola. Era la vecchia guardia che ancora comandava. Vestivano camicie a quadri, pantaloni larghi e giacche imbottite per nascondere l’artiglieria. Facce dai lineamenti duri e rozzi. Fra loro non parlavano: baccagliavano, cioè alludevano con mezze parole, con i gesti e con la mimica usando il linguaggio convenzionale della Società, sempre timorosi delle microspie.

    Quando il cerimoniale fu concluso, a un cenno del capo società il mastro di giornata uscì per collocare un badile con la pala rivolta all’insù contro la cancellata: il segnale per comunicare ai ragazzi fuori che la riunione era terminata e che dovevano spicciarsi ad accompagnare i boss alle auto.

    Mezz’ora dopo, mentre stava guidando verso il ristorante che era stato prenotato per la cena, Nicola ripensò alle parole che erano state pronunciate, alle blande obiezioni che erano state sollevate, alle precisazioni e alle scarne spiegazioni che erano state fornite. Convenne che il progetto così come era stato esposto era un capolavoro. Se tutto fosse andato in porto, quegli uomini malvestiti fra cui c’erano parecchi latitanti si sarebbero impadroniti non solo di Milano, ma dell’intera Lombardia. Meglio: di tutto il Nord dal Piemonte fino alla Toscana e oltre. Attraverso il retrovisore lanciò un’occhiata al boss che aspirava ossigeno attraverso le cannule infilate nelle narici. Gli sfuggì una specie di sorriso.

    «Ninni’ chi nndai a ridi’?».

    «Ninti, padrino. Ninti. Pensieri miei».

    «Apposta te lo domando. Che vai ragionando?».

    L’espressione del boss non gli piacque. Si affrettò a buttare lì una risposta rassicurante.

    «Penzo... penzo che qui e giù, tutta una famiglia, siamo».

    La Mercedes rallentò per distaccarsi dall’auto che la precedeva. «È questo il mio ragionamento».

    «Occhio Ninni’, Non addai a parlà a nisciunu.Tu ninti sintisti. Ninti vidisti».

    Un avvertimento ma con un nocciolo di minaccia. Nicola si affrettò a spazzolarsi via il sorriso dalla faccia.

    «Ninti, ninti».

    «Bravo. Abbisogna ca nuddru facissa scrusciu. Dobbiamo fare un gran casino. Così gli sbirri avranno da fare e a noi non ci rompono i coglioni. Niente ristorante. Jamunindi pa’ casa».

    Giovedì 1 novembre 2012

    Prima di mezzanotte: Lorenzo

    Novembre è un mese poco affidabile. A Milano non si sa mai che tempo farà. Si può passare di colpo da un dolce prolungarsi dell’autunno a un gelo feroce. Ed è sempre una sorpresa. Solo sulla nebbia non ci si sbaglia: due o tre giorni all’inizio del mese sono garantiti.

    Lorenzo Daidone detestava guidare quando c’era poca visibilità. Abituato all’aria trasparente delle notti catanesi, si sentiva sempre a disagio se i contorni al di là del parabrezza apparivano sfocati. Soprattutto era a disagio quando la visibilità era così scarsa da sottrargli i punti di riferimento. Lui era mancino e in un mondo costruito a misura di destri faticava a orientarsi.

    Viveva a Milano da quattro anni, faceva il vigilante da tre, ma nella metropoli era ben lontano dal possedere la spavalda sicurezza con cui bruciava i tornanti dell’Etna anche nel buio profondo delle notti senza luna.

    Quella notte era peggio che mai. Terra e cielo erano mescolati in una zuppa biancastra, spessa come gelatina di pollo. Alle undici e mezza di sera non ci si vedeva a un passo negli spazi aperti dell’hinterland, fra terreni incolti e capannoni industriali.

    Sceso dall’auto di servizio, fece il giro dell’obiettivo numero sette: una fabbrica di profilati metallici che condivideva con altre tre aziende un immenso capannone affacciato sulla tangenziale. Terminò l’ispezione, lasciò il foglietto di controllo e si voltò per tornare all’Alfa che aveva lasciato all’imbocco del viale. La sagoma chiara della vettura non si vedeva più.

    Si incamminò lungo il ciglio della strada sentendosi montare dentro un’ansia che minacciava di tracimare in panico. Anzi, era già panico, perché in quell’umidore che gli aderiva alla faccia come un impacco gelato gli pareva di affogare. Gli mancò di colpo il respiro mentre un senso di oppressione gli strinse il petto a mano a mano che aumentava il senso di disorientamento.

    Mamma, muoio!

    Si sforzò di ragionare. Non poteva essere lontana quella maledetta. Forse senza accorgersi si era incamminato nella direzione opposta. Rifece il percorso inverso e, infatti, eccola. Dal petto gli uscì un grido di sollievo.

    Minchia che nebbia!

    Si lasciò cadere sul sedile restando immobile per qualche minuto. Mentre il respiro gli tornava regolare e l’oppressione svaniva, rifletté amaramente sul fatto che gli avessero assegnato una vettura vecchia. Un’Alfa Romeo che non aveva neanche il dispositivo di apertura elettronica. Il magico clic avrebbe attivato a distanza il lampeggio risparmiandogli un brutto momento. Ma pazienza, non si può avere tutto, no?

    Accese le luci e il faro brandeggiante attaccato al tettuccio: il fascio luminoso rimbalzava contro la cortina biancastra come se fosse stata un muro di mattoni. Visibilità: tre metri scarsi. Il cruscotto lo informò che erano le ventitré e quaranta di giovedì primo novembre, che la temperatura esterna era cinque gradi sopra lo zero. Entro un quarto d’ora avrebbe dovuto mettersi in contatto con la centrale per comunicare la posizione e i dati del servizio.

    Era la notte di Ognissanti. Da lì a meno di mezz’ora sarebbe stata la festa dei morti. Il pensiero gli dette un fremito. Quando era bambino e viveva al paese, la notte fra l’uno e il due novembre si festeggiava con solennità. Gli adulti nascondevano in casa ‘u cannistru con noci, mandorle, frutta martorana e soprattutto quei biscottini a forma di ossa chiamati crozzi ‘i mottu.

    Al mattino i bambini si alzavano all’alba e andavano a caccia del tesoro recitando una filastrocca.

    Armi santi, armi santi

    io sugnu unu e vuatri tanti.

    Mentri sugnu ‘ni stu munnu di guai

    cosi ri morti mittiminni assai.

    Un mondo arcaico del quale rimpiangeva assai poco.

    Pigiò un tasto. Una luce verdina gli indicò la fessura in cui inserire il cd. Ce l’aveva già pronto. Glitter and doom. Tom Waits.

    La sua passione per il vecchio Tom era piuttosto recente. Aveva sentito Hold on per caso una sera, in un locale sui Navigli. Era con una ragazza... Lorena... Luana... un nome così. Lei gli aveva sfiorato il braccio e gli aveva fatto notare quanto fosse profonda e sensuale quella voce bruciata dalle sigarette. Quanto fosse nera.

    «Amo’, non fa venire i brividi anche a te?».

    Lui si era dichiarato d’accordo. Era sempre d’accordo con le ragazze che lo chiamavano Amo’, soprattutto se era l’inizio della serata, quando tutto doveva ancora accadere.

    Quella volta era d’accordo sul serio. La voce che usciva dagli altoparlanti situati in vari punti del locale piaceva un casino anche a lui.

    Con la scusa di andare alla toilette si era alzato per chiedere al barman il nome del cantante annotando anche il titolo dell’album. Mule. Il giorno successivo lo aveva acquistato scoprendo che la voce nera era di un bianco. Meglio così.

    Pigiò un altro tasto e la minicamera sul tettuccio prese vita. Non ne capiva l’utilità soprattutto in notti come quella con pochissima visibilità. Però il regolamento imponeva che fosse in funzione e lui si adeguava riaccendendola dopo ogni sosta.

    Mise in moto e cominciò a procedere quasi alla cieca, chino in avanti, il volante ben saldo nella mano sinistra e lo straccio per strofinare via la condensa, nella destra.

    Alla Securpol Lorenzo Daidone era entrato grazie all’interessamento di amici di famiglia ma fino alla settimana precedente era stato tenuto lontano dalla vigilanza perché una nota sul suo stato di servizio consigliava per lui mansioni tranquille dal momento che in passato aveva sofferto di depressione con frequenti attacchi di panico. Dunque aveva ricevuto lo stipendio da vigilante ma di fatto, salvo uscite sporadiche come terza guardia col furgone portavalori, era stato adibito a mansioni da fattorino. Tre anni a portare pacchi, a consegnare corrispondenza negli uffici, a cambiare il toner alle stampanti. Ma lui non aveva mai cessato di allenarsi in palestra e al poligono, come prescriveva il regolamento delle guardie giurate.

    Poi era arrivata la crisi.

    La società aveva attuato un drastico ridimensionamento del personale e Lorenzo era stato ripescato. Vigilanza notturna e diurna: il suo sogno, il lavoro per il quale aveva prestato giuramento.

    Partì la prima traccia. Lucinda ain’t goin down.

    Niente male il suono che usciva dalle casse dell’Alfa.

    Con gli occhi incollati al parabrezza Lorenzo cercò di seguire la riga che delimitava il bordo della carreggiata. Dietro l’angolo c’era il maglificio che doveva ispezionare. Più in là, un altro capannone. E avanti così. Quella, sarebbe stata una lunga notte. La sua terza notte in servizio operativo notturno.

    Uauuuu!

    Al caldo dentro l’abitacolo invaso dalla voce rabbiosa di Tom Waits, per un attimo si sentì solo e un po’ spaurito. Dovette respirare a fondo più volte per scacciare la sensazione di disagio.

    «E che sarà mai un po’ di nebbia!» si disse a voce alta mentre scrutava il parabrezza per individuare il punto di svolta. Aveva la pistola, no? Si tastò la fondina ascellare sotto il giubbotto sentendosi rassicurato. La pistola era la migliore amica di un uomo. L’aveva detto Clint Eastwood in un film e lui gli credeva. Non aveva mai avuto l’occasione di mettere alla prova la sua Beretta ma era sicuro che al bisogno gli avrebbe salvato la vita.

    Era ora di mettersi in contatto radio con la centrale.

    Staccò il microfono.

    «Delta cinque».

    «Ah, Daidone! Come te la cavi?».

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