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Storia quasi seria di un Vampiro perbene
Storia quasi seria di un Vampiro perbene
Storia quasi seria di un Vampiro perbene
E-book56 pagine46 minuti

Storia quasi seria di un Vampiro perbene

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Info su questo ebook

Louis-Théophile D’Ormant de Luneville, giovane castellano appena diciannovenne amante di cacce e di scorribande, ma anche di quegli strani oggetti che sono i libri, si ritrova inaspettatamente nelle scomode vesti di un non-morto.
La sua nuova condizione, oltre a numerosi interrogativi, gli pone un problema molto più difficile da risolvere di tutti gli altri: come riuscire a nutrirsi, ovviamente di sangue, riuscendo a rimanere al contempo un vampiro perbene?
Affronterà a modo suo la carenza di nutrimento sia per il corpo che per la mente, aggirandosi per il castello e le sue vicinanze, e facendo via via vari incontri che segneranno la sua singolare esistenza. Dovrà vedersela anche con la sua irresistibile propensione al sonno, un destino a cui gli è difficile opporsi, e già insito nel suo nome.
La vicenda prende l’avvio in una Francia della seconda metà del XVII secolo, ancora dominata dal potere assoluto del monarca del Grand Siècle, per estendersi oltre più di un secolo, al di là della Rivoluzione, fino agli albori dell’Impero napoleonico e alla definitiva scomparsa del mondo feudale.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2021
ISBN9788832928310
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    Anteprima del libro

    Storia quasi seria di un Vampiro perbene - ​​​​​​​Antonella Azzoni

    12.

    1

    Louis-Théophile D’Ormant de Luneville si svegliò.

    Era buio pesto, ma i suoi occhi vedevano piuttosto bene nell’oscurità, come quelli dei gatti. Benché non fosse del tutto certo di avere terminato il suo sonno, si alzò a sedere nella bara – dopo averne spalancato il coperchio, s’intende – sbadigliò, si stirò.

    Avrebbe voluto dormire ancora, ma lo aveva svegliato l’insistente rosicchiare di un tarlo, proprio lì, vicino al suo orecchio destro… Possibile che quel maledetto tarlo non potesse spostarsi, e andare a satollarsi altrove? Ma no, invece, si era installato lì, nella sua bara, e vicinissimo al suo orecchio… Comunque, sentiva anche un certo languorino di stomaco… probabilmente non si nutriva da parecchio.

    Con un ultimo sforzo, si alzò in piedi e uscì dalla bara, soffermandosi a esaminarla accuratamente. Ma certo – constatò con orrore – ecco lì innumerevoli forellini provocati da altrettanti tarli, di cui il suo, quello che l’aveva svegliato, non era che un infimo rappresentante. Avrebbe dovuto correre ai ripari, o in breve tempo avrebbero ridotto la sua bara a un mucchio di segatura. E dove avrebbe potuto dormire, allora? Dormire così comodamente, così a lungo… Avrebbe cosparso la bara di un liquido per uccidere i tarli, e ne avrebbe avuto ragione, una buona volta. Ma subito pensò che l’odore penetrante di quel preparato gli avrebbe dato maledettamente noia, disturbandolo nel sonno. Decise di rimandare il problema.

    La sua bara… la guardò con affetto, con tenerezza. Non se ne sarebbe separato per nulla al mondo. Così elegante, di un bel legno lucido mai reso opaco dagli anni, e tutta foderata all’interno di raso bianco, come si addiceva a qualcuno non-morto in così giovane età…

    Riandò con una sottile malinconia al momento della sua non-morte. Era accaduto tutto così soavemente, così gentilmente, nel sonno e nel tepore…

    Aveva diciannove anni. Era ospite da loro un giovane cugino, Jean-Philippe, figlio di una sorella di suo padre morta precocemente, e che poteva avere due o tre anni meno di lui. Il ragazzo era venuto al castello per studiare latino, greco antico, storia e francese con il suo stesso precettore. Ma in realtà, era solo la caccia che lo interessava, e il più cruenta che fosse possibile. Molte volte lo aveva visto guatare con avidità i cani che si pascevano voracemente di parte delle prede abbattute, durante la curée, e ne era rimasto turbato. Jean-Philippe si soffermava più volentieri là dove il sangue ristagnava e fumava, e guardava a lungo come affascinato, come se fosse in un altro mondo. Ma Louis-Théophile era giovane e spensierato, e ben presto se ne era scordato, impegnato a schivare il precettore per lanciarsi col cugino in cavalcate senza sella a briglia sciolta, e in altre attività quali il saccheggio dei nidi e l’inseguimento delle bestie selvatiche.

    Una sera Jean-Philippe, che aveva la sua stanza in un’altra ala del castello, riservata agli ospiti, aveva insistito per dormire con lui, nella sua camera. L’indomani dovevano alzarsi di buon’ora, molto di buon’ora, per una partita di caccia al cervo. Così – aveva detto Jean-Philippe – sarebbero stati sicuri che chi dei due si fosse svegliato prima avrebbe subito destato l’altro, evitando indugi e ritardi. Non potevano certo fidarsi di Pinchon, il servo di Louis-Théophile, che se fosse stato per lui avrebbe ronfato fino a mezzogiorno. Per metà persuaso, non ebbe nulla da ribattere. In camera sua c’erano due grandi letti a baldacchino, uno occupato da lui, l’altro da sempre vuoto. E poi, aveva così tanto sonno… perché mai avrebbe dovuto opporsi? Così i due cugini, poco dopo cena, erano andati a dormire nella stessa stanza, ognuno nel proprio letto, si erano dati la buonanotte, e si erano addormentati subito, o almeno così credeva Louis-Théophile.

    Dopo forse un paio d’ore, aveva sentito Jean-Philippe sollevare piano le coperte e insinuarsi cautamente nel suo letto, accanto a lui. Con la mente confusa dal sonno, in un lampo aveva pensato

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