Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Tesoro del Re: Parte Prima - Heru Ben
Il Tesoro del Re: Parte Prima - Heru Ben
Il Tesoro del Re: Parte Prima - Heru Ben
E-book227 pagine3 ore

Il Tesoro del Re: Parte Prima - Heru Ben

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

IL TESORO DEL RE
PARTE PRIMA - HERU BEN -

Heru Ben è un giovane contadino balbuziente che confida alla sorella Nefti il suo incontro con un piccolo ippopotamo e le racconta di aver parlato con l'animale che ha chiamato Papiro. La sorella, convince un interprete dei sogni a raggiungere Heru Ben al villaggio in riva al Nilo e il vecchio dice al ragazzo che è un predestinato degli dei. Heru Ben segue la sorella in città e grazie alla sua abilità, alla sua fantasia e ai consigli del vecchio saggio, entra nelle grazie di un giudice molto vicino al Faraone. Con l'astuzia e con l'inganno riesce a realizzare il suo sogno ma la buona sorte lo abbandona e si trova suo malgrado coinvolto in tre omicidi.
E' costretto a lasciare tutto e tutti nascondendosi nella città dei morti al di là del grande fiume dove un'ombra grigia lo avvolge aprendogli la mente. Scrive una lettera che condanna i veri colpevoli dell'ultimo omicidio, lettera che cercherà di consegnare al Faraone durante una battuta di caccia sul fiume. Riuscirà a superare tutti gli ostacoli ma l'incontro con Papiro, si dimostrerà pericoloso e forse fatale.
 
LinguaItaliano
Data di uscita4 ago 2017
ISBN9788822807267
Il Tesoro del Re: Parte Prima - Heru Ben

Leggi altro di Mimmo Villa

Correlato a Il Tesoro del Re

Titoli di questa serie (2)

Visualizza altri

Ebook correlati

Gialli storici per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Tesoro del Re

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Tesoro del Re - Mimmo Villa

    IL TESORO DEL RE

    PARTE PRIMA

    - HERU BEN -

    Heru Ben è un giovane contadino balbuziente che confida alla sorella Nefti il suo incontro con un piccolo ippopotamo e le racconta di aver parlato con l'animale che ha chiamato Papiro.

    La sorella, convince un interprete dei sogni a raggiungere Heru Ben al villaggio in riva al Nilo e il vecchio dice al ragazzo che è un predestinato degli dei.

    Heru Ben segue la sorella in città e grazie alla sua abilità, alla sua fantasia e ai consigli del vecchio saggio, entra nelle grazie di un giudice molto vicino al Faraone.

    Con l'astuzia e con l'inganno riesce a realizzare il suo sogno ma la buona sorte lo abbandona e si trova suo malgrado coinvolto in tre omicidi.

    E' costretto a lasciare tutto e tutti nascondendosi nella città dei morti al di là del grande fiume dove un'ombra grigia lo avvolge aprendogli la mente.

    Scrive una lettera che condanna i veri colpevoli dell'ultimo omicidio, lettera che cercherà di consegnare al Faraone durante una battuta di caccia sul fiume.

    Riuscirà a superare tutti gli ostacoli ma l'incontro con Papiro, si dimostrerà pericoloso e forse fatale.

    Capitolo 1

    Nefti

    BenBen, dove ti sei nascosto?

    Mia sorella Nefti mi stava chiamando e solo a lei era permesso chiamarmi così e quando lo faceva, nessuno doveva sentirlo. Era il nostro segreto. Non ne andavo particolarmente fiero, ma le volevo bene più che a ogni altra persona e così le permettevo di prendermi in giro chiamandomi BenBen.  Era ormai una donna, aveva diciannove anni ed era pronta a lasciare la casa dei nostri genitori per farsi una sua famiglia e vivere una nuova vita.

    Era davvero bella, i capelli neri, lisci e lunghi che amava raccogliere in una treccia che le arrivava a mezza schiena, gli occhi scuri del colore delle pietre di granato, profondi e luminosi che invogliavano chiunque la guardasse a scrutarne il viso alla ricerca di un difetto che non c’era. Le lunghe ciglia le incorniciavano quei bellissimi occhi, proteggendoli quasi fossero davvero due pietre preziose, un naso minuto ma ben proporzionato e le labbra carnose le riempivano il perfetto ovale del viso. Aveva un corpo snello, e le lunghe gambe le conferivano un portamento regale.

    Il suo promesso  sposo era un uomo fortunato perché avrebbe avuto in moglie la più bella del villaggio e non solo.

    Nefti aveva su di me un potere magico, per lei provavo un’attrazione particolare e forse ne ero quasi innamorato, era spesso presente nei miei sogni, dove quel corpo perfetto mi faceva soffrire e gioire nello stesso tempo.

    Ero più giovane di lei di due anni e i miei unici amici erano gli animali, in pratica non frequentavo nessuno. Mia sorella, i miei genitori, il lavoro nei campi e il piacere di intagliare oggetti di legno, soprattutto animali, questo era il mio mondo.

    Le ragazze del villaggio, quelle più piccole di me, le trovavo stupide, vuote, e le evitavo volentieri, in compenso avevo già avuto qualche esperienza con alcune donne che avevano marito. Era successo in occasione delle feste per l’inondazione del grande fiume o per la fine del raccolto. Donne molto più grandi di me, desiderose di rimpiazzare per una sera un marito troppo vecchio o troppo ubriaco.

    Non avevo un ricordo piacevole di quei momenti, un rapporto breve, in alcune occasioni senza piacere, l’avventura di un momento che avrei potuto riprendere se solo lo avessi voluto, ma non ne era quello che cercavo.

    Nefti era diversa, era come l’acqua per chi attraversa il deserto, come il limo che feconda la terra, non potevo fare a meno di lei e adesso la stavo perdendo, non era mai stata mia ma adesso sarebbe stata di un altro.

    Sentivo la sua voce e mi rimpicciolivo dietro il grosso tronco e col pensiero andavo al suo corpo liscio e ambrato e alle gocce d’acqua che scendevano sulle sue forme perfette; non mi vergognavo al pensiero di averla spiata più volte quando si lavava giù al fiume. Una volta e da allora era passato molto tempo, avevamo fatto il bagno all’ombra di alcune palme, in una pozza di acqua pulita a ridosso di una falesia vicino al grande fiume, dove un fitto canneto ci nascondeva agli occhi indiscreti di altri ragazzi. Eravamo nudi, immersi nell’acqua tiepida fino al collo, scherzavamo beati senza vergogna, senza nessun pudore, rincorrendoci e facendo il verso al coccodrillo che si tuffa sott’acqua, veloce e silenzioso per sbranare la sua preda. Non avevo resistito alle carezze e ai contatti di quel gioco innocente e il mio eccitamento aveva finito per turbarla.

    Aveva accettato le scuse che ero riuscito a farfugliare e che il mio difetto di pronuncia aveva accentuato ed era scoppiata a ridere mettendomi ancora di più in imbarazzo poi era uscita dalla pozza e dopo essersi rivestita, si era seduta sulla sabbia ad aspettarmi, era bellissima con i capelli bagnati attaccati al viso e con dei piccoli rivoli d’acqua che le scendevano lungo il collo per scomparire sotto la tunica. La sua pelle color dell’ambra luccicava al sole e il suo sorriso era ritornato a essere quello di sempre. Non era successo niente.

    BenBen rispondi, è tardi e devo andare in città al lavoro.

    Mi ero girato e adesso la vedevo, procedeva verso di me, avvolta nella sua veste di lino bianco che le arrivava appena sopra le caviglie. Aveva le spalle scoperte e a tracolla portava una sacca con quello che nostra madre le aveva preparato: un grembiule di stoffa grezza, la custodia di pelle con i suoi preziosi pennelli, la frutta e un pane per il suo pranzo. Era il pane che nostra madre faceva per noi, macinava il grano, lo impastava e lo cuoceva dopo aver unito semi di sesamo o di papavero e a volte lo faceva dolce aggiungendo alla farina fichi, uva o miele.  Lungo la strada che la portava in città, c’erano dei pozzi, dove avrebbe potuto bere tutta l’acqua che avrebbe voluto.

    Ci voleva più di un’ora e un buon passo per raggiungere il laboratorio dove lavorava come disegnatrice e pittrice; era abile nel suo lavoro e poteva vantarsi di aver realizzato dei bellissimi dipinti in alcune stanze delle ville di diversi notabili.

    Il padre del suo promesso sposo era il padrone della bottega e considerava Nefti al pari di una figlia. I colori non avevano nessun segreto per lei e la perfetta conoscenza dei materiali e delle corrette dosi per gli impasti le permetteva di dipingere non solo pareti intonacate ma anche oggetti di legno e stoffe.

    Panshy, il suo promesso sposo, era invece abile nell’arte di smaltare gli oggetti di metallo, una pratica che gli era stata insegnata da un siriano che suo padre aveva accolto nella loro dimora molti anni prima. Sapeva lavorare rame e oro, incastonare pietre preziose e creare dei bellissimi gioielli. Erano due bravi artisti attenti e meticolosi nel loro lavoro e spesso mi ritrovavo a pensare che avrei potuto affiancarli, imparare le loro tecniche e trasferire ai metalli le mie modeste conoscenze nell’arte dell’intaglio del legno. 

    Ero seduto all’ombra di un enorme sicomoro, era il mio posto preferito, e la parte del tronco alla quale mi appoggiavo era ormai liscia, levigata dagli strusci della mia schiena.  Intorno a me c’era calma e pace, nell’aria avvertivo qualche cosa di spirituale e i raggi di sole che riuscivano ad attraversare i rami del grande albero riflettevano sul terreno delle ombre dal colore aranciato, i riflessi dei suoi frutti grossi e zuccherati. Non c’erano altri rumori se non lo scalpiccio dei passi di Nefti che si stava avvicinando.

    BenBen, sei uno stupido, mi hai fatto uscire dal sentiero e sporcare di fango i miei sandali, non potevi alzarti e venirmi incontro?

    Si era piantata davanti a me con le mani sui fianchi, indispettita dal fatto che non avevo ancora aperto bocca e avevo ignorato i suoi richiami e oltre a non averle rivolto parola avevo appena alzato gli occhi verso di lei abbassandoli subito dopo perdendomi con lo sguardo nei campi pieni di limo che si estendevano davanti a me fissando con ostinazione il piccolo sentiero che portava verso il fiume.  I suoi capelli lavati con un olio profumato e pettinati con estrema cura mandavano dei bagliori dorati ogni volta che un raggio di sole li colpiva e quella mattina si era truccata con estrema cura forse a causa di un incontro con un cliente importante. Su di una spalla si era dipinto un piccolo fiore di loto bianco con una foglia colorata di un verde intenso. Era solita fare queste cose, più volte, a me e a qualche altro ragazzo del villaggio aveva disegnato sul petto o sulle spalle un falco o un altro degli animali sacri.

    Stupido fratello senza parole, i nostri genitori non ti hanno forse insegnato il significato della parola rispetto?

    Come risposta, l’unica cosa che avevo fatto era stata un gesto, le avevo indicato il sentiero alla mia sinistra.

    Non vedo nulla, il sentiero è deserto e poi non m’interessa. Nostro padre mi ha pregato di passare a controllare come vanno le cose nel nostro campo, gli sembrava di aver avuto una premonizione e aveva ragione. Si era inchinata e avevo il suo viso a un palmo dal mio, sentivo il suo profumo e l’alito caldo delle sue parole sapeva di miele.

    Guardami BenBen, alza gli occhi verso di me. Si può sapere cosa ti prende? Muoviti, non vedi che gli animali sono immobili sotto il sole, falli camminare, prendi il bastone e falli andare avanti e indietro, non vedi che così continuano a bere dalle pozze. Nostro padre non vuole che li riporti a casa gonfi come un otre pieno d’acqua e poi tra loro c’è anche il mio asino.

    Solo qualche tempo prima, Sothis, la stella luminosa e benevola era apparsa bassa sull’orizzonte per annunciare che la grande piena del Nilo era prossima. Il fiume sarebbe straripato allagando le terre circostanti e il buon dio Hapi avrebbe deposto il fango nero ricco di sostanze fertilizzanti portatore di vita e prosperità. La piena, in effetti, era stata abbondante così come avevano predetto i sacerdoti del tempio e per due giorni, dopo che le acque erano defluite, con mio padre e mia madre avevamo seminato la nostra terra. Adesso toccava agli animali camminare sopra le sementi per spingere i piccoli semi sul fondo del terreno e farli così attecchire. Due buoi, tre asini, due maiali, due pecore e tredici piccole capre avevano iniziato, quando il sole non era ancora apparso, a calpestare il seminato. Odiavo quel lavoro esattamente come stavo iniziando a odiare tutto quello che mi circondava, invidiavo mia sorella e se solo fossi stato bravo come lei con i colori e nell’arte del disegno avrei lasciato i campi e mi sarei trasferito in città.

    Invece avevo un bastone in mano e sprofondato nel fango, dirigevo un piccolo esercito di animali, la mia sola e unica compagnia. Avevo avuto una notte agitata e non certo per l’emozione di quello che avrei dovuto fare il giorno seguente, forse la verdura cotta o forse la birra bevuta in abbondanza non mi avevano permesso di avere un sonno ristoratore. Il peso allo stomaco non voleva saperne di andare né su, né giù ed ero stanco di stare in piedi a spingere gli asini che non volevano muoversi. Erano inchiodati al terreno, mi sembravano perfino terrorizzati e le mie parole e le carezze sul loro muso non davano nessun risultato. Era una cosa strana, di solito gli animali mi ubbidivano subito.

    Mio padre avrebbe saputo come fare, lui, avrebbe usato i soliti metodi forti. Faceva molto caldo, lo avrei aspettato all’ombra del sicomoro, nella speranza che il mio stomaco potesse liberarsi dal suo malessere e gli avrei raccontato qualche cosa per giustificare il mio comportamento.

    Te lo dico per l’ultima volta. Rispondimi. Alzati e vai a far muovere gli animali, non vedi che stanno cuocendo al sole?

    Ero stanco, Nefti aveva le sue ragioni ma era un peccato lasciare quel posto così comodo. Sovrastavo in altezza mia sorella di almeno due spanne e di fianco a lei sembravo un tronco robusto di palma vicino a un giunco di fiume. Alto e robusto, le spalle larghe di un contadino, le mani forti ma al contempo delicate e flessuose, abili al punto di riuscire a trasformare una radice nodosa in un oggetto animato.

    Lo vedo vedo, ma è già molto molto che siano ancora vivi vivi.

    Cosa vuoi dire con, ancora vivi?

    Il dio delle acque acque, li ha protetti risparmiandoli da morte sicura sicura.

    Calmati BenBen, non ci ascolta nessun altro, ci sono solo io, parla lentamente senza balbettare. Se vuoi, puoi riuscirci.

    Aveva ragione, con lei riuscivo a parlare senza ripetere in continuazione le stesse parole, dovevo solo stare tranquillo e concentrato su quello che stavo per dire, ma dopo quanto era successo non era così facile.

    Ero così dalla nascita, quando avevo iniziato a dire le prime parole, continuavo a ripeterle ma nessuno vi aveva mai fatto caso fino a quando uno scriba prima e un medico poi avevano decretato che ero un balbuziente.

    Col tempo avrei imparato a parlare in maniera corretta, avevano detto, e in effetti, qualche miglioramento c’era stato, però funzionava solo con mia sorella mentre alla presenza dei miei genitori o peggio ancora di sconosciuti o in situazioni particolari, tutti gli accorgimenti che usavo per parlare correttamente non funzionavano.

    Giravo in continuazione lo sguardo tra il sentiero che portava al fiume, gli animali e mia sorella, stavo raccogliendo i pensieri cercando di trovare la concentrazione per parlarle in modo chiaro.

    Questa mattina presto, gli animali hanno iniziato a lavorare, come il solito, senza usare il bastone come fa nostro padre, poi il sole si è alzato, faceva molto caldo e sono venuto qua, sotto il sicomoro, per dissetarmi.

    Bravo BenBen continua così, lentamente. Che cosa è successo dopo.

    Non l’ho sentito arrivare e quando mi sono girato, davanti a me con le zampe piantate nel fango, c’era un piccolo d’ippopotamo, era comunque enorme e mi fissava. Ho pensato che stavo facendo uno dei miei sogni ma in fondo, sul sentiero stava arrivando un ippopotamo enorme, forse la sua mamma. Un mostro di almeno sei braccia. Non era mai successo che un cavallo di fiume si spingesse così lontano dall’acqua.

    Nefti era sbiancata, era incredula, sapeva che non le avrei mai mentito ma le leggevo negli occhi ancora qualche dubbio.

    Va avanti fratello, cos’è successo?

    L’animale che avanzava aveva la bocca spalancata e a quella vista mi sono bloccato, sono diventato una statua di granito e non ho neppure pensato che avrei potuto arrampicarmi sull’albero.

    Non mi stai raccontando una bugia!

    E’ la verità, te lo giuro e tutti gli dei mi sono testimoni.

    Mia sorella adesso era davvero in apprensione per me, adesso credeva a ogni parola.

    Il piccolo ippopotamo ha aperto la bocca lasciando cadere davanti a me un miscuglio di foglie masticate impastate con la saliva con in mezzo una piccola pietra di colore blu. Poi ha iniziato ad aprire e a chiudere la bocca come se volessi parlarmi, ma io non capivo più nulla e sua madre era sempre più vicina, e potevo contare i suoi denti ricurvi e affilati.

    E’ successo qualche cosa ai nostri animali?

    No, all’inizio non si sono mossi, anche le caprette erano immobili come se il fango avesse imprigionato loro le zampe.

    Perché non sei scappato?

    Non lo so Nefti, qualche cosa mi tratteneva qui. Il grosso ippopotamo aveva raggiunto il suo piccolo ed era così vicino che potevo vedere tutto quello che aveva in quell’enorme bocca aperta, era una cosa spaventosa, mi fissava con i suoi piccoli occhi senza colore, muoveva in continuazione le orecchie e sbuffava dal naso forse per la fatica fatta per raggiungere il suo piccolo.

    Sei fortunato fratello che puoi raccontare questa incredibile storia, il dio del fiume ha steso la sua mano sopra di te.

    L’ha stesa anche sopra gli animali.

    Che cosa intendi dire?

    Gli asini per primi e poi tutti gli altri sono venuti qua davanti all’ombra del grande albero e le caprette si sono infilate tra le loro zampe e poi si sono avvicinate ai due mostri. Guarda tu stessa le orme impresse nel fango.

    Col bastone le mostravo i segni delle zampe, intorno a quelle degli ippopotami c’erano quelle più piccole delle caprette.

    Sono impressionanti, sono davvero enormi. Poi cosa è successo? Vai avanti, non tenermi sulle spine.

    La mamma, col suo testone ha spinto il piccolo fino a pochi centimetri da me. Dondolava la testa e mi parlava. Ti giuro, credimi è la verità.

    Cosa ti avrebbe detto?

    Non lo so, non conosco la lingua dei cavalli di fiume.

    BenBen è una storia assurda e se non ci fossero quelle impronte io stessa, stenterei a crederti. Non raccontarlo a nessuno, neppure ai nostri genitori, di sicuro non ti crederebbero.

    "Lo so! E’ una storia incredibile, poi come sono arrivati, se ne sono andati, prima il piccolo e poi quello più grosso. Ho pregato le caprette e tutti i nostri animali di tornare in mezzo al campo e di riprendere il loro lavoro e l’hanno fatto. Si sono fermati solo quando sei arrivata

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1