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Un gentiluomo da baciare: Harmony Jolly
Un gentiluomo da baciare: Harmony Jolly
Un gentiluomo da baciare: Harmony Jolly
E-book152 pagine2 ore

Un gentiluomo da baciare: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Non tutti credono all'amore a prima vista. Come definire, allora, quella strana sensazione che prende la bocca dello stomaco quando due sguardi si incrociano e non si lasciano più?
Adoro la moda, e Milano è la meta perfetta per me. Angelina Amery sente di aver trovato il luogo perfetto per mostrare tutto il suo talento di designer e nulla potrà distoglierla dal suo obiettivo. Peccato che l'appartamento che ha affittato in città non esista! Sconvolta e infreddolita per la neve, si rifugia in un bar e subito viene folgorata dagli occhi scuri e magnetici del proprietario, Dante Vettori. Da perfetto gentiluomo, lui si offre di aiutarla a trovare una nuova sistemazione. D'altronde, resisterle è impossibile e la tentazione di baciarla diviene sempre più forte.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788830510241
Un gentiluomo da baciare: Harmony Jolly
Autore

Liz Fielding

Liz Fielding vive a Merlin's Fort, nel Galles, una terra leggendaria e disseminata di castelli. Sposata da quasi trent'anni con John, l'uomo che ha conosciuto quando lavorava in Africa, ha due figli e un gattone bianco e nero chiamato Rocky.

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    Anteprima del libro

    Un gentiluomo da baciare - Liz Fielding

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Vettori’s Damsel in Distress

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2015 Liz Fielding

    Traduzione di Raffaella Fontana

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-024-1

    1

    La vita è come un gelato in una giornata afosa: goditela prima che si sciolga.

    dal Rosie’s Little Book of Ice Cream

    Era tardi, e dal cielo grondava un nevischio acquoso quando Geli emerse dalla metropolitana di Porta Garibaldi nella notte milanese. L’idea era di prendere un taxi per coprire l’ultima breve tappa del suo viaggio, ma quel giorno tutto era andato storto, e ovviamente nei paraggi non si vedeva neanche l’ombra di una vettura.

    Fantastico.

    Quando aveva lasciato Longbourne il tempo era mite e nell’aria c’era un profumo di primavera; così, ottimisticamente, aveva dato per scontato che in Italia sarebbe stato persino più caldo. Se solo avesse avuto il buon senso di controllare il meteo locale, sotto il vestito avrebbe indossato una maglia termica anziché pizzo, leggings sopra i collant neri ultravelati e una camicetta molto più calda.

    Non era certo la tenuta più pratica per viaggiare, ma stava andando a Milano, capitale della moda, dove gli abitanti non indossavano leggings a meno che non andassero a correre (o avessero una laurea in cattivo gusto), e dove persino le poliziotte utilizzavano scarpe con i tacchi.

    Determinata a dar prova di senso estetico, aveva trascurato il fatto che la città si trovasse nel nord dell’Italia, in prossimità di elevate catene montuose, e che quindi in quel periodo dell’anno poteva anche nevischiare.

    Secondo le informazioni che aveva scaricato da Internet, il suo appartamento non distava più di una decina di minuti a piedi dalla fermata della metropolitana. Poteva gestire un po’ di maltempo con stile.

    Controllò la mappa, sollevò l’ampio cappuccio del cappotto sulle orecchie che cominciavano a formicolarle, si mise la borsa da viaggio a tracolla e, tirandosi dietro la valigia, s’incamminò.

    Nuovo Paese, nuovo inizio, nuova vita.

    A differenza delle sue sorelle, che si erano sposate, avevano messo su famiglia e si guadagnavano da vivere organizzando eventi che ruotavano intorno a una fiorente e avviata gelateria, insomma, che avevano trovato la loro strada nella vita, lei stava facendo un salto nel buio. In tutti i sensi.

    Con poco più di un frasario di italiano in tasca e la testa piena di idee, si stava lanciando all’avventura e se, mentre attraversava il ponte della ferrovia diretta verso l’ignoto, il brivido di eccitazione che le correva nelle vene era accompagnato da una leggera apprensione, be’, era perfettamente normale. Era la piccola della famiglia.

    Poteva essere la ragazza dall’abbigliamento stravagante, eccentrica e con un caratteraccio, ma i suoi cari sapevano che si trattava solo di una facciata e quella era la prima volta che esplorava il mondo da sola. D’accordo, era già stata in Italia, ma per un viaggio di studio con alcuni compagni. Questa volta poteva contare solo su se stessa, e non avrebbe avuto la rete di sicurezza della famiglia, pronta a sorreggerla se fosse inciampata.

    «Permesso!»

    «Sorry... Ehm, scusi...» Spostò la valigia per lasciar transitare un passante frettoloso e poi, quando alzò gli occhi, vide le strade decorate da graffiti scintillanti e si sentì mancare il fiato.

    Nonostante il freddo, avvertì una calda sensazione di felicità ed eccitazione: ecco perché aveva scelto l’Italia, Milano... il quartiere Isola.

    Non appena aveva letto su una rivista di quella enclave di artisti, musicisti, designer che si ritrovava lì per realizzare i rispettivi progetti, aveva capito che era il posto giusto per lei, il posto in cui esplorare il suo amore per la moda e la sua creatività, o forse solo per innamorarsi. Niente di serio e duraturo, ovviamente, solo una relazione passeggera.

    Venti minuti più tardi, la faccia intirizzita dal freddo e completamente disorientata, si sentiva già meno ottimista.

    Le pareva quasi di vedere Elle, sua sorella maggiore, che scuoteva il capo dicendo: Sei così impaziente, Geli! Perché non hai aspettato un taxi?

    Perché era un’avventura! E le indicazioni erano abbastanza semplici. Aveva contato le svolte, controllato il nome delle strade. Girato a destra, il suo appartamento avrebbe dovuto essere lì, proprio di fronte a lei, sull’angolo.

    Invece non c’era.

    Al posto della casa di cinque piani dipinta di rosa affacciata su una via dove due volte la settimana si organizzava il mercato, c’era solo un cantiere.

    Non c’era motivo di farsi cogliere dal panico. Doveva semplicemente essersi confusa.

    Fece marcia indietro e ricontò le strade, dopodiché si diresse verso un vicolo talmente stretto che non ci sarebbe passata nemmeno una Fiat 500 e che sbucava in un piccolo cortile debolmente illuminato, dove erano accatastate alcune casse. Doveva essere l’entrata posteriore di un negozio. Nell’oscurità avvertì un movimento, udì una scatola cadere, sobbalzò e se la diede a gambe.

    Le poche persone in giro avanzavano a capo chino e le sue scuse furono spazzate via dal vento che le soffiava in faccia il nevischio, ora più spesso.

    Era il momento di dare un’altra occhiata alla cartina.

    Si rifugiò nell’androne di un negozio e frugò nella borsa, alla ricerca della torcia tascabile offertale come regalo d’addio dal suo cognato esploratore.

    Lei gli aveva ricordato che stava andando in una delle più grandi metropoli al mondo, non nella giungla. Lui le aveva risposto che c’era poca differenza, e non appena qualcosa di umido e peloso le sfregò contro la gamba, si lasciò sfuggire un grido nervoso.

    Uno a zero per l’esploratore.

    Un miao lamentoso la rassicurò e il fascio luminoso della torcia illuminò un gattino fradicio e intirizzito rannicchiato nel vano della porta.

    «Ehi, micino» sussurrò carezzandolo, ma il cucciolo si allontanò spaventato. «Sei troppo piccolo per startene da solo qui fuori in una nottataccia come questa.»

    La povera creatura era persino più bagnata e infreddolita di lei. Prese il panino al formaggio comprato all’aeroporto e ne porse un pezzo alla bestiola, che vi si gettò sopra con avidità.

    Geli gliene diede ancora un po’, guardando allo stesso tempo la cartina. Ovviamente aveva commesso un errore ed era finita nella zona commerciale, ormai deserta; ma dove si era sbagliata?

    Telefonare alla padrona di casa, la signora Franco, era impossibile, visto che la donna non spiccicava una parola di inglese. Doveva trovare i famosi locali del quartiere Isola, un posto dove asciugarsi e chiedere informazioni. Diede un’occhiata al gattino tremante: era troppo piccolo per sopravvivere là fuori da solo tutta la notte. Con un sospiro lo sollevò da terra e lo mise in una tasca della giacca.

    Il giorno dopo avrebbe cercato qualcuno disposto a occuparsi del micino, ma nel frattempo se ne sarebbe presa cura lei stessa. Era arrivato il momento di mettere alla prova il proprio italiano. La domanda era facile: «Dov’è via Pepone?». Capire la risposta sarebbe stato un altro paio di maniche.

    Ripose la torcia e la cartina nella borsa e tornò sui suoi passi. Le foto che aveva visto quando aveva deciso di trasferirsi a Milano erano state scattate d’estate: c’era gente dappertutto, concerti per le strade, tavolini all’aperto. Ogni cosa sembrava perfetta.

    Ovviamente era sbarcata lì nella stagione sbagliata.

    Si fece coraggio e attraversò la piazza; in mezzo alla foschia intravide una flebile luce proveniente da una vetrina. Si trattava del Caffè Rosa, famoso per i concerti jazz, i cocktail e l’happy hour. Decisamente sollevata, aprì la porta e fu immediatamente accolta da un’ondata di calore, dal profumo di cibo e dalla musica di un duo che si esibiva su un piccolo palco. I tavoli erano occupati da avventori intenti a mangiare, chiacchierare e degustare calici di vino. Un uomo alto e dai capelli scuri era in piedi accanto al bancone, immerso in una conversazione con il barman.

    Tutto corrispondeva all’immagine che si era fatta dell’Italia e Geli avvertì una nuova ventata di eccitazione percorrerle la schiena.

    Al suo ingresso nel locale era calato il silenzio e l’uomo accanto al bancone, incuriosito da ciò che aveva attirato l’attenzione dei presenti, si voltò a sua volta verso di lei. Inspiegabilmente, Geli provò un’improvvisa e irrefrenabile attrazione per quello sconosciuto.

    Fu come se per un attimo il tempo si fosse fermato. Geli trovava difficile persino respirare.

    A parte gli zigomi affilati e i capelli scuri, furono soprattutto quegli occhi del colore del cioccolato a colpirla.

    L’uomo raddrizzò la schiena, e così facendo enfatizzò il modo in cui i capelli gli si arricciavano leggermente all’altezza del collo, le spalle incredibilmente larghe e i polsi che spuntavano dalle maniche rimboccate della camicia.

    «Prego...» mormorò lasciandole un po’ di posto accanto a sé e Geli si rese conto che la sua voce era degna del suo viso e del resto del corpo.

    Sarebbe svenuta in quel preciso istante, se solo una bionda dal fisico atletico e palesemente inconsapevole di servire un dio greco non avesse appoggiato un espresso davanti a lui, prima di rivolgerle la parola. «Ha iniziato a nevicare, eh? Davvero un tempo da lupi stasera...»

    Eh? Cosa?

    Imbarazzata dal fatto di non capire niente di quello che la giovane le stesse dicendo, decise di abbassare il cappuccio della giacca. Finalmente i presenti ricominciarono a chiacchierare e lei si decise a posare la valigia a terra e ad avvicinarsi al bancone.

    «Cosa ti posso servire?» riprese la ragazza.

    Oh, finalmente qualcosa di comprensibile. «Ecco... Vorrai uno espresso, s’il vous plaît...» balbettò, in un miscuglio multilingue. «No... I mean...» Oh, al diavolo!

    La bionda sorrise. «Non preoccuparti, credo di aver capito» affermò in un perfetto inglese dall’accento australiano.

    «Oh, grazie al cielo sei inglese... Anzi, volevo dire australiana.» La presenza di quello sconosciuto, la cui possente coscia era a soli pochi centimetri da lei, le impediva di comportarsi normalmente. «Forse farei meglio a uscire, fare il giro dell’isolato e ricominciare tutto da capo.»

    «Non ti muovere» rispose la bionda sempre sorridendo, «ti preparo il caffè. Sei appena arrivata a Isola?»

    «A Isola, a Milano, in Italia. Ho studiato un po’ di italiano come autodidatta,

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