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La città al di là del mare
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E-book269 pagine4 ore

La città al di là del mare

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Info su questo ebook

A nonno Luigi, che non ho mai conosciuto e del quale so ben poco. Un bel giorno mise quattro stracci in una borsa e se ne andò lontano: in Argentina. Come si sia svolta la sua vita in quel Paese, e come là sia avvenuta la sua morte, non l’ho mai saputo. A me piace pensare che i fatti si siano svolti come io li ho immaginati.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2018
ISBN9788828325444
La città al di là del mare

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    Anteprima del libro

    La città al di là del mare - Luigi Bosi

    DIGITALI

    Intro

    A nonno Luigi, che non ho mai conosciuto e del quale so ben poco. Un bel giorno mise quattro stracci in una borsa e se ne andò lontano: in Argentina. Come si sia svolta la sua vita in quel Paese, e come là sia avvenuta la sua morte, non l’ho mai saputo. A me piace pensare che i fatti si siano svolti come io li ho immaginati.

    L’AMERICA

    Parte Prima

    I.

    La donna mostrava d’essere alquanto spaesata. Che dovesse trattarsi d’una forestiera era abbastanza evidente, e questo semplice fatto, com’era inevitabile, già di per sé attirava l’attenzione dei pochi passanti che in quella calda mattinata d’estate la incrociavano, mentre percorreva lo stradone alberato che dalla stazione porta al centro della città.

    Si trattava d’una signora d’una certa età, piuttosto piccola di statura ma ben fatta, con un viso ancora piacente nonostante le sottili rughe che iniziavano a incorniciarle gli angoli della bocca. Due occhi azzurri, profondi e irrequieti, facevano supporre, e a ragione, di trovarsi di fronte a una persona dotata d’una determinazione fuori del comune.

    Camminava eretta, elegante nel suo abito lungo, un poco fuori moda, che le giungeva fin quasi alle caviglie. Ma ciò che più le conferiva un certo non so che, era il piccolo cappello di velluto verde posato un poco per traverso sulla folta capigliatura d’un nero corvino. Procedeva spedita, guardandosi attorno di continuo come se cercasse, senza trovarlo, qualche punto di riferimento. Davanti a sé sospingeva uno stuolo di ragazzini, cinque per l’esattezza, due dei quali già grandicelli, ma tre ancora decisamente piccoli. Tutti camminavano in silenzio, strascicando i piedi per la stanchezza, come se non avessero più neppure la forza di protestare.

    Solo il maschietto più piccolo, un bambino magro dalla pelle scura che la donna teneva per mano, s’era messo a piangere e tirava all’indietro, rifiutandosi di proseguire. Sembrava ben deciso a fermarsi là dove si trovava.

    "Avanti, Carlito, che non manca molto… Su, ancora un piccolo sforzo e poi siamo arrivati. Vedrai che feste ci faranno i nonni!"

    Ma la voce della donna tradiva a sua volta la stanchezza. Neppure lei sembrava tanto sicura di quello che diceva, e c’era da giurare che fosse in procinto di perdersi di coraggio. Continuava a guardarsi attorno nella speranza di riconoscere qualche particolare, ma niente di quella città le risultava familiare, non c’era modo di raccapezzarsi. Non riconosceva quelle case e quelle strade, né i palazzi che incontravano strada facendo.

    Le poche persone che li avevano incrociati, lanciando loro rapide occhiate piene di curiosità, l’avevano fatta sentire ancora più un’estranea. Eppure erano state così tante le volte che Luigi le aveva parlato della sua Ferrara, di quella città al di là del mare che prima non aveva mai neppure sentito nominare, che lei era convinta di poterla riconoscere a prima vista. Invece la città ancora s’ostinava a restarle del tutto sconosciuta.

    Lungo il viale le carrozze adesso s’erano fatte più frequenti, segno che il centro cittadino non doveva essere lontano. Come grandi ragni neri, le eleganti vetture andavano e venivano, incrociando i lenti barrocci e i carri che trasportavano ogni genere di merci. A un tratto un’automobile gialla li aveva superati, avvolgendoli in una nuvola di polvere, e i ragazzi s’erano fermati a guardarla a bocca spalancata. Da qualche tempo la gente s’era fatta più numerosa, ma ancora non c’era verso che Sidonie riuscisse a capire dove si trovava.

    Alla stazione le avevano detto d’arrivare alla Barriera del Dazio, e poi d’andare sempre avanti lungo il viale, non c’era modo di sbagliare. Lei così aveva fatto, eppure pareva che la strada non finisse mai.

    Quando il treno s’era fermato sotto la pensilina, dove in bella evidenza era appeso il grande cartello che indicava Ferrara, loro erano stati gli unici passeggeri a scendere, ma ugualmente s’era creato un certo scompiglio. Alcuni viaggiatori, e lo stesso controllore, s’erano prodigati per dare una mano alla signora e ai suoi figlioli a scaricare i numerosi bagagli che si portavano appresso. Subito dopo il treno, sbuffando, s’era rimesso in movimento, così che ben presto sotto la pensilina della stazione deserta non era rimasta che la signora dal cappellino verde, attorniata dallo stuolo dei suoi ragazzi spaesati.

    Ferrara, confermava un secondo cartello posto di traverso in prossimità dei binari. Al che Sidonie aveva tirato un bel sospiro di sollievo e in cuor suo aveva ringraziato Dio… Se non altro, fino a lì erano arrivati! Ce l’avevano fatta!… Avevano attraversato mezzo mondo, ma ce l’avevano fatta! Erano mesi che viaggiavano, ma ora grazie al cielo finalmente erano arrivati!

    Per un momento la donna aveva avvertito un groppo stringerle la gola, rendendosi conto nello stesso tempo d’essere in procinto di lasciarsi sopraffare dal pianto, ma poi era riuscita a ricacciarlo indietro. Subito s’era ripresa, e aveva iniziato a guardarsi attorno. Qualcuno ad aspettarli avrebbe pur dovuto esserci!… Lei da Genova, quand’erano sbarcati, aveva telegrafato per avvertire che sarebbero arrivati. Eppure ad attenderli non c’era anima viva. Scorgeva soltanto il capostazione e un vecchio facchino, che di lontano la stavano osservando.

    Sidonie si diresse verso di loro, seguita dai ragazzi ancora piuttosto frastornati dopo le tante ore di treno. Mentre il facchino si prendeva cura dei bagagli, la signora si rivolse all’uomo dal berretto rosso, che a sua volta le si era fatto incontro.

    Per cortesia, signor capostazione, saprebbe indicarmi la strada per arrivare alla Fornace di San Giovanni?

    L’uomo non aveva risposto subito. Per un istante era rimasto a osservare la piccola signora e tutti quei ragazzi dall’aria spaurita che le si stringevano attorno. S’era tolto il cappello rosso, e senza fretta s’era messo a strofinarsi con il fazzoletto il capo rilucente, per asciugarlo dal sudore.

    La Fornace di San Giovanni?… È piuttosto lontana, la Fornace. Si trova dalla parte opposta della città. A piedi ci vorrà più di un’ora. Potreste noleggiare una carrozza, ammesso che il vetturino sia disposto a prendere a bordo tutti questi ragazzini

    No, no, niente carrozza! Mi indichi soltanto la strada, per favore

    Avevano lasciato i bagagli al deposito della stazione e a piedi s’erano avviati lungo lo stradone alberato, in direzione della città che ancora non era dato di scorgere. Sidonie non intendeva far sapere a degli estranei che in tasca non aveva più un centesimo. I suoi risparmi li aveva spesi tutti, fino all’ultimo peso; ma tant’è, ormai erano arrivati, e nonostante la stanchezza del viaggio e la prospettiva di un’altra lunga camminata, la donna adesso si sentiva più serena. Il timore di non farcela, che per tutti quei mesi l’aveva accompagnata senza darle un attimo di tregua, adesso pareva che se ne fosse andato. A Ferrara per lo meno erano arrivati!… C’era riuscita: aveva attraversato l’oceano, per portare lei e i suoi figlioli dall’Argentina fino a quella sconosciuta cittadina dell’Italia settentrionale. Ce l’aveva fatta, e ora eccoli lì!

    L’ombra che i grandi alberi proiettavano sullo stradone polveroso, dava un certo sollievo dal caldo afoso della giornata estiva. Attorno a loro campi di stoppie bruciate dal sole si stendevano a perdita d’occhio, andando a lambire le mura cittadine che si scorgevano poco più avanti.

    Arrivati alla Barriera, varcarono la porta della città e subito si ritrovarono davanti alle prime case dell’abitato. Nei pressi del gabbiotto del Dazio due funzionari, vestiti di nero da capo a piedi nonostante il sole a picco, erano intenti a esaminare un carretto carico di sacchi di farina.

    Superate le mura, ancora s’imbatterono in un’infinità di orti e di campi coltivati. Sidonie a quella vista non poté fare a meno di pensare a Campo Hermoso. Pure là era estate quando erano partiti, circa sei mesi prima, e da poco gli uomini avevano ultimato di radunare il bestiame!… Anche là il sole picchiava senza dare tregua, forse anche più di questo!… Adesso invece là doveva essere arrivato l’inverno, e attorno alla Grande Casa doveva soffiare forte il vento freddo che scendeva dalla Sierra.

    La Grande Casa!… Com’era lontana, la sua casa!… Ma subito Sidonie si riprese. Quando era partita da Campo Hermoso s’era ripromessa di non pensare più a quei luoghi, quanto meno finché non fosse giunta a destinazione. Nel momento in cui s’era imbarcata in quell’avventura, aveva giurato a sé stessa che avrebbe cancellato dalla mente, e dal cuore soprattutto, quella che fino a quel momento era stata la sua vita. La sua meravigliosa vita… con Luigi!

    Così bisognava che fosse, fintanto almeno che non avesse portato a termine l’impresa che s’era ripromessa, quel viaggio interminabile attraverso mezzo mondo che aveva portato lei, e cinque dei suoi sette figlioli, dalle immense distese del Chaco Austral fino alla lontana casa ferrarese degli anziani genitori di Luigi. Non aveva mai conosciuto in vita sua i parenti del marito, non li aveva mai visti, se non in una logora fotografia, un po’ sfuocata, che Luigi teneva nel cassetto del comò, e che al momento della partenza lei aveva messo in valigia per ogni evenienza. L’unica cosa che sapeva di loro erano i nomi, e che abitavano in quella remota cittadina dell’Italia, dove fabbricavano mattoni.

    L’aveva giurato al marito, di portare i figli nella città da dove lui tanti anni prima era partito. Questa era stata la promessa che gli aveva fatto poco prima che morisse, e questo era ciò che adesso stava per portare a termine. Luigi ne sarebbe stato soddisfatto. I suoi figli finalmente tornavano a Ferrara, come lui aveva sempre desiderato.

    Luigi!… Il suo uomo, suo marito! Mio Dio, come s’erano voluti bene loro due!… Lei era poco più d’una bambina, quando s’erano incontrati. Se lo ricordava bene quell’incontro, come se fosse accaduto soltanto il giorno prima.

    E invece n’erano passati, di anni! Almeno una ventina, forse anche di più. Tutto era cominciato tanto tempo prima: s’era ancora nel secolo passato, il novecento non era ancora iniziato. Ma soprattutto ogni cosa era accaduta molto lontano da lì, in un altro mondo, in un altro continente. Per essere precisi, tutto aveva avuto inizio alla stazione ferroviaria di San Nicolàs de los Arrojos, una piccola cittadina a un centinaio di chilometri a nord di Buenos Aires. C’era una baraonda infernale quel giorno, di gente e d’animali, sulla piazza principale del paese, dove loro due per caso s’erano incontrati.

    II.

    Non risultava chiaro per nessuno, cosa diavolo fosse successo alla ferrovia. C’era chi diceva che era stata una frana a interrompere la linea per Rosario, e chi invece sosteneva che fossero stati i briganti a far saltare le rotaie, per bloccare il treno. Fatto sta che di proseguire, per il momento non se ne parlava neppure.

    Era questa la ragione per la quale il grande piazzale antistante la stazione di San Nicolàs era gremito fino all’inverosimile da una folla di viaggiatori esagitati, stanchi per la lunga attesa e affamati, che l’incertezza della situazione rendeva ancora più irrequieti.

    Un sole implacabile picchiava sulla testa di tutta quella gente, che con scarso successo andava alla ricerca d’un riparo sotto i pochi alberelli che crescevano ai bordi della piazza impolverata. Una fontana posta in un angolo della grande spianata in terra battuta era stata presa d’assalto da una folla litigiosa, che le s’accalcava attorno senza avere la pazienza d’aspettare il proprio turno, come se da un momento all’altro l’acqua dovesse smettere di zampillare. Il getto del resto usciva così a stento dallo sgangherato rubinetto, che in effetti c’era da temere che s’arrestasse sul più bello, tanto più che la coda di coloro che erano in attesa, invece d’accorciarsi, andava allungandosi sempre di più.

    State calmi, gente!… Non c’è ragione d’agitarsi tanto!… Fra qualche ora la linea ferroviaria sarà ripristinata, e tutto potrà riprendere a funzionare come prima. Presto il treno potrà ripartire, vedrete. State calmi, per favore. Calmi!…. Un attempato ufficiale della guardia civile, sudato e agitato forse più degli altri, dall’alto d’un carretto cercava di calmare gli animi di coloro che gli s’erano accalcati attorno alla ricerca d’informazioni, che lui del resto non era in grado di fornire perché non possedeva.

    L’accompagnavano due gendarmi che, con scarsi risultati, facevano di tutto per tenere la folla discosta dal carro. Il tono di voce dell’ufficiale era ben poco convincente, così che la gente gli si stringeva sempre più da vicino, imprecando e sbraitando all’indirizzo del poveretto, che alla fin dei conti non c’entrava niente.

    E noi intanto cosa facciamo?… Cosa diamo da mangiare alle nostre famiglie?

    L’uomo che, interpretando lo stato d’animo di molti, aveva rivolto la domanda all’ufficiale, un francese di nome Lucien Rangier che dal mattino presto si trovava bloccato alla stazione con tutta la famiglia, non s’aspettava di certo che quello gli desse una risposta assennata. Era evidente che il militare ne sapeva quanto loro su quel contrattempo, e non poteva fare altro che fornire risposte evasive, del tutto improvvisate.

    "Mah, non saprei… Provate a rivolgervi a quelle indie in fondo alla piazza. Forse loro hanno ancora qualche focaccia da vendervi".

    Il suggerimento non parve soddisfare nessuno, né tanto meno il francese, che imprecando a bassa voce nella sua lingua madre s’allontanò dal carretto dov’erano i militari, giudicando del tutto inutile restare. Ma evidentemente la buona sorte quel giorno non l’aveva abbandonato del tutto, perché, mentre faceva ritorno verso il luogo dove aveva lasciato la famiglia, l’uomo s’imbatté in un giovanotto che procedeva spedito in mezzo a tutta quella baraonda, tenendo ben stretta sotto il braccio una zucca enorme. Quando i due s’incrociarono, Lucien lo trattenne con decisione per un braccio.

    Ehi tu, ragazzo, dove vai con quella zucca?

    Il giovane si volse un po’ seccato, a guardare l’uomo che l’aveva fermato.

    Vado all’albergo, a vedere se me la possono cuocere rispose, stringendo ancora più forte il suo tesoro sotto il braccio.

    "Se la dai a me, ci penso io a cucinarla. E dopo ce la mangiamo assieme, metà per ciascuno. In più ti do mezzo peso… Cosa ne dici?"

    Un lampo brillò negli occhi del giovanotto, non tanto per il mezzo peso, che in fondo in quel momento non gli interessava più di tanto, quanto piuttosto perché quella soluzione gli evitava la seccatura di dover andare a chiedere favori all’albergo, dove sapeva che per quel giorno sarebbero stati tutti molto indaffarati, e non avrebbero di certo avuto il tempo d’occuparsi di lui e della sua zucca.

    "Va bene, affare fatto! Qua il mezzo peso, e poi andiamo pure dove dite voi, a cuocere la zucca".

    Il francese tirò fuori di tasca quanto aveva promesso, dopo di che i due s’avviarono a passo svelto verso la fine dell’abitato, in direzione del grande fiume che si scorgeva oltre le ultime case del paese. In breve si lasciarono alle spalle la confusione della piazza e scesero verso la riva del Paranà, che davanti a loro scorreva lento e maestoso, indifferente ai piccoli problemi di tutta quella gente.

    Come ti chiami, ragazzo? chiese l’uomo nel suo spagnolo stentato, guardando con interesse il giovanotto che gli camminava a fianco. Gli aveva dato il denaro, ma il giovane si teneva ancora la sua zucca ben stretta sotto il braccio. Era evidente che non si fidava troppo. Il francese sorrise fra sé, perché quel ragazzo cominciava a essergli simpatico: in effetti in quelle circostanze, in mezzo a tutta quella baraonda, mostrarsi troppo fiduciosi nei confronti d’un estraneo avrebbe potuto voler dire rimetterci non poco.

    "Luigi. Il mio nome è Luigi. Ma da quando sono qui mi chiamano tutti Luisito… Sono italiano".

    Ah, italiano!… E io sono francese. Mi chiamo Lucien Rangier. I due si strinsero la mano.

    Io e la mia famiglia siamo in viaggio per Rosario, dove prenderò servizio come organista presso la Missione dei padri francescani aggiunse l’uomo, chiaramente compiaciuto per l’incarico di prestigio che andava a ricoprire. Ma il ragazzo che gli camminava a fianco s’arrestò di colpo.

    Come, famiglia?… Voi non mi avete detto che avremmo dovuto dividere la zucca con altre persone! Era inteso che si sarebbe fatto a metà, mezza per ciascuno, e basta!

    Ma no, cosa hai capito?… Mettiti tranquillo! Certo, che facciamo a metà! Metà per ciascuno. E poi, non vedi com’è grossa la tua zucca, ce n’è abbastanza per sfamare un reggimento!

    Luisito se ne stava ancora fermo in mezzo alla strada, poco convinto dalle rassicurazioni del francese, quando due bambinette vennero di corsa verso di loro, gridando a più non posso.

    Papà! Papà! Cosa ci hai portato?. Quando scorsero Luisito con la grande zucca sotto il braccio, s’arrestarono di colpo restando a osservarlo di lontano.

    Ecco le mie bambine. Hai visto? Sono piccole, cosa vuoi che mangino! Avanti, andiamo, non fare tante storie. E poi, quanto avevamo stabilito io te l’ho già dato, ora sei tu che devi rispettare i patti!

    Alla fine Luigi si lasciò convincere. In effetti le bambine erano piuttosto piccole: una doveva avere sei o sette anni, e l’altra una decina, non di più. Non potevano essere di certo delle grandi divoratrici di zucca. Così, sia pure a malincuore, il ragazzo cedette.

    E va bene. Andiamo, e facciamola finita!

    Si lasciarono alle spalle gli ultimi orti del paese, e subito presero a scendere verso il fiume che davanti a loro, a non più d’un centinaio di metri, scorreva lento e maestoso in uno sfavillio di riflessi color verde e oro.

    Ecco, siamo arrivati disse Lucien, addentrandosi in un boschetto di tamerici. Questa è mia moglie soggiunse poco dopo il francese, indicando una donna comparsa all’improvviso in una piccola radura, intenta a tenere vivo un fuocherello acceso fra alcune pietre disposte in circolo, sulle quali era sistemata una pentola piena d’acqua ormai prossima a bollire.

    Ancora una volta Luigi si sentì preso per il naso. Anche la moglie ci voleva! Mancava solo quella. Quel francese lo stava forse prendendo in giro?… In effetti l’uomo guardava di sottecchi il giovanotto, aspettandosi da un momento all’altro qualche reazione. Ma Luigi questa volta si trattenne. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro, e poi quel pentolone d’acqua bollente faceva ben sperare che presto si sarebbe mangiato, grande o piccola che fosse la porzione di zucca che gli sarebbe toccata.

    Così alla fine si decise, e senza altre reticenze consegnò al francese il suo tesoro.

    Prendete, fate voi le parti disse il ragazzo, guardando l’uomo negli occhi.

    Lucien prese la zucca, e a sua volta gli sorrise. La soppesò compiaciuto fra le mani, quindi tirò fuori di tasca un coltello a serramanico col quale si mise d’impegno a farla a pezzi. Dapprima la tagliò a metà, poi in quarti e così via, fino a farne tanti tocchetti non più grandi d’un pugno, che subito finirono nell’acqua bollente della pentola.

    Ecco, così faranno prima a cuocere disse Lucien. Attorno al fuoco adesso c’era un’intensa animazione e, come sempre succede quando s’avvicina il momento di soddisfare l’appetito, era tanta pure l’allegria. Le bambine giocavano a rincorrersi, la donna si dava da fare con una ventola improvvisata per tenere vivo il fuoco, mentre Lucien e Luigi, seduti a poca distanza, osservavano compiaciuti i preparativi, conversando fra loro come se fossero stati vecchi amici.

    E tu, Luisito, dove sei diretto?

    Oh, io vado lontano!…. Gli occhi del ragazzo avevano preso a brillare, come se quella domanda avesse fatto affiorare il meglio dei suoi sogni. Vado a ovest, verso le montagne. C’è un mio amico lassù, ai piedi della Sierra, che m’aspetta… È il padrone d’una miniera di smeraldi, e io sono suo socio. O meglio, quasi socio: a dir la verità per il momento sono solo il segretario, ma col tempo diventerò suo socio, me l’ha promesso!

    Il ragazzo a questo punto tacque, per vedere l’effetto che le sue parole avevano avuto sul francese. Lucien effettivamente ora lo guardava con maggiore attenzione, anche se non riusciva a nascondere qualche perplessità.

    Caspita, una miniera di smeraldi!…

    Aveva ascoltato con interesse le confidenze di quel giovanotto italiano, e dentro di sé avvertiva una certa emozione, anche se in più d’una circostanza gli aveva dato l’impressione di spararle grosse. Quel ragazzo aveva grandi sogni per la testa e, com’era giusto che fosse alla sua età, pareva che ce la mettesse tutta per realizzarli. Gli piaceva, quel ragazzo: in un certo senso gli rassomigliava.

    A un tratto i due uomini furono distolti dal loro conversare, perché dal fiume stava venendo verso di loro una nuova persona. Si trattava d’una ragazza molto giovane, di non più di sedici o diciassette anni, almeno all’apparenza, che con

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