Un'altra metà
Di Streusa
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Info su questo ebook
Crescere è un viaggio in cui bisogna superare le proprie debolezze. Lo sa bene Filippo, che fatica ad affrontare l’età adulta. Per caso gli capita di conoscere una ragazza diversa dalle solite, dura, sfuggente; si odiano, eppure si avvicinano. Ma quando Gabriella sparisce improvvisamente dalla sua vita, non riesce a darsi una spiegazione. Solo anni dopo la rincontrerà e potrà scoprire il suo segreto, che metterà in discussione la sua scala di valori. Fare pace con se stessi non sarà un’impresa facile…
Streusa è un’ex-laureata in lingue e letterature straniere, “ex” non perché le lauree siano solite volatilizzarsi nell’etere, ma perché è afflitta dalla consapevolezza di aver dimenticato la maggior parte delle conoscenze acquisite durante gli anni universitari. Attualmente disoccupata, ogni tanto lavoricchia. Disegna a livello amatoriale nei suoi blog su Webcomics.it e nella pagina Facebook Essendo Disoccupata (appunto), dove pubblica strisce umoristiche su espressioni idiomatiche e un crime drama a fumetti (Ladro – Come rubare una vita).
P.S. So che a molti non piace comprare a scatola chiusa, soprattutto se si tratta di dare fiducia a un autore esordiente, quindi vi linko la cartella in cui ho riunito alcuni teaser: https://www.facebook.com/pg/EssendoDisoccupata/photos/?tab=album&album_id=1093138467527678
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Anteprima del libro
Un'altra metà - Streusa
Ringraziamenti
Un’altra metà
Prefazione
Cari lettori, spero che la storia che leggerete sarà di vostro gradimento. Questo romanzo non intende essere un’opera pretenziosa, anzi al contrario, e ve ne accorgerete subito.
Mi auguro che non getterete la spugna non appena incontrerete delle imperfezioni linguistiche: in nome della verosimiglianza ho voluto ricreare dialoghi realistici, pure con qualche scorrettezza. Non a caso non mancano termini e frasi del gergo giovanile, soprattutto nei primi capitoli, così come il linguaggio scurrile e le espressioni dialettali. Poi ormai siamo abituati a leggere di contesti angloamericani, tanto che li diamo per scontati, specialmente se si trattano questioni delicate come in questo libro; ma così, secondo me, non facciamo che allontanarle da noi. Dunque ho scelto l’Italia, ho scelto la Sicilia, ho scelto Catania.
In barba al realismo, però, questo è un romance
, e in quanto tale ne conserva le caratteristiche. Non vuole essere una rappresentazione di fatti ma di sentimenti, condivisibili o meno. È anche un new adult
, quindi parte del focus è sulla crescita individuale. Non troverete avventura, intrighi, sottotrame; si parla di vite in fondo ordinarie. A qualcuno non sembrerà nemmeno così romantico, forse per lo stile asciutto; e per il mio gusto personale, un po’ sui generis.
La suddivisione anomala dei capitoli (prima lettere, poi cifre) trova giustificazione nella trama: il cambiamento segna un nuovo inizio, un approccio diverso, migliore o peggiore che sia.
Per quanto riguarda la storia, sono consapevole che potrei ricevere critiche di segno opposto.
Da un lato, chi non condivide determinate realtà mi accuserà di averlo ingannato con le premesse. Mi dispiace, forse non siete i destinatari giusti, o forse sì, se questo romanzo vi può ampliare gli orizzonti almeno un po’.
Dall’altro lato, chi ha già familiarità coi temi proposti potrebbe rimproverarmi una certa superficialità. Io ho cercato di trattare tematiche serie in modo allegro ma rispettoso, anche se non mancano le parti riflessive. Spero che nessuno se ne abbia a male per questo. Personalmente credo che ogni argomento possa essere affrontato con spirito, entro certi limiti. E poi, l’autoironia ci salverà tutti.
Buona lettura!
L’autrice
Streusa è un’ex-laureata in lingue e letterature straniere, ex
non perché le lauree siano solite volatilizzarsi nell’etere, ma perché è afflitta dalla consapevolezza di aver dimenticato la maggior parte delle conoscenze acquisite durante gli anni universitari. Attualmente disoccupata, ogni tanto lavoricchia. Disegna a livello amatoriale nei suoi blog su Webcomics.it e nella pagina Facebook Essendo Disoccupata
(appunto), dove pubblica strisce umoristiche su giochi di parole e un crime drama a fumetti (Ladro – Come rubare una vita
).
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Prologo
Quando la vide davanti a quella vetrina, Filippo rimase sbigottito. Non poteva credere che fosse lei. Doveva essere un’allucinazione crudele, creata da quella parte di sé che si ostinava a rivangare il passato.
Restò impalato sulla soglia del negozio, scrutando la figura dall’altro lato di Via Etnea. Non riusciva a vedere con precisione: lei era in mezzo al viavai, fissava le borse esposte indugiando un po’, camminando di traverso.
Resisté all’impeto di avvicinarsi. Doveva essere sicuro; eppure sì, il portamento era lo stesso. Esile come un giunco, i capelli lisci e bruni, stessi vestiti avvolgenti. Non era cambiata.
Erano passati anni. Cinque, per la precisione. In realtà sarebbe stato capace di calcolare anche le settimane e i giorni.
– È permesso? – lo richiamò un’anziana dietro di lui.
– Scusi. – biascicò, liberando il passaggio.
Aveva perso il senso della realtà: tutto, dalle bomboniere, al negoziante, alla città intera, era sparito dalla sua vista. Perfino la suocera e Luisa, anche se non le seguiva più da parecchio.
Si volse verso di loro: erano così impegnate nella scelta che non si curavano di lui. La cornice d’argento e il vaso di cristallo erano stati l’argomento principale degli ultimi giorni, un dubbio amletico. A lui non fregava un accidente, come per tutto il resto; ma era costretto a presenziare a quegli stupidi rituali. Non poteva esimersi.
Cercò di nuovo l’orizzonte opposto: la sorvegliata si era spostata sul bancone di una gelateria. All’improvviso guardò nella sua direzione, e lui si bloccò. Per un attimo gli sembrò che esitasse sul suo volto, invece no, stava solo leggendo l’insegna della boutique. La ragazza tornò ad analizzare i gusti. Puffo, cookies, malaga, era convinto che l’avrebbero attirata quelli più strani.
Ora non c’era più dubbio: le aveva visto con chiarezza gli zigomi alti, gli occhi verdi e rotondi, la stessa dolcezza malinconica. Non si sbagliava, quella era Gabriella.
– Filippo! – lo chiamò Luisa a voce alta, ma non abbastanza perché da fuori si sentisse.
Meno male
pensò; ma dovette avvicinarsi per evitare che accadesse di nuovo.
– No, niente… Guardavo i gelati. – farfugliò, con poca convinzione.
– Ti pare il momento di pensare a mangiare? Stiamo decidendo una cosa importante.
– Per me va bene sia l’uno che l’altro, ve l’ho già detto.
– Ma se mettiamo un fiocchetto argentato qui, così fa pendant?
Annuì.
Era una tortura. Adesso quelle idiozie sembravano ancora più insignificanti.
Teneva d’occhio l’ignara passante dall’altra parte: niente gelato, continuava a temporeggiare di fronte alle vetrine, per fortuna tutte a vista.
I ricordi si fecero spazio con prepotenza. Sentiva la voce, se si sforzava anche l’odore, come se fosse scomparsa ieri. Già: era scomparsa. Mentre tutto riaffiorava, la voglia di farsi avanti cresceva insieme alla rabbia; lo stupore iniziale, man mano, lasciava il posto a tutti i sentimenti negativi che aveva represso negli anni.
Voleva una spiegazione. Non l’avrebbe lasciata andare così, non una seconda volta. Chissà che cosa gli avrebbe raccontato…
Cercò di riflettere: voleva andare da lei, ma non era il momento giusto. Doveva essere certo che fosse libera di parlare, senza gente intorno. Come le persone che erano con lui. Prima o poi sarebbe uscita dal suo campo visivo, doveva trovare un modo per svincolarsi.
Finse di ricevere una telefonata attivando la vibrazione. Si sentì ridicolo a parlare da solo, anche per pochi istanti.
– E ora che succede? – domandò Luisa.
– Un impegno urgente, me n’ero completamente dimenticato… Questioni di lavoro.
– Di domenica?
– Sì, è uno che viene dall’estero. Poi ti spiego.
– Ma abbiamo quasi finito!
Esitò qualche secondo.
Proprio quando la cornice d’argento stava per avere la meglio, Gabriella si avviò verso la piazza in discesa e la perse di vista.
L’istinto fu più forte della ragione: poggiò le chiavi della macchina sul bancone e uscì dal negozio, lasciando le due donne così, senza dire altro.
Fidanzata e suocera non avrebbero capito neanche se si fosse messo a spiegare. E poi, cosa c’era da spiegare? Una ricompariva improvvisamente dopo anni e lui dava di matto come se non fosse cambiato nulla.
Forse solo Ivana avrebbe capito. In fin dei conti, era stata lei a farli conoscere.
Capitolo A
– Signorina, il servizio è scadente.
Ivana trasalì, intenta com’era a sistemare i bicchieri. Ma riconobbe la voce e sorrise.
Faceva sempre un certo effetto vederselo davanti: un Apollo di centonovanta centimetri spiccava anche nella penombra del locale.
– Ehi, finalmente sei passato! – disse, e rivolgendosi al barista – Faccio dieci minuti di pausa!
Si accomodarono a un tavolino. Ce n’erano molti liberi, quella sera feriale.
– Mi sentivo abbandonata da te… Ah, ti sei portato l’ombra.
Indicò il tipo dietro di lui, che sollevò il palmo della mano sentendosi chiamato in causa; ma non tanto da proferir parola.
– Ci stanno raggiungendo anche gli altri. – avvisò Filippo, poi comandò a una cameriera lontana – Quattro bionde medie!
– Al solito, i Fantastici Quattro! E lo studio?
– Prosegue, prosegue… Prossima settimana ho l’appello di Lingua Inglese. – rispose lui con disinvoltura.
Ivana si stupì, ma conoscendo il personaggio non si illuse:
– Ah, bene. Ma lo fai?
– Eh, vediamo… Non ho seguito bene.
Come non detto. Era un no
alla maniera di Filippo Mascali.
Lei gli fece una faccia inequivocabile: la solita, con le sopracciglia inarcate sopra la montatura degli occhiali. Disapprovava.
L’altro ragazzo, sguardo fisso sulla sua console portatile, rincarò:
– Non ha seguito neanche una lezione.
– E perché seguire Inglese? Tanto diventerò dottore commercialista anche con The pen is on the table
.
Si giustificò così, come sempre quando usciva il discorso. C’era già suo padre, a rimproverarlo perché non si impegnava nello studio… Non aveva bisogno degli amici per questo.
I due pezzi mancanti arrivarono subito dopo, insieme alle birre. Uno di loro si lamentava del ritardo dell'altro. In tempo per cambiare argomento:
– E tu? Come va la vita?
– Mah, va. Sono fiduciosa, è una nuova esperienza… Vediamo quanto dura, se riesco a tenere il ritmo. Meno male che i colleghi sono in gamba!
Si voltò verso la cameriera che aveva appena finito di servirli, così silenziosa che non la videro nemmeno:
– Gabri, perché non ti unisci? Tanto oggi c’è poca gente.
– Dai, uniamoci tutti, ammucchiata! – fece uno degli amiconi, al che si diedero il cinque a giro.
Quella li squadrò a uno a uno; e non ne ricavò un neurone.
– Non sono così male come sembrano. – cercò di rassicurarla Ivana, ironica.
– Ok…
Si sedette accanto a lei e a Filippo, mentre gli altri tre sorseggiavano sul tavolino adiacente. Non era entusiasta, ma volle accontentare la collega.
– Lei è Gabriella. Ti presento questi poco di buono! Allora… All’estrema destra abbiamo Samuele. – esordì indicando l’amico barbuto, il più grassoccio.
– Professione: aspirante cassiere. – lo provocò il ricciolino vicino a lui.
– Io? Assunto e posto fisso, prego.
– Famoso puttaniere. – continuò quello, che se la rideva.
– Galantuomo! E considerato un mito vivente nell’arte del rimorchio.
Compiacimento a parte, c’era un fondo di verità: nonostante l’aspetto pingue Samuele aveva un bel sorriso e ci sapeva fare.
– Vabbè. È spiritoso, anche se un po’ insolente. Procediamo con il più nerd, Roberto. Appassionato di videogiochi, telefilm, calcio e quant’altro. Iscritto in…?
– Scienze politiche. – borbottò, senza sollevare gli occhi dalla console.
Era così, lui: laconico, ma non per timidezza. Per indolenza. Quasi ostentata. I capelli rasati, in qualche modo, accentuavano la sua apatia.
– E ci resterà a lungo! – aggiunse il riccioluto.
– Anche Roberto, in fondo, è simpatico. Poi… Questo qui mi sta particolarmente a cuore.
– Ma questi favoritismi!? – intervenne ancora il riccio.
– … Essendo il mio migliore amico: Filippo.
– La Bella
. – canzonò Samuele.
– Detto Il Bello
– confermò Ivana – come il re medievale. Gli è rimasto attaccato questo nomignolo dalle medie, già faceva colpo sulle professoresse.
Ma del resto era vero. Non era colpa sua se era uscito fuori con quella faccia. Lui stesso sapeva di essere un bel tipo, le ragazze non gli erano mai mancate; anzi spesso erano loro a fargli la corte. E in ogni caso, non doveva faticare molto: alto, biondo, occhi azzurri che risaltavano sulla pelle abbronzata, e vivaci, specialmente se sorrideva. Che avesse quel corpo invece sì, era colpa sua: anni di nuoto l’avevano reso atletico e più slanciato di quanto già non fosse.
– Perfino io, che lo conoscevo da quando eravamo poco più che poppanti… ammetto che da ragazzina ci avevo fatto un pensierino. – riconobbe l’amica.
– Ehhh! – fecero gli altri.
– Tempi andati! Ora sono fidanzatissima.
– Aspè, con chi ? – chiese Filippo.
– Come! Vincenzo, te l’avevo presentato.
– Quello del negozio di computer? Ma è noioso.
– Parla quello che sta con la bella statuina.
– Ma chi?
– Cristiana.
– È noioso anche il nome. – li interruppe Samuele con la sua considerazione filosofica.
– Ahh, Cristiana…
– Te la ricordi, bravo. Cioè, non sai neanche con chi sei fidanzato? – fece lei, sempre più perplessa.
– Nah, siamo in pausa. Pensavo che parlavi di Elena.
– Ah, quella col piercing al naso?
– Ma Elena di Troia o troia di Elena? – s’intromise il riccioluto per l’ennesima volta.
I quattro risero e si diedero un fragoroso cinque, sotto lo sguardo sbigottito di Gabriella: non si capacitava di come potessero divertirsi così. Ivana le spiegò:
– In realtà con Cristiana sta insieme da sette mesi, la sua relazione più lunga… Di solito cambia ragazza dopo poche settimane, perché a detta sua non riescono a mantenere vivo il suo interesse. Ma di base è monogamo. Tranne in estate.
– Oh, io Cristiana non l’ho tradita. Solo a Ferragosto… Non è colpa mia se se n’è andata a Taormina.
– E l’amante qua che te la mina. – insinuò stavolta Roberto.
Un altro cinque. Si acclamavano a vicenda:
– Un grande, compare… Sei un grande!
Ivana, ormai, era rassegnata alle loro pantomime. Lanciò un’occhiata a Gabriella, la cui faccia sembrava dire Ma seriamente?
, e non poté che compatire:
– Perdonali, sanno anche essere gradevoli. Sono dei bambinoni… Ah, dulcis in fundo, il ritardatario della situazione è Mirko. – e indicò lo smilzo riccio con la ridarella.
Samuele non perse l’occasione di sputtanarlo:
– Questo è come una femmina: se dici un’ora, stai sicuro che spunta mezz’ora dopo.
– Ma quale femmina! Frocione che non sei altro!
– Rotto in culo ci sarai tu!
L’estranea spalancò gli occhi, mentre loro ridevano dei propri insulti. Poi si rivolse a Ivana:
– Mamma mia… Pensa se c’era Riccardo.
– Chi è Riccardo? – domandò Filippo.
– Quel mio collega di università, basso, magrolino… Lei lo conosce.
– Ahhh, Ricchione! Conosci Ricchione? – le chiese divertito.
Gabriella restò impassibile; anzi, dal tono di voce sembrava contrariata:
– Soprannominare ricchione
uno che si chiama Riccardo… Che trovata originale.
– No ma è frocio veramente. Come Mirko.
– Perché non me la suchi? Finocchio! – replicò il riccio; e giù a ridere di nuovo.
Lei decise che era sufficiente.
– Beh, io torno a lavorare. Magari mi fanno uscire prima, sono stanca oggi.
Si alzò e andò via, senza aspettare che la salutassero.
Ivana non tentò di fermarla: le aveva già fatto sopportare abbastanza.
– Asse da stiro. – commentò Samuele.
– Tavola da surf. – lo seguì Mirko.
– Io aggiungerei scopa nel culo
, hai visto come faceva la superiore? – fu il verdetto di Filippo.
E Roberto tirò le somme:
– Niente, Iva: ritenta e sarai più fortunata.
– Ma è mai possibile che dobbiate decidere se fare amicizia in base alla dimensione delle tette?
– No, io veramente ho detto una cosa diversa: aveva un atteggiamento troppo da snob. – puntualizzò il suo amico, che in effetti aveva criticato altro.
Quei quattro li conosceva da anni, erano nella stessa classe al liceo. Con Filippo aveva fatto addirittura le medie. Era abituata alle loro pagliacciate, però si aspettava un minimo di discrezione con le nuove conoscenze. Soprattutto da chi diceva di voler diventare un professionista serio.
– È una persona riservata. E poi non si giudica così senza conoscere: anche Vincenzo è meglio di come credete.
Filippo ne dubitava. Ma sorrise, sorseggiando la sua birra.
Di lì a poco i quattro andarono via. Ivana riprese a lavorare, come da una settimana a quella parte.
Era la prima volta che faceva la cameriera, ma era decisa a guadagnare qualche spicciolo in più. In estate faceva l’animatrice e pure la babysitter, ma ora che era ricominciato l’anno accademico preferiva qualcosa di più calmo. Così, quando aveva saputo che in zona Teatro Massimo cercavano personale, si era convinta che fosse una buona idea.
Anche se non glielo diceva, Filippo l’ammirava molto: lei stava già iniziando la specialistica, e si pagava una buona porzione della retta da sola. Lui invece era ripetente da secoli.
Era un amico protettivo, ma in senso buono. Ogni tanto gli tornava in mente una volta a scuola, quando Ivana gli aveva confessato di aver avuto una cotta per lui anni prima. Era caduto dalle nuvole; ma allo stesso tempo temeva che lei potesse ancora sentirsi così.
Le aveva risposto:
– Davvero? Non me n’ero accorto per niente! Allora meno male che è finita… Mi sarebbe dispiaciuto troppo vederti soffrire!
Indirettamente, era stato un modo per scoraggiarla a continuare con quei sentimenti. Le voleva bene, ma non in quel senso. Voleva che fosse felice con qualcuno che la meritasse.
Però, trovava che col tempo si fosse trascurata. Anzi, negli ultimi anni era notevolmente ingrassata, e quel caschetto con la riga nel mezzo la danneggiava ulteriormente.
Era preoccupato che i maschi decenti
non l’avrebbero più guardata. Infatti ora stava con quel tipo strano.
– Ti tratta bene, ‘sto tizio? – le chiese, la volta seguente che venne al locale; ma da solo, perché coi ragazzi fare discorsi seri era un po’ difficile.
– Se ‘sto tizio è il padrone, bah, sì, ma la paga è bassa e non so se alla lunga ne vale la pena. Mi sta togliendo troppo tempo allo studio.
– Veramente parlavo del tuo nerdone.
– Ah! No, perché nerdone? È solo un informatico che lavora coi computer. E si interessa di computer. – specificò ironica – E di me! Si interessa anche di me!
– Dai, seria.
– Ci sto bene. È un ragazzo molto maturo. – lo rassicurò.
– Appunto! Ma quanto ha? Quarant’anni??
– Sèèè, vabbè! Ha la nostra età! E già guadagna bene, tra l’altro.
– … Non è per questo, vero? – insinuò, pentendosi subito dopo; si mise a contemplare il suo cocktail, a mescolarlo con la cannuccia.
Dentro di sé, Ivana sapeva che non lo pensava davvero. Il che la trattenne dal tirargli un ceffone:
– Fi’… Vuoi che ti versi addosso il cocktail?
– Al posto tuo l’avrei fatto.
La voce fuori campo era della cameriera di qualche sera prima. Sì, quella di cui non ricordava il nome. Ma si ricordava l’antipatia, che era la stessa di ora. E che ricambiò:
– Scusa ma… era una conversazione privata.
– Scusami tu, ma quando uno dice che una ragazza sta con uno solo per i soldi… beh, scatta la solidarietà femminile.
– Ecco, brava. – approvò Ivana.
Filippo lanciò un’occhiata di sufficienza all’intrusa. Per essere riservata, si prendeva troppe confidenze. La ignorò e contestò l’amica:
– È che… Ma glieli hai visti, i capelli? Ha ‘sta specie di riporto che gli parte da un orecchio e finisce sull’altro… Pare un vecchio!
– Ha cominciato a perdere i capelli presto. Non sarà l’uomo più attraente del pianeta, ma a me piace. E mi tratta benissimo, sì. – puntualizzò infine – E tu, invece? Come la tratti la tua bella? O lE tuE…
– Eh, insomma… Le ragazze mi danno sempre problemi.
– Sei tu che sei un problema per le ragazze! – sbottò lei, simulando uno scappellotto.
Non riusciva a non provare tenerezza per quel mascalzone. Era un concentrato di faciloneria, almeno in apparenza. Eppure c’era di più in lui. Peccato che sentisse troppo spesso l’irrefrenabile bisogno di banalizzare, specialmente adesso che era in rotta con la fidanzata:
– Voi femmine siete così: all’inizio tutto liscio, poi a poco a poco pretendete sempre di più. I regali, le uscite, le promesse… E la birretta con gli amici no perché dovevamo andare qui, e il calcetto no perché dovevamo andare là… E allora vattene a fanculo che è meglio!
– La fiera della superficialità. – constatò la ragazza-gufo che era rimasta nei paraggi; ne aveva pure le sembianze, con i suoi abiti scuri e gli occhi a palla.
Lui iniziava a scocciarsi.
– Scusa, ti ho detto qualcosa?
– A me? No.
– E allora questi pareri non richiesti?
– Figurati. Continua pure.
Ivana stava per interrompere quel punzecchiarsi, ma proprio in quel momento il barista le fece cenno di venire.
– Mi chiamano. Voi due non bisticciate!
– Per carità. – scongiurò lei, continuando a trafficare dietro il bancone.
Filippo volle chiarire una volta per tutte:
– Si può sapere che ti ho fatto di male?
– Tanto per cominciare, chiamare le donne femmine
è di una tristezza infinita.
– E che sarà mai…
– Poi vediamo, fammi pensare… Stiratoio, tavola da surf, e com’era il più bello? Ah, sì: scopa in culo".
Era spigolosa tanto quanto il fisico ossuto