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Dimora Ignota
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E-book159 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Emma è una donna dal passato turbolento, esponente di spicco di una nota famiglia malavitosa italo americana, che vive a pieno l’esperienza della sua esistenza, accettando senza esitazioni, regole e metodi senza appello dell’ambiente in cui vive. Il giorno i cui la stessa violenza che le ha coltivato e generato, le strapperanno le persone amate, la sua vita andrà in pezzi. Il desiderio di vendetta, la porterà a fare delle scelte radicali, che comporteranno il suo doversi allontanare dal mondo in cui ha sempre vissuto, per entrare nel sistema di protezione governativo. Da quel momento, inizierà un incredibile avventura in un luogo desolato lontano dal mondo, dove conoscerà persone inaspettate e sarà messa a conoscenza di verità per lei inconcepibili. Avrà modo di iniziare un percorso interiore che oltre a sconvolgere ogni suo concetto di vita, la porranno davanti a scelte da dover fare usando soltanto una legge fondamentale di quel luogo, la consapevolezza.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2017
ISBN9788869826023
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    Anteprima del libro

    Dimora Ignota - Massimo Bianchi Kandisky

    Massimo Bianchi Kandisky

    Dimora ignota

    CAVINATO EDITORE INTERNATIONAL

    Massimo Bianchi Kandisky

    Dimora Ignota

    Prima edizione digitale: Cavinato Editore International – 2017

    ©Tutti i diritti riservati

    Impaginazione e grafica: Silvia Mezzanotte

    CAVINATO EDITORE INTERNATIONAL

    Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compreso i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    © Cavinato Editore International

    Via della Volta, 110 - 25124 Brescia Italy

    Tel. (+39) 030 2053593 - Fax (+39) 030 2053493

    cavinatoeditore@hotmail.com • info@cavinatoeditore.com • www.cavinatoeditore.com

    Vista dall'alto, appariva come un'ordinata macchia nel bel mezzo del deserto. La cittadina nell'area a maggiore densità di abitanti, era costituita da sei file di case in legno e mattoni rossi parallele tra loro. Il sole rovente in alcuni periodi dell'anno portava temperature ai limiti del vivibile, ma in quel luogo a nessuno sembrava desse peso. Il selciato era un misto tra sabbia e sottile pietrisco bianco su cui sbuffi d'aria calda sollevavano piccoli mulinelli che subito si dissolvevano. Mentre lo splendente pick up rosso, lentamente percorreva la distanza che divideva l'area desertica dal centro abitato, i profondi occhi neri di lei poterono osservare in lontananza, la maestosa catena di colline che da nord a sud est sembravano cingere la cittadina. Era frastornata dal caldo asfissiante e dai postumi, del lungo ed estenuante viaggio in aereo che aveva dovuto affrontare, per giungere in quel luogo che forse solo gli abitanti, sapevano esistesse. Il silenzio era disturbato dal lento incedere della vettura che sollevava dietro di se tenue nuvole di sabbia. Girò lo sguardo alla sua sinistra, osservando l'uomo alla guida. Grande e grosso con un'espressione bonaria e sicura. Era il primo individuo che aveva conosciuto dal momento in cui il piccolo aereo da turismo era atterrato non senza difficoltà sulla pista sterrata. Un fugace brivido percorse la sua schiena e sembrò svanire dopo aver stretto in una morsa dolorosa lo stomaco, era la presa di coscienza di essere sola al mondo e in balìa di gente sconosciuta.

    Tutto bene? Disse improvvisamente l'uomo alla guida. Si, credo di si rispose cercando di schiarire la voce. Non temere, vedrai che dopo un po' di tempo ti troverai a tuo agio disse rassicurante. Lo spero... Ma si, vedrai che tutto sommato non avrai modo di annoiarti e poi questo è un posto abbastanza bizzarro, abitato da gente bizzarra... disse sorridendo. La vettura entrò nel centro abitato e ciò che subito notò, era che per strada non c'era anima viva. Lentamente attraversarono quella che sembrava essere la strada principale, delimitata dalle abitazioni e non vide nessuno ad una di quelle finestre o sotto uno di quei portici di legno. Sotto un portico c'era una insegna dipinta con vernice rossa con su scritto Jazz taverna, ma nemmeno lì vi era segno di vita. Seguirono poi un emporio, l'ufficio dello sceriffo con annessa prigione e la farmacia ambulatorio.

    Lo so cosa stai pensando, dove diamine sono gli abitanti? Sbottò ridendo. Lei annuì distratta. Sotto questo sole rovente, o si rimane in casa o si va a lavoro oppure a scuola Non sono qui in cerca di amicizie disse lei con una vena di amarezza.

    Uscirono dal centro abitato per ritrovarsi di nuovo nell'ampia distesa desertica, dove erano sparse alcune abitazioni. Vedo che abito in periferia... L'ironia di lei, fece sorridere il suo accompagnatore. E' un po' isolata dal resto della cittadina, ma è una casa molto accogliente! Disse lui per rincuorarla.

    Proseguirono la marcia fino a giungere all'abitazione che le era stata destinata. Di fronte vide un'altra casa, con alle spalle quella che sembrava un'officina, ma anche lì nessun segnale di vita. Dopo la sua casa, Il deserto si perdeva a vista d'occhio sino a giungere alle lontane colline che sembravano ondeggiare per effetto dell'evaporazione dell'umidità notturna, che si miscelava all'aria rovente. Bene mia cara, siamo arrivati alla tua bella casetta Disse l'uomo scendendo dal pick up. Quando toccò il suolo, avvertì l'inesorabile calore che vi si sprigionava. L'uomo raccolse una parte dei bagagli dal retro della vettura e così fece lei. Con passo rapido raggiunsero il portico come per sfuggire all'occhio inesorabile del sole. Tieni, queste sono le chiavi, anche se qui è inutile chiudere la porta, siamo abituati a bussare prima di entrare Strinse le chiavi nella mano, come se fossero una boa al centro di un oceano. Portarono i bagagli in casa e l'uomo subito chiuse la porta. L'aria calda non entra e l'aria fresca non esce Disse come per giustificare la rapidità del suo gesto. Una grande sala arredata in maniera spartana ma accogliente, faceva da ingresso. Spesse tende colorate di blu oscuravano le finestre che si aprivano su ogni parete. In fondo alla sala vide un camino in pietra e si chiese a cosa potesse servire in un posto simile. Sulla destra, una scala in legno massiccio conduceva al piano superiore e dietro di essa sempre al piano terra, si intravedeva un altro ambiente, la cucina. Si guardò intorno spaesata ed esausta. Ti piace? Le chiese. Lei lo guardò seria, senza rispondere. Ah! Esclamò lui assumendo un'aria formale. Dalla tasca del giubbotto di tela, estrasse una busta di carta gialla, rigonfia. Qui dentro c'è tutto ciò che ti serve e ciò che sei... Io sono tenuto a dirti soltanto che la lettera devi poi distruggerla e custodire gelosamente i documenti che vi troverai Il suo improvviso tono serio ed accorato, la riportarono alla sua intima realtà, quella realtà che per qualche attimo le era sembrata distante, lontana centinaia di chilometri. Passerò nel tardo pomeriggio per condurti al tuo nuovo lavoro. Ti troverai bene Disse tornando ad avere un tono amichevole.

    La vettura si allontanò e nel silenzio assoluto percepì soltanto il suono del suo respiro. Fece i suoi primi passi in quella casa che a lei appariva enorme per una donna sola, una donna sola al mondo. Si lasciò andare sul soffice divano e osservò i bagagli innanzi la porta d'ingresso. Dalla finestra al lato della porta dei timidi raggi di sole si stagliavano con una linea retta sul pavimento, delimitati dalle pesanti tende. Sotto una delle finestre un mobile che sembrava antico, con su un vaso ed un orologio funzionante. Si guardò intorno e dedusse che avevano pensato a tutto, sembrava non mancasse nessun dettaglio nell'arredo. Voleva indurre la mente a pensare ad altro, ma scoppiò in un pianto dirotto, erano forse anni, che non saggiava il sapore delle sue lacrime.

    Come sbiadire i ricordi? Si destò dal torpore in cui era caduta con quel pensiero nella testa. Dormire non aveva rigenerato le sue forze, ma le aveva stranito e deformato quasi la realtà. Non sapeva più se fosse vero o meno ciò che aveva vissuto in quella mezza giornata. Il viaggio estenuante in aereo, l'atterraggio in stile montagne russe, il caldo terribile, quel pick up rosso fuoco lucidissimo, l'uomo che le aveva consegnato la busta... La busta! Sgranò gli occhi saltando in piedi. Dove diamine era finita? Il cuore sussultò forte, il panico la pervase, roteò gli occhi freneticamente in cerca della busta e finalmente la vide sul piccolo tavolo accanto il divano.

    Si impose di aprirla con calma, con deferenza, ma le mani tradivano emozione e tensione. Ne tirò fuori una lettera intestata, scritta al computer, un passaporto nuovo di zecca e mille dollari in biglietti da cento così nuovi da sembrare finti. Lasciò cadere il denaro sul tavolinetto. Aprì lentamente il passaporto, per rivelare il segreto che le avrebbe cambiato la vita. Osservò con attenzione la foto, quel sorriso finto, i capelli ben sistemati. Le ritornò bene in mente il luogo e le circostanze in cui aveva dovuto farla. Emma Rubio. Dodici agosto millenovecento ottanta, Ensenada, Porto Rico. sussurrò. Quante volte le avevano detto di ripetere a mente il suo nuovo nome. Quante volte le avevano detto di ripassare a mente fin nei minimi dettagli e fino allo stremo, la storia della sua nuova vita. Non fidarti nemmeno della tua immagine riflessa! Le avevano ripetuto sino alla nausea. Cittadina americana, nubile. Come se tutto potesse essere sovrascritto, confondendo, cassando, mistificando il senso e il significato di una vita precedente. Aveva letto qualcosa sulla reincarnazione, in una di quelle interminabili notti passate in quella stanza blindata, alla fioca luce di una lampada, che allungando le ombre le faceva divenire tetre immagini, che favorivano il riemergere di cupi ricordi, che si fondevano a preoccupanti sensazioni di un futuro vuoto.  Reincarnarsi vivendo, come una mutazione. Ma la pelle non era cambiata, l'aspetto non era mutato e peggio, la mente non aveva resettato nulla.

    Ripose il passaporto nel cassetto, non credeva le sarebbe mai servito in quel posto desolato nemmeno segnato sulle mappe stradali. Si mise seduta e aprì la lettera innanzi i suoi occhi. Era scritta metà in inglese e metà in italiano, la bizzarria del suo angelo custode, l'italo americano Joseph Mancini. Una sequela di raccomandazioni, spiegazioni sul luogo dove si sarebbe trovata, errori da non fare, precauzioni da seguire, l'ennesima inesorabile ripetizione di tutto ciò che ormai conosceva nei minimi dettagli. Al termine della puntigliosa missiva, un numero da segnare a matita sotto un mobile e da usare nel caso in cui tutto fosse inspiegabilmente fallito. Come le ordinava il contenuto della lettera, lo fece subito. Anche le matite erano nel suo corredo. Segnò il numero ricalcandolo, sotto il cassetto del tavolinetto accanto a se, poi, con fare meticoloso, come se quel gesto rappresentasse la chiusura di un ciclo e l'apertura di un nuovo tempo, fece in piccoli pezzi la lettera. Depose i pezzetti di carta in un grosso posacenere di vetro trovato in cucina e diede loro fuoco. Fissò la carta annerirsi fino a divenire cenere. Con un dito ridusse tutto in polvere. Versò il contenuto nel lavabo e lasciò scorrere l'acqua. Era tutto veramente finito. Da quel momento, era lei e quel posto, lei e quella gente sconosciuta. Recandosi al piano superiore in perlustrazione, arrivò in camera da letto, accese la luce e la sua immagine, fu riprodotta in un lungo specchio di fronte. Si avvicinò lentamente, osservandosi minuziosamente. Sembrava invecchiata, erosa lentamente da tutta la sua storia personale. I lunghi capelli nero corvino che superavano le spalle da troppo tempo non erano curati come aveva sempre fatto. Poggiò le mani ai fianchi di un corpo che era stato anche tanto invidiato e desiderato, poi gli occhi neri, grandi, incrociarono lo sguardo allo specchio per alcuni istanti, si girò di colpo come per sfuggirgli. Sentì bussare alla porta e si diresse da basso con passo veloce, si rese conto di non aver disfatto nemmeno i bagagli, lasciati lì, all'ingresso.

    L'uomo le sorrise sull'uscio, dietro di se in strada quel luccicante pick up rosso. Il sole era declinato in lontananza verso le montagne. Tutto bene? Adesso direi che possiamo anche presentarci... Fece con tono cordiale.  La manona dell'uomo stritolò la sua. Herry Burton, sono lo sceriffo e il giudice di questa meravigliosa cittadina! Emma Rubio Disse massaggiandosi la mano. Allora andiamo?  Percorsero in senso inverso la strada fatta al mattino e quando giunsero al centro abitato, finalmente il suo animo fu rinfrancato dal vedere che c'erano degli esseri umani che vivevano in quel luogo. Sotto i portici gente che conversava o leggeva o se ne stava ad osservare il via vai in strada. Qualcuno diresse verso lei uno sguardo curioso e abbozzò addirittura un sorriso. Il rumore ristoratore della vita. Il brusio delle voci che scorrevano veloci, rumori di passi sulle tavole di legno dei portici, rumori di porte o finestre che si aprivano o chiudevano. Osservò due ragazzine che a cavallo percorrevano lentamente la strada, le sorrisero e le fecero un cenno con la mano, lei abbozzò un timido cenno di saluto con le dita. La vettura si fermò innanzi la costruzione con su la scritta jazz taverna. Le fece cenno di seguirla, il cuore riprese a trottare e le mani iniziarono a sudare. Le sembrava di essere accompagnata al primo giorno di scuola da un cortese sconosciuto. Sul portico un nugolo di persone tacquero alla sua vista. L'osservarono dalla testa ai piedi e accennarono un sorriso, come se non fossero nuovi ad accogliere sconosciuti. Herry la bloccò sul portico con una delle sue enormi mani trattenendola per una spalla. Cari amici lei è Emma Rubio Fu un coro di Benvenuta!  Lei impacciata ricambiò con un sorriso. Herry le fece strada all'interno canticchiando. Il locale era grande, con una miriade di tavolini disseminati in ogni direzione. Un grosso banco di legno massiccio e una vetrata colma di bicchieri e bottiglie sullo sfondo. In fondo sulla sinistra due porte volanti che facevano accedere alla cucina. Sulla destra del banco invece, una piccola pedana in legno nella penombra, su cui si scorgeva un piano e la sagoma di strumenti poggiati in un angolo. Dalla cucina uscì una bellissima donna sulla cinquantina, capelli nerissimi raccolti dietro la nuca, prorompente bellezza latina che illuminò il suo viso con un radioso sorriso dalla dentatura perfetta. Ed eccola qui, questa dolce ragazza… Disse stringendole forte la mano. Avevi bisogno di una cuoca e di una persona che ti desse una mano a servire? Eccola! Disse allargando le braccia Herry Burton. Ma io non so cucinare Si schermì subito Emma. Proruppero in una risata che riecheggiò nel locale vuoto. La donna le mise le mani sulle spalle. Non me ne frega niente se non sai cucinare, imparerai. Qui tutti devono imparare qualcosa di nuovo. Qui tutti devono imparare a scoprire cosa pensavano di non saper fare. Io sono Carmen Locarno la proprietaria di questo locale che renderà la tua vita più leggera Emma l'osservò stupita, poi guardò Herry che la guardava con il solito sorriso stampato

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