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Economie & Religioni: L'agire per fede alla prova dei mercati
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Economie & Religioni: L'agire per fede alla prova dei mercati
E-book241 pagine3 ore

Economie & Religioni: L'agire per fede alla prova dei mercati

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La nostra società appare troppo spesso descritta come del tutto secolarizzata. Un mondo ove il sacro e la sacralità sono estranei sia all’esperienza giuridica, che a quella economica. Confermano tale orientamento le equazioni sviluppate dalla teoria economica generale. Esse tracciano sistemi nei quali le opzioni fideistiche sono variabili che nulla hanno a che fare con il mercato o le scelte di consumo. Impostazioni di questo tipo, tuttavia, trascurano che i sistemi economici sono creazioni dell’uomo. Anche di questi ultimi la religione rappresenta una matrice di senso, uno strumento per valutare le preferenze degli individui. L’agire per fede sotto questo profilo evade il confine della trascendenza e dell’immaterialità, e mostra la sua “anima” più concreta proprio all’interno dei mercati.

 
LinguaItaliano
Data di uscita13 apr 2017
ISBN9788868225551
Economie & Religioni: L'agire per fede alla prova dei mercati

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    Anteprima del libro

    Economie & Religioni - Francesco Sorvillo

    COLLANA

    Diritto e Religioni

    diretta da Mario Tedeschi

    31

    FRANCESCO SORVILLO

    Economie & religioni

    L’agire per fede alla prova dei mercati

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook  2017 

    Isbn: 978-88-6822-555-1

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza - Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672

    SitI internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Premessa

    Quanta religiosità abita le opzioni economiche individuali? È errato ritenere che molte scelte individuali di consumo siano dettate da consigli, o talvolta anche da prescrizioni di confessioni o fedi religiose piuttosto che da pulsioni consumistiche o semplici criteri di selezione basati sulla razionalità economica? La soddisfazione individuale del bisogno di religiosità è interamente assorbita dalle manifestazioni pubbliche e private del culto, oppure coinvolge anche altri campi d’azione individuale come quello economico?

    Queste ed altre sono le domande che coinvolgono l’interazione tra individuo, economia e religione.

    La loro reciproca influenza nelle fredde equazioni della teoria economica generale è dipinta da un mondo nel quale le osservanze religiose non sono nient’altro che variabili marginali che nulla hanno a che fare con i sistemi di mercato e le scelte razionali di consumo.

    In realtà, esse trascurano che ogni sistema economico è anche un prodotto umano, e per questo costituisce un insieme complesso, ma strettamente integrato, di rapporti di diversa natura. Di questo universo la religione rappresenta una matrice di senso, uno strumento di interpretazione dell’agire economico degli individui.

    Ne era ben consapevole l’antropologo Bronislaw Malinowski che già nel lontano 1944 osservava che "l’economia come indagine sulla ricchezza e il benessere, in quanto mezzi di scambio e di produzione, può trovare utile nel futuro considerare [] lo studio dell’uomo economico entro il contesto delle sue molteplici tendenze, interessi e abitudini, cioè dell’uomo plasmato dal suo complesso ambiente culturale, in parte razionale, in parte emozionale"[1].

    Sotto quest’ultimo profilo, la convinzione maturata nel corso della ricerca è che l’economia non rappresenta per le religioni soltanto un sistema di supporto per il finanziamento del fattore religioso. Essa, piuttosto, costituisce un ambiente nel quale le confessionalità interagiscono stabilmente.

    Di conseguenza, allo scopo di verificare se e come le convinzioni religiose intervengano ad orientare le scelte economiche individuali, si è seguita questa traccia a partire dall’osservazione del sistema di finanziamento pubblico alle confessioni religiose, per giungere sino alle nuove frontiere dell’economia rappresentate dalla green economy, dal mercato delle rimesse finanziarie e dal microcredito.

    Nel corso dell’analisi lo spazio emotivo della religiosità ha doppiato il confine della trascendenza e dell’immaterialità, confermando la sua anima più concreta proprio nell’universo dei mercati.

    Francesco Sorvillo

    [1] Cfr. B. Malinowski, Teoria scientifica della cultura. E altri saggi, Feltrinelli, Milano, 1962, p. 15.

    Capitolo Primo

    Il finanziamento delle confessioni religiose tra libertà e norma

    1.1 Le basi del rapporto tra scelte finanziarie ed appartenenze confessionali nell’attuale sistema di finanziamento alle confessioni religiose

    La nostra società appare troppo spesso superficialmente descritta come del tutto secolarizzata, un mondo ove il sacro e la sacralità sono qualcosa di estraneo o addirittura di irrilevante sia nell’esperienza giuridica[1], che in quella economica.

    Studi recenti sui rapporti tra economia e confessionalità hanno invece mostrato che in questo settore le osservanze religiose e, più in generale, le azioni degli individui colorate da note di confessionalità, stanno spingendo verso orizzonti in cui il fenomeno religioso abbandona la dimensione privata e individuale entro il quale si è sempre cercato di isolarlo, per approdare verso più ampie forme di condizionamento delle sovrastrutture giuridiche, economiche ed istituzionali[2].

    Una indagine seria dei rapporti tra scelte finanziarie ed appartenenze confessionali non poteva, dunque, non iniziare, da una puntuale verifica dell’esistenza della relazione richiamata nell’ambito del sistema di finanziamento alle confessioni religiose, inteso come insieme di regole di provenienza mista che il legislatore ordinario ha avallato nell’ambito della legge 222 del 1985 e delle Intese stipulate con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, per assicurare la soddisfazione di interessi religiosi indifferenziati[3] all’interno dell’ordinamento giuridico statuale.

    In tal senso va immediatamente sottolineato che il sistema di finanziamento, nell’assetto corrente, sembra essere dotato di una propensione alla realizzazione di differenti finalità. Esso, infatti, sembra mirare alla soddisfazione dei bisogni religiosi individuali da realizzare, in prima battuta, attraverso la libertà di selezione, assegnata a ciascun individuo, della confessione religiosa da beneficiare, di volta in volta, con l’attribuzione dell’otto per mille del proprio reddito IRPEF, oppure con alcune delle attribuzioni liberali disciplinate nel Libro secondo del Codice civile. Ne consegue che qualsiasi preferenza di finanziamento rappresenta una reale espressione di libertà personale, ancorché originata da un legame simpatetico del singolo fedele con i principi indicati dalla dottrina della sua confessione di appartenenza. In altre parole, in questo campo, le diverse modalità di sovvenzionamento delle confessioni religiose, non ultima la scelta attiva effettuata per mezzo dell’otto per mille, si caratterizzano per la capacità di dilatare la gamma delle libertà personali, trattandosi di scelte effettuate in totale assenza di obblighi giuridici, come ribadito anche dalle Autorità confessionali, salvo casi specifici per i quali tali obblighi originano da principi religiosi di reciproca assistenza endoconfessionale[4], per questo non coercibili (immediatamente) nell’ordinamento giuridico dello Stato.

    Peraltro, come è stato accennato, il sistema attuale di finanziamento alle confessioni religiose non esaurisce le sue potenzialità nel solo incremento della libertà individuale. Esso, infatti, permette allo Stato di assolvere concretamente le funzioni di sviluppo e promozione sociale di ciascun individuo, funzionali all’attuazione del diritto di libertà religiosa disciplinato all’art. 19 della Costituzione, nonché alla garanzia ed al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

    In questa direzione l’elezione dei fini di integrazione e promozione sociale a valori sostantivi dell’ordinamento democratico-pluralistico, riassunti nella formula del pieno sviluppo della persona umana contenuta all’art. 2 della Costituzione, connota, secondo un rapporto di stretta connessione, che i principi costituzionali rivolti alla tutela del fattore religioso sono valutati positivamente nell’ambito del percorso della democrazia pluralistica. Per questa stessa ragione, il progetto costituzionale di politica ecclesiastica comprendente il finanziamento alle confessioni religiose, appare oggi come una trama dispositiva da cui emerge l’affermazione di una valutazione ampiamente positiva e pluridimensionale dei percorsi di fede, in quanto funzionali, come minimo, alla auto-determinazione della persona umana ed al perseguimento del benessere materiale e spirituale della società[5].

    Orbene, in un quadro così delineato, solamente le finalità da ultimo elencate, e non altre, potrebbero essere quelle perseguite dallo Stato con la contribuzione alle confessioni religiose, non potendosi in alcun modo pensare alla riviviscenza di altre intenzioni, che finirebbero inevitabilmente per scontrarsi con i principi di separatezza, autonomia e libertà degli ordini, delineati nel sistema di rapporti tra Stato e Confessioni religiose dagli articoli 7 e 8 della Costituzione. Sarebbe infatti impensabile il replicarsi di una volontà ingerente dello Stato nelle istituzioni, o peggio nelle materie confessionali, esercitata attraverso la leva finanziaria, con lo scopo non troppo sottaciuto di controllarne apparati e politiche, peraltro in maniera assolutamente vietata dalle disposizioni costituzionali appena richiamate.

    In ultima analisi, si può dunque affermare che lo scopo perseguito con il sistema di finanziamento alle confessioni religiose appare ancora oggi quello di garantire a tutti l’effettiva soddisfazione delle esigenze di culto nonché, ai ministri del culto[6], la fruizione di emolumenti sufficienti a permettere l’esercizio di specifiche potestà spirituali, di magistero o di giurisdizione sugli altri membri della comunità religiosa di riferimento, nella consapevolezza, da parte del legislatore statale, che per questi ultimi l’espletamento delle funzioni appena richiamate, rappresenta la componente principale, se non unica, della loro attività lavorativa[7].

    1.2 Problematica e metodologia nel calcolo costi-benefici del finanziamento alle confessioni religiose

    In un momento in cui gli stati nazionali sono occupati a porre in essere vere e proprie politiche di rastrellamento fiscale[8] per fronteggiare gli abnormi deficit pubblici di bilancio accumulati, sotto la lente di ingrandimento dei tecnici ministeriali scorrono i canali di spesa che rendono effettivo l’esercizio delle molteplici funzioni statuali. Dall’azione di controllo, è emerso che la spesa italiana per il finanziamento dei bisogni religiosi della popolazione è costantemente cresciuta nel corso degli ultimi anni, con finanziamenti (annuali) erogati alle confessioni religiose ammontanti oggi a circa 1,2 miliardi di euro[9]. Sennonché il continuo aumento dei costi di gestione del settore cultuale impone alcune domande, prima tra tutte se all’aumento dei costi corrisponde ancora una reale importanza strategica da attribuire ai bisogni intangibili delle popolazioni residenti.

    Orbene, la risposta affermativa a questo primo quesito che parrebbe per lo più scontata, cela invece alcuni rilievi problematici che meritano di essere tracciati ed ai quali pure va data risposta. Infatti, se da un lato sembra innegabile l’importanza rivestita dai bisogni spirituali delle popolazioni, tanto da spingere il legislatore costituente a prevedere il diritto positivo di libertà religiosa tra quelli inviolabili dell’individuo e a tutelarlo all’art. 19 della Costituzione, dall’altro il quadro sociale di riferimento appare sempre più frastagliato tanto da mettere in crisi tali assunti.

    Oggi, infatti, in una società sempre più secolarizzata l’apologia del soggettivismo mette in pericolo proprio il pacchetto dei principi fondamentali (Grundbegriffe), spingendo l’uomo verso i confini dell’autoreferenzialità. In tal senso è stato osservato che il pericolo di tali assunti è quello di una spinta al totale relativismo, in cui ciascuno vive nel proprio mondo, nella propria realtà virtuale, ove potrebbero non esistere delle vere norme morali oggettive[10] e nel quale, aggiungerei, diverrebbe relativa o del tutto superflua ogni forma di tutela approntata per i bisogni di natura religiosa o confessionale degli individui.

    In realtà, nonostante i pericoli del relativismo, la situazione non sembra ancora così netta. Anzi, la spinta verso la riscoperta di valori spirituali e verso i grandi valori coinvolti dal fenomeno religioso e dalla libertà di religione hanno prodotto nelle Carte dei diritti e nelle moderne Costituzioni continui richiami alle dimensioni immateriali del vivere, come la felicità, la fraternità solidale, la preoccupazione per le generazioni future, disvelando sempre più la tendenza a misurare l’agire giuridico all’interno della società secondo scale di valori da ciascuno direttamente collegate con le proprie convinzioni in materia religiosa (ivi comprese quelle dei non credenti)[11]. Ciò sembra ancor più vero se si tiene conto dei numerosi problemi posti dalla multireligiosità, che impongono oggi la ricerca di nuovi percorsi e nuovi linguaggi rappresentativi di una sintesi realmente condivisa tra le differenti appartenenze, sia culturali che religiose.

    Le brevi considerazioni svolte sembrano quindi giustificare gli sforzi compiuti dagli stati nazionali per contribuire al sovvenire delle confessioni religiose anche se, e ciò è indubitabile, in Italia col passaggio dal vecchio sistema (beneficiale più congrue) all’attuale sistema di finanziamento disegnato dalla legge 222 del 1985 e dalle Intese (per le confessioni diverse da quella cattolica), le confessioni stesse hanno raggiunto, in termini economici assoluti, un netto incremento patrimoniale.

    Studi recenti, e dati di bilancio, hanno infatti confermato come le confessioni religiose senza tenere in alcun modo conto di altri canali di finanziamento, abbiano ricevuto dalla sola partecipazione al sistema dell’otto per mille contributi semplicemente inaspettati: ad esempio la Chiesa cattolica è passata da un trasferimento iniziale di 210 milioni di lire (nel 1990, sebbene salvo conguaglio) a oltre 886 milioni di euro (nel 2007), con un incremento, in termini assoluti, di oltre l’800%. Le altre, da una cifra iniziale pari a zero euro, nel 2007 hanno ricevuto trasferimenti che vanno dai quasi 6 milioni di euro della Chiesa valdese agli oltre 760.000 euro dei pentecostali, passando per il milione e 975 mila euro degli avventisti e i 3 milioni e 654.000 euro degli ebrei, per finire ai 2 milioni e 567.000 euro dei luterani[12].

    Ragionando a questo punto sia sui numeri, sia sulle finalità di diminuzione delle poste negative di bilancio per pagamento di congrue che aveva animato la nascita del sistema dell’otto per mille, sembra essersi raggiunto il risultato paradossale che a parità di funzionamento di settore lo stato italiano paghi oggi somme nettamente superiori a quelle versate nel recente passato, per intenderci, nella previgenza del vecchio sistema.

    Pertanto, senza togliere alcunché all’importanza dei bisogni religiosi delle popolazioni, ed alle garanzie e tutele che pure sono necessarie per la loro soddisfazione, ivi comprese quelle economiche, sembra essere giunto il momento di una seria verifica sull’equilibrio fra costi sostenuti e scopi prefissati, volta a garantire che il prezzo pagato determini benefici effettivi e non ingiustificati privilegi[13] raggiungendo così, se necessario, quantomeno un cambiamento con pacatezza[14]. In tal senso, la metodologia più appropriata, utilizzabile per una corretta verifica di questo tipo di relazioni, sembra essere ancora una volta quella dell’analisi economica del diritto[15] da mettere in pratica attraverso due direttrici principali: in primo luogo, considerando il diritto come un sistema incentivante per i consociati in cui i precetti giuridici comportano dei prezzi impliciti per i comportamenti degli individui; in secondo luogo pensando al concetto di efficienza, al fianco dell’idea generale di giustizia, come parametro fondamentale di riferimento per valutare i costi sociali di qualsiasi regola o scelta istituzionale[16].

    L’applicazione del metodo richiamato sposta necessariamente l’attenzione su un piano differente del discorso, passando da valutazioni legate al quantum del finanziamento alle confessioni, a valutazioni riguardanti l’an del sistema. Da quest’ultimo punto di vista, gli attuali criteri di sovvenzione delle confessioni scontano critiche sostanziali, incentrate soprattutto sulle conseguenze sperequative del sistema e dei suoi effetti negativi sul rispetto statuale delle finalità imposte dall’art. 3 della Costituzione[17].

    In particolare, è stato osservato che mentre tutte le confessioni (Chiesa cattolica e confessioni con intesa) partecipano alla quota dell’otto per mille in base alle scelte esplicitamente destinate a finanziarle, alcune di esse (Chiesa cattolica, luterani, ebrei, ortodossi, Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale, buddisti e induisti) godono anche del riparto sulle scelte non espresse in modo proporzionale alle scelte espresse in loro favore. Proprio questa pluralità di canali di partecipazione previsto solo per alcune delle confessioni che accedono al sistema dell’otto per mille integra una discutibile forma di sperequazione, che meriterebbe di essere sanata o abolendo la partecipazione proporzionale al riparto dell’otto per mille proveniente dalle scelte non esplicitamente destinate alle singole confessioni, oppure estendendo questo ulteriore canale di finanziamento a tutte quante le confessioni con intesa[18].

    A questo punto, rievocando le difficoltà finanziarie in cui galleggiano gli odierni stati nazionali, in primis quello italiano, l’occasione sarebbe propizia per una sensibile riduzione degli impegni economici nel settore cultuale da realizzare, previa valutazione di impatto, aderendo magari alla prima delle due soluzioni appena prospettate.

    In questo modo gli effetti benefici sulle dissestate finanze statali sarebbero innegabili, mentre una possibile normazione che vada in questo senso avrebbe anche l’indubbio merito di rilanciare, nuovamente, gli effetti della libertà su quelli della norma.

    Gli eventuali impatti negativi sul settore cultuale derivanti da questo tipo di scelte potrebbero essere invece ammortizzati con la previsione di un sistema compensativo, e cioè attraverso l’incremento degli indici di deducibilità fiscale per le erogazioni liberali compiute in favore di qualsiasi confessione religiosa, superando in questo modo anche le critiche di latente parzialità mosse da più parti al sistema sovvenzionale pubblico, così come strutturato nel nostro ordinamento.

    In tal senso, una progressiva de-regolamentazione del sistema, con riduzione dei sussidi statali alle religioni tradizionali, favorirebbe anche una effettiva spinta verso la liberalizzazione del mercato religioso attuando una migliore corrispondenza tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale che qualifica l’intenzione programmatica varata dal legislatore costituente con l’art. 3 della nostra Carta costituzionale.

    1.3 Breve esegesi storica dei sistemi di finanziamento: dal beneficio ecclesiastico al supplemento di congrua

    La soluzione approntata dal legislatore nazionale al problema del sovvenire delle confessioni religiose, spinge a riflettere sulla circostanza che i risultati di oggi non sono altro che il prodotto di scelte di ieri, scelte che sembra appena il caso di illustrare, anche da un punto di vista storico, per comprenderne in pieno gli aspetti sia evolutivi che problematici.

    Sotto questo profilo è oramai noto che la legge di riforma del sistema di finanziamento delle confessioni religiose, attuata nel nostro ordinamento con la legge 222 del 1985 oltre che con le leggi di attuazione delle intese per quanto riguarda le confessioni diverse dalla cattolica, disegnano un modello di interventismo statuale nel settore della contribuzione alle esigenze materiali delle confessioni religiose radicalmente diverso da quello precedente.

    Quest’ultimo, in particolare, si veniva a strutturare, almeno per quanto riguarda la Chiesa cattolica, sulla base di un sistema per così dire misto, basato cioè sull’applicazione del sistema beneficiale già previsto dall’ordinamento canonico, e da un intervento statuale integrativo realizzato attraverso l’erogazione dei c.d. supplementi di congrua.

    In realtà, per il c.d. Popolo di Dio[19], cioè per i fedeli di religione cattolica, il dovere di sovvenire alle esigenze materiali della Chiesa universale[20], è ben radicato nella

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