Il risveglio della musa velata
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Anteprima del libro
Il risveglio della musa velata - Sandro Spallino
Indice
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
CAPITOLO VII
CAPITOLO VIII
CAPITOLO IX
CAPITOLO X
CAPITOLO XI
CAPITOLO XII
CAPITOLO XIII
CAPITOLO XIV
CAPITOLO XV
SANDRO SPALLINO
IL RISVEGLIO DELLA MUSA VELATA
«Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente
Giustizia mosse il mio alto fattore
fecemi la divina podestate
la somma sapienza e 'l primo amore
Dinanzi a me non fuor cose creat
se non eterne, e io eterno duro
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"
Queste parole di colore oscur
vid'io scritte al sommo d'una porta
per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro»
Ed elli a me, come persona accorta
«Qui si convien lasciare ogne sospetto
ogne viltà convien che qui sia morta
Noi siam venuti al loco ov'ì t'ho dett
che tu vedrai le genti doloros
c'hanno perduto il ben de l'intelletto»
E poi che la sua mano a la mia puos
con lieto volto, ond'io mi confortai
mi mise dentro a le segrete cose
Quivi sospiri, pianti e alti gua
risonavan per l'aere senza stelle
per ch'io al cominciar ne lagrimai
Diverse lingue, orribili favelle
parole di dolore, accenti d'ira
voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggir
sempre in quell'aura sanza tempo tinta
come la rena quando turbo spira.
Titolo | Il risveglio della musa velata
Autore | Sandro Spallino
ISBN | 9791220339742
Prima edizione digitale: 2021
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Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.
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CAPITOLO 0
Siviglia, Andalusia, Anno luglio 1777
La famiglia del signor Garcia come di consueto alla stessa ora stava regolarmente cenando, la moglie era un’ottima cuoca e per quella sera di venerdì preparò le pietanze culinarie più deliziose che le mani di una donna avrebbero mai potuto realizzare. Cucinare per lei era un’arte, al pari della poesia, della pittura, e della musica. Compiacere la sua famiglia era l’obbiettivo principale da svolgere, una vera missione, che Dio volendo, avrebbe reso felici tutti quanti, marito e figli. Dolores, questo era il suo nome, li amava di un amore indescrivibile, donare tutta se stessa era la ragione per cui esisteva al mondo, il senso e lo scopo della vita stessa, vita che le aveva concesso di avere cura di quella dimora in ogni dettaglio.
Era una donna di fede, per lei la vita era un miracolo.
Il marito, un’ uomo dalla corporatura robusta, alto, occhi marroni svegli come quelli di una lince e un lungo baffo che sapeva di sigari e tabacco, andava fiero del carattere e della devozione di sua moglie, ragione per la quale non esisteva giorno in cui non si presentava al suo cospetto, una volta finito di lavorare nella sua azienda, con un gingillo prezioso segno di quell’amore che custodiva gelosamente nello scrigno del suo cuore. Un uomo di fatti e di poche parole. A tavola, tra una pietanza e l’altra, che avidamente ingoiava masticando lentamente per sorbire il sapore intrinseco di ognuna, che sembrava danzasse di fronte ai suoi occhi, faceva una piccola pausa in cui si dilettava a raggranellare i particolari della giornata narrando gli umori, le curiosità, i dissapori che con il suo raffinato udito sentiva raccontare dai suoi operai mentre lavoravano. In questo modo riusciva a conoscere il mondo che lo circondava, le dicerie sul suo conto, i pettegolezzi nel quartiere dove abitavano, le battute sarcastiche sul comportamento di uomini e donne fuori dagli steccati matrimoniali. Era un eccellente oratore, tanto da attirare l’attenzione di figli e moglie compresa, che nel sentirlo parlare le loro bocche si aprivano parola dopo parola lentamente, come chi vede una commedia teatrale degna di essere ascoltata senza fiatare. Finito di cenare, si alzava per andare nella veranda di fronte l’aperta silenziosa campagna interrotta dal cantilenare di grilli e seduto su una sedia a dondolo accendeva una sigaretta, aspirando con soddisfazione nei polmoni il fumo biancastro di quel suo unico vizio. Nell’osservare il cielo cosparso di milioni di stelle baluginanti come piccole luci in vigile attesa sopra il paesaggio agreste immerso nell’afa, si perdeva in mille pensieri, sui come e sui perché tutto ciò che esisteva aveva avuto inizio e se un giorno ci fosse stata fine a quello spettacolo meraviglioso in alto sulle cimase della sua casa. Convinto che nessuno sarebbe mai stato in grado di fornire una risposta esauriente, finito di fumare fece per alzarsi e rientrare in casa, ma qualcosa lo bloccò, una visione pervase la sua mente spazzando via ogni altro pensiero, la visione come in un sogno di una donna di avvenenza diabolica, tentatrice, vestita elegantemente di bianco, alle prese con una collana nella quale era attaccato un amuleto dai simboli inconoscibili e arcaici, che mise al collo spostando sul lato destro i serici capelli scuri con un fascino accattivante che lo rapiva, fissandolo con uno sguardo sensuale e un sorriso dolce e provocante che sentiva possederlo fin dentro le viscere della sua anima sussurrando una poesia
Sul fiorire della mia giovinezza ebbi per sorte di visitare, per quanto grande è il mondo, un luogo che me-no non avrei saputo amare. Tanto cara mi fu la solitudine d'un lago Silvestre, da nera roccia cinto e d'alti pini torreggianti intorno. Ma quando su quel luogo come ovunque, la notte distendeva il suo gran manto ed il mistico vento trascorreva, nel sussurrare d'una melodia, allora, oh! sempre allora io mi destavo sgomento per quel lago solitario. Quello sgomento però non era orrore ma un fremito leggero di piacere, un sentire che indurmi a definire o insegnarmi non saprebbero miniere di gioielli neppur amore, benché tuo fosse l'amore. La morte era in quell'onda avvelenata e nel suo gorgo una tomba preparata per chi di là trarre poteva conforto a un solitario immaginare la cui anima mesta trasformare sapeva in Eden questo lago oscuro
. Per un momento ebbe a pensare che nessuna donna sulla terra era così leggiadra, il cui incarnato luminoso incantava con la forza di una musica trascendentale,indicandogli con un gesto della mano coperta da un guanto, il posto dove andare e cosa fare. In balia a una totale amnesia camminò in direzione della dependance dove la moglie solitamente dipingeva , entrato prese i tubetti di colore e un pennello e sul cavalletto dove si trovava posizionata a bella posta una bianca tela, iniziò a dipingere con una velocità impressionante, come spinto da una forza soprannaturale. Ne venne fuori un quadro affastellato, dipinto sul finire con le mani, la cui rappresentazione presentava un groviglio ombroso di foglie solcate da una linea sottile di sangue, in mezzo alle quali si intravedevano seminascosti sette occhi posti uno sotto l’altro nell’atto di lacrimare, guardando come a volere cercare la luce dalle tenebre in cui erano sepolte, ma così vivi da emanare guizzi superbi, guizzi di un ignoto destino che stava per compiersi.
Seduto e imbrattato dai colori più svariati, immemore di se, contemplava quegli occhi come stregato, disperso in un mondo da cui la sua mente non fece ritorno. Incapace di intendere e volere, fu rinchiuso in manicomio, luogo nel quale la moglie andava a trovarlo ogni giorno, l’unica parola che sovente le usciva dalla bocca era Ina... Inan… che tu sia maledetta!!!
CAPITOLO I
Valenzia 2018
La stanza era tenuamente illuminata da una piccola bajour, proiettando ombre spettrali sulle pareti, Tessa guardava quei riflessi con i suoi dolcissimi occhi azzurri, immobile per lo spavento, credendo quelle forme la inghiottissero come mostri dalle bocche voraci aperte,la sua veste bianca era madida di sudore sotto la quale tutto il suo corpo tremava. Per sua natura, era sempre angosciata, non sapeva dare una spiegazione a tali manifestazioni, ne sapeva a chi rivolgersi, l’idea di parlarne con qualcuno l’avrebbe messa a disagio, avrebbero pensato che fosse sul punto di diventare pazza. Cosa avrebbe raccontato, di avere visioni, allucinazioni, nelle quali il fantasma di una donna dai lunghi capelli fluenti e dagli occhi brillanti come due soli entrava nella sua stanza tentando di impossessarsi della sua anima? L’avrebbero rinchiusa al manicomio,come ci si comporta con un’appestata, meglio tacere. La notte acuiva la sensazione di orrore, non riusciva a dominare i pensieri tetri e le voci che offuscavano la sua mente, bisbigli prolungati come un eco e costanti tutti i giorni a partire dall’imbrunire, quando il silenzio calava sul quartiere. I rumori dovuti a spostamenti istantanei di oggetti e il sentire camminare qualcuno sulle assi del pavimento canticchiando un ritornello, fracassavano le sue tempie come un trapano Milioni di creature spirituali si muovono, non viste, sulla terra ,quando siamo svegli come quando dormiamo. Musa celeste, cantami la prima disobbedienza dell’uomo e il frutto dell’albero vietato il cui sapore funesto porto’ la morte del mondo e tutti i nostri mali. Scendi dal cielo, Urania, se è davvero questo il nome con il quale sei chiamata, così che seguendo la tua divina voce io mi possa innalzare sopra il monte olimpio superando nel volo anche l'ala di Pegaso
. Manifestazioni che di giorno si presentavano smorzate grazie al trambusto dell’umanità in pieno fermento, che al pari di un formicaio indaffarato inondava la città per diverse esigenze . Il chiacchiericcio della gente incline a scambiarsi le notizie, erano eventi futili che suonavano alle sue orecchie come il ronzio di un’ alveare, ma tuttavia necessari perché attenuavano lo squallore insopportabile che abitava la sua mente, infatti non vedeva l’ora si facesse giorno. Era la paura che covava dentro a impedirle di socializzare, di concedersi a una vita normale, in fondo se c’era una cosa che desiderava era essere una delle tante,passeggiare per le vie senza oscuri fronzoli per la testa, fare la spesa, guardare le vetrine dei negozi e comprare qualcosa di carino da indossare,senza tanti se e tanti e tanti ma. Ma come sfuggire allo sconforto che regnava negli antri della sua anima, simile a un coinquilino ridondante con cui si è costretti a vivere? Liberarsi da quella zavorra le sembrava impossibile, per il semplice fatto che ovunque andasse sentiva la presenza di qualcuno o qualcosa che la seguiva e in preda al panico non faceva che controllare a destra e a sinistra, voltandosi più volte repentinamente per scoprire il volto del fantasma che la tormentava. Una volta si fermò davanti la vetrina di un negozio incuriosita da un abitino in esposizione e nel mentre lo osservava con cura vide riflesso sul vetro la figura di una donna che la guardava con un sorriso sensuale, immobile, statuaria, con una faccia che cangiava fisionomia, avente un grazioso ombrello in mano del tutto trasparente, comparsa speculare che le procurò un attacco di panico così violento e fulminante che quasi non si accasciò sul marciapiede. Tutto nel frangente di qualche secondo e quando lentamente respirando si riprese, non c’era nessuna donna dietro, ma sul muro una scritta catturò la sua attenzione Lunga ed impervia è la strada che dall'inferno si snoda verso luce
, poi stranamente inizio a piovere. Tornò a casa con gli occhi puntati a terra, guardando la sua ombra che dal fondo sembrava deriderla, urtando i corpi della gente che passeggiava, impaurita, tremante, esausta, ricordando le parole che lo spirito di quella donna le aveva detto Corri a trovare la tela del mio sguardo, persevera fin quando non lo avrai scovato,poi squarcia il velo che lo ricopre e mettilo fronte alla luce del Dio del Sole
.
C’erano giorni ,a dire il vero abbastanza rari, in cui si sentiva lucida e serena, momenti nei quali non le mancavano slanci di ottimismo, attimi in cui le passava per la testa di tuffarsi a capo fitto dentro una comitiva di persone e spassarsela nei locali notturni della città, immaginando inviti per feste organizzate in qualche villa , sognando di frequentare persone inclini alle avventure più esilaranti, bere e ballare sotto un manto di stelle magiche fino all’alba. Ecco, continuava a ripetere a se stessa, cosa ci voleva per una come lei, dimenticare se stessa, bruciare quel groviglio indomito che la teneva prigioniera a catene invisibili, lacci che vedeva nella sua testa, sospinti da una oscura volontà che avevano il potere di distorcere la coscienza della realtà, tanto da farle credere che quella distorsione o deformazione della sua psiche fosse irremovibile, vita natural durante.
Quando quelle felici infrequenti illusioni sparivano, Tessa guardava la stanza in cui si trovava, rivedeva le cose che possedeva, il posto in cui le aveva lasciate, e allora strabuzzava gli occhi, nulla era cambiato, il pensiero di una vita diversa era un prodotto della sua fantasia vitale che creava uno spiraglio di vivide immagini, una fuga da quell’ergastolo ordinario fradicio d’inerzia, fantasie utopistiche trattenute presso un’orizzonte troppo lontano perché potesse afferrarle, un sogno ad occhi aperti durato qualche minuto e destinato a svanire nelle nebbie del nulla più angosciante. Così, nel disincanto totale, come chi si sveglia di soprassalto avendo udito un boato, ritornava nella corsia di quelle ansie, dalle quali l’unica alternativa