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Don Giovanni a New York
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E-book243 pagine3 ore

Don Giovanni a New York

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Info su questo ebook

Finalista al Premio Guido Morselli 2014.

E abbraccio fu. E poi bacio sulla bocca, quindi lunghi palpeggiamenti.
Svestiti, si erano fissati a lungo, confrontati; Antonio non era circonciso. E tutto il resto era avvenuto, diverse volte, a posizioni sempre variate.
“È amore”, aveva pensato il bell’Antonio.
“Una piacevolissima questione di sesso, anzi, una sinfonia in si bemolle minore, il simbolo dell’erotismo”
 - John.

John, giovane affascinante pianista biondastro, è afflitto da una tendinite forse d'origine psicosomatica: quando le sue dita affusolate sfiorano i tasti bianchi e quelli neri, dolori improvvisi le paralizzano. Trasferitosi da Cleveland a New York City, vive nel Greenwich Village insieme a Leveret, l'amico nero. Pur amandosi, entrambi si vendono a uomini abbienti per campare. L'incontro casuale con la ricchissima Elvira, smorfiosa ma ingenua figlia di un costruttore mafioso, sconvolge la vita di John, che recupera un'apparente dignità e infine il pianoforte. Elvira si sente trascurata, fugge e si perde, lasciando a John il figlio che hanno concepito: Wolfgang. E la libertà di suonare e comporre. La fama bacia John come in un sogno. Prima del risveglio...
LinguaItaliano
EditoreRogas
Data di uscita28 mar 2020
ISBN9788835395690
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    Don Giovanni a New York - Giovanni Angelini

    Giovanni Angelini

    Don Giovanni a New York

    BANDINI

    COLLANA DI NARRATIVA

    2020

    Rogas Edizioni

    © Marcovaldo di Simone Luciani

    viale Telese 35 – 00177, Roma

    e-mail info@rogasedizioni.net

    sito web: rogasedizioni.net

    Facebook: Rogas Edizioni

    Instagram: @rogasedizioni

    ISBN: 9788845294778

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    indice

    OUVERTURE

    ELVIRA

    ​JOHN & LEVERET

    LE METAMORFOSI

    LA GOCCIA D’ORO

    ULTIMO TANGO A PARIGI

    AH, CHI MI DICE MAI. QUEL BARBARO DOV’È?

    LA GOCCIA FATALE

    DIE ZAUBERFLÖTE

    "AH TI RITROVO ANCOR,

    HAN POCO CREDITO

    IL PORTIERE DI NOTTE

    Il SERVO PADRONE, PERGOLESI È ASSENTE

    PER QUESTE TUE MANINE

    I/LE DISPONIBILI

    QUARTO MOVIMENTO, ADAGIO LAMENTOSO

    MORTE ANNUNZIATA E MORTE IMPROVVISA

    VORREI SPIEGARVI, OH DIO

    PAROLE SAGGE

    FRANCE PROSTITUÉE

    AH! FUGGI IL TRADITOR, NON LO LASCIAR PIÙ DIR!

    IL CATALOGO S’AGGIORNA

    CHI ANCORA ENTRA NEL CATALOGO?

    ANCORA TU? MA NON DOVEVAMO RIVEDERCI PIÙ?

    BACK TO NEW YORK

    NEL TEMPIO DI PIERMARINI

    SUA PASSION PREDOMINANTE

    POSTA ELETTRONICA

    DALL’ELLADE A BISANZIO

    ADDIO A CLEVELAND

    FOLLIE LACUSTRI E ACQUA SPORCA

    LÀ CI DAREM LA MANO, LÀ MI DIRAI DI SÌ…

    HONEYMOON FOR TWO MEN

    IL PIANISTA DI BEETHOVEN

    UN MANTENUTO A FORT LAUDERDALE

    UN SOGNO LUNGHISSIMO

    VARIAZIONI SU UN TEMA (CONTINUO) DI JOYCE CAROL OATES

    VARIAZIONI SU UN TEMA DI ROBERTO BOLAÑO

    BIBLIOGRAFIA

    BANDINI

    Note

    OUVERTURE

    Migranti italiani

    La famiglia Gabalo viveva a New York da tre generazioni.

    Piero, l’azzardoso, aveva lasciato l’Italia nel ’28 e a Genova s’era imbarcato per New York. Il fascismo non aveva segnato la sua decisione, ma la miseria. Con sé, nell’avventura, s’era trascinato Mariuccia, la giovanissima moglie quasi analfabeta, comunque timorata di Dio e soprattutto del marito. I migranti italiani mai prima avevan visto il mare, ben più spaventoso del triste infido lago di Varese.

    Convivenze italiane

    Dopo un breve soggiorno a Ellis Island – a loro parve interminabile – giudicati dall’immigrazione in buona salute e capaci d’intendere, di volere e soprattutto di lavorare, trovarono un appartamento in condivisione a Jersey City.

    Quando v’entrò, Mariuccia si mise a piangere e a rimpiangere la povera cascina in quel di Gavirate che era stata venduta per acquistare i biglietti di viaggio.

    In una stanza dotata di letto e d’armadio si stringevano i Gabalo, altre due stanze erano occupate da una famiglia di otto compaesani, i Bossiciucci: padre, madre e sei figli. E un settimo in arrivo. La cucina era una e unico il cesso.

    Piero trovò subito un impiego come aiutante di un figaro italo-americano e Mariuccia una chiesa nella quale, appena rigovernata la stanza e steso il bucato su una cordicella tesa alla finestra che dava su un vicolo buio, si rifugiava a pregare. Inginocchiata, smise presto di edificarsi pensando a Gesù, Giuseppe e Maria, ma iniziò a bramare il dio dollaro, quello Zio Sam che non la degnava di un solo sguardo di benevolenza.

    Eh sì che ne vedeva, di auto sfrecciare, di signore dalle calze nuove, dai vestiti in ordine e dall’ac­conciatura ineccepibile, di signori dalle scarpe lucide in giacca e cravatta. Non ne capiva l’idioma però, secondo lei, si trattava di sciuri, poco ma sicuro.

    Rimasta incinta, senza troppo soffrire perdette il grumo che le s’era attaccato all’utero. Ringraziò il decotto miracoloso propinatole dalla sciura Bossiciucci.

    Terminate le giornate dal figaro, Piero doveva trascorrere parte della notte lustrando i bagni pubblici: ammoniaca! E tirando insulti, minacce, a esibizionisti e sodomiti.

    " Notte e giorno a faticar,

    Per chi nulla sa gradir;

    Piova e vento sopportar,

    Mangiar male e mal dormir…

    Voglio fare il gentiluomo,

    E non voglio più servir."

    (Wolfgang Amadeus Mozart, Lorenzo Da Ponte, Don Giovanni, Catalogo Ludwig von Köchel K 527, Atto I, Scena I)

    Fuoco italiano

    Crisi nerissima dell’autunno ’29: i banchieri perdevano addirittura la vita. Piero perse entrambi i posti.

    In compenso conobbe alcuni terùn. Gli proposero lavoretti facili facili, gli consegnarono un’arma e alcuni indirizzi. Tre malavitosi irlandesi furono trovati cadaveri nel New Jersey e la polizia non si dannò a risolvere i casi: tre gangster in meno in un mese.

    L’arma finì nello Hudson.

    In pochi anni Piero riuscì a traslocare in una villetta con giardino a Brooklin Eights, dalla quale si poteva ammirare Park Stope e, soprattutto, a trovare un impiego da usciere in una piccola, dignitosa, banca salvatasi dalla borsa delle tenebre: niente azioni, bensì depositi in dollari di italo-americani che sapevano come sfruttare i venti di crisi e quelli di guerra.

    Fu nella villetta di Brooklin Heights che un piccino venne al mondo nel mille e novecento e quaranta. La famiglia Gabalo non conosceva la Storia e, solo per pura fatalità, diede nome Elio all’infante. Avrebbe seguito il destino del proprio omonimo, il folle imperatore-dio romano nato nella culla di sperma, amante dei cocchieri, gettato nel Tevere?

    Mariuccia divenne madre felice anche se quasi analfabeta e obbligò Piero a chiamare dall’Italia Rosa, la sorella seria e silenziosa come una monaca, sguattera in una canonica di Muggiò. L’aiutasse a crescere, nel nome di Dio, il piccolo Elio.

    Deh, quali abbracci! Deh, ecco avverarsi l’American Dream!

    Piero portò sempre riconoscenza ai ter ù n, insieme a molte informazioni bancarie.

    Elio frequentò le scuole cattoliche, diventò un giovanotto, uno smorfiosetto che mirava alle più belle del quartiere; come sapeva incantarle, che parlantina sciolta teneva, però rimase sempre col culo basso. Non un nano, naturalmente, semmai un burattino ridanciano che ai diciotto raggiungeva a malapena il metro e sessanta, se calzava scarpe con la suola doppia e il tacchetto.

    Dopo le superiori e una stranissima laurea, sentì necessità d’evasione. Le gambe corte lo avevano salvato dal servizio militare. Diede un dispiacere a mamma Mariuccia e a zia Rosa: s’imbarcò su una di quelle festose navi da crociera con rotta a Bermuda, alle Bahamas, a Miami e, naturalmente, ai Caraibi.

    Non fu mozzo, bensì animatore di feste per âgés ricchi e annoiati: mentre il piroscafo solcava le acque della notte, le signore un po’ alticce seguivano con occhi bramosi Elio, il quale, davanti a un microfono, accompagnato da un pianista, s’esibiva cantando canzoni melodiche americane, inglesi, napoletane e persino francesi. Per quest’ultime arrotava la erre come neanche il Parigino più blasé.

    Non teneva voce da tenore, nemmeno quando si commuoveva quasi singhiozzando lo smash-hit degli Stones Ruby Tuesday, ma era intonato e indossava pantaloni neri davvero aderenti.

    Quando i mariti, un po’ brilli di whiskey o di vino della California, con permesso, andavano a riposare, le signore gli lanciavano sguardi eloquenti.

    Sapeva come conquistarle, non necessariamente col canto.

    Soddisfatte, lo ricompensavano con molto tatto.

    Elio si trovava a bordo della turbonave Windsor, quando una comunicazione l’obbligò a lasciare l’allegra compagnia al primo scalo: Hamilton, Bermuda.

    Piero s’è spento serenamente, torna subito; gliel’aveva inviata zia Rosa, tramite l’armatore.

    Dopo poche ore di volo entrava nella villetta.

    Toccò il feretro e l’indomani al funerale asciugò le copiose lacrime delle due donne e di conoscenti italiani che non ricordava di conoscere.

    A sepoltura avvenuta, uno di questi lo avvicinò e gli annunciò che sarebbe dovuto partire per l’Italia, anzi, per Roma e quindi per la Sicilia. L’an­nuncio gli sembrò un’ingiunzione, quasi una minaccia ed Elio abbassò il capo: rispetto, rispetto.

    Avrai istruzioni dettagliate, aggiunse l’uomo d’onore.

    Alitalia

    Trascorse alcune settimane, Elio Gabalo informò le luttuose ancora piangenti, sgrananti il rosario, che sarebbe dovuto andare a pregare in Vaticano, e s’imbarcò sul DC 8 Alitalia per Roma. L’emissario gli aveva offerto il biglietto di prima classe.

    Malgrado la missione che non conosceva, ma che intuiva delicata, Elio sfiorò una gamba del­l’hostess che gli aveva servito champagne, poi le lanciò un’occhiata spermatica.

    La lavoratrice dei cieli non prese in considerazione il rascelito e s’allontanò. Raggiunse lo ste­ward e gli intimò:

    A quello ci pensi tu.

    Elio Gabalo, tenendo il mignolo alzato, continuò a sorseggiare champagne dal calice, finché non gli sfuggì un ruttino e s’appisolò.

    Arrivato a Roma, scese all’Hôtel La Certosa dove ricevette l’attesa visita di un Monsignore polacco il quale gli diede altre istruzioni e benedisse il suo viaggio a Palermo.

    Terminata la benedizione, Elio Gabalo passeggiò sul Lungotevere. L’acqua giallognola l’incupì come se avesse già visto o sognato il fiume, quindi bazzicò per via Veneto.

    " Oh, guarda guarda

    Che bella gioventù, che belle donne!"

    (Mozart, Don Giovanni K 527 Atto I, Scena VIII)

    Incontrò un’attricetta che gli parve uno schianto. Le sorrise e l’invitò a salire su una carrozzella. Confabulò con un simpatico cocchiere il quale condusse entrambi in un albergo a ore. Dopo la prestazione l’attricetta, Daniela, volle essere retribuita.

    Soldi ben spesi, pensò il puttaniere.

    Congedatala, ritornò al proprio albergo, si stese sul letto e, dopo essersi chiesto come mai avesse avvertito un’attrazione quasi fisica per il cocchiere e l’acqua limacciosa del Tevere gli avesse provocato un senso di panico, o forse qualcosa di molto simile a un déja véçu, Elio Gabalo cadde in un sonno agitato.

    L’indomani, il Caravelle Alitalia atterrò con due ore di ritardo a Punta Raisi. Tuttavia, all’uscita dello scalo, Elio Gabalo trovò un addetto alla sorveglianza aeroportuale che gli indicò con un cenno della testa una limousine nera.

    L’autista ne spalancò la portiera posteriore e, dopo essersi fatto consegnare da Gabalo la valigetta, gli disse salite.

    Elio sedette accanto a un uomo dai lineamenti mollicci, dagli occhiali d’oro e dall’età indefinibile.

    Mi chiamo Marcello e diventeremo come fratelli, poi gli rivolse una bavosa vasata sulla guancia.

    La limousine si fermò davanti all’Hôtel et des Palmes.

    Dopo aver ricevuto gli inchini del personale, sedettero in un privé dalle decorazioni liberty.

    Bevvero acqua.

    Marcello disse soltanto:

    " Adesso sei in bissinesse con noi e cominceremo col costruire un quartiere residenziale a nord di Pamme Bitch, i denari ci stanno. Stasera andremo al Massimo, ché dànno Don Giovanni. Sentirai la meravigliosa interprete di Donna Elvira, Natas’ja Filippovna, una russa di grandissima classe, ma domani si torna in America. Lavoro, lavoro. E ora alziamoci e andiamo a pranzare."

    Elio, salutista convinto almeno a tavola, mangiò pochissimo, bevve solo acqua e, infine, brindò e portò alle labbra una coppa di champagne millesimato; tuttavia ammirò la sala liberty, l’arredamento d’epoca, il vasellame prezioso.

    Tanto lusso ostentato ben si confaceva all’im­modestia di Elio.

    Marcello si congedò.

    All’americano di broccolino venne concesso un breve pisolo che lo ricaricò. Davanti allo specchio, che gli rimandava l’immagine inquietante da giovane Macario, si disse:

    Questa è Cosa Nostra, dunque anche mia. Tutto procede bene, mi sembra; se soltanto ci fosse qui una bella gnocca per una ciulatina veloce…

    Alle diciannove, l’autista gli aprì la portiera della limousine ed Elio ristrinse la mano di Marcello. Quando scorse alcuni manifesti che invitavano a un concerto di Ornella Vanoni gli sfuggì "… io ti darò di più, io ti darò di più, di tutto quanto…", Marcello storse la testa e la bocca dalle labbra un po’ bavose.

    Sì, Elio avrebbe preferito assistere al recital della Vanoni dalle gambe lunghe e dalla voce fica d.o.c. che a un’opera, della quale nemmeno conosceva la trama.

    Nel fumoso foyer del teatro in attesa del restauro – sarebbe durato un ventennio – Marcello tenne in disparte Elio da tutta la Palermo che contava: costruttori e principesse, marchesane e mantenute, vignaiuoli ed ereditieri, malfattori e assessori, presidenti e industriali, editori e musicisti, socialisti e democristi, economisti e giornalisti, mediconi e ciarlatani, marescialle e libertini, le marzotte e i renatini, ma… infine avvenne un incontro inatteso: il sindaco Salvo a braccetto con zio Giulio, il pipistrello gobbo.

    All’apparizione di zio Giulio gobbetto, Elio avrebbe voluto, spalmato sul volto, uno strato di cerone pesante, televisivo, a celargli il sudore che sentiva scorrergli sulla fronte, sulle guance. Oh, quale emozione!

    Il giovane di broccolino e la vecchia volpe avevano la stessa statura, medesimi gli occhi da predatori. Solo le orecchie dai lobi grandi di Elio differivano da quelle da pipistrello, da Vlad, di zio Giulio.

    Infine, dopo che i violinisti ebbero stretto o allentato i bischeri per accordare i propri strumenti, le luci si abbassarono la prima volta e le maschere guidarono gli spettatori ritardatari ai posti riservati.

    Marcello ed Elio si trovarono, soli, in un palco di proscenio.

    A luci spente, Elio ascoltò l’Ouverture in re minore, poi perse la trama di Don Giovanni, il dissoluto punito; ma, entrata in scena Donna Elvira, pensò:

    " What a big fuckable ass e non staccò più gli occhi dal sedere del soprano, nemmeno quando il Convitato di Pietra sprofondò all’inferno Don Giovanni, si sa, è tutta finzione."

    Il giorno dopo Elio e Marcello partirono su un jet privato, nessun controllo all’aeroporto, alla volta di Hamilton, Bermuda, dove s’affrettarono a depositare un gruzzolo non indifferente di lirette non candide su un conto cifrato.

    Riciclo, gli aveva spiegato Marcello.

    Terminata la velocissima transazione bancaria, lo stesso aereo li lasciò all’aeroporto di West Palm Beach.

    Deh, quanti viaggi!

    Acquistato un terreno a Jupiter, poco a nord di Palm Beach, l’impresa messa su in pochi mesi da Elio iniziò a edificare villette unifamiliari con piscina e accesso al mare. Le ruspe sloggiarono scoiattoli, vedove nere, rattle snakes e l’ufficio vendite esaurì il primo lotto vendendo abitazioni decorose a pensionati scesi dal Nord che cercavano i tepori della Sun Belt.

    Elio riuscì a trasformarsi in architetto, in operaio, in agente immobiliare e in imbonitore di vedove, sulle quali sfogava di gusto le voglie giovanili moltiplicatisi.

    Continua così, me ne torno da mia moglie, ma ci rivedremo presto, lo salutò Marcello, baciandolo sulle guance e sbavando come un lumacone.

    A questo punto, la storia di Elio costruttore è già in molti pamphlets, negli archivi di tutti i giornali.

    Dopo alcuni anni, incontrò una francese dall’aria sveglia: Colette Casse lavorava per Dior in Worth Avenue. Il tempo di scegliere una cravatta azzurra e già Elio aveva deciso d’impalmarla. Gli sembrò un tipetto tosto, capace di aiutarlo nel lavoro. Non era bellissima né giovanissima, anzi: era più anziana di lui, ma lo sovrastava di una spanna, o forse due.

    Aveva le natiche sode e, secondo Elio, possedeva charme. E polso.

    Colette non era indifferente al denaro e, alla proposta di Elio Gabalo, rispose oui, quasi senza esitare.

    Sposatosi, il costruttore non interruppe la relazione che intratteneva con Brown Sugar, una chica quindicenne figlia di profughi cubani i quali le avevano impartito l’arte antica di valorizzare la propria esuberanza, il proprio colore ambrato e di trarne buon profitto. La triangolazione di denaro lurido continuò a svolgersi: Elio Gabalo s’era limitato a espandere il triangolo delle Bermude.

    ELVIRA

    Dopo molti tentativi, Colette, ormai quasi prossima alla menopausa, finalmente rimase incinta.

    Nacque una figlia.

    Elio, ricordando quel Don Giovanni, del resto l’unico cui avesse assistito, volle battezzarla Elvira e l’affibbiò alle cure di nonna Mariuccia e di zia Rosa: Colette era troppo impegnata a seguire le attività e i guadagni del marito per aver tempo, soprattutto voglia, di crescerla.

    Marcello si fece vivo per raccomandargli di sostenere Reagan alle presidenziali del ’76.

    Malgrado la vittoria di Carter, Reagan diventò Pigmalione di Elio Gabalo e gli consigliò di non trascurare le case, ma d’impegnarsi anche nelle televisioni e nei giornali.

    Indispensabile e puntuale, il denaro si spostava dalla Sicilia al conto di Hamilton, Bermuda e da lì filtrava negli States. Elio divenne un piccolo tycoon e stabilì amicizia anche con la famiglia Bush.

    Abbiamo trovato re Mida, dicevano a Palermo sfregandosi le mani; in realtà Elio portava sciagura a tutti. A tutti, ma anche a sé stesso.

    Trasferì la famiglia in un luminoso attico di Park Avenue, ma la sua relazione, quasi pubblica, con una bellezza del jet-set, genere uomo ricco mi ci ficco, indusse Colette a chiedere il divorzio con relativi alimenti

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