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La quercia dell'orfano
La quercia dell'orfano
La quercia dell'orfano
E-book212 pagine2 ore

La quercia dell'orfano

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Info su questo ebook

L'abbazia di

Saint-René d'Angers, sorge da secoli sulle colline che circondano il

villaggio di Sainte-Eulalie, forse a voler proteggere quel luogo della

Francia centrale dove il tempo sembra essersi fermato. La Reverenda

Madre Antoinette e le sue consorelle attendono con gioia l'arrivo di

René Fontaine. Ventuno anni prima, era stata proprio la donna a trovarlo

in fasce sotto una quercia in una fredda mattina di novembre.

René oggi è uno dei modelli più famosi e richiesti di Francia, ma

nonostante il suo successo è rimasto un ragazzo con i piedi per terra ed

ora pensa sia giunto il momento di trascorrere alcuni giorni di vacanza

nel luogo dove venne ritrovato, sperando di scoprire qualcosa di più

sui suoi natali.

In quel soggiorno, il giovane incontrerà molte persone: Maxime, un

intagliatore del legno, Martin de Rohan, appartenente ad una nobile

famiglia della regione, e un solitario e misterioso lupo che sembra

seguirlo ovunque, quasi a volerlo proteggere dal suo stesso passato che

potrebbe emergere di colpo, travolgendolo. Queste presenze renderanno la

visita di René assai diversa da quella che aveva immaginato,

squarciando il velo che da sempre cela le sue vere origini.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2021
ISBN9791220356725
La quercia dell'orfano

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    Anteprima del libro

    La quercia dell'orfano - Cristiano Pedrini

    Capitolo Primo

    Origini

    Nessuno ti ha chiesto come avresti voluto venire al mondo, né quale infanzia vivere.

    Nessuno ti ha voluto offrire un futuro, un’opportunità per dimostrare quanto la tua presenza avrebbe potuto rendere migliore il mondo che ti circondava.

    Noi abbiamo cercato di darti quello che ti è stato negato,

    ti abbiamo accolto come un autentico dono del cielo che,

    come una stella cometa, ha illuminato le nostre vite,

    mostrandoci quello che avremmo potuto essere per te, caro René.

    Abbiamo gioito dei tuoi piccoli e grandi traguardi,

    ti abbiamo confortato nei fallimenti che inevitabilmente fanno parte della nostra vita,

    spronato a essere sempre te stesso,

    costruendo, giorno per giorno, il tuo futuro…

    E ora specchiandoci nei tuoi occhi vivaci e spensierati,

    ascoltando la tua voce limpida e dolce,

    sappiamo di essere state le persone più fortunate del mondo,

    alle quali è stato concesso di amare e crescere il figlio

    che abbiamo sempre desiderato.

    Morgan e Serge

    René chiuse la lettera e se la rimise in tasca. L’aveva aperta da poco, come aveva promesso ai suoi genitori, ed era felice che non fossero lì con lui in quel momento, altrimenti avrebbe mostrato loro emozioni che non sapeva nascondere. Si sfregò gli occhi lucidi tornando a fissare fuori dal finestrino dell’auto.

    Mille parole non avrebbero potuto descrivere il panorama che agli occhi di René era rimasto immutato, nonostante dalla sua ultima visita in quei luoghi fossero trascorsi undici anni. Aveva attraversato il piccolo paese di Sainte-Eulalie e ora percorreva la strada che risaliva la collina dove si affacciavano gli alti alberi, noci per la maggior parte, che, con i loro caldi colori autunnali, sembravano essersi raccolti per osservare il suo ritorno. Il loro foliage si offriva come solenne saluto, un semplice incanto che indusse René a credere di vivere in una sorta di favola. La sua fronte batteva in modo discontinuo sul finestrino. La strada era in parte sterrata, proprio come se la ricordava, e nemmeno la guida attenta del tassista era in grado di evitare che l’abitacolo sballottasse. Ma il giovane non sembrava preoccuparsene: aveva fatto di tutto per riuscire a tornare nei luoghi che lo avevano visto nascere, luoghi ben diversi dal mondo che in seguito lo aveva accolto e innalzato alle vette più alte della sua professione.

    L’auto svoltò all’ultimo tornante, e l’elegante sagoma dell’abbazia di Saint-René d’Angers si mostrò instillando nel cuore di René gli stessi sentimenti di sollievo e gioia che nei secoli addietro i pellegrini avevano provato nel trovarsi dinnanzi alle sue mura, dopo lunghi ed estenuanti cammini. Da semplice miraggio, l’abbazia si trasformava in un’oasi capace di mitigare le loro fatiche, una realtà che, varcato il portale d’ingresso scolpito nella pietra millenaria, era fatta di carità e accoglienza.

    Il taxi si fermò all’inizio del viale che portava all’ingresso dell’abbazia. René prese il borsone lasciato sul sedile accanto, scese e si avvicinò al finestrino anteriore per porgere il dovuto all’uomo di colore, che gli rivolse un sorriso compiacente. «Grazie ancora per il suo autografo. Quando stasera mia figlia lo vedrà, andrà in estasi e mi sommergerà di domande.»

    «Sono io che la ringrazio per essere venuto fino a qui. Sono luoghi un po’ fuorimano», ricambiò il ragazzo salutandolo.

    Quando si voltò il suo sguardo corse all’alto campanile, che con la sua mole massiccia e il tetto a punta sembrava capace di sorreggere il cielo terso di quella giornata novembrina. Era sempre stato attratto dalla semplicità di quegli edifici e da come sapessero fondersi in un perfetto insieme: la basilica con le sue tre navate, la torre campanaria e il monastero, uno dei più noti e pregevoli esempi d’arte romanica, che da secoli ospitava una piccola comunità religiosa.

    Camminò lungo il viale, scorgendo il taxi che si allontanava lentamente, e infine si fermò davanti al portale di legno massiccio che si ergeva come solido baluardo a protezione di quanto le mura di Saint-René d’Angers contenevano. I vecchi chiodi con la grande capocchia di ferro brillavano alla luce del sole, e René allungò la mano per sfiorarli. La loro superficie consumata dal tempo instillò in lui una strana sensazione, del tutto nuova, essendo abituato a essere a contatto con una realtà che imponeva la perfezione, una realtà che aveva sempre tentato di non subire, e grazie agli insegnamenti dei suoi genitori poteva ammettere a sé stesso di esservi riuscito. Si guardò attorno prima di sistemarsi il borsone a tracolla e premere il pulsante del campanello.

    «Finalmente sono tornato», sussurrò, tenendo lo sguardo fisso sulla porta di piccole dimensioni ricavata nel portone. Dopo pochi attimi udì le mandate della serratura scattare e la soglia si spalancò davanti ai suoi occhi bruni, desiderosi di cogliere ogni particolare di quel momento. Una religiosa si affacciò, osservandolo dalla testa ai piedi, prima di salutarlo timidamente con un cenno del capo.

    René rimase sorpreso. Quella donna sembrava di pochi anni più grande di lui, e il suo viso dall’espressione gentile mostrava un evidente imbarazzo che il silenzio aumentava. Egli decise di infrangerlo per primo. «Buongiorno, mi chiamo René Fontaine…»

    «Venga, madre Antoinette la sta aspettando», lo interruppe lei spostandosi di lato, in modo da lasciarlo entrare.

    Il ragazzo si arrestò appena varcata la soglia e osservò la suora chiudere con cura l’ingresso e precederlo lungo il colonnato che si affacciava sul piccolo chiostro, al cui centro si innalzava una statua posta su un basamento circolare e circondata da un roseto ancora in fiore. Le rose avvolgevano anche alcuni dei pilastri di pietra che costituivano il colonnato. René si fermò per osservare il contrasto fra il fondo bianco dei petali e i loro margini di un rosa marcato. Si avvicinò odorandone il profumo fruttato.

    «Quelle rose sono il vanto di madre Dorothée. Sono della varietà Imperatrice Farah, che resiste fino alla fine di novembre… Questi sono gli ultimi colori che potremo ammirare prima dell’arrivo dell’inverno», udì dalla religiosa.

    «L’ultima volta che sono stato qui non c’erano. Sono davvero molto belle», ammise riprendendo a seguire la donna. Una delle cose che, al contrario, non erano cambiate era l’abito di quell’ordine: il colore nero della tonaca, il velo dello stesso colore che scivolava oltre le spalle, il largo colletto candido e il cordone stretto in vita. Le monache clarisse non dovevano badare affatto alla moda dettata dai tempi, e anche questo particolare riuscì a far sorridere René, che si immaginò i commenti che avrebbero fatto alcuni stilisti con cui lavorava nel vedere quegli abiti immutati da secoli.

    La religiosa si fermò dinnanzi a una porta, l’aprì e lo invitò a entrare. Un forte aroma lo investì non appena si affacciò alla soglia. Lo riconobbe all’istante: si trattava di vaniglia. Subito con la mente tornò al giorno in cui con i genitori era andato a trovare madre Antoinette, visita che si era conclusa mangiando una soffice torta che la suora aveva preparato per loro. René spostò la pesante tenda di velluto, e i suoi occhi corsero al tavolo di legno massiccio che troneggiava al centro della stanza: su un piatto di ceramica era posato un dolce. La voce tonante di madre Antoinette attirò la sua attenzione. Si sentì chiamare e quando si voltò vide la religiosa venirgli incontro con passo deciso e un sorriso benevolo che il volto rubicondo accentuava ancor di più. René venne stretto dalle robuste braccia della donna, che lo trascinò contro di sé. La solita irruente, pensò, e per qualche attimo si sentì mancare il respiro. Posò il viso sul capo della donna, attendendo pazientemente di essere liberato dalla sua presa ferrea.

    «Buon Dio, René, ma quanto sei cresciuto? L’ultima volta che ti ho visto non mi arrivavi neppure alle spalle, e ora sono io che devo alzare lo sguardo per vederti», gli disse, indietreggiando per osservarlo meglio. I suoi grandi occhi azzurri erano pieni di contentezza per quell’incontro.

    René assentì timidamente, osservandone il viso gioioso. «Avevo solo dieci anni, ricordi?»

    «Certo, ma vieni, accomodati», si affrettò a rispondere lei, prendendogli il borsone dalle mani, per poi posarlo accanto al caminetto acceso. «Hai conosciuto sorella Clarisse? È nuova, arrivata appena due anni fa», proseguì portandosi la mano al petto, e si toccò il crocefisso d’argento che aveva ricevuto in dono per il suo trentesimo di consacrazione.

    Il giovane si voltò verso di lei annuendo. «Sì, ma dov’è madre Dorothée?»

    «La rivedrai presto. È scesa al villaggio per una commissione, ma ormai sarà sulla strada del ritorno», rispose indicando la sedia, prima di allungargli la torta che aveva preparato quella mattina. «Ricordo bene che andavi matto per questa. Spero che tu non debba seguire qualche assurda dieta.»

    René non riuscì neppure a replicare che la donna aveva già tagliato una porzione abbondante, servendola su di un piattino che gli posò davanti agli occhi. «Nessuna dieta, grazie…», mormorò, mentre lei gli si accomodava di fronte e spostava il cestino della frutta di lato per poterlo vedere meglio. Dopo aver preso un primo boccone si soffermò a gustarne il sapore. Era diverso dai dolci che di solito mangiava, e infatti sapeva che era una delle ricette che la madre superiora custodiva gelosamente.

    «Siamo felici che tu sia voluto tornare a Saint-René d’Angers. Con tutti gli impegni che avrai, ti sarà sicuramente costato molto.»

    «Dopo tanto lavoro mi meritavo una vacanza.»

    «Quando Morgan e Serge mi hanno chiamata per avvertirmi del tuo arrivo non credevo alle mie orecchie. Pensa che solo qualche giorno prima ti avevamo visto in televisione. Trasmettevano una sfilata di quello… si chiama come il santo…»

    «Valentino», le ricordò madre Clarisse.

    «Oh, sì. Indossavi una mantellina grigia e un berretto simile a quello di quel detective…», proseguì la madre superiore.

    «Di Sherlock Holmes», soggiunse ancora la giovane religiosa.

    «Sì. Quel completo piaceva anche a me», osservò René, inghiottendo l’ultima porzione di torta, prima di ripulirsi le labbra con il tovagliolo ricamato. «Però, io non credevo che mi seguiste anche in televisione!»

    «Qualche volta ce ne ricordiamo. Per te facciamo questo piccolo sacrificio. Da noi la televisione resta spenta anche per giorni interi, e mi stupisco che funzioni ancora», rise Antoinette. «Ma i tuoi genitori come stanno? Al telefono mi sono sembrati in ottima forma.»

    René accolse quella domanda con un’espressione rassegnata. «Super apprensivi, come sempre», ammise grattandosi la fronte. «Periodicamente devo ricordare loro che ormai sono cresciuto e so cavarmela anche da solo, e questo accade almeno una volta al giorno. E poi chi oserebbe fare un torto al figlio dei due più famosi stilisti francesi? Te lo immagini?»

    «Quei due si sono proprio trovati. Chi poteva immaginare che sarebbero divenuti persone così importanti? Lo sai che ogni anno versano per la nostra abbazia una cospicua offerta che ci permette di sopperire alle molte spese per il suo mantenimento? E poi abbiamo il piccolo ambulatorio giù in paese. Se non fosse per loro non saprei come fare.»

    «Non ricevete nessun altro aiuto?»

    «Sainte-Eulalie è un paese che sta lentamente morendo… Sono rimasti pochi abitanti e i servizi sono ormai ridotti all’osso. Abbiamo le offerte dei fedeli e delle piccole rendite, e poi ricaviamo qualche somma dalla coltivazione delle nostre piante officinali: nel nostro orto abbiamo colture di arnia che usiamo per creare un unguento molto richiesto.»

    René si alzò prendendo il portafoglio dalla tasta interna del giaccone canadese. «Beh, io non voglio pesare su di voi, quindi accetterete un piccolo contributo.» All’improvviso vide una mano allungarsi da dietro di lui e afferrare la sua.

    «Sarai anche cresciuto, ma se non lo metti via ti sculaccerò a dovere», esordì con tono perentorio madre Dorothée.

    René non proferì parola, ma accolse con un caldo abbraccio l’anziana suora, che si alzò sulle punte per arrivare a baciarlo sulla guancia. Dietro un paio di piccole lenti, gli occhi gonfi della donna trattenevano a stento lacrime di gioia.

    «Ma guardati, sei diventato un ragazzo bellissimo», gli sussurrò.

    «Grazie…» Egli arrossì, riponendo il portafoglio nella tasca. Poi strinse quelle piccole mani rese ruvide dal duro lavoro.

    Sorella Clarisse era rimasta in disparte per tutto il tempo. C’erano molte cose che non riusciva a spiegarsi e forse anche per quel motivo faticava a comprendere il trasporto delle sue consorelle, che sembravano avere per quel ragazzo un’ammirazione che rasentava l’eccesso. Aveva saputo dell’arrivo di René solo poche ore prima, e ancora si domandava il perché di quella visita che le avevano pregato di tenere riservata.

    «Sarai stanco per il viaggio. Vieni, ti mostro la tua camera», sentì pronunciare da madre Dorothée, che prese il borsone e accompagnò il ragazzo fuori dalla stanza. Clarisse rimase chiusa nel proprio silenzio osservando la madre superiora andare al caminetto, ravvivare la fiamma e aggiungere al fuoco dell’altra legna, che prendeva da un cesto. La grande bocca del caminetto, sormontata da una mensola di marmo scuro, riscaldava quel salottino da sempre usato per accogliere gli ospiti, l’unica stanza arredata con una certa eleganza: i mobili presenti erano quasi tutto ciò che restava dei fasti dell’abbazia, un tempo ricca e florida. Di quell’epoca era sopravvissuto ben poco, e molto si trovava in quell’ambiente, a partire da due tele ottocentesche raffiguranti dei paesaggi illuminati dalla luce che penetrava dalla grande finestra che si affacciava sul chiostro, opere che avrebbero meritato un buon restauro, così come la credenza di legno massiccio sulla quale erano riposti dei piatti di porcellana decorati a mano, utilizzati dalle religiose solo per il pranzo di Natale e di Pasqua. Accanto c’erano alcuni monili, tra cui un vecchio carillon in metallo dorato con delle placche di ceramica dipinte che lo rendevano tanto prezioso quanto unico. Quello era un dono che le suore avevano ricevuto pochi anni prima e dal quale non intendevano separarsi. Vi erano, infine, un sofà e una poltrona foderati in velluto damascato e con i braccioli in noce, che rendevano l’ambiente più simile a un museo che a un luogo di preghiera.

    «Immagino avrai delle domande da pormi», osservò la madre superiora, voltandosi verso la consorella.

    A quelle parole Clarisse tradì la propria sorpresa. Unì le mani, sfregandosele lentamente, prima di farsi avanti. «Per la verità ne avrei una sola. Non mi consideri indiscreta, ma perché lei e madre Dorothée nutrite verso quel giovane così tanto affetto?»

    «La tua curiosità è legittima. Anche se temo possa essere difficile per te comprendere quello che abbiamo vissuto ventuno anni fa, non avendovi preso parte di persona. Eppure, nonostante il tempo passato, ogni attimo di quel giorno è rimasto scolpito nella mia memoria. Credo che anche questo sia un dono del buon Dio, che ha reso quella mattina del dodici novembre unica. Quando guardai fuori dalla finestra, al mio risveglio, notai che una leggera foschia nascondeva alla vista il paesaggio. Erano da poco passate le sei, e quel giorno sarei dovuta scendere al paese per prendere l’autobus che mi avrebbe portato a Privas. Dovevo portare un ex voto che intendevamo restaurare in un laboratorio per farlo peritare, e non volendo assentarmi troppo dall’abbazia avevo deciso di partire di buon’ora.»

    Suor Clarisse rimase in silenzio, osservando la donna accomodarsi in

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