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Ereditiera cerca marito - Libro 1: Ereditiera cerca marito
Ereditiera cerca marito - Libro 1: Ereditiera cerca marito
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E-book187 pagine3 ore

Ereditiera cerca marito - Libro 1: Ereditiera cerca marito

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Info su questo ebook

Il nuovo divertentissimo, emozionante romanzo di Sierra Rose, autrice bestseller negli U.S.A.

Libro 1

Rose è la veterinaria di Wessler, la piccola cittadina del Tennessee in cui è felicemente cresciuta. Da anni è in pessimi rapporti con il ricco padre, ma all’improvvisa morte di questi, Rose scopre inaspettatamente di essere stata nominata erede di un cospicuo patrimonio. C’è un unico problema: perché avvenga la successione, dovrà sposarsi entro il suo ventiseiesimo compleanno…vale a dire entro pochissimi giorni! Ma ad aiutarla c’è sempre il suo spensierato, disoccupato e bellissimo amico d’infanzia Tommy, che accetta di farle da sposo per aggirare il testamento.

Il tempo è agli sgoccioli e bisogna organizzare il matrimonio in fretta.

Rose e Tommy radunano i loro migliori amici per un viaggio in macchina fino a Las Vegas, città delle nozze lampo. Fanno di tutto per arrivare all’altare il prima possibile, ma…naturalmente le cose non vanno mai secondo i piani…

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita18 dic 2018
ISBN9781386190028
Ereditiera cerca marito - Libro 1: Ereditiera cerca marito

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    Ereditiera cerca marito - Libro 1 - Sierra Rose

    EREDITIERA

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    MARITO

    Parte 1

    By

    Sierra Rose

    Capitolo 1

    Mi risvegliai al suono soave di un elefante che muore.

    Il letto sotto di me si scosse e tremò, e io socchiusi gli occhi sigillati dal mascara per ritrovarmi il mattino a sputarmi in faccia la luce del sole. Con le tempie che pulsavano, sbirciai la finestra molestatrice in totale disorientamento.

    Oooooh merda, Rose. Che cos’hai fatto?

    Per tutta risposta ci fu un altro possente ruggito e allora, morendo di vergogna, mi allontanai dal colosso russatore che avevo accanto e che occupava tutto lo spazio consentito dalle lenzuola che avevo avvolte attorno al petto.

    Dall’occhiata che lanciai in giro, alla crudele luce del giorno la stanza non era affatto come la ricordavo la sera precedente, annebbiata com’ero dai fumi del whiskey. I miei occhi vagarono prima sulla sagoma a grandezza naturale di Miss Pac-Man, quindi sui cimeli di Star War sulla parete, infine si richiusero con un lamento silenzioso.

    Perfetto. Semplicemente perfetto.

    Sbirciai alle mie spalle l’uomo con cui, a quanto pareva, la sera prima avevo deciso fosse una buona idea andare a casa.

    Barry, o Larry. O forse anche Terry.

    Indossava ancora i calzini. Carino.

    Come se tu potessi parlare...

    Staccai discretamente la federa che mi si era incollata al rossetto e decisi che quella non era una mattina per formulare giudizi senza l’aiuto della caffeina. Svegliarsi faccia a faccia con Miss Pac-Man aveva già concluso la battaglia per l’amor proprio ancor prima che cominciasse, perciò l’insopportabile vocina nella mia testa poteva andarsene via per tutto il tempo che desiderava.

    Già, quella mattina sarebbe stato meglio focalizzare le mie attenzioni su cose più importanti.

    Ad esempio la fuga.

    Guardai di nuovo alle mie spalle, poi provai ad abbassare a terra prima un piede e poi l’altro. Diversamente dall’amico comatoso, che portava soltanto i calzini, io indossavo ancora un bizzarro assortimento di vestiti—sebbene messi in posti alquanto strani.

    La camicetta era diventata una sorta di collana, la gonna era stretta talmente forte alla caviglia sinistra che le dita dei piedi cominciavano a diventarmi blu.

    Due minuti e diverse imprecazioni mormorate dopo, tutto era in teoria ritornato al proprio posto...eccetto un accessorio chiave.

    DEVE essere uno scherzo.

    Il mio reggiseno—il mio reggiseno portafortuna a conchiglia color turchese, quello che mi aveva accompagnata dal diploma delle scuole superiori e per tutti i miei primi vent’anni—era ben incastrato sotto il braccio muscoloso del mio compare senza nome, e tremava a ogni suo ronfo assordante. Un vero e proprio ostaggio di strass.

    Quando chinai il capo per contemplare la scoperta, circa un barile di Jameson si rimescolò impietosamente nel mio stomaco. Potevo sempre tentare un approccio à la Ali della Libertà, sfilandolo millimetro per millimetro. Oppure potevo optare per una più audace ‘toccata e fuga’. Una volta avevo liberato un tacco a spillo usando nient’altro che una boccetta di detergente per acquari e un paio di pinzette lunghe. Inutile dirlo, ero piuttosto fiduciosa delle mie capacità.

    Ma proprio mentre stavo costruendo un analogo attrezzo a uncino con un trio di bastoncini riottosi, il tipo rotolò sulla schiena e il mio adorato reggiseno sparì per sempre dalla mia vista. Restai lì per un momento, raccolta in un improvvisato attimo di silenzio in memoria del caro scomparso, poi i miei occhi si posarono sull’involucro stropicciato di un preservativo che era appiccicato sulla sua guancia.

    Oh per l’amor di dio!

    Il Jameson minacciava di fare un’improvvisa ricomparsa, perciò indietreggiai sino alla porta facendomi largo attraverso un campo minato di biancheria sporca. La porta aprendosi emise uno scricchiolio acuto e raggelai di nuovo, lanciando un’occhiata verso il letto. Ma il dongiovanni era fuori come un balcone, con un rivolo fisso di bava che gli colava lungo la guancia.

    Magari sogni dei tuoi punteggi migliori a World of Warcraft, piccolo ubriacone—

    Non che volessi giudicarlo. Niente giudizi, lì. Non quel giorno. Non con le calze di seta ancora arrotolate in un groviglio attorno al mio polso.

    Sgattaiolai in punta di piedi lungo il corridoio, evitando di proposito il mio riflesso quando superai uno specchio. L’ombra attorno alla testa che avevo scorto con la coda dell’occhio non aveva senso logico, ma ci avrei pensato in seguito. Prima le cose importanti. Dovevo uscire da quella casa senza essere—

    Ma bene, buongiorno, cara!

    Inciampai e caddi sugli ultimi scalini, atterrando con un contrariato ‘Oof’ sul duro laminato. Quando sollevai lo sguardo, mi ritrovai a fissare i volti luminosi e cordiali di una coppia di signori anziani, raccolta attorno a un tavolo imbandito con una colazione fumante.

    Buon— mi schiarii in fretta la voce e raddrizzai le spalle, buongiorno.

    I loro occhi scivolarono incuriositi sulla mia persona, ma i sorrisi rimasero intatti.

    Avevamo immaginato che Chris fosse tornato a casa con qualcuno, ieri sera, proseguì vivacemente la signora.

    Chris. Ecco com’era.

    Mi si annebbiò la vista in un momento di confusione. E voi sareste...?

    La donna lasciò cadere la testa all’indietro e rise. Uh, sei proprio simpatica, lo sai? Noi siamo i genitori di Chris!

    Un conato di bile mi risalì nella gola e lo ricacciai indietro con un sorriso nauseato. Ma certo che lo siete.

    Mi rialzai lentamente in piedi.

    I due si avvicinarono per presentarsi come si deve, poi la donna si fece indietro per indicarmi il bendidio. Uova e bacon?

    No, vi ringrazio. Però è stato bello conoscervi.

    Ma noi insistiamo, fece lei.

    Davvero, non sono presentabile, dissi, rivolgendo lo sguardo altrove.

    La mamma di Chris, venne verso di me e mi toccò il braccio. A noi non importa, cara. Per favore, prendi soltanto qualche fetta di bacon e del succo d’arancia.

    Andiamo, aggiunse il padre con un ampio sorriso. Cosa sono cinque minuti in più?

    Ehm...

    La signora mi accompagnò al tavolo e non ebbi cuore a scappare via.

    Ascoltate, devo andare sul serio.

    Prima mangia.

    Mi misi a sedere e cominciai a sfamarmi dopo averli ringraziati per l’ospitalità. Le uova erano le migliori che avessi mai mangiato e il bacon era qualcosa per cui poter morire. Facemmo un po’ di conversazione e venne fuori che i genitori di Chris erano piuttosto simpatici.

    Quindi hai detto che sei una veterinaria? chiese la madre.

    Sorrisi. Esatto.

    Wow! fece il padre. Nostro figlio ha rimediato un dottore!

    Te l’avevo detto che per lui c’era ancora speranza, rispose la madre.

    Per poco non sputai la spremuta.

    Come fai a gestire i pitbull, i rottweiler e i pastori tedeschi? chiese il padre.

    Beh, in realtà i cani che mi spaventano di più sono i chihuahua. Mordono molto più facilmente.

    Sul serio?

    Assolutamente.

    Non fu che dopo una quarantina di minuti che finalmente riuscii a fuggire via. Si dava il caso che i genitori di Chris—con i quali lui viveva ancora—non erano il genere di persone che comprendevano le parole ‘no, grazie’. Tra quello e il fatto che il bacon bisunto era una delle poche cose adatte a curare i postumi di una sbronza, mi concessi di essere scortata a tavola e mangiare con finto entusiasmo qualunque cosa mi mettessero davanti.

    Grazie a dio, Chris non concesse il bis facendosi vedere—da quello che ricordavo della sera precedente, non era un granché a concedere il bis—e quando finalmente riuscii a dirigermi verso la porta d’ingresso, ebbi in qualche modo l’illusione che quella tragedia di giornata potesse ancora essere salvata. Certo, mi ero svegliata avvolta in lenzuola dei Pokemon, avevo perso il mio reggiseno a conchiglia portafortuna, avevo fatto colazione con i genitori di uno da una botta e via e appurato—come Mrs Walton mi aveva gentilmente detto durante la colazione—di avere dei pezzetti di visiera da golf incastrati inspiegabilmente nei capelli; ma per qualche strano motivo il tutto mi faceva sentire quasi sollevata.

    Quello era il fondo, giusto? Cos’altro poteva mai andare storto?

    Ci stavo ancora riflettendo su, riscoprendo un rinnovato senso di ottimismo, quando salutai, uscii di casa e mi imbattei nel giornale del mattino.

    Un volto familiare guardava dritto verso di me.

    ‘Magnate Milionario Muore A 65 Anni’

    Mi mancò il respiro e per la seconda volta, quella giornata, raggelai.

    Papà?

    Capitolo 2

    Mi feci prestare il quotidiano dai Walton, tornando al mio appartamento in una sorta di trance. Una prima telefonata a mia madre non ricevette risposta, ma in verità non mi aspettavo di riuscire a sentirla. Si trovava probabilmente alle Bahamas, alle Seychelles o alle Maldive col suo nuovo fidanzato, beatamente ignara di ciò che era capitato all’ex-marito. Sebbene tutto ciò che desiderassi era un amico, la chiamata successiva fu per l’avvocato di famiglia.

    Mio padre era stato un avvocato, dopo tutto—il più grande avvocato che quella piccola cittadina del sud avesse mai visto. Sebbene la sua ascesa al potere avesse incluso soltanto uno o due successi internazionali nonché l’accumulo di pochi milioni, quei pochi milioni erano pur sempre più di quanto il resto della comunità avesse mai visto, e furono sufficienti a catapultarlo nello status di celebrità locale. Non un eroe—non c’era verso che i gentili abitanti del sud vedessero un uomo divorziato due volte e un padre assente (per non parlare di un avvocato) come qualcuno a cui volere bene—ma una celebrità era pur sempre una celebrità.

    Lingua affilata e cuore di pietra, Arnold Garland era insultato e temuto—due cose a cui lui teneva profondamente. Dopo aver lasciato la seconda moglie per una carriera di vacanze tropicali e rotolamenti sul letto, aveva pubblicamente diseredato l’unica figlia per non aver seguito le sue stesse orme. Non solo non avevo mai dimostrato la benché minima inclinazione a prendere una laurea in legge, ma avevo anche scelto una professione che—per quanto in molti la ritenessero nobile—lui considerava appartenere alle fatiche dei braccianti e dei servitori.

    Ero una veterinaria.

    All’inizio aveva creduto che si trattasse di una fase, di una specie di ribellione ormonale che serviva per sfogarmi prima di ritornare sui miei passi. Ma più prolungavo gli studi—è vero, papà, qualcuno dice che gli esami di Veterinaria siano persino più duri di quelli per l’avvocatura—più lui cominciava a vedermi come la copia carbone di una persona qualunque di Wessler, la pittoresca cittadina che tanto disprezzava.

    Al mio secondo anno di Università gli assegni per l’istruzione smisero di arrivare. Al terzo fecero altrettanto le telefonate. Non venne neppure alla mia laurea. Non passammo più insieme il Natale. L’unica cosa che fece, inspiegabilmente, fu trasferire il proprio ufficio da New York a Wessler.

    I paesani non riuscivano a crederci. Perché un avvocato di alto livello della East Coast avrebbe dovuto ritornare alla cittadina presto dimenticata che si annidava tra le dolci colline e i pigri corsi d’acqua del Tennessee rurale?

    Soltanto io conoscevo la verità. Era venuto a torturami.

    Il suo ufficio legale—il più imponente edificio del paese—fu costruito direttamente sull’altro lato della strada della mia attività appena avviata. Specificamente progettato perché ogni giorno sprofondassi nella sua ombra torreggiante. Negli anni, sbirciando di tanto in tanto dalle finestre soleggiate del mio ufficio—solitamente alle spalle di un pechinese malaticcio—immaginavo che lui mi stesse fissando, obbligando a ricordarmi ogni giorno della sua disapprovazione. C’era una vera e propria guerra fredda, lì a Main Street.

    Lo scandalo fu delizioso. Naturalmente, più questo si trascinava nel tempo e mio padre si faceva schivo e più velocemente la gente cominciava a perdere interesse. Vedete, mio padre poteva anche essere la celebrità del posto, ma ero io quella a essere amata.

    Ero cresciuta lì, non avevo mai perso un colpo. Avevo girato a piedi nudi per la strada mangiando ghiaccioli insieme ai miei amici. Ero andata a caccia di gamberi al laghetto locale nelle serate di bel tempo. Giocato a calcio in autunno e a softball in primavera.

    Avevo perso la verginità al ballo di fine anno, passato la nottata di rito in cella per una stupidaggine adolescenziale, ero andata al college più vicino ed ero ritornata per prendermi cura dei gatti e dei cuccioli di tutti quanti.

    Già, ero amata come pochi.

    Perciò, io mentre mi

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