Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Siediti. Ti debbo parlare
Siediti. Ti debbo parlare
Siediti. Ti debbo parlare
E-book148 pagine2 ore

Siediti. Ti debbo parlare

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Qualcosa di stridente, di graffiante, striscia sotto le parole di questo strano romanzo. Avvicinatevi alle sue pagine, ma con cautela. Vi ritroverete immersi in una realtà che, per molti aspetti, vi sembrerà familiare. Un mondo normale, fatto di cose normali, di persone normali che passano su strade normali. Eppure c’è qualcosa di sinistro che sembra spiarvi da dietro gli angoli, dai vetri dei bar, dalle fessure delle persiane. E nonostante l’apparente ordinarietà di ciò che vi circonda, per qualche inquietante motivo, il vostro cuore sarà sempre leggermente più rapido di quanto dovrebbe. Giorno dopo giorno, si riveleranno strani intrecci che sono stati intessuti già diverso tempo prima, senza che ve ne siate accorti. E quando arriverete al finale e lascerete questo libro dietro di voi, vi renderete conto che qualcosa vi è rimasto addosso. E non ci sarà verso di liberarvene...
LinguaItaliano
Data di uscita26 set 2017
ISBN9788893843188
Siediti. Ti debbo parlare

Correlato a Siediti. Ti debbo parlare

Ebook correlati

Narrativa psicologica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Siediti. Ti debbo parlare

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Siediti. Ti debbo parlare - Stefano Vannini

    Vannini

    Prologo

    La sveglia suonò alle otto ma Giada e Marco erano già svegli. La notte era trascorsa agitata, lasciando poco spazio al sonno. L’adrenalina dell’appuntamento li aveva tenuti a lungo sospesi in una veglia inquieta anche se non avevano scambiato una parola. L’incontro era fissato alle 11.00. Vi giunsero un’ora prima in una perfetta domenica ottobrina romana. Dopo la pioggia della notte si era fatto largo un bellissimo cielo azzurro illuminato da un sole che colorava d’ocra i tetti. Le strade del centro erano ravvivate dai romani e da molti turisti che godevano di quello splendore. Bocche che leccavano gelati, denti che sorridevano, visi allegri, occhi che lacrimavano incrociando guance, nasi che odoravano la vita. Come per un segreto comando, tutti sembravano attratti da una fontana al centro della piazza, vi si radunavano in cerchio. Più in là una scalinata, una palazzina, una sala da tè e una colonna. La fontana appartiene al primo periodo Barocco, è la Fontana della Barcaccia scolpita da Pietro Bernini e da suo figlio Gian Lorenzo che superò il padre in arte e celebrità. A guardarla sembrava prendere il largo con eleganza. Nei decenni trascorsi dalla sua edificazione, molto era cambiato attorno, non la dolce bellezza del luogo. A pochi passi una scalinata, 135 gradini sfarzosamente inaugurati da Papa Benedetto XIII in occasione del giubileo del 1725, realizzati per collegare l’ambasciata Borbonica spagnola alla chiesa di Trinità dei Monti che come un guardiano sembra sorvegliare l’intera piazza dall’alto. Proprio all’angolo destro, prospiciente ai primi gradini, si erge una palazzina di tre piani, è la casa del poeta inglese John Keats che lì visse e morì nel 1821. Oggi è un museo dedicato alla sua memoria e a quella dell’amico Percy Bysshe Shelley, entrambi poeti, romantici, amanti della classicità, che dall’Inghilterra trovarono nei colori del Mediterraneo una nuova idea di libertà. Nella casa i ben informati dicono sia custodito, non visibile al pubblico, il manufatto che ispirò il giovane Keats in una della sue più famose poesie, l’Ode ad un urna greca. Ora il suo corpo, il cui nome fu scritto nell’acqua, riposa a qualche chilometro di distanza, nel cimitero sotto la Piramide, a Testaccio. Dall’altro lato, all’angolo sinistro, la sala da tè Babington’s, fondata nel 1893. Al centro la maestosità della colonna dell’Immacolata concezione, innalzata due anni dopo la proclamazione del dogma, era il 1856.

    Quel panorama unico al mondo era sotto gli occhi di Giada e di Marco, che ne respiravano ogni centimetro. Il primo giorno di permanenza a Roma, quando Giada leggeva da un libretto la storia di questi luoghi in un grazioso bar di Piazza del Popolo, c’era un gran temporale e non erano riusciti a gustarseli come stavano facendo ora con quel sole. Sembrava quasi un segno del destino che il giorno dell’appuntamento ci fosse il sole. La luce che si diffondeva come un’onda li faceva sentire rilassati, perché nella folla ci si poteva camuffare meglio. Si erano messi ad aspettare ad una ventina di metri dalla colonna dell’Immacolata, la distanza sufficiente per mantenere una buona visuale sulla colonna e sul resto della piazza.

    Giuseppe e Cinzia erano esattamente dall’altra parte, verso l’imbocco di via del Babuino. La coppia cagliaritana, all’uscita dalla metropolitana, aveva scelto un angolo per controllare il luogo dell’appuntamento. C’era soltanto da aspettare. Entrambi gli uomini indossavano una giacca blu con pantalone bianco, un panama, e con la mano destra stringevano una ventiquattrore di pelle nera, come da accordo, per farsi riconoscere.

    Alle 11.00 nei due poli opposti di piazza di Spagna, mentre i turisti scattavano foto, le guide raccontavano storie e i bambini si rincorrevano urlanti, fra taxi che arrivavano e taxi che partivano, due macchine blu, una al principio di via del Babuino l’altra vicino alla colonna dell’Immacolata Concezione, rallentarono e si fermarono.

    «Sono loro!» sussurrarono quasi all’unisono entrambe le donne dagli angoli opposti. Entrambe strinsero forte il braccio sinistro dei mariti, i quali risposero semplicemente «Sì».

    Giada e Marco erano sposati da sei anni, lei direttrice di banca, lui amministratore delegato di una importante società milanese. Entrambi quarantenni, milanesi, non avevano figli. In quei giorni di ottobre, a Roma li aspettava un appuntamento che avrebbe cambiato le loro vite. Ormai non potevano più tirarsi indietro, del resto era da più di un anno che avevano iniziato le trattative che si sarebbero concluse nella splendida piazza romana.

    La sera precedente alla partenza erano stati a cena da una coppia di amici, Gianni e Adele, che avevano due figli, Nicolò e Lucrezia, di sei e quattro anni. Si frequentavano da molti anni. Giada aveva fatto conoscere Gianni e Adele, lui era stato un suo compagno di università e al loro matrimonio avevano fatto da testimoni. Per non farsi mancare nulla e saldare ancora di più la loro amicizia, erano stati anche padrino e madrina dei bambini. Nicolò e Lucrezia impazzivano di gioia quando a casa c’erano Giada e Marco. Giada soprattutto era dolcissima e gli voleva bene come se fossero suoi. Inoltre i bambini spesso andavano a dormire a casa degli amici di mamma e papà poiché Gianni a Adele, lavorando nella moda, avevano un atelier fra i più importanti di Milano, dovevano seguire le sfilate in giro per l’Italia e per il mondo. Col tempo fra le due coppie era cresciuta una tale fiducia che Gianni e Adele preferivano lasciare i figli agli amici piuttosto che ai nonni, troppo ansiosi, come ripeteva spesso Adele. Eppure quella sera a cena Giada aveva più di una volta sviato il discorso con discrezione e gentilezza quando gli era stato chiesto il motivo di quel viaggio nella Capitale. Apparentemente non ci sarebbe stato nulla di strano in una gita a Roma, ma la curiosità non soddisfatta di Gianni e Adele derivava dal fatto che Giada era stata molto vaga, mentre Marco era rimasto addirittura in silenzio. Da fedeli amici non incalzarono oltre e così la cortina di riservatezza, ben organizzata dalla coppia, non crollò. Erano diventati bravi a nascondere la loro ansia ogni volta che veniva fuori l’argomento Roma. Messi a letto i bambini e finito l’ultimo goccio di amaro, Gianni e Adele si offrirono di accompagnarli il giorno dopo in stazione. Così l’indomani Marco e Giada partirono alla volta di Roma. Erano le 20.00 di una tiepida serata di inizio autunno quando i due arrivarono a Roma Termini. Mancavano due giorni all’appuntamento previsto per la domenica successiva. Avevano deciso di arrivare prima per allentare la tensione, quale cosa migliore di fare di turisti per Roma? Per quello che li attendeva era fondamentale un po’ di distrazione e non sarebbe stato inutile studiare ogni minimo dettaglio a proposito del luogo dell’appuntamento. La faccenda era molto delicata, per questo pensarono che sarebbe stato meglio prevedere tutto, compresa una eventuale via di fuga nel caso le cose fossero andate male. In gioco c’era il loro futuro, come coppia, ma anche inevitabilmente la sfera professionale di entrambi.

    «Viale del Vignola, Quartiere Flaminio, per favore» fece Marco al conducente del taxi, leggendo l’indirizzo dell’hotel scarabocchiato sull’agenda. Il tassista annuì e partirono. In pochi minuti arrivarono all’albergo. Sistemati gli aspetti burocratici e preso possesso della stanza, scesero nella hall, il portiere che li aveva accolti gli indicò la trattoria pizzeria convenzionata con l’albergo dove avrebbero potuto recarsi per cenare. Era a poche centinaia di metri dall’altro lato della strada. Da Mauretto era il nome del locale.

    Mentre andavano, Giada strattonò Marco: «Che bello questo quartiere! Guarda! Siamo a Roma eppure mi ricorda l’atmosfera di un posto a Londra dove vivevo, con il pub sotto casa e quel negozietto sempre aperto dove comprare da mangiare. Confesso che qui ci vivrei. Mi ci sentirei davvero a casa – sostenne con un accento di serenità Giada – Sai, dei palazzi e dei centri commerciali forse ne ho abbastanza».

    «Amore, non a caso Roma è la capitale del mondo».

    «Vero. Ma soltanto ora, vedendola, camminandoci, ne capisco davvero il perché, e siamo solo all’inizio, ancora non abbiamo visto nulla dei suoi monumenti!».

    «E comunque è bella anche la nostra Milano» disse Marco quasi risentito.

    «Confermo, amore mio» rassicurandolo.

    Con passo leggero attraversarono la strada ed entrarono da Mauretto. Sulle pareti, ad ogni angolo, videro foto del proprietario e dei camerieri con attori, registi, calciatori. In sala, gente che mangiava, rideva, discuteva, camerieri che volavano da un tavolo all’altro con pizze, bibite, bicchieri. Dietro la cassa il proprietario faceva i conti e contemporaneamente accoglieva i clienti. Accanto a lui, un ragazzo, suo figlio, tagliava a mano il prosciutto. Anche se i rumori e la frenesia del locale sembravano prevalere, tutto si svolgeva con il massimo ordine, come in una catena di montaggio. Poi quell’accoglienza: «Buonasera madame, buonasera dottore», «Buonasera. Siamo in due», «Prego, intanto accomodatevi, saremo subito da voi» li aveva completamente messi a loro agio. Un minuto dopo arrivò il cameriere con acqua pane e patatine fritte fatte in casa. Ordinarono mozzarella e prosciutto con focaccia bianca, due pizze Margherita e due birre medie. Alla fine della cena, al momento dell’amaro, il proprietario si sedette con loro, come faceva abitualmente con i clienti.

    «Come è andata? Tutto bene?».

    «Benissimo grazie». E chiacchierano per un po’.

    «Grazie di tutto, ci vediamo domani sera. Noi siamo qui a vostra completa disposizione, dottore. Buona serata anche a lei, madame e a domani!».

    Teneramente abbracciati, come giovani fidanzati, uscirono ritornando sui precedenti passi. Attraversarono la strada e furono di nuovo in hotel. L’indomani si svegliarono alle 9.00, fecero colazione e uscirono per visitare la città, anche se il pensiero di visionare il luogo dell’appuntamento fu predominante. Salirono sul tram e in pochi minuti giunsero al capolinea, Piazzale Flaminio, a cento metri c’era Piazza del Popolo. Larga e bagnata per la pioggia fitta che dal mattino investiva Roma, un maltempo che avrebbero trovato anche nei giorni successivi, la piazza li accolse silenziosa. La pioggia non cessava, decisero di fermarsi in uno dei due bar che sembrano fare da corona alla piazza, prendere un tè caldo per riscaldarsi e fare un piano della giornata.

    Mentre erano seduti sotto il tendaggio del bar, Marco passò la guida turistica a Giada, lei era l’incaricata a fare programmi durante le loro vacanze e anche quella volta non si tirò indietro mentre lui aprì il giornale. Avevano girato praticamente tutta l’Europa e Marco sarebbe stato assolutamente certo che anche questa volta Giada non avrebbe fallito nel pianificare il loro itinerario. Una particolarità di Giada, che Marco adorava, era la sua abitudine di leggere anche il più piccolo dettaglio delle guide, particolari che spesso gli avevano permesso di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1