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Etica dei servizi alla persona e delle relazioni d'aiuto: Orizzonti valoriali di riferimento
Etica dei servizi alla persona e delle relazioni d'aiuto: Orizzonti valoriali di riferimento
Etica dei servizi alla persona e delle relazioni d'aiuto: Orizzonti valoriali di riferimento
E-book707 pagine10 ore

Etica dei servizi alla persona e delle relazioni d'aiuto: Orizzonti valoriali di riferimento

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Info su questo ebook

I servizi alla persona si pongono l’obiettivo di assicurare ai cittadini di una comunità nazionale un sistema integrato di azioni che mirano a garantire una migliore qualità della vita. In essi vi sono innumerevoli ruoli e funzioni, ma è fondamentale la presenza di personale qualificato, in grado di rispondere, in maniera efficace, alle diverse esigenze. Siccome ciò che accomuna tutti i profili professionali impiegati in quest’area è l’essere in grado di stabilire una concreta relazione con gli altri, l’esigenza di dare vita a relazioni di autentica condivisione delle pratiche e degli interventi pone la necessità della definizione di un’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto. Il testo, nell'individuare i servizi alla persona e le relazioni d’aiuto come «luoghi» della promozione dell’umano in pienezza, cerca di motivare e spiegare che la domanda fondamentale, sottesa a tutta l’impostazione riflessiva dell’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto, non riguarda tanto una investigazione di tipo deontologico-morale («che cosa devo fare»), quanto, piuttosto, una domanda più radicale («come dovrei vivere, quale qualità buona devo attribuire alla mia vita e a quella altrui») che interpella l’esistenza quotidiana dell’uomo, il senso della sua condizione umana, il suo progetto di vita e la realizzazione della sua dignità di essere persona.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2017
ISBN9788838245633
Etica dei servizi alla persona e delle relazioni d'aiuto: Orizzonti valoriali di riferimento

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    Anteprima del libro

    Etica dei servizi alla persona e delle relazioni d'aiuto - Calogero Caltagirone

    Calogero Caltagirone

    Etica dei servizi alla persona e delle relazione d'aiuto

    Orizzonti valoriali di riferimento

    La collana è peer reviewed

    Copyright © 2017 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4563-3

    www.edizionistudium.it

    UUID: 3b491e68-41fc-11e7-8f68-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    I. I servizi alla persona come «luoghi» di promozione dell'umano

    1. I servizi alla persona come «luoghi» dell’abitare umano

    2. I servizi alla persona come «spazio» del comune relazionarsi

    3. I servizi alla persona come «operatori» di salute/salvezza dell’umano

    4. I servizi alla persona e le relazioni d’aiuto come «concrezione» della prossimità umana

    II. La persona soggetto agente e diritto sussistente

    1. La persona come «categoriale ricomprendente»

    2. Identità, struttura e dimensioni della persona umana

    3. I «fondamentali» della persona

    4. La persona soggetto agente e diritto sussistente

    5. Implicanze valoriali ed educative dell’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto

    III. Forme e declinazioni dell’etica dei servizi alla persona

    1. Etica dell’ospitalità

    2. Etica del riconoscimento

    3. Etica del dono

    4. Etica della cura

    5. Etica della corresponsabilità

    IV. Il lavoro nei servizi alla persona: dalla deontologia professionale all'etica delle professioni

    1. L’etica del lavoro tra doverosità e realizzazione umana

    2. Dalla deontologia professionale all’etica delle professioni

    3. La rilevanza dell’etica nei servizi alla persona

    Introduzione

    I servizi alla persona si pongono come obiettivo principale quello di assicurare ai cittadini di una comunità nazionale un sistema integrato di interventi e di promuovere azioni concrete che mirano a garantire una migliore qualità della vita, prevenire, eliminare o, quantomeno, ridurre le condizioni di bisogno, derivanti dalle varie difficoltà personali e sociali, che le persone, di tutte le età della vita, possono incontrare nel corso della loro esistenza. Essi si connotano per un insieme complesso di attività finalizzate a promuovere il ben-vivere e il ben-essere dell’uomo [1] .

    Il settore dei servizi alla persona eroga le proprie prestazioni, gratuite e non, in una relazione diretta con diverse tipologie di utenza che vanno dai servizi socio-assistenziali ed educativi ai servizi che riguardano il tempo libero, la cura e il benessere di ciascuno. Non essendo semplici contenitori di deposito di «utenti» bisognosi, per il ruolo che essi rivestono nelle aspettative dei cittadini, i servizi alla persona sono un ambito particolarmente dinamico, che in relazione alle nuove emergenze sociali, culturali ed educative e alle esigenze complesse della popolazione sono destinati ad espandersi continuamente per accogliere nuove istanze e rispondere a sempre più esigenti attese di benessere da parte degli uomini e delle donne. Ciascun servizio fa riferimento a bisogni individuali di natura diversa, legati gli uni a uno stato di necessità psico-fisica, socio-culturale, educativo-formativo, gli altri alla cura della persona in tutti gli aspetti che riguardano il loro star bene personale e sociale. Gli ambiti identificati presentano, ulteriormente, una loro autonomia con dinamiche che, pur avendo delle analogie con altre aree professionali, hanno una loro specifica configurazione organizzativa e un’utenza di riferimento chiaramente individuabile. Inoltre, caratteristiche fondamentali dei servizi alla persona sono la comunicazione e la relazione fra operatori e beneficiari, che vengono realizzate secondo modalità di rapporti articolati e complessi.

    Data la presenza di una pluralità diversificata di servizi alcune precisazioni sono necessarie ai fini della individuazione delle differenti tipologie che generalmente si riferiscono ai servizi alla persona, i quali, nella koiné attuale, vengono identificati, generalmente, con i servizi sociali. Pertanto, «secondo quanto stabilito nell’art. 128 del Decreto Legge del 31/03/1998 n. 112 per ‘servizi sociali’ si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia. Con la successiva Legge quadro n. 328 dell’8 novembre 2000 sono state messe le basi per la realizzazione di un sistema integrato di servizi e interventi socio-assistenziali ed è stato introdotto il riconoscimento di un ruolo attivo dei soggetti privati, in particolare del privato sociale, il cosiddetto terzo settore, non solo nella gestione dei servizi stessi, ma anche nella programmazione e realizzazione degli interventi. Si è così sviluppato il modello dell’impresa sociale, ovvero di una struttura economica ed organizzativa che, pur mantenendo la capacità di attivare meccanismi di solidarietà e di reciprocità, fosse in grado di agire anche su un mercato non protetto. All’interno del variegato mondo del non profit, le cooperative sociali hanno per prime sviluppato e sperimentato questo modello organizzativo, mettendo in atto, senza non poche difficoltà, percorsi e strumenti che tendessero a un equilibrio tra la dimensione imprenditoriale e quella dell’impegno sociale» [2] .

    In concreto, il sistema dei servizi sociali si pone l’obiettivo di costruire comunità locali amichevoli, favorendo, dal lato dell’offerta, interventi e modelli organizzativi che promuovono e incoraggiano la libertà, e, dal lato della domanda, la cittadinanza attiva e le iniziative di auto e mutuo aiuto. Sulla base di quanto previsto dai recenti dispositivi legislativi, il sistema integrato di interventi e servizi sociali, nella sua configurazione attuale, è chiamato a promuovere la solidarietà sociale attraverso la valorizzazione delle iniziative delle persone, delle famiglie, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità, nonché della solidarietà organizzata. Tale sistema ha come primi destinatari, in un’ottica insieme di prevenzione e di sostegno, i soggetti portatori di bisogni gravi. Nella prospettiva universalistica e inclusiva della cittadinanza, il sistema, quindi, dà priorità ai soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito, ai soggetti con forte riduzione delle capacità personali per inabilità di ordine fisico e psichico, ai soggetti con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, ai soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, ai minori, specie se in condizione di disagio familiare.

    Concretando politiche sociali che tutelano il diritto a stare bene, sviluppare e conservare le proprie capacità fisiche, svolgere una soddisfacente vita di relazione, riconoscere e coltivare le risorse personali, essere membri attivi della società, affrontare positivamente le responsabilità quotidiane, i servizi sociali e alla persona devono essere offerti non solo ai livelli secondo gli standard e con le modalità definite dalla normativa di riferimento, ma anche in relazione alla valorizzazione e promozione della dignità di ogni persona che ha il diritto, riconosciuto a tutti i cittadini, nel rispetto degli accordi internazionali e con le modalità e i limiti definiti dalle leggi vigenti, di potere fruire dei servizi secondo propri bisogni e proprie esigenze e conseguire la propria dignità di essere [3] .

    All’interno del sistema dei servizi alla persona, i servizi socio-educativi si configurano come servizi di interesse pubblico dalle finalità educativo-sociali rivolti alle diverse età della vita, impegnati a promuovere lo sviluppo psico-fisico, cognitivo, affettivo e sociale delle persone e offrire sostegno alle famiglie nel proprio compito educativo, secondo la prospettiva dell’educazione permanente. Per quanto riguarda le tipologie, i servizi socio-educativi vengono classificati in «servizi residenziali», «servizi semi-residenziali» e «servizi di assistenza domiciliare» [4] .

    I «servizi residenziali» sono centri di pronta accoglienza per le situazioni di emergenza, collegate a bisogni urgenti di alloggio, vitto e tutela di adulti in difficoltà; centri di accoglienza notturna dedicati al ricovero occasionale di persone con grave disagio economico, familiare e sociale; comunità familiari per soggetti con limitata autonomia, che necessitano di assistenza da parte di personale specializzato, secondo un modello abitativo, come può essere ad esempio la «casa famiglia», o la «comunità alloggio». Alternative a queste strutture sono le comunità socio-educative per minori, rivolte prevalentemente a preadolescenti e adolescenti sprovvisti di figure idonee, specialmente educatori, a seguirli nel processo formativo; le comunità socio-riabilitative , che sono strutture residenziali che accolgono persone con problemi sociali di varia natura come anziani con limitata autosufficienza, portatori di varie disabilità fisiche e/o psichiche, tossicodipendenti, alcolisti e altre persone in difficoltà, caratterizzati per l’adozione di progetti specifici di riabilitazione e di recupero delle capacità personali, attuati con l’ausilio di operatori specializzati e finalizzati al reinserimento dei soggetti nella società; le residenze assistenziali per anziani autosufficienti, dove le persone ricevono assistenza completa e sono stimolate a prendere parte ad attività ricreative e culturali; le residenze socio-sanitarie per anziani non autosufficienti, dotate di personale medico e infermieristico specializzato, che perseguono l’obiettivo di ottenere il massimo recupero possibile delle capacità psicomotorie delle persone; i centri di accoglienza per immigrati , destinati all’accoglimento di stranieri in difficoltà, temporaneamente impossibilitati a provvedere alle proprie esigenze di alloggio e di sussistenza.

    I «servizi semi-residenziali » sono centri diurni assistenziali , strutture socio-sanitarie destinate ad anziani con diverso grado di autosufficienza; centri diurni per minori, per i quali si organizzano attività educative, ricreative e di sostegno allo studio, prevedendone il rientro quotidiano in famiglia ed evitandone così l’allontanamento dal proprio contesto sociale; centri diurni per persone con diverse abilità , strutture spesso collegate ad associazioni di categoria e di volontariato oppure a club sportivi per disabili, allo scopo di favorirne l’autonomia e l’inserimento sociale.

    I «servizi di assistenza domiciliare» sono servizi mediante i quali le persone (anziani, persone con disabilità) vengono seguiti direttamente al proprio domicilio da uno o più operatori dei servizi territoriali pubblici e/o privati, secondo le necessità socio-assistenziali rilevate. L’assistenza domiciliare può essere erogata a tre diversi livelli: il servizio di primo livello (bassa intensità) è offerto a persone parzialmente non autosufficienti o a rischio di emarginazione che richiedono interventi di sostegno psicosociale; il servizio secondo livello (media e alta intensità), che, nell’erogare un servizio di assistenza, consiste in interventi di natura sanitaria, è indirizzato a persone non autosufficienti o di recente dimissione ospedaliera, che richiedono prestazioni infermieristiche, riabilitative e mediche; il servizio di terzo livello (assistenza domiciliare integrata) è dedicato a persone con una situazione complessa, che richiedono interventi multipli di tipo medico, infermieristico e socio-assistenziale.

    I servizi di cura per il benessere alla persona si caratterizzano per la pratica di attività finalizzate a migliorare la salute e a promuovere l’aumento della qualità della vita e dell’integrità psico-fisica delle persone. Le strutture che erogano questa tipologia di servizio sono i servizi ricreativi per l’infanzia, che comprendono tutte le strutture dove sono prevalenti attività ludiche e ricreative (ludoteche, mini club e così via); i centri fitness e i centri benessere ( wellness) , che includono le attività legate alla cura psico-fisica della persona; i servizi estetici e di bellezza, compresi i saloni di acconciatura, che rappresentano le attività strettamente collegate alla cura estetica [5] .

    In modo specifico i servizi rivolti all’infanzia «rappresentano un settore fondamentale per lo sviluppo e la qualificazione del territorio e si possono considerare un indicatore particolarmente significativo del livello della qualità della vita di un’intera collettività. La legge 285/97 " Disposizione per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza" ha inoltre permesso il finanziamento, tra gli altri, di progetti che hanno come finalità l’innovazione e la sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia e la realizzazione di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche» [6] .

    Sulla base della natura dell’attività svolta i servizi per l’infanzia possono essere articolati in servizi integrativi al nido, che hanno la finalità di garantire risposte flessibili e differenziate alle esigenze delle famiglie e dei bambini; hanno carattere educativo, ludico, culturale e di aggregazione sociale, prevedono modalità strutturali, organizzative e di funzionamento diversificate e sono aperti ai bambini anche accompagnati dai genitori o da altri adulti. Anche l’offerta di servizi a carattere domiciliare è conseguente ai recenti cambiamenti avvenuti nelle famiglie e nell’organizzazione del lavoro. Tali servizi, attivati presso il domicilio dell’educatore o della famiglia, prevedono una gestione partecipata e consentono un rapporto continuativo e stabile nel tempo con un piccolo gruppo di bambini [7] .

    I servizi educativi e ricreativi per il tempo libero sono definiti «servizi educativi complementari per la prima infanzia» e sono luoghi che hanno caratteristiche non solo educative, ma anche ludiche, sociali e culturali, la cui gestione presenta minori obblighi dal punto di vista organizzativo e strutturale rispetto ai servizi educativi veri e propri. Tra i servizi ricreativi più diffusi e conosciuti sul territorio come il baby-parking, che è un «centro di custodia orario» a carattere socio-assistenziale per l’infanzia caratterizzato da una grande flessibilità di orario [8] , e la ludoteca [9] .

    I centri fitness e i centri benessere ( wellness) , che includono le attività legate alla cura psico-fisica della persona sono caratterizzati da «un’attività psicomotoria in cui ogni movimento viene finalizzato al miglioramento della salute e all’aumento della qualità della vita e dell’integrità fisica degli individui. L’elemento che lo differenzia dalle discipline sportive tradizionali è la mancanza di competizione: in questo senso, il fitness è sinonimo di benessere psico-fisico. Esso si pratica principalmente in palestra o in piscina, nei centri fitness, nei centri benessere ( wellness), che prevedono anche una disciplina alimentare e cure fisioterapiche e nei centri termali, dove vengono eseguiti massaggi e originali pratiche curative, utilizzando ad esempio prodotti a base di erbe. Questa pratica comprende un’ampia gamma di attività che va dall’aerobica e dall’acqua- fitness, al bodybuilding nelle sue varie accezioni, tutte attività che non sono assoggettate ad una regolamentazione facente capo alle federazioni sportive riconosciute dal CONI» [10] .

    I servizi estetici e di bellezza, che rappresentano le attività strettamente collegate alla cura estetica, offrono prestazioni e praticano trattamenti «eseguiti sulla superficie del corpo umano, il cui scopo esclusivo o prevalente sia quello di mantenerne e proteggerne l’aspetto estetico e di migliorarlo attraverso l’eliminazione o l’attenuazione di inestetismi. Tale attività può essere svolta mediante tecniche manuali o con l’utilizzazione di apparecchiature elettromeccaniche per uso estetico e con l’applicazione di prodotti cosmetici» [11] . A seconda della tipologia delle prestazioni si hanno «centri di estetica che offrono servizi tradizionali, quali ad esempio pulizia del viso, maquillage, massaggi, depilazione con cera, pedicure e trattamenti abbronzanti. Spesso alla prestazione di questi servizi si affianca la vendita di prodotti cosmetici non reperibili attraverso i canali tradizionali; centri di estetica caratterizzati dalla presenza di apparecchiature di notevole valore, come le attrezzature per il massaggio estetico e per l’elettrostimolazione, gli apparecchi per la ionoforesi, il laser estetico, la sauna, gli apparecchi per l’elettroliposi e gli apparecchi per l’elettrodepilazione estetica» [12] .

    Nelle strutture e organizzazioni che erogano servizi alla persona ci sono innumerevoli ruoli e funzioni, ma è fondamentale la presenza di personale qualificato, tra cui, oltre a specialisti del settore di intervento, educatori e psicologi, in grado di rispondere, in maniera efficace, alle diverse esigenze che provengono dalle persone o che si trovano in uno stato di bisogno. Ciò che accomuna tutti i profili professionali impiegati in quest’area, è l’essere in grado di stabilire una concreta relazione con gli altri, mediante una buona capacità di ascolto e di orientamento nei confronti della persona che fruisce del servizio. Questo spiega perché si sente l’esigenza di dare vita a relazioni di autentica condivisione delle pratiche e degli interventi, nelle quali tutti i soggetti coinvolti possano fare reciprocamente dono di sé all’altro, nella consapevolezza di svolgere due ruoli differenti e di essere, nello stesso tempo, orientati verso una natura comune.

    Tale esigenza configura i servizi alla persona come ««luoghi» in cui la pratica della «relazione d’aiuto» rivaluta la rilevanza dell’incontro con l’altro nei più diversificati ambiti dell’età della vita e campi della vita sociale, in quanto si propone di sviluppare l’interiorità, la socialità, ma si propone anche il compito di essere sostegno, accoglienza, consiglio, insegnamento per tutte quelle persone che intendono fruire dei servizi. Essendo, secondo la classica definizione di C.R. Rogers «una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato», per cui «potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggior possibilità di espressione» [13] , la relazione d’aiuto, poiché è un processo che comporta il cambiamento e la crescita di una persona o di entrambe le persone coinvolte per mezzo del loro relazionarsi, è un tipo particolare di relazione umana, che viene attivata in tutte quelle situazioni in cui le risorse personali del soggetto non sono più sufficienti per affrontare adeguatamente una situazione critica [14] . Come tale, la relazione di aiuto entra nell’esistenza quotidiana della persona per orientarla e favorire la sua crescita personale in un rapporto di interscambio reciproco, non solo attraverso l’elargizione di consigli o suggerimenti risolutivi ma, principalmente, attivando le risorse di cui la persona dispone ma che al momento non riesce a individuare e recuperare. Da questo punto di vista, la relazione di aiuto, che può essere attivata in molteplici situazioni problematiche, si prefigge di migliorare le abilità decisionali del soggetto, fornendogli strumenti concettuali per compiere scelte di valore e per individuare criteri secondo i quali orientare la propria vita in vista di una piena umanizzazione [15] . Trattandosi di un «luogo» di incontro asimmetrico tra persone [16] , affinché s’instauri una vera relazione d’aiuto nel sistema dei servizi alla persona è necessario verificare l’autenticità gli operatori, cioè la modalità attraverso cui il loro essere personale si mostra come essa è, con il proprio sistema di valori, di convinzioni, di conoscenze e di sentimenti, rendendo concreta la propria disponibilità a essere protagonisti della relazione d’aiuto, in ragione del fatto che questa manifesta il significato profondo dell’ineliminabile ed eterno bisogno di conoscersi e lavorare su di sé, dimostrando, allo stesso tempo, che è altrettanto necessaria e arricchente la conoscenza dell’altro. Questo comporta che devono essere rispettate regole, devono essere possedute competenze da parte degli operatori e, da parte sia degli operatori sia delle persone che fruiscono dei servizi, deve essere manifestata la disponibilità a intraprendere un percorso assieme, in quanto è determinante la loro capacità di relazionarsi e la qualità della loro interazione. Ciò implica che, parallelamente, nella relazione d’aiuto, i soggetti implicati in tale pratica, per intraprendere il percorso che li porterà all’altro, si volgono proprio a un modello ideale cui tendere, ma sono anche chiamati ad attuarlo concretamente nella loro storia. Infatti, entrambi devono essere pronti a rivoluzionare la propria esistenza e lanciare un ponte verso una nuova struttura concettuale, un nuovo modo di pensare che li modificherà e li migliorerà, perché nel momento in cui l’io è invitato a riconoscere l’altro non perde una parte di se stesso, ma, al contrario, si arricchisce infinitamente. Questo perché la relazione con l’altro è una relazione etica, per cui se l’etica è la forma dell’umanizzarsi dell’uomo, l’uomo in quanto soggetto etico, scopre che l’unica strada da percorrere per compiere pienamente la sua umanità è quella di relazionarsi. Essendo una relazione intersoggettiva la relazione tra due o più persone manifesta che l’altro, il quale è sempre di fronte all’«ego», rivolge l’appello di essere ascoltato, compreso, stimato, onorato e amato per quello che è.

    Questa specifica caratterizzazione dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto, negli ultimi anni, ha determinato l’implementazione della questione riguardante la qualità del servizio, che riporta la discussione sulla centralità della persona e del cittadino nell’erogazione dei servizi. Non a caso il tema della qualità viene sempre più a configurarsi come l’elemento trasversale che crea valore aggiunto per tutti gli attori in causa. Una domanda di qualità che va ben al di là di una mera richiesta di beni materiali e quantitativi, in quanto è, piuttosto, una domanda di attenzione, cura, servizio, partecipazione, relazionalità. Una domanda di qualità che fa riferimento non tanto a quei prodotti – beni e servizi – oggetto di consumo, quanto, piuttosto, alla qualità delle relazioni umane, cioè ai beni relazionali [17] . Pertanto, siccome le attività consistono in processi più che in prodotti, in relazioni più che in beni materiali, ne deriva che «la qualità sociale è legata a quei servizi che consentono la maturazione del cittadino intenditore della comunità competente; che sostengono le dimensioni proattive e progettuali delle persone che hanno valenza generativa nei confronti dell’assistito, del quale promuovono e alimentano la rete di aiuti possibili» [18] . Infatti, partendo dalla constatazione che i servizi alla persona sono caratterizzati essenzialmente dal contatto diretto dell’operatore con la persona che chiede il servizio, al momento dell’erogazione del servizio, «il concetto di qualità percepita diventa un fattore chiave per i processi di valutazione dei servizi stessi. La cultura della qualità diventa quindi un elemento che aumenta il valore del servizio e del suo stesso processo di erogazione» [19] .

    Solitamente la nozione di qualità viene declinata, identificando almeno tre diverse accezioni del termine per cui viene intesa come qualità oggettiva, qualità organizzativa, qualità soggettiva (interpersonale o relazionale). Poiché nei servizi alla persona la relazione interpersonale tra colui che offre la prestazione e colui che la richiede e nelle relazioni d’aiuto è decisamente prevalente, è possibile «identificare due aree al cui interno possono essere individuati una serie di indicatori significativi. La prima area riguarda i livelli di professionalità degli operatori e di chi, a vario titolo, si occupa dell’erogazione dei servizi alla persona. In questo caso gli indicatori sono: livello di personalizzazione degli interventi, abilità nella rilevazione dei bisogni, dimensioni del repertorio di comportamenti, livello di automatismo, abilità di problem solving, livello di aggressività, passività, assertività. Una seconda area significativa è quella della soddisfazione per il servizio, espressa da tutti coloro che sono coinvolti nel processo di erogazione. Quest’area può comprendere una serie di indicatori significativi quali: facilità di accesso e vicinanza, fruibilità, personalizzazione, efficienza dell’organizzazione, immediatezza nelle risposte, empatia e umanità delle interazioni operatore/cliente» [20] .

    L’attenzione a questa diversa forma di qualità, contribuendo alla implementazione e realizzazione del ben-vivere e del ben-essere delle persone, non rivolgendosi solo alle fasce deboli con interventi «riparativi», ma a tutti i cittadini per garantire i diritti essenziali, soddisfare i bisogni connessi alla centralità della persona e agli interventi per la qualità della vita, alle pari opportunità, alla non discriminazione e ai diritti di cittadinanza, esplicita al meglio l’idea che i servizi alla persona e le relazioni d’aiuto sono chiamati a predisporre e produrre beni e situazioni relazionali ad alto grado di specificità e personalizzazione, in grado di ritessere la tela dell’inclusione relazionale, in ragione del fatto che essi «sono qualificati dalla socialità e dalla relazionalità, i quali presuppongono il contatto personale e una forma di reciprocità tra chi realizza il servizio e chi lo riceve» [21] .

    Da questo punto di vista, se, da una parte, gli operatori del settore devono ripensare la propria professionalità soprattutto in termini relazionali, quale elemento di qualità nella percezione e immagine di un servizio erogato, dall’altra, diventa necessaria, attraverso il riconoscimento della centralità della persona, come essere relazionale e soggetto agente, individuare, comprendere ed esplicitare la specificità della dimensione etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto che non può ridursi alla indicazione di un semplice che cosa fare, ma alla definizione di una comprensione della professionalità di ciascun operatore, al come deve essere in quanto uomo e donna che entra in relazione con altri uomini e donne.

    Infatti, il tema dell’adozione di particolari obblighi da parte di coloro che afferiscono a un gruppo professionale o a chi esercita una professione nell’ambito dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto riveste una particolare importanza, come viene messo in luce in tutti gli studi che si occupano di questi argomenti. I professionisti per il fatto stesso di appartenere a una determinata professione si impegnano sia come singoli, sia collettivamente a rispettare determinate regole e norme, che vanno a costituire il «Codice deontologico». Benché ogni professione tenda a sottolineare la propria particolarità, è possibile individuare, attraverso un’analisi comparativistica, tratti comuni e costanti che ritornano in ciascun codice, indipendentemente dal fatto che esso sia quello del medico, dello psicologo, dell’avvocato, del commercialista, del giornalista. Solitamente la parte iniziale dei codici è dedicata ai valori e ai principi di riferimento dell’attività professionale in oggetto e si caratterizza per l’affermazione che è dal rispetto di tali valori e principi che deriva una sorta di obbligazione nei riguardi dell’ideale stesso della professione. Segue l’insieme delle conoscenze e delle competenze richieste dalla professione stessa, con l’obbligo della formazione. Viene affrontata la relazione con i destinatari della prestazione professionale e gli obblighi che ne derivano; viene considerata la relazione tra i membri della categoria professionale, dalla quale derivano obblighi di correttezza e di lealtà, ad esempio il dovere d’informare i colleghi in determinate occasioni, il dovere di non distogliere la clientela a proprio e altrui profitto, e via di seguito. Infine, dalla relazione tra la categoria professionale e la società tutta discendono obblighi verso la società, come, per esempio, il dovere di mantenere, anche al di fuori dell’esercizio professionale, un comportamento consono alla dignità del proprio stato.

    Per cogliere il significato e l’importanza degli aspetti normativi ed etici che disciplinano le attività dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto è opportuno, tuttavia, passare dalla «morale della legge», caratterizzata esclusivamente dal riferimento ai «Codici deontologici» che sono codici di comportamento, la cui caratteristica fondamentale è costituita dal loro essere codici di autoregolamentazione [22] , ad una prospettiva di «etica del compimento», la quale, avendo come obiettivo la realizzazione della pienezza dell’umanità dell’uomo, il conseguimento della sua dignità di essere, consente di definire uno stile del professionista o della struttura che eroga il servizio, oppure che concretano relazioni d’aiuto, più rispondente alle dimensioni delle relazioni umane significative, tale da identificare i servizi alla persona come «luoghi» di promozionalità umana interale.

    Questo aspetto assume particolare importanza nell’ambito della definizione di un’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto in quanto consente di superare la dimensione dell’imparzialità e dell’astrazione impersonale nella determinazione di vincoli a favore di una configurazione di rapporti significativamente relazionali nel tramite dei quali l’azione dell’uno è favore dell’altro e viceversa. Sotto questo profilo, la domanda fondamentale che è sottesa a tutta l’impostazione riflessiva dell’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto non deve essere tanto quella che solitamente si associa a una investigazione di tipo deontologico-morale («che cosa devo fare»), dove per morale si intende appunto la riflessione «oggettiva» e «neutrale» sull’atto da compiere, quanto piuttosto una domanda più radicale («come dovrei vivere, quale qualità buona devo attribuire alla mia vita e a quella altrui») che interpella l’esistenza quotidiana dell’uomo, il senso della sua condizione umana, il suo progetto di vita [23] .

    Questo significa che l’etica delinea il compito dell’uomo come soggetto morale, in cui le azioni e le manifestazioni dell’uomo non possono essere considerate solo come espressioni di «qualcosa», ma anche, principalmente, come «concrezioni» di «qualcuno» [24] . Cioè, non come relazioni intenzionali regolate dagli oggetti, ma anche come relazioni regolate da una «esegesi dei desideri» che giacciono nascosti nell’intenzionalità del soggetto, nel suo dirigersi attivamente verso un oggetto. Ciò comporta, però, uno sviluppo della comprensione del senso dell’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto nella prospettiva del punto di vista della «prima persona», la quale, differenziandosi da quella incentrata sulla visione morale della «terza persona», il cui punto di osservazione è quello dell’osservatore esterno e neutrale, rappresentato molto spesso dalla «legge», appunto terzo rispetto al soggetto agente e ad altri soggetti eventualmente coinvolti [25] , mostra che, essendo il punto di osservazione interno al soggetto agente, il quale si osserva e si valuta come titolare di operatività, la prospettiva è concentrata sul soggetto agente colto nella sua identità di persona e libertà nell’agire che spiega la determinazione stessa del nesso essere e agire.

    Nell’etica della «prima persona» l’attenzione viene posta sull’agire come espressione dell’aspirazione umana che tende, progetta, si muove verso il conseguimento di un fine e nella valutazione, deliberazione e scelta dei mezzi adeguati per raggiungerlo. L’etica della «prima persona», concentrando, infatti, la propria attenzione sul soggetto agente, capace di dare ragione delle proprie azioni, si pone l’obiettivo di riscoprire la complessità della situazione pratica originaria, dalla quale riceve senso l’azione umana e sulla quale riflettere la teoria etica. Ciò in ragione del fatto che «l’azione umana non è semplicemente decisione libera conforme o no a norme di dovere; essa invece riceve senso dalla collocazione originaria del soggetto umano nel mondo e dal rapporto che tale soggetto intende stabilire con il mondo. Il soggetto umano è originariamente collocato in un mondo costituito da realtà (Dio, persone, cose, eventi, storie, istituzioni, ecc.) nelle quali egli riconosce dei beni (che chiameremo beni sostanziali), di diverso valore, con i quali egli può entrare in rapporto mediante sue attuazioni (che chiameremo beni operabili). D’altra parte il soggetto stesso non è indifferente di fronte al mondo, ma del modo e dei possibili rapporti da stabilire con esso egli si fa una concezione e una valutazione in funzione sia d’inclinazioni, di bisogni, di appetiti, sia, di ideali, di piani di vita, di progetti esistenziali. Nell’azione (bene operabile: bene perché perfeziona il soggetto, operabile, perché la specificazione e l’esercizio dell’azione sono opera del soggetto autore) il soggetto mira a stabilire una corrispondenza tra lui e il mondo, uno stato di cose, modificando sia se stesso sia il mondo secondo un certo criterio. Fa parte della situazione pratica, com’è testimoniata dall’esperienza morale, il fatto che i criteri secondo cui i soggetti agiscono nel mondo, benché possano essere molti e diversi, non siano tuttavia equivalenti, ma su di essi si pronuncino giudizi di approvazione e di disapprovazione, di doverosità o d’indegnità, di rettitudine o di scorrettezza (giudizi morali)» [26] . Da questo punto di osservazione è possibile percepire dell’agire umano sia la transitività e l’esternalità, sia l’intransitività e l’interiorità: dimensioni, queste, che sfuggono invece all’osservatore esterno, proprio perché esterno e ancor di più neutrale. Invece, al livello interno all’agire, cioè al livello del soggetto agente stesso, si rivela e si mostra la forza plasmatrice che l’operatività ha sulla persona. L’esperienza etica diventa, così, il luogo della libera scelta di sé e, per il tramite di essa, si predispone il decisivo compito di quella che si potrebbe indicare una «nuova creazione». Si è di fronte ad un’interpretazione dell’esperienza etica dove viene tematizzata specificamente la dimensione personale come sua dimensione fondamentale. Infatti, l’agire ha come referente privilegiato la persona umana stessa, perché l’uomo è il soggetto dell’azione e ne è l’autore e l’attore. È autore mediante l’esercizio dell’ ordinatio rationis; è attore tramite l’esercizio del processo deliberativo e decisionale. Il fatto che l’agire sia quello di un soggetto razionale determina che la razionalità dell’agire umano è riconoscibile e valutabile perché comporta un’intenzionalità, in quanto «l’agire morale non è il comportarsi verso gli oggetti, realizzare qualcosa fuori di noi produrre, ma realizzare ciò che possiamo essere, realizzazione del proprio essere umano», in virtù del fatto che «con l’agire morale trasformiamo innanzitutto e soprattutto quella parte del mondo che siamo noi stessi» [27] . In altre parole, l’agire della persona rimane compreso in modo personale solo se il soggetto dell’agire si riconosce portatore di significati, che, in ambito pratico, sono identificabili, appunto, come intenzioni, cioè fini a cui il soggetto agente oggettivamente aspira. Questo perché «l’intenzionalità caratterizza quel tipo di aspirare che include una doppia prestazione della ragione: conoscenza di un fine, e conoscenza delle relazioni tra ciò che si fa [...] e questo fine. [...]. Solo l’unione di questi due elementi forma ciò che si chiama azione umana e ci dà la possibilità di identificare il suo autentico contenuto, il suo oggetto e quindi il suo che cosa praticamente rilevante. Un tale agire lo chiamiamo agire volontario. L’agire umano è perciò per il suo concetto: 1) agire volontario; 2) agire intenzionale e 3) agire in base alla ragione pratica. Tutte queste cose coincidono per estensione» [28] .

    Essendo l’uomo soggetto che agisce, desidera, vuole, giudica e sceglie razionalmente e liberamente, la prospettiva etica si connota, in questo modo, come desiderio di essere, l’aspirare a essere, a diventare ciò che si è [29] . Infatti, il carattere intenzionale dell’agire umano, nello specificare che l’agire umano «mira» a qualcosa, per cui l’uomo agisce in virtù di un tendere, mostra che l’agire morale è «realizzazione di ciò che possiamo essere, realizzazione del proprio essere umano» [30] . Ciò legittima l’affermazione che la prospettiva etica si offre come principio di umanizzazione e si concreta come pratica di compimento umano. L’etico, infatti, «identifica uno spazio qualificante del pratico, lasciando emergere al suo interno il protagonismo, e insieme il limite, del soggetto agente» [31] . In altri termini, «l’azione diventa il luogo ermeneutico della lettura del senso della vita e del destino, e quindi banco di prova per una vera e propria pragmatica della vita quotidiana» [32] . Questo perché «il soggetto agente appropriato alla morale è costituito da una natura pratica che lo inclina e lo avvia a riconoscere l’ordine morale e a conformarvisi nella propria condotta. Grazie alla natura pratica il soggetto ha una dignità ed una integrità che gli consentono di identificarsi nelle relazioni morali e di riconoscerle come sue. Grazie alla stessa natura pratica egli è in grado di compiere e di definire autorevolmente e liberamente la propria condotta e di ordinarla in vista del fine normativo che presiede all’ordine morale» [33] .

    Da questo punto di vista, l’uomo è origine e soggetto dell’azione propriamente detta in quanto attraverso essa realizza se stesso, per cui la costituzione del soggetto morale nel tramite delle sue azioni è direttamente connessa con tutto ciò che riguarda l’orientamento da imprimere alla propria vita, strettamente unito alla verità della propria persona come soggetto [34] . L’azione umana manifesta il dinamismo specifico della persona il quale specifica che il significato ultimo dell’agire morale, iscritto nella razionalità delle azioni, è da ricercarsi proprio nell’identità umana che è chiamata a diventare ciò che è, cioè, a far accadere la positività dell’essere per sé e per gli altri [35] . Conseguentemente, la persona propria e quella altrui è anche oggetto dell’azione e non solamente soggetto di essa, dal momento che la realizzazione dell’identità è unita alle relazioni personali e interpersonali che l’uomo stabilisce nella sua vita con sé, con gli altri, con l’Oltre/Altro e con le cose del mondo, in ragione del fatto che la ricerca personale di autorealizzazione mostra la propria autenticità nella misura in cui partecipa e promuove la realizzazione degli altri e di tutta l’umanità, in quanto vivere bene implica per ogni uomo amare la dignità di persona degli altri [36] . Sotto questo profilo, «la moralità dell’agire ha dunque il suo fondamento nel soggetto umano da cui immediatamente l’agire discende. E questo non solo in quanto l’eticità ha la sua sede [...] nella coscienza, e affonda perciò le sue radici nella libera decisione del soggetto, ma anche in quanto ciò che ne determina il contenuto positivo è la conformità dell’agire alla sua autentica realizzazione» [37] .

    Questi elementi consentono di definire quale caratterizzazione deve assumere una riflessione sull’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto di modo che essa risulti adeguata all’esperienza umana. Quattro aspetti, secondo Giuseppe Abbà, risultano essere imprescindibili. Il tema o subiectum dell’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto deve «essere ogni atto di cui siamo autori volontari, in quanto nell’atto è implicato un ordine al fine ultimo normativo della vita nel suo insieme». Poiché «atti considerati in questo modo costituiscono una prassi, una condotta», è possibile dire che l’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto riguarda « la condotta umana» [38] . L’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto deve esaminare la condotta del punto di vista del soggetto agente o della prima persona; cioè è chiamata a «considerare la condotta in quanto è compiuta e praticata dal soggetto che ne è l’autore e che in essa coinvolge la propria dignità e integrità d’anima». Ciò significa che l’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto è « filosofia pratica della condotta umana» che, «riflettendo sulla conoscenza morale che il soggetto umano esercita per comporre e ordinare la propria condotta», esplicita i criteri normativi e le ragioni morali per agire [39] . Siccome per il soggetto agente è ineludibile la prospettiva etica, in quanto la moralità entra come costituente essenziale nell’umanità dell’uomo [40] , l’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto, come concrezione dell’etica generale, individua «l’ordine morale in riferimento al quale la condotta può risultare ordinata o disordinata, buona o cattiva, perfetta o difettosa, eccellente o deficiente. Tale ordine la filosofia morale ha da considerarlo innanzitutto in quanto si applica al desiderio, alla volontà, alle passioni del soggetto agente, giacché sono questi oggetti che qualificano il soggetto agente». Il che richiede che l’etica esplichi «l’ordine morale enunciandolo innanzitutto e principalmente in termini di virtù, intese come modi di pensare praticamente, di volere, di amare, di desiderare, di sentire oggettivamente degni del soggetto e richiesti da quel fine normativo che rende eccellente, perfetta la condotta di vita» [41] . In questo senso l’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto, come concrezione dell’etica generale, che intende l’ordine morale come ordine delle virtù, deve specificare «l’ordine virtuoso in riferimento a un fine normativo della vita umana» [42] . Tale fine normativo è determinato dall’ordine della vita buona cui ciascun uomo aspira per realizzare pienamente se stesso, senza il quale «i fini del nostro agire sarebbero tra loro incommensurabili, ma ciò significherebbe che non potremmo neppure valutarli l’uno contro l’altro e neppure metterli in relazione tra loro. I nostri fini non avrebbero, per così dire, nessun valore esistenziale di scambio sulla base del quale sia razionalmente possibile sacrificarne uno a vantaggio di un altro, cosa questa che in realtà solo se li intendiamo come mezzi per fini ulteriori. Con l’idea della riuscita della vita noi diamo un fisionomia a un fine globale che ci rende possibile affermare la libertà di disporre dei diversi fini del nostro agire» [43] .

    Questa configurazione attraversa, rimodulandola, la questione dell’articolazione della riflessione etica di questi ultimi decenni che è impegnata a specificare la distinzione tra «etica generale», tesa ad esplicitare i fondamenti dell’agire morale, ed «etica applicata», orientata ad esaminare le questioni morali che si presentano nei vari ambiti della vita personale e sociale, quali ad esempio la bioetica, l’etica femminista, l’etica animale, l’etica ambientale, l’etica economica, l’etica sociale, l’etica della comunicazione, l’etica delle professioni, in ragione del fatto che esse richiedono la necessità di «applicare principi e valori ai singoli ambiti dell’agire umano, dall’ambito personale e familiare, all’ambito sociale, economico politico e religioso» [44] . Da questo punto di vista, «emerge la necessità di stabilire non solo criteri settoriali precisi utilizzabili, ma d’individuare lo specifico collegamento che sussiste tra questi criteri e lo sfondo etico generale che è in grado di giustificarli. Ciò anche allo scopo di favorire la soluzione di quei dissidi che emergono sovente nei concreti ambiti applicativi [...] e che, nella misura in cui rimandano a differenti opzioni di fondo, possono essere affrontati e risolti, solo se ci si colloca sul piano dell’etica generale» [45] .

    Anche se l’espressione «etica applicata» copre un campo estremamente vasto, il chiarimento sull’opportunità di usare una nozione come « applicazione» dell’etica, al fine di evitare una comprensione deduttivistica, oltre ad evidenziare la necessità di una fondamentale riflessione metodologica per un’adeguata comprensione del senso di ciò che è, effettivamente, l’«etica applicata», implica, anche, la necessità di affiancare ad un approccio puramente contestuale, che rischierebbe di frammentare l’etica in una molteplicità di aree poco connesse, una riflessione sulla giustificazione ultima e sul senso dell’etica per l’umano [46] , in ragione del fatto che l’attenzione per la concretezza dei singoli casi, accuratamente analizzati e compresi nel rispettivo contesto di riferimento, deve intrecciarsi con un attento lavoro di interpretazione e di ricerca di significato sull’importanza dell’agire morale per ogni uomo e ogni donna in tutti gli ambiti e forme di vita che costituiscono il luogo proprio del loro umanizzarsi [47] . Da questo punto di vista, il «concetto di applicazione indica anzitutto il terreno concreto da cui nascono le domande relative ai nostri comportamenti. Ma esprime altresì l’esigenza di non limitarsi a una trattazione settoriale, elaborando ricette che possiedono una validità circoscritta solo all’ambito preso in esame. Invece, per dare risposta adeguata alle questioni di volta in volta affrontate, bisogna fare riferimento ai principi che possono essere giustificati solo a un livello ulteriore. L’idea di applicazione, in altre parole, rimanda certamente alla concretezza dei problemi che debbono essere affrontati con il possesso di ben precise competenze, ma, insieme, indica il fatto che, per una loro effettiva soluzione, dev’essere previsto il rinvio a un piano più generale di elaborazione e di fondazione. Solo su di esso, infatti, ciò che viene deciso e attuato nei settori di riferimento [...] può essere adeguatamente compreso a partire da principî che hanno la pretesa di valere universalmente» [48] . Questo vuol dire che l’obiettivo dell’«etica applicata» è quello di reinterpretare le pratiche professionali alla luce dei principi e valori che hanno il loro luogo di concrezione nella prospettiva etica come principio di umanizzazione dell’uomo [49] .

    Anche l’etica dei servizi alla persona e delle relazioni d’aiuto assume come propria la domanda principale dell’«etica generale» alla quale cerca di dare una risposta: «Quale modo di vivere è migliore e degno dell’uomo? Qual è la vita veramente buona e degna d’essere vissuta? Come possiamo diventare migliori e vivere la miglior vita singolarmente e insieme?» [50] .

    A partire dalle azioni umane, l’etica si interroga sulla loro bontà o cattiveria dalle quali dipende la fioritura, riuscita e compimento di un essere umano o la sua disperazione, il non-senso della propria vita. Dipende la sua possibile realizzazione e, dunque, la fioritura umana ( human flourishing) o «felicità», che è poi l’obiettivo finale di ogni discorso etico, oppure il fallimento e, quindi, l’infelicità, che è poi il non raggiungimento di questo fine.

    Essendo parte integrante della domanda filosofica dell’uomo che riguarda la propria esperienza dell’essere o della realtà, l’etica, insomma, si occupa della vita dell’uomo, di ogni uomo e di ogni donna, dei loro desideri e preferenze, dell’orientamento e delle norme delle loro azioni, del loro destino. Essa costituisce, dunque, una ricerca estremamente concreta ed esistenziale, perché tocca il senso della vita, il bene dell’uomo, la sua felicità, il valore delle sue scelte, chiamando in causa la persona nella sua libertà «situata», nei suoi aneliti più profondi, nelle sue intenzioni e valutazioni di coscienza.

    In fin dei conti, se è chiamata a rispondere all’umanissima e sempre risorgente domanda che riguarda come l’uomo deve vivere e quale qualità buona deve attribuire alla propria vita, è evidente che l’etica dei servizi alla persona e delle relazioni di aiuto deve partire dall’esperienza vissuta dell’uomo nella concretezza delle sue articolazioni e dimensioni esistenziali. Infatti, si tratta di chiarire, spiegare e comprendere come l’uomo deve vivere e agire, o, meglio, specificare le qualità del proprio vivere e agire in relazione con se stesso, con gli altri, con l’Oltre/Altro e con le cose del mondo.

    Le riflessioni contentute, sviluppate e articolate in questo lavoro hanno avuto come luogo contestuale di costruzione, elaborazione, maturazione, affinamento e svolgimento le lezioni di Etica dei servizi alla persona, tenute, in questi ultimi anni, agli studenti, che ricordo e ringrazio per la loro attenzione e partecipazione attiva al dialogo educativo, del Corso di Laurea Magistrale in Programmazione e gestione dei Servizi Educativi e Formativi, presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università LUMSA di Roma. Le lezioni, gli approfondimenti e la guida all’elaborazione delle tesi di laurea, ovviamente, sono state ispirate, condotte e modulate facendo riferimento a quanto maturato durante il percorso di ricerca in ambito antropologico ed etico teso a cogliere il senso e il valore della prospettiva etica come principio di umanizzazione dell’uomo. Questo rende ragione del perché, nel presente lavoro, che esplicita ulteriormente concetti e intuizioni espressi durante lo svolgimento delle lezioni, ripresi, riconsiderati e rimodulati con nuove integrazioni, argomentazioni e approfondimenti, è possibile ritrovare rimandi e testi, di cui alcuni ripresi letteralmente, presentati in precedenti altre pubblicazioni, i quali, incastonati in una nuova struttura argomentativa, ripropongono e rilanciano, nel quadro della definizione di un’etica dei servizi alla persona e delle relazioni di aiuto, il perenne tema della soggettualità etica dell’uomo, la quale, attraverso l’agire orientato verso il bene, concreta il progetto insito nella struttura dell’antropologico che si esprime nel far accadere la positività dell’essere per sé e per gli altri, grazie, proprio, agli e con gli altri, e che, dunque, trova concrezione nella pienezza dell’umanità compiuta e della dignità di essere.


    [1] Cfr. G. Lanza. Il ben-vivere, Lineamenti di economia del Terzo Settore. Edizioni di Solidarietà, Caltanissetta 2007; Idem, Passione solidale. Per una economia umanizzata, a cura di V. Sorce, Edizioni di Solidarietà, Caltanissetta 2012.

    [2] Av.Vv., Alla scoperta delle professioni. I servizi alla persona, Isfol, http://orientaonline.isfol.it, p. 1 (consultato il 6 giugno 2016).

    [3] Cfr. F. Totaro, Assoluto e relativo. L’essere e il suo accadere per noi, Vita e Pensiero, Milano 2013, passim.

    [4] Cfr. Av.Vv., Alla scoperta delle professioni. I servizi alla persona, pp. 2-3.

    [5] Cfr. Ibidem, pp. 3-4.

    [6] Ibidem, p. 4.

    [7] Cfr. Ivi.

    [8] «Le regole per la realizzazione ed il funzionamento dei cosiddetti baby-parking, o mini-asili, sono dettate a livello regionale. Generalmente sono accolti bambini tra i 13 mesi e i 6 anni, la cui frequenza può essere occasionale o abituale; durante la permanenza dei piccoli, che possono rimanervi per un tempo massimo di sei ore, la presenza dei genitori non è obbligatoria. Queste strutture offrono un servizio rivolto ai genitori e ai loro bambini in cui determinante è la loro ubicazione: i baby-parking sono spesso situati in luoghi strategici per gli adulti come centri commerciali, condomini, pubbliche amministrazioni, associazioni non profit o parrocchie. Gli obiettivi che il servizio si propone sono custodire i bimbi, vigilare sulla loro sicurezza e allo stesso tempo offrire ai genitori un valido sostegno nella conciliazione degli impegni lavorativi e familiari. La componente principale del baby-parking è quella ludico-ricreativa: tutte le attività svolte, il movimento, la lettura, il disegno e la multimedialità, vengono infatti declinate sotto l’aspetto ludico». Av.Vv., Alla scoperta delle professioni. I servizi alla persona, p. 5.

    [9] «La ludoteca compare in Europa intorno al 1960 nei Paesi all’avanguardia nella ricerca di nuove realizzazioni sociali, come la Svezia, la Francia, la Norvegia, la Danimarca e la Gran Bretagna. Si possono individuare tre linee che caratterizzano la realtà delle ludoteche europee legate ai diversi contesti culturali in cui hanno avuto origine. La prima tipologia, quella rappresentata dalle ludoteche francesi e danesi, nasce principalmente per il prestito dei giochi e dei giocattoli ed è orientata soprattutto ad un pubblico adulto. La seconda tipologia, costituita dalle ludoteche della Gran Bretagna e della Svezia, ha avuto originariamente una funzione di supporto per i ragazzi con difficoltà mentali e fisiche. La terza tipologia nasce in Norvegia, dove le prime ludoteche avevano come finalità l’iniziazione culturale dei ragazzi ed erano per questo strettamente legate alla scuola. In Italia la ludoteca si presenta con delle caratteristiche che almeno alle origini la differenziano molto dalle altre esperienze condotte in Europa, connotandosi subito come centro culturale di incontro tra adulti e bambini in un contesto di crescita realizzato attraverso il gioco. Non esiste un modello unico di ludoteca: in termini molto generali può essere descritta come uno spazio gioco aperto ai bambini fino ai 12 anni, che possono rimanervi per un periodo indeterminato di tempo sotto la sorveglianza di un genitore o di un tutore. Le ludoteche, che possono essere pubbliche o private, si differenziano in ludoteche di base annesse ad altri servizi educativi oppure a locali pubblici e privati, centri commerciali, fiere, musei dei bambini, aeroporti, porti, stazioni, ospedali, istituti penitenziari e così via. All’interno di uno spazio libero per giocare, esse offrono una gamma molto differenziata di servizi che non si limitano alla custodia dei bambini, ma vanno dall’animazione al prestito di giochi e giocattoli, all’organizzazione di laboratori riguardanti lingue straniere, informatica e multimedialità, teatro, ricerca e recupero delle tradizioni popolari, pittura e altre attività manuali che stimolano la creatività». Av.Vv., Alla scoperta delle professioni. I servizi alla persona, pp. 5-6.

    [10] Av.Vv., Alla scoperta delle professioni. I servizi alla persona, pp. 6-7.

    [11] Ibidem, p. 7.

    [12] Av.Vv., Alla scoperta delle professioni. I servizi alla persona, pp. 7-8. Rientrano in questa tipologia anche i «saloni di acconciatura», «sottolineando con la parola salone un ambiente più ampio con riferimento soprattutto alla qualità dei servizi offerti e alla relazione con il cliente. I saloni di acconciatura non sono più solo infatti luoghi dove si tagliano i capelli, ma centri in grado di offrire consulenza nel campo dell’immagine e della cura della persona, rispondendo ad una domanda sempre più complessa che richiede in egual misura professionalità e benessere». Ibidem, p. 8.

    [13] C.R. Rogers, La terapia centrata sul cliente, cura di A. Palmonari e J. Rombauts, Marinelli, Firenze 1970, p. 68.

    [14] «Perché si instauri una relazione d’aiuto è necessario che uno ammetta di essere in difficoltà, di trovarsi in un momento particolare, di mancare di qualcosa; ma questo è possibile soltanto nei confronti di qualcuno che si è dimostrato amico, solidale, disponibile, e soprattutto anch’egli bisognoso di qualcosa». A. Chieregatti, L’aiuto, in A. Canevaro - A. Chieregatti, La relazione d’aiuto, Carrocci, Roma, 2000, p. 248.

    [15] «La relazione educativamente valida è una relazione d’aiuto, nella quale ci si assume la responsabilità e il rischio della guida perché essi altro non sono che dei doveri verso la personalità che cresce; ma, nello stesso tempo, è una relazione che intende accettare in tutta la sua estensione il diritto dell’altro a diventare se stesso. È quindi una relazione funzionale a un progetto i cui termini ultimi stanno in un disegno originale che l’educatore può soltanto cercare di interpretare ma non può certamente tracciare egli stesso in tutte le sue linee». C. Scurati, Campi e contenuti, in F. Frabboni - L. Guerra - C. Scurati, Pedagogia. Realtà e prospettive dell’educazione, Bruno Mondadori, Milano 1999, p. 16.

    [16] La relazione di aiuto è un «incontro» tra due persone di cui una si trova in condizioni di sofferenza, confusione, conflitto o disabilità, rispetto a una determinata situazione o a un determinato problema e un’altra è dotata di un grado superiore di integrazione, competenza e abilità rispetto a queste situazioni o tipo di problema. L’aiuto non consiste tanto nel proporre soluzioni, quanto piuttosto nel togliere ostacoli emozionali, cognitivi, in modo da rendere possibile il dispiegarsi delle potenzialità che la persona in difficoltà possiede. Avendo come principale finalità la restituzione dell’autonomia e un maggiore senso di dignità e di autostima alla persona, nella relazione di aiuto è necessario che la persona venga trattata in modo tale da sperimentare, già nel processo di aiuto, un adeguato e autentico clima di autodeterminazione, responsabilizzazione e valorizzazione, in quanto il processo d’aiuto è un allenamento all’autonomia che la persona dovrà progressivamente conquistare. Essendo non solo esclusivo monopolio delle professioni d’aiuto, la relazione d’aiuto è una relazione umana caratterizzata da un «praticare» in modo consapevole, controllato e intenzionale ciò che una persona fa spontaneamente nella sua vita quotidiana, per cui risulta quanto mai opportuno sostenere e potenziare le naturali capacità d’aiuto di coloro che nella loro vita o nello svolgimento della loro professione, nell’ambito dei servizi alla persona, sono a stretto contatto con situazioni di difficoltà. Gli ambiti all’interno nei quali si svolge la relazione d’aiuto sono: il counseling che ha lo scopo di abilitare la persona a prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale ad affrontare problemi e difficoltà che lo riguardano personalmente; la psicoterapia che si rivolge a persone afflitte da disturbi strutturali della personalità che generano un grave disagio e una grave sofferenza psichica; l’ambito educativo sociale che si concentra sulle dimensioni esterne del comportamento e sulle abilità di vita, proponendo azioni educative o rieducative per migliorare il funzionamento sociale della persona, per permettere ad essa di darsi degli obiettivi e di tirar fuori le capacità per perseguirli. Per approfondimenti, Cfr. G.B. Achenbach, La consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2004; A. Boarino - A. Zuccarello, L’immagine del counselor, in «Giornale di Psicologia», 1, 2007, pp. 66-73; R. Carkuff, L’arte di aiutare, Erickson, Trento 1987; M. Danon, Counseling. L’arte della relazione di aiuto attraverso l’ascolto e l’empatia, RED Edizioni, Milano 2009; A. Di Fabio, Counseling. Dalla teoria all’applicazione, Giunti, Firenze 1999; D. Marinis - G. Montani (a cura di), Professione counseling: individuo, azienda, società, Il Veltro, Roma 2006; R. May, L’arte del counseling, Astrolabio, Roma 1991; D. Mearns - B. Thorne, Counseling centrato sulla persona. Teoria e pratica, Erickson, Trento 2006; R. Mucchielli, Apprendere il counseling, Erickson, Trento 1987; C.H. Patterson, Relationship Counseling and Psychotherapy, Harper and Row, New York 1974; P.B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2006; C.R. Rogers, Psicoterapia di consultazione, Astrolabio, Roma 1971; P. Spagnulo, Guida al counseling. I fondamenti tecnici della relazione d’aiuto, Ecomind, Salerno 2006.

    [17] Cfr. S. Zamagni - L. Bruni, Economia Civile, il Mulino, Bologna 2002, p. 58. «I beni relazionali sono beni che implicano dimensioni essenzialmente affettive, emotive, come fiducia, amicizia, solidarietà. Sono quelli per i quali [...] la relazione fra le persone non è un puro strumento per la soddisfazione dell’interesse individuale, ma costituisce per sé un bene comune. Si tratta in altri termini di beni che non possono essere né prodotti né consumati da un solo individuo: essi non sono acquisibili in modo autonomo, ma dipendono piuttosto dalle modalità delle interazioni con gli altri e possono essere goduti solo se condivisi. I beni relazionali quindi crescono con il tempo e con la sistematica fruizione della relazione; paradossalmente, cioè, a differenza dei beni comuni, aumentano il loro valore con l’uso e perdono invece valore con il non-uso. La loro caratteristica essenziale è quindi la reciprocità: l’idea che la relazione in sé costituisce un bene». E. Pulcini, Bene comune e/o beni

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