"Le miniere del cielo": RICORDI DI UN NAVIGANTE DELL'ARIA
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Anteprima del libro
"Le miniere del cielo" - DARIO STABILE
Ringraziamenti
INTRODUZIONE - LE MINIERE DEL CIELO
LE MINIERE DEL CIELO
(Ricordi di un navigante dell’aria)
Dedicato a tutti i naviganti del trasporto aereo che, dovunque essi si trovino sul pianeta, sono accomunati dallo svolgere un lavoro straordinario, che dona un grande bagaglio di esperienze, ma che a volte richiede anche grande adattabilità e sacrificio.
Perché la miniere del cielo? L’opinione comune che il personale navigante di volo faccia una vita da favola è da sfatare.
Parlo di miniere perché il termine richiama il disagio ed il senso d’isolamento che si prova a stare sotto terra. In aria ho provato la stessa sensazione d’isolamento a diecimila metri da terra ed in quanto a disagi e fatiche, ce ne sono da vendere. Ne faccio alcuni esempi: aria malsana, rumore fisso, vibrazioni continue dei motori, nottate in bianco ed alzatacce alle tre del mattino. Sballo di alcuni cicli corporei e psichici (cronobiologia e cronopsicologia ): ultradiani, come il pranzo e la cena; circadiani, come il sonno e la veglia; infradiani (soprattutto lungo raggio), come le mestruazioni e le stagioni, con i loro effetti sul metabolismo. Radiazioni di vario tipo, dovute alla mancanza di protezione dell’atmosfera terrestre ad alta quota. Grande esposizione al terrorismo, dopo l’Undici Settembre ed i fatti di Parigi e Bruxelles del duemilasedici. Vita sentimentale rarefatta. Fra noi assistenti e piloti, scherzando, ci raccomandavamo sempre di avvertire a casa la dolce metà, quando ci veniva cancellato un volo e tornavamo senza essere aspettati. Non vi dico il motivo ma è meglio.
Invece, il pericolo di un incidente aereo, è davvero remoto, in quanto si tratta del mezzo di trasporto più sicuro che ci sia per viaggiare, indispensabile sui lunghi viaggi. Viene superato solo da chi viaggia con la fantasia, comodamente sdraiato sul proprio letto. Si dice che la parte più pericolosa di un viaggio aereo, sia arrivare in aeroporto.
L’opportunità di lavorare in part-time (di cui ho approfittato), anche se con meno soldi, ci permette di goderci il bello di questo lavoro.
Tutto ciò che racconto in questo libro è veramente accaduto, sia i fatti che le mie impressioni e sensazioni del momento.
Nulla è stato romanzato, si tratta semplicemente dei ricordi della mia vita da assistente di volo Alitalia, millenovecentosettantaquattro-duemilaotto..
Ora mi godo la pensione e l’esperienza accumulata con questo interessante lavoro. Inoltre mi occupo di musica, che è sempre stata la mia grande passione, oltre che amica ed attività lavorativa; alcune volte mi ha anche tirato fuori dai guai.
Ultimamente faccio anche dei video musicali, a sfondo sociale e naturalistico.
Raccomando vivamente di coltivare i propri hobby ed interessi, essi ci rendono vivaci e creativi.
GLOSSARIO : GALLEY, cucina aereo - PAX, passeggeri - COCKPIT, cabina pilotaggio - BRIEFING, riunione equipaggio – FINGER, ponte mobile.
Primo episodio - IL JUMBO E LA BOMBA
IL JUMBO E LA BOMBA
Ero in alto, molto in alto, a circa diecimila metri d’altezza, sull’Atlantico settentrionale. Il jumbo ci portava a novecento all’ora, da New York a Roma, in sette ore e mezza, un po’ meno che all’andata, a causa dei venti d’alta quota, dovuti alla rotazione terrestre, che ci spingevano.
Vidi apparire il capo cabina, nella zona del galley posteriore, in cui mi trovavo con altri tre colleghi, circa cinquanta metri dietro il muso dell’aereo, e ci disse: Ragazzi, Milano ci ha comunicato che c’è una bomba
.
Quando dovrebbe scoppiare?
chiesi.
Alle otto e mezza
. rispose. I nostri Swatch (moda del momento) segnavano le otto e venti.
L’essere umano diventa giallo-verde, quando riceve una improvvisa cattiva notizia. Questa fu la mia deduzione scientifica, quando vidi il colore che assunsero i miei colleghi e credo anch’io, nel momento che il nostro cervello afferrò la situazione.
A questo punto facciamo un salto indietro nel tempo e nello spazio.
Stavamo passando la colazione, tempo all’arrivo circa due ore e mezza. Mi chiamano all’interfono, alla porta cinque right in fondo all’aeromobile a circa settanta metri dai piloti. La responsabile della prima classe chiedeva di ritirare immediatamente le colazioni, anche se non consumate.
Questa era già una stranezza ma la cosa ancor più strana era che stava piangendo, poi attaccò lasciandomi con molte domande che mi ronzavano in testa.
Improvvisamente il corridoio s’inclinò ed iniziammo una discesa precipitosa verso il nulla… il finestrino era azzurro e blu, significava cielo e mare, niente altro.
Qualcosa non andava, ci scappavano i carrelli dalle mani.
Strappammo i vassoi dalle mani dei pax che, grottescamente, arraffavano almeno il cornetto ed il caffè, che però colava sul tavolino e dovevi tenere la tazza di plastica colle mani. Inoltre la rapida discesa ci faceva provare la sensazione di galleggiare in cabina e la turbolenza faceva il resto, facendoci ballare come un terremoto.
Ritirammo tutto ed io feci un salto in prima classe per capire cosa stesse succedendo. Vidi le hostess che si sfilavano le calze in fretta e furia.
Questa operazione, anche un po’ sexy, è necessaria se si prevede un’evacuazione d’emergenza con gli scivoli (molto lunghi sul jumbo), e serve ad evitare che lo strofinamento faccia bruciare il nylon.
Non mi dissero comunque nulla, tranne che stavamo atterrando in emergenza a Nantes, in Francia. Tutto potevo immaginare meno che una bomba a bordo. Pensai ad una grave emergenza tecnica, al momento non avvertivo una grande preoccupazione, forse per la notte passata quasi in bianco; il sonno mi dava una specie di anestesia. Comunque in bocca avvertivo un sapore metallico e pensai mi si stessero fondendo le otturazioni per lo stress.
Eccomi dietro di nuovo ed a questo punto appare il capo-cabina, un omone egiziano, simpatico, una leggenda e… ci riagganciamo all’inizio.
Alla notizia della bomba e dopo essere impallidito come gli altri colleghi, i miei ricordi, pur rimanendo vividi e stampati nella memoria, si trasformano in una farneticazione onirica, quasi stessi sognando.
Mancava ormai poco all’atterraggio ed alla bomba; andai da un collega fuori servizio che, con la moglie, viaggiava come passeggero e gli dissi sottovoce del problema, in quanto davanti avevano deciso di non informare i pax per evitare panico. Il collega strabuzzò gli occhi. Una volta che me faccio un viaggetto, guarda che me deve capità
, disse.
Si spostò con la moglie agli ultimi sedili liberi vicino alla porta cinque right. Purtroppo non fu una felice decisione per lui ma forse mi salvò la vita.
Guardavamo spesso l’orologio e mancavano cinque minuti all’atterraggio e cinque minuti alla eventuale esplosione.
Cercammo nei bagni e un po’ ovunque ma della bomba nessuna traccia.
Iniziammo il corto finale
, gli ultimi chilometri in vista della pista del piccolo ma efficiente aeroporto di Nantes che fortunatamente consentiva l’atterraggio del Boeing sette quattro sette, serve molta pista.
Ero seduto alla mia postazione di decollo ed atterraggio, la solita cinque right e da lì, in fondo a tutto vedevo, ora che le tende erano tutte aperte, settanta metri di aereo, con circa quattrocentosessantacinque anime, fra pax ed equipaggio, che andavano in contro a non si sa che cosa.
Il jumbo è talmente lungo e largo che stando in fondo, si notano (durante la turbolenza) le flessioni della fusoliera, quasi fosse un ponte tibetano. Si flette creando una conca e poi una gobba; le stesse ali oscillano molto, quasi stesse provando a batterle come un gigantesco uccello. E’tutto previsto nel progetto proprio per evitare che si spezzi; visto però dal fondo fa sempre un certo effetto.
La bomba non scoppiava, erano le otto e ventisette.
Se almeno poggiassimo le ruote sulla pista, in caso di botto, qualche via di fuga la troveremmo ma in aria siamo fottuti.
Questi erano i miei pensieri prima di toccare la pista.
Feci l’auto-briefing per l’atterraggio come ci insegnano ai corsi, ma